Ospite abituale
Data registrazione: 16-07-2010
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Riferimento: La Battaglia dei Giganti
Molto bene. Da un lato approvo tutto ciò che ha detto maral (anche i parallelismi con Aristotele sono come li intenderei io, nonchè il discorso sulla materia-energia, che sembra più ostico solo per un problema ermeneutico, per cui lo lascio volentieri da parte e affermo di esere d'accordo); dall'altro credo di aver compreso appieno la questione sollevata da 0xdeadbeef. Per cui ora mi cimenterò in un commento della stessa, propndendo una visione che scaturisce dalle cose dette in precedenza e che muove verso una descrizione sempre più completa della natura, dove si inizierà a vedere la differenza del mio pensiero rispetto a quello di Aristotele e a quello di Severino (che conosco, e che non mi soddisfa=> una volta la pensavo come lui, ora mi pare di avere più elementi per parlare sensatamente del divenire, e finisco per parlarne in modo più vicino ad Heiddeger).
Allora, mi pare che il discorso di Aristotele (ammesso che sia effettivamente suo e non una interpretazione, in ogni caso prenderemo questa concezione in esame perché ci interessa) e di Severino sia fallace in questo: il divenire inerisce all'animo (non pensate che io parli dell'anima cristiana, parlo di anima perché è questa la definizione di Aristotele), cioè al sinolo di materia e forma, non è, invece, qualcosa che può essere ascritto -nelll'astrazione tutta mentale che facciamo tra materia e forma, che in realtà si presentano assieme e hanno il loro senso assieme- alla sola materia o alla sola forma.
Ora, lasciate che l'intero discorso nella sua unità funga da chiarimento sempre più efficace del concetto che voglio descrivere.
Una volta credevo che il divenire delle cose fosse legato al puro meccanismo, perché le forme, pensavo, sono determinate e determinati dovevano essere i loro effetti. Il caso ontologico come concetto non mi era mai piaciuto, poiché esso manifesta la sua totale indipendenza dalle determinazioni naturali, e non riuscivo a capire d'onde esso traesse la possibilità di influenzare in un certo modo le cose naturali. Allorché la mia ontologia si identificava con quella almeno neo-parmenidea, ma studiando la teologia, alcune cosucce di fisica e altri vari argomenti mi sono accorto che il mio sviluppo teoretico non reggeva (non mi metterò a parlare di questi aspetti che trovavo incompleti). Così mi sono persuaso (per dirla in fretta), che in qualche modo le cose naturali si dovessero evolvere secondo un senso non del tutto meccanco, ma che non poteva essere quello del caso. Ed è così che ho ripreso il concetto di libertà accorgendomi di questo: se voglio dirmi libero non posso ammettere di evolvermi del tutto meccanicamente, né posso ammettere di evolvermi secondo il caso ontologico, né posso, tuttavia, ammettere di evolvermi tramite la mera "somma" di questi due concetti, nel loro darsi così opposto (come se fossi un robot, nel senso più comune di questa accezione, che a volte si muove a caso). La libertà deve essere qualcosa di ambiguo tra il determinismo e il caso, ma non una semplice somma dei due, più che altro una somma in senso olistico (=>il totale non è la semplice somma delle due parti). Come se X (determinazione, meccanismo)+ Y (indeterminazione, caso)= Z (libertà=> entità ambigua tra le due) e non X+Y= insieme costituito da X e Y.
Secondo una lettura leggermente diversa è come se vi stessi dicendo che l'idea di forma (=>la materia che non ha una forma) rappresenta una totale inderminazione, la forma (in senso Aristotelico, non il mio) rappresenta la più totale determinazione, ma ciò che siamo è il sinolo dei due. E che non c'è nulla che non sia così, non esiste (se non forse in situazioni limite come quelle del Big-Bang?) la forma assolutamente indeterminata, né quella assolutamente determinata (per questo il mio concetto di forma, non è proprio quello Aristotelico), perché materia e forma sono indissolubilmente legate.
Ancora, per farvi capire cosa intendo vi dirò: alcuni potrebbero dire che il tempo è composto da vari istanti definiti che si susseguono. Io credo che noi non siamo questi istanti che si susseguono (e anzi direi che queste forme non esistono), ma la manifestazione del susseguirsi stesso, il passaggio tra l'uno e l'altro, che non è ente-definito come potrebbero essere i vari istanti a se stanti ma ente-ambiguo, in quanto colto nell'atto di trasformazione. In questo senso l'Essere non è più monolitico, esso non è niente al di fuori degli essenti (enssenti ed Essere sono concetti del tutto contrapposti solo nell'esercizio mentale) e la loro verità come unità conduce necessariamente a un divenire per così dire "ad un tempo monolitico" (poiché segue un senso unitario) e, nello stesso rispetto, del tutto sconnesso.
Alla fine credo che questa grande distinzione degli opposti sia solo, come nella percezione, un ché di propedeutico a comprendere la natura delle cose. Ed allora appoggerei volentieri il senso del progetto di Heiddeger così ben disposto a collocarsi con la libertà degli enti.
Un saluto
Ultima modifica di Aggressor : 06-02-2013 alle ore 15.00.29.
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