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27-01-2013, 21.35.48 | #34 |
Ospite abituale
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Riferimento: La Battaglia dei Giganti
@ Ulysse
Scusami tanto se mi intrometto in una risposta che dai, espressamente, ad Aggressor (d'altronde, se scrivi pubblicamente, puoi anche aspettartelo), ma ci sono un paio di cose che mi piacerebbe chiarire. La prima è relativa al fatto che mi "schivi" (ormai sono innumerevoli che risposte che non mi hai dato). Ora, a mio avviso i motivi non possono essere che due. Il primo è che non mi ritieni all'altezza (e ci può stare). Il secondo, ad esso simmetricamente opposto, è che io ti metto in difficoltà (e non ci può stare, perchè credo di non mettere in difficoltà nessuno). Nello specifico, quello che, a mio personale parere, tu non comprendi, o comprendi male, è che l'"osservato" dipende dall'"osservatore" (così dice la teoria della relatività). Che è quel che da qualche secolo va dicendo la filosofia, quando afferma che l'oggetto (l'osservato) è conoscibile solo attraverso il soggetto (l'osservatore). "Einstein riuscì a invalidare diverse assunzioni implicite della fisica classica, dimostrando che le leggi del moto di Newton sono valide per velocità molto piccole rispetto a quella della luce; che questa costituisce un limite per tutti i corpi materiali; che lo spazio e il tempo sono tra loro inseparabili, e che, unitamente alla massa, essi sono relativi all’osservatore". (fonte: Treccani.it) Un saluto |
27-01-2013, 23.37.18 | #35 |
Ospite abituale
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Riferimento: La Battaglia dei Giganti
Non c'è problema 0xdeadbeef
Allora vorrei subito spiegarti cosa intendo per forma o anche modalità d'Essere: intendo ciò per cui una cosa può dirsi diversa da un'altra cosa, la sua soggettività che nell'esperienza cosciente è carpita come fenomeno tramite l'estetica dell'oggetto conosciuto. Cioè il rosso che stò pensando, per esempio, ha una sua forma in quanto particolare percezione, che essendo effettivamente in un certo modo, posso distinguere dalle altre cose. Una forma è pure quella geometrica di un tavolo, una esperienza tattile, le particelle che se esistono hanno una soggettività in quanto particolari concreti. Se esistesse un mondo incorporeo complesso, le sue entità sarebbero distinte una dall'altra, cioè avrebbero quella soggettività che permetterebbe pure, a chi ne avesse la facoltà, di poterle cogliere come fenomeni (se effettivamente il problema conoscitivo descritto da Kant riguarda la possibilità di una conoscenza possibile in sé, e non, per esempio, la conoscenza degli oggetti materiali). Un po' come le intuizioni pure di Kant, che sono una sorta di potenza delle cose pensabili, la forma però riguarda anche le cose non pensate se esse comunque possiedono obbiettivamente delle proprietà o delle caratteristiche. Quello che voglio dire, anche ad Ulysse, se iesco a farmi capire, è che il problema di possedere una soggettività, e così pure una modalità d'Essere, è proprio anche degli enti non conosciuti; poiché essi potranno pure non stare nelle nostre coscienze ma se sono in un modo e non in un'altro allora ci sarà della soggettività in loro che io chiamo forma e che, ripeto, se recepita da un essere in grado di conoscere risulterà con una certa estetica fenomenica. Credo che fai un errore a credere che il riferimento alla velocità della luce possa definire un oggetto senza che esso abbia bisogno di un'altro oggetto: prendi l'asteroide che viaggia introno alla terra e portalo alla velocità della luce, o ad una velocità prossima a quella; poi togli tutte le altre cose che esistono nell'universo apparte l'asteroide e dimmi se quello viaggerà ancora alla velocità della luce. Non pensare che il tono sia malizioso, volevo fare un esempio per essere subito chiaro. Preferisco non aggiungere altro per ora, perché è tardi e forse ho spegato delle cose che vi daranno modo di comprendere meglio ciò che avevo già scritto. Ciao! |
27-01-2013, 23.49.46 | #36 |
Ospite abituale
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Riferimento: La Battaglia dei Giganti
A, una cosa ancora per Ulysse, leggi bene che dico "l'interpretazione nel senso esposto sopra", cioè identificata come l'impressione che i corpi materiali contraggono quando si mettono in relazione tra loro, si scontrano insomma (se vuoi vedere la materia come le classiche biglie vaganti). Chiamo questa cosa interpretazione perché mi pare che abbia molto in comune con i fenomeni percipiti dagli uomini, in quanto essi sono una sintesi di un rapporto, come appunto le distorzioni contratte dagli oggetti fisici (e non per niente il nostro apparato percettivo è fatto di corpi fisici).
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28-01-2013, 13.48.10 | #37 |
Ospite abituale
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Riferimento: La Battaglia dei Giganti
@ Mauro (Oxdeadbeef)
No, non credo che “percezione” sia sinonimo di “conoscenza”, credo che vadano distinte le sensazioni da (-le sensazioni interiori o mentali de-) le predicazioni o i giudizi circa l’ esistenza ed eventualmente anche circa la natura (interpretazioni) delle sensazioni stesse. Si possono avere sensazioni senza avere conoscenze (delle stesse); per esempio si possono avere sensazioni distrattamente, come quando si compie un cammino noto e abituale essendo immersi nei propri pensieri: si vedono le case, gli alberi e le altre cose che sono situate lungo il proprio percorso ma non si sa di vederle, non si predica che le si vede. Mi sembrano due cose ben distinte. E credo che gli animali privi di linguaggio non vadano oltre questo secondo tipo di esperienze, credo che sentano ma non sappiano (di sentire); come può accadere anche a noi animali dotati di linguaggio (l’ esempio precedente del cammino abituale). Questo sentire senza propriamente sapere è a loro (e a noi in casi come quello esemplificato) più che sufficiente per agire (basta per la pratica; ma la teoria, solo umana, è un’ altra cosa e richiede in aggiunta alle sensazioni, anche la predicazione circa le sensazioni stesse; la quale è costituita a sua volta da ulteriori sensazioni interiori o mentali). Mi sembra evidente che non può esserci conoscenza senza predicazione (conoscenza = predicazione verace), e poiché la predicazione è predicazione di attributi definiti (per lo meno implicitamente) dai parlanti e interpretati dal particolare soggetto della predicazione-conoscenza stessa, la conoscenza non può essere che conoscenza di “cose” interpretate, connotate dal conoscente. Però possono essere anche semplicemente indicate in quanto insiemi di sensazioni, evitando di connotarle, di attribuire loro un’ interpretazione; per esempio si può dire: “sto vedendo quella roba lì”. Invero mi sembra di capire che ci interessano due questioni diverse (ontologica nel mio caso, per così dire, gnoseologica nel tuo): A me interessa evidenziare che “esse est percipi”, cioè che le “cose” (in particolare, ma non solo, quelle materiali oggetto della conoscenza scientifica propriamente detta) che conosciamo, di cui possiamo parlare sono reali solo in quanto sensazioni (e ovviamente fintanto che sono in atto), a la Kant “fenomeni”, a la Spinoza “attributi”. Che esse non sono reali in sé indipendentemente dalla (e al di fuori della) nostra coscienza che le percepisce (e in particolare non lo sono allorché non sono percepite presentemente in atto), a la Kant “noumeno”, a la Spinoza “sostanza” (anche se sarebbe più giusto scrivere Sostanza -divina-). A te mi sembra interessi il carattere irriducibilmente soggettivo (almeno per certi aspetti; dico bene?) degli oggetti dei nostri pensieri o considerazioni anche se intenzionali, diretti a cose “fuori nel mondo”, e dunque delle nostre conoscenze, delle cose che conosciamo (per lo meno in quanto le conosciamo, per quel che riguarda il loro essere da noi conosciute); fin qui ti seguo -credo- senza difficoltà: dopo tutto i vocaboli vengono da noi arbitrariamente “confezionati” per definizione, e le definizioni dei concetti (indicati dai vocaboli) presentano in generale (per lo meno in una non trascurabile parte dei casi) una qualche ambiguità di interpretazione dipendente dall’ esperienza di chi le usa, soprattutto nei suoi aspetti culturali/sociali. Dove non ti seguo è nell’ attribuzione dell’ “interpretazione” anche agli animali non parlanti, la cui “conoscenza”, se vogliamo usare secondo me impropriamente questo concetto, si limita alla immediata presenza delle sensazioni (che secondo me è un “fatto” pratico, di comportamento, non teorico, di conoscenza); sensazioni che, credo di poterti concedere, presentano elementi soggettivi, variabili per l’ appunto da soggetto a soggetto: un gatto -o ancor di più un cane- quando ci incontra percepisce molto di più gli odori dei colori, oppure più in generale può essere più impressionato visivamente dal movimento che dalla forma delle “cose” (fenomeniche); non attribuirei comunque alla “conoscenza” queste differenze soggettive nella “forza impressiva” o “vivacità” dei vari aspetti (fenomenici) delle sensazioni, ma alla semplice esperienza percettiva immediata (questa differenza di vivacità può essere anche assoluta, di tipo “tutto o nulla”: i cani percepiscono ultrasuoni che noi non udiamo per nulla, nemmeno debolmente, tenuemente). La percezione è un’ esperienza, un fatto, non una conoscenza (un qualcosa che si vive, non che si sa; la si può anche -ulteriormente- sapere, ma non sempre e necessariamente). La conoscenza è predicazione o giudizio verace circa un fatto (fenomenico; o verso concetti astratti dai fenomeni). Vedendo un albero (un pioppo) vivo un’ esperienza, un po’ come facendo qualcos’ altro, per esempio radendomi la barba (cosa che invero non faccio dai tempi del servizio militare …che filosofo sarei senza la barba?). Predicando: “c’ è un albero (un pioppo)”, se tale predicazione è verace, cioè se effettivamente c’ è quel pioppo, ho una conoscenza (e -quel che più mi interessa- è conoscenza di un insieme di sensazioni -esse est percipi- e non di una cosa in sé, reale anche allorché non la percepisco). Le teorie della relatività hanno evidenziato certi aspetti (e certi limiti, se vogliamo) della conoscenza scientifica del mondo materiale naturale, ma non ne hanno inficiato l’ oggettività (a certe conditiones sine qua non indimostrabili e già note da gran tempo, innanzitutto la concatenazione causale degli eventi fisici -o la verità delle induzioni- come genialmente rilevato da Hume). La relatività ristretta afferma che “l' ‘osservato’ dipende dall'osservatore” in maniera non arbitraria o soggettiva, bensì secondo determinate modalità o “regole” o “leggi” oggettive, universali e costanti (nei limiti di cui sopra: Hume!) non meno di tutte le altre leggi e i principi fisici. Lo scientismo è ben altra cosa della scienza; è un’ ideologia reazionaria e a mio avviso irrazionalistica (dici molto bene: “articolo di fede”). La pretesa di ricavare dalla scienza fini, poi, è letteralmente demenziale: la scienza ci dice come stanno le cose (entro certi limiti, ecc., ecc.), e dunque come fare per raggiungere determinati fini (realistici; non la pienezza della botte e l’ ubriachezza della moglie insieme), quali mezzi utilizzare in determinate circostanze, cosa va fatto relativamente al conseguimento di scopi,. Non ci dice che cosa va fatto in assoluto, cioè come scopo in sé. Ci dice come il mondo è (entro certi limiti, ecc., ecc.), non come deve essere: questo lo sentiamo istintivamente, irrazionalmente, arbitrariamente “dentro di noi”. Secondo me l’ economia borghese (contrariamente alla critica marxiana dell’ economia politica) non è nemmeno una “scienza umana”: è purissima e semplicissima ideologia (falsa coscienza) reazionarissima, oggi più che mai. Peggio che peggio quella dei “bocconiani”, come dimostrato dal catastrofico (tranne che per gli usurai della finanza internazionale) ultimo anno di vandalico governo Monti-Bersani (ma mi sento in dovere di chiedere umilmente scusa ai Vandali…). Quanto poi al chiamare “riforme” le peggiori controriforme, si tratta di ordinaria neolingua orwelliana, tipica di questi tempi bui di reazione sfrenata, come le “missioni di pace”, i “diritti umani”, l’ “eccellenza”, la “meritocrazia”, l’ efficienza dei mercati e delle imprese private”, il “terrorismo” (e soprattutto l’ “antiterrorismo”) e così via spudoratamente mentendo (anzi: invertendo i concetti di 180°, capovolgendoli nei loro contrari). Stammi bene! P.S. chiedo a te a egli altri interlocutori un po’ di pazienza perché sto cambiando gestore del telefono e di internet e contrariamente a quanto mi avevano assicurato su mia esplicita richiesta di chiarimento (palese esempio di “eccellenza”, nonché di “efficienza dell’ impresa privata”) ci sarà un non breve intervallo di tempo in cui sarò necessariamente scollegato (trascrivo gli interventi nel forum su una chiavetta da un computer che uso al lavoro, scrivo le mie obiezioni e risposte in “word” sul computer di casa e le ritrascrivo mediante chiavetta sulla macchina che uso al lavoro; ovviamente nei ritagli di tempo o fuori orario: mica sono un’ “eccellenza” o una “meritocrazia”!). |
28-01-2013, 17.23.57 | #38 |
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Riferimento: La Battaglia dei Giganti
Sgiombo, mi trovo a doverti contraddire.
Le ipressioni delle percezioni sensoriali sono già un giundizio, pieno di informazione e riflessione inconscia. Guarda appunto la teoria della forma della gestalt per esempio. Inoltre la tua assunzione sulla percezione animale è, invero, pretestuosa, io ho letto che la differenza tra il cervello umano e quello animale è quantitativa più che qualitativa. Il linguaggio mi pare solo una manifestazione complessa della conoscenza. Quando passeggi e guardi gli alberi senza troppa attenzione la parte subconscia della tua mente sa benissimo che quelle cose ci sono, ma la parte conscia si stà semplicemente focalizzando su altro. Sapere cos'è? Valutare? Questo i sensi lo fanno (leggi se vuoi i testi dei neuroscienziati). Giudicare? Questo i sensi lo fanno. Percepire a livello conscio? Non potrei vedere gli alberi se non ne avessi una rappresentazione conscia in mè. Predicare? Se con ciò ti riferisci all'additare proprietà mi pare che con tutti i qualia percepiti i sensi attribuiscano moltissime proprietà alle cose. Se vuoi negare che la sensazione sia conoscenza perché definisci la conoscenza come predicazione verbale non dimostri nulla, ma affermi per tua credenza. In realtà non c'è una singola area del cervello che lavori senza interagire con le altre, per cui distinguere i dati sensibili dal resto delle facoltà è pure assai difficile (ci sono delle specializzazioni ma con processi di integrazione continui con gli altri reparti). Saluti! |
29-01-2013, 08.29.30 | #39 |
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Riferimento: La Battaglia dei Giganti
Aggressore:
Le ipressioni delle percezioni sensoriali sono già un giudizio, pieno di informazione e riflessione inconscia. Guarda appunto la teoria della forma della gestalt per esempio. Inoltre la tua assunzione sulla percezione animale è, invero, pretestuosa, io ho letto che la differenza tra il cervello umano e quello animale è quantitativa più che qualitativa. Il linguaggio mi pare solo una manifestazione complessa della conoscenza. Quando passeggi e guardi gli alberi senza troppa attenzione la parte subconscia della tua mente sa benissimo che quelle cose ci sono, ma la parte conscia si stà semplicemente focalizzando su altro. Sgiombo: Trovo autocontraddittorio il concetto di “informazione e (a maggior ragione) riflessione inconscia”. Le teorie gestaltiche della sensazione non mi convincono affatto che le percezioni, per quanto attivamente “corrette” e “deformate” da meccanismi fisiologici siano sic et simpliciter (= se non sono accompagnate da valutazioni o giudizi) conoscenze (anche usando lenti colorate o scure si “corregge” o “deforma” attivamente la propria visione, ma ciò non significa che se ne abbia conoscenza). Difficile, ma in larga misura arbitrario distinguere fra differenze qualitative o quantitative fra cervello e comportamento umano e animale. Aggressor: Sapere cos'è? Valutare? Questo i sensi lo fanno (leggi se vuoi i testi dei neuroscienziati). Giudicare? Questo i sensi lo fanno. Percepire a livello conscio? Non potrei vedere gli alberi se non ne avessi una rappresentazione conscia in mè. Predicare? Se con ciò ti riferisci all'additare proprietà mi pare che con tutti i qualia percepiti i sensi attribuiscano moltissime proprietà alle cose. Se vuoi negare che la sensazione sia conoscenza perché definisci la conoscenza come predicazione verbale non dimostri nulla, ma affermi per tua credenza. Sgiombo: Non vedo come i sensi possano giudicare (= predicare, affermare). I sensi sentono (e possono attivamente “correggere” o “deformare” gli stimoli in arrivo dall’ ambiente, ma questo è tutt’ altra cosa dal valutare o giudicare: non è conoscenza). Affermando che conoscenza = predicazione verace non affermo alcuna credenza, ma propongo una definizione arbitraria (che mi pare universalmente accettata). Affermo invece che giudicare (circa sensazioni) =/= sentire (sensazioni). I sensi percepiscono i qualia; l’ (eventuale, non necessaria) aggiunta di valutazioni circa le loro proprietà è un ulteriore evento. Aggressor: In realtà non c'è una singola area del cervello che lavori senza interagire con le altre, per cui distinguere i dati sensibili dal resto delle facoltà è pure assai difficile (ci sono delle specializzazioni ma con processi di integrazione continui con gli altri reparti). Sgiombo: Lo so benissimo (sono medico da trentacinque anni). Ma queste nozioni neurologiche (elementari) non sono pertinenti la questione epistemologica dei rapporti fra sensazioni e conoscenze. Ciao! |
29-01-2013, 14.42.12 | #40 |
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Riferimento: La Battaglia dei Giganti
Non capisco che differenza ci sia tra additare qualia o additare altre caratteristiche altrettanto contingenti (come giudizi logici)... ammettendo pure che c'è una deformazione (che poi in realtà si tratta di formazione dato che da lì si arriva al percetto cosciente,cioè non è che hai un dato sensibile che poi viene deformato, ma da un certo lavoro cerebrale arrivi direttamente al dato sensibile) dei dati sensoriali in quanto interagenti con le altre aree del cervello, aree che danno poi luogo anche al pensiero "parlato", mi riesce sempre più difficile distinguere queste cose nettamente come sembri fare, mi pare invece che siano molto legate.
Dici che sapere è affermare, ma non capisco cosa sia allora affermare, perché mi pare che un computer possa affermare o negare, e i sensi affermano ciò che fanno recepire. Una definizione di affermare potrebbe essere "portare alla luce qualcosa", altrimenti altre definizione portano in sé inscritte il concetto di coscienza, di pensiero o giudizio che stiamo tentando di esaminare. In realtà hai ammesso di esserti rifatto, nella tua definizione di conoscenza, al senso comune (il che in realtà non dimostra, ma appunto afferma una credenza); ma allora lascia che ti chieda questo con precisione: in cosa differisce un giudizio dei sensi da un giudizio come lo intendi te? Perché appunto mi pare che un giudizio sia un additare proprietà alle cose, e questo i sensi lo fanno con le proprietà di ruvido, secco, rosso ecc., come pure il ragionamento (è eticamente giusto, è impossibile ecc.). Se trovi contraddittorio il concetto di "informazione e riflessione inconscia", devi spiegare cosa intendi per informazione, perché anche un computer, si dice, può essere informato di qualcosa, ma sicuramente non lo è a livello conscio (sempre per il senso comune). In ogni caso fai un lavoro stupendo, grazie per le risposte |