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13-02-2013, 22.01.59 | #72 |
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Riferimento: La Battaglia dei Giganti
@ Aggressor
Dirò di più, a mio parere se tu affermi l'Essere non come "significato", ma come la massima estensione ontologica di ciò che "è" (l'ente unico, insomma), questo ti porta dritto a Parmenide. Perchè se l'ente unico "è", necessariamente il suo contrario non è. un saluto |
14-02-2013, 07.51.07 | #73 |
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Riferimento: La Battaglia dei Giganti
0xdeadbeef:
Dirò di più, a mio parere se tu affermi l'Essere non come "significato", ma come la massima estensione ontologica di ciò che "è" (l'ente unico, insomma), questo ti porta dritto a Parmenide. Perchè se l'ente unico "è", necessariamente il suo contrario non è. Parmenide a differenza di me concepisce l'Essere come qualcosa di definito e finito; ma ciò che è definito ha bisogno di essere un particolare, un ché di distinto, cosa che l'Essere, per me, non è. Non avendo connotazioni specifiche (attributi) il contrario dell'Essere (come avevo scritto) coincide con l'Essere stesso; tanto è vero che alla nostra rappresentazione sfuggono l'Essere e il non-essere. maral: Gli attributi che determinano l'ente sono l'ente stesso, non una proprietà che gli può venire sottratta, sono il risultato di innumerevoli interrelazioni [...]Ossia se Tizio non è un uomo, o non è giovane non è quel Tizio che è autenticamente un uomo-giovane (possiamo pensare che potrà un giorno essere vecchio, o essere un cadavere e dunque non più un uomo, o addirittura una certa quantità di materia energia, ma né il vecchio, né il cadavere, né la materia energia sono Tizio-uomo-giovane) Il mio discorso è solo questo: se devo identificare l'Ente con le proprietà, allora perché non parlo direttamente dell'esistenza di queste proprietà e basta, invece poi di ascriverle a vari e distinti enti? Cioè le proprietà sono riconoscibili e distinte, perché poi dovremmo ascriverle ad altro, a vari enti? E questi enti per sé non esistono, e appartengono ad una sfera noumenica del reale... Sono perfettamente d'accordo con te, maral, quando dici che non vale neanche la pena di chiedersi cosa sia un ente per sé stesso, ma proprio per questo ti dico: perché ascrivere le proprietà a enti diversi, quando con Ente noi non ci riferiamo a nulla se non alle proprietà? Essere un "X" di 2m x 2m, vuol dire essere semplicemente una proprietà (2m x 2m); chi "possiede" questa proprietà? Un ente? Ma questo ente è definito solo grazie alla proprietà stessa, dunque a possedere questa proprietà non è lui, ma l'Essere direi. Alla fine, rileggendo il post di maral, mi vedo d'accordo con lui, solo forse il fatto di esprimersi in modi diversi può sviare. Io preciseri soltanto, come appunto ho già fatto e come ad un punto ha ammesso lo stesso maral, che gli attributi competono all'Essere, è lui il soggetto delle predicazioni che appare e scompare "facendosi" attributo e non gli "Enti" che invece sarebbero questi attributi stessi. Mentre di solito, e questo crea grande confusione, si chima Ente ciò che è dietro, ciò che possiede questi attributi, e questo porta a crede (o a ragionare come se fosse così) che possano esistere fatti obbiettivi, per se stessi determinati, al di sotto dei fenomeni relativi e contingenti. In metafisica analitica molti problemi insorgono in vista di quanto detto; c'è una difficoltà a parlare del principio di identità e dell'esistenza (alcuni additerebbero l'esistenza ai fatti, al possessore obbiettivo delle proprietà, che dovrebbe essere esso stesso qualcosa di definito e particolare). Grazie mille per l'attenzione! Ultima modifica di Aggressor : 14-02-2013 alle ore 11.48.52. |
14-02-2013, 12.22.53 | #74 | |
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Riferimento: La Battaglia dei Giganti
Citazione:
A questo punto l'interagire tra gli enti e di ogni ente con l'Essere (la totalità degli enti che sono) può venire riferito senza contraddizione sia all'intero Essere (l'Essere è interagente a mezzo degli enti), sia a qualsiasi ente che, essendo, interagisce. Considerare dunque l'Essere soggetto di ogni predicazione che predica ogni ente, o oggetto predicato da tutti gli enti insieme è dunque solo una questione di punti di vista (o modi combinatori che danno significati) diversamente emergenti in diversi campi di senso. Ciao |
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15-02-2013, 11.19.36 | #75 |
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maral
A questo punto l'interagire tra gli enti e di ogni ente con l'Essere (la totalità degli enti che sono) può venire riferito senza contraddizione sia all'intero Essere (l'Essere è interagente a mezzo degli enti), sia a qualsiasi ente che, essendo, interagisce. Il punto della mia riflessione risiede in questo, che volendo ascrivere l'esistenza agli enti particolari, o anche volendo ascrivere una proprietà ad un ente particolare si ammette la possibilità dell'essere separato che nella sua specificità può anche sparire nel nulla, una volta che cambi la sua condizione. Voglio dire che quando additiamo l'esistenza ad un oggetto noi vorremmo riferirci non alla condizione del suo apparire contingente ma a ciò che vi è dietro. Ad esempio un libro può apparire in un modo o nell'altro a seconda del punto di riferimento, ma quando dico "il libro esiste" mi riferisco alla sua denotazione (alcuni fisici o metafisici analitici direbbero che ciò che è dietro, la denotazione, corrispone più o meno alla descrizione fisica dell'ente, tendente ad una vera descrizione obbiettivante). Ma poiché dietro un ente vi è solo l'Essere allora l'esistenza appartiene all'Essere; alla totalità degli enti e non all'ente particolare. Per chiarire: non solo la forma dell'ente o della proprietà dipende dagli altri, ma che ciò che chiamiamo ente è tutt'uno con gli altri. Difatti non posso immaginare un cane, ad esempio, se non all'interno d'uno specifico sistema di riferimento. Se esistesse solo il suddetto cane nell'intero universo, non avendo l'universo un limite (lui è tutto ciò che c'è), esso perderebbe pure la sua forma e diventerebbe che sò, un ammasso di cellule che si rapporterebbero pure in modo totalmente diverso rispetto a quando il cane è calato in un contesto abituale. Ciò vuol dire che la forma "cane" non è solo il cane, ma ciò che gli è "attorno": tutto l'Essere. In altre parole con "questo esiste" dovrei riferirmi ad una totalità e non al "particolare esistere" fenomenico. Poiché appunto questo fenomeno non è per sé altro dall'Essere (per se stesso perderebbe specificità) e pure quell'apparente specificità in quanto rapporto-con-l'altro lo conduce direttamente all'Essere considerato come totalità (totalità spazio-temporale alla Severino). Mi piacerebbe sapere maral, cosa ne pensi di questo ragionamento, poiché esso mi interessa per la questione del principio di identità e per la questione del poter trattare l'Esistenza come un attributo; un saluto PS: non so 0xdeadbeef, se vuoi aggiungere qualcosa, o riproporre la tua domanda, il fatto è che sento il bisogno di chiarire questi punti, come ti avevo detto, per poter esprimere un parere serio in proposito. |
15-02-2013, 21.48.36 | #76 |
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@ Aggressor
Ma la "forma cane" è tale solo in riferimento ad un campo di senso, o contesto, e non in riferimento all'Essere. Se poi definissimo l'Essere come quel qualcosa che c'è "dietro" anche ai campi di senso; che c'è "dietro" ad ogni cosa che "è", ecco allora che ricadremmo, io trovo, in una tesi dell'Essere che è in definitiva quella di Parmenide. Non è certo per caso che Parmenide dice che l'Essere è e il Non Essere non è, cioè che il contrario dell'Essere semplicemente non sussiste (in quanto e-siste solo l'Essere: vuol dire, questo, "coincidere"?). E d'altronde Parmenide, come te, mi sembra consideri l'Essere come un qualcosa di in-definito (l'insieme di tutto ciò che è); come un qualcosa che non può essere altro che la massima estensione ontologica degli enti che "sono" (cioè che "esistono" come definizione particolare dell'Essere cui partecipano). un saluto |
15-02-2013, 22.17.19 | #77 |
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Non credo Aggressor che, se ho ben inteso, stiamo dicendo cose molto diverse. L'esistenza è chiaramente nell'Essere ed è sottesa dall'Essere, come qualsiasi altro essente che è attributo definente l'altro (dunque per l'altro), ma anche ente in sé dall'altro definito.
Ogni essente è manifestazione dell'Essere nella sua totalità, per questo Eraclito dice: Ascoltando non me, ma il lógos, è saggio convenire che tutto è uno. ove il logos esprime la necessità incontrovertibile (ossia non è possibile che tutto non sia uno). Io direi allora che l'ente rappresenta un modo di porsi di tutto l'Essere, tra gli infiniti modi di essere che di volta in volta appaiono. Manifestandosi in quel modo, cioè nell'aspetto che è proprio di quell'ente specifico aperto al suo diventare per l'altro, l'Essere appare alludendo alle innumerevoli altre possibilità di apparire sue proprie che sopraggiungeranno nelle costellazioni di senso a loro pertinenti. In tal modo l'Essere, pur conservando la sua assoluta necessità di essere Uno non annienta la molteplicità degli enti come per Parmenide ove ogni possibilità muore, ma al contrario, necessariamente la pone apparendo anche nell'alludere a ciò che ancora non appare (l'attesa di ciò che ancora non appare), dunque ammette l' Essere come possibilità di un continuo sopraggiungere e oltrepassarsi l'un l'altro degli enti, ognuno dei quali è un modo dell'Essere significato da tutto l'Essere per come viene com-preso in ciascun ente. Ossia, in altre parole, l'Essere resta uno in ogni ente che dà di esso particolare rappresentazione così da farlo apparire in un continuo gioco di rimandi di senso. il gioco per il quale gli enti appaiono e scompaiono, sopraggiungono e sono oltrepassati pur sempre essendo. Ogni attributo è dunque sì, come dici, riferito all'Essere, ma può apparire solo nell'ente, in ciò che solo esso singolarmente rappresenta e significa o solo allude senza ancora mostrare. Chiaramente il riferimento di quanto vado dicendo è a Severino, che anche se alcuni definiscono neo parmenideo, in realtà capovolge radicalmente la prospettiva parmenidea dell'Essere. |
18-02-2013, 21.30.28 | #78 |
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@ Maral
Platone, nel "Parmenide", distingue fra le ipotesi "uno è uno" e "uno è", nelle quali la seconda significa la partecipazione all'Essere. Naturalmente, come abbiamo detto, Platone compie il "parricidio"; ovvero afferma, a differenza di Parmenide, il "divenire" degli enti. Ora, siccome divenire è divenire in possibilità, possiamo affermare che anche l'Essere degli enti diviene in possibilità? Se così fosse, io non credo sarebbe possibile parlare di un Essere che conserva la sua assoluta necessità di essere Uno, come tu sostieni. Insomma, io credo che a questa discussione manchi una domanda fondamentale: cosa si intende per Essere? Se l'Essere è NEGLI enti, come è la mia posizione, allora come gli enti esso "diviene", e diviene in possibilità. Se invece intendessimo l'Essere come un qualcosa AL DI FUORI degli enti, allora e solo allora, trovo, potremmo sostenere la sua necessità. Aristotele afferma: "l'Essere si dice in molti modi (si può anche dire che il Non-Essere è)": non è forse questa di Aristotele una definizione particolare dell'Essere? Cioè una definizione che, in sostanza, riduce l'Essere all'Esistenza (e quindi all'ente)? D'altronde, io credo, se Aristotele affermasse che l'Essere si dice in un solo modo tornerebbe a Parmenide, non credi? Ma Aristotele dice anche un'altra cosa: "l'Essere si dice in molti modi, ma uno solo è il suo significato primario e fondamentale". Ma allora, io dico, è di significato, e non di esistenza, che parliamo... Cioè: l'Essere come significato primario e fondamentale cui tutti gli altri significati possono essere ricondotti, ma non l'Essere come "essente" cui tutti gli essenti possono essere ricondotti. un saluto |
20-02-2013, 00.04.05 | #79 | ||
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Riferimento: La Battaglia dei Giganti
Citazione:
Potremmo quindi affermare che l'Uno è Uno, equivale all' Uno è nel senso che l'Uno è proprio l'Uno che è Uno (se stesso) senza evidentemente poter essere mai altro di quell'Uno che è. Citazione:
Ciò che sto tentando di sostenere è che non c'è una rapporto di esclusione tra l'Essere come necessità e l'Essere come possibilità di un molteplice esserci, ma che è proprio la singola necessità a implicare immediatamente la molteplice possibilità e viceversa. Tutto l'Essere è l'indifferenziato unico e necessario di ogni singolo Essente, mentre ogni singolo Essente è la differenziazione inesauribile di tutto l'Essere in ognuno dei modi in cui può secondo possibilità differenziarsi. In tal modo Essere ed Essente restano saldati in un circolo chiuso indissolubile, ogni Essente è la possibilità realizzata di apparire specifico e concreto dell'Essere indifferenziato, e l'Essere è la necessità primaria di questa singola apparizione specifica che si realizza concretamente nell'Essente. A questo punto il divenire fenomenico degli Essenti non è altro che il continuo gioco dell'apparire e nascondersi di tutti gli Essenti che pur tuttavia sempre sono (e in questo senso interpreto il frammento di Eraclito prima citato che richiama l'assoluta necessità dell' Uno, della possibilità che si rivela necessità). Da tutto questo mio discorso ingarbugliato sembra rimasto fuori ancora il niente. In realtà il niente è proprio il contorno immaginario del tutto indifferenziato che è, è ciò che ci consente di parlare dell'Essere come tutto ciò che è senza dire cosa è (per dirlo occorre l'apparizione degli Essenti che sono sempre nell'Essere e non nel Niente), per questo possiamo affermare. come dice Aristotele, che anche il Non Essere è ed è esattamente ciò che dice di essere e dicendolo non può che contraddirsi (ma anche la contraddizione è, è il niente che si manifesta come tale). Ciao. |
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20-02-2013, 02.18.07 | #80 |
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@sgiombo
A proposito di ritardi...il mio è di quelli siderali, ma anche viste le elezioni vicine ho incontrato un pensiero più urgente da sviluppare (e che ovviamente è degenerato in una serie di diramazioni infinite). In questi giorni ho letto il 3d piuttosto oneroso (sono arrivato ad alcune considerazioni di maral ma penso che tu abbia lasciato perdere) Mi spiace che gli altri non riescano a seguirti, io invece mi ci ritrovo perfettamente, e quindi non so se qui o su un 3d a parte (penso sia giusto lo apra tu) vorrei continuassi, perchè mancano molti parametri a quella visione che nel primo post esponevi.(potrebbe chiamarsi fatti ed evento come in un topic americano, in cui si discuteva di Hume, e di cui non ho capito bene la questione della differenza. Un pretesto per ampliare ovviamente!) Troppo umile comunque, è evidente che hai una visione molto completa e pertinente dei vari problemi della filosofia (forse non così vasta, ma a questo punto non saprei se crederti). @altri Mauro lo conosco da un po', e però solo tu mi hai aiutato molto a capire cosa c'è che non capivo di lui (del suo argomento kantiano in realtà). Il fatto è che anch'io mi interesso più di ontologia (studio sull'essere) che di metafisica (studio sulll'essere delle cose). Il punto che mi hai chiarito è che in loro (aggressor-mauro-maral) si confonde l'ontologia e anche la metafisica con la epistemologia o gnoseologia che dir si voglia. (centrerà qualcosa witgenstein?teo di sì) Questo spiega il mio disaccordo parziale su alcuni termini come esserci ed essere, i quali non capisco proprio come possano essere relegati ad una sola dimensione di linguaggio fosse anche semiotica o fenomenologica che sia (eppure la querelle heidegger-wittgenstein qualche senso di allarme dovrebbe darlo). Su Severino: anche lì...eppure anche dagli articoli sui quotidiani il Maestro parla chiaramente non di contraddizione logica, bensì di contenuto filosofico. O no? . Comunque farà lo sforzo di calarmi in questa gestione (rappresentazione) dei termini per vedere se posso contribuire in qualche maniera. |