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24-06-2006, 12.15.41 | #122 | |
weird dreams
Data registrazione: 22-05-2005
Messaggi: 483
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prima del tempo
Citazione:
..da una costante a lor dispetto? come? come si chiama questa? con quale nome vorremmo chiamare un risultato comune ad ogni variabilante variegata variazione di svariate varietà di variabili? (ma però è giusto chiedersi se provengono da un luogo o, piuttosto, è corretto retorizzare su qual scenario compongono?) converrete che dev'essere ciò per cui un'incognita è tale. Ordunque in relazione a che cosa* un parametro è tale? vi è forse parola più adatta che esperienza ad indicare cotal costante verbo? come chiamate un'incognita inesperta? Ora deponiamo questi punti; trascinare la forma è reato! non ci appartiene. senza criterio non v'è riferimento; finiti criteri regolano un modello; infiniti criteri non hanno riferimento. Ma nel mezzo fluisce la vita. Il mezzo non è indicativo. *per la verità: con qual nome vorremmo indicare ciò per cui... |
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29-06-2006, 01.12.41 | #123 |
Ospite
Data registrazione: 20-06-2006
Messaggi: 8
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l'utopia del libero arbitrio
Si parla spesso di libero arbitrio in relazione all'esistenza di presunte divinità, e invece non lo si analizza mai in rapporto alla propria persona.
Le nostre scelte - quelle "autodeterminate" - sono davvero libere? Occorre innanzitutto prendere atto dell'esistenza di una sfera razionale e una istintuale. Quella istintuale tuttavia è in grado di aggirare o asservire quella razionale, cosìcchè l'istinto finisce con l'imporsi e il dominarci più o meno consapevolmente. Questo è uno dei motivi che mi fanno propendere per la negazione dell'esistenza del libero arbitrio. Voi che ne pensate? |
03-07-2006, 20.38.54 | #124 |
Nuovo ospite
Data registrazione: 01-07-2006
Messaggi: 1
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Esiste davvero l'azione volontaria?
La mia domanda a tutti voi è sostanzialmente la seguente: Possiamo considerarci liberi nonostante ogni nostro desiderio non si possa ricondurre onestamente alla nostra volontà?
Ciò che intendo dire con questo è che mi pare credibile di non essere nient’altro che il risultato complessivo di una volontà, di un desiderio che vuole orientarsi attraverso tutte le parti che lo compongono. Io sono l’insieme delle azioni di una di queste. In effetti potrebbe essere erroneo parlare di io-soggetto se non considerandomi solamente un prodotto, un’azione del corpo, il suo movimento, un soggetto passivo. La mia domanda vorrei allora tradurla in questi termini: Siamo sicuri che tutto ciò che vogliamo, che desideriamo, sia davvero un nostro desiderare? O è forse più prudente considerare di essere solamente il perenne e continuo risultato di una forza che noi non esercitiamo mai, ma subiamo sempre? Provate a pensare: ogni azione, ogni pensiero (che è pur sempre azione) si compie solamente per provare piacere. Non esiste nessuna azione che non costituisca un nostro investimento in vista di un piacere. Nessuno agisce davvero per soffrire senza speranza. E quando si prova piacere? Quando le nostre azioni ci conferiscono potere, forza. (accetto volentieri eccezioni, se ne trovate una). Ma siamo forse stati noi a decidere che il piacere si dovesse provare proprio in questo frangente? O sarebbe più logico pensare che veniamo continuamente adescati, ingannati a fare la volontà di (della “natura”…?) dallo zuccherino del piacere? In altre parole, siamo davvero certi di non essere che semplici strumenti che credono erroneamente di possedere una propria volontà, ma che in realtà non sono che “cellule” specializzate di un corpo infinitamente più grande di loro? Etienne |
06-07-2006, 10.30.47 | #125 |
Ospite abituale
Data registrazione: 16-10-2005
Messaggi: 749
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Etienne Scrive: "siamo davvero certi di non essere che semplici strumenti che credono erroneamente di possedere una propria volontà, ma che in realtà non sono che “cellule” specializzate di un corpo infinitamente più grande di loro?"
No, non siamo certi per nulla. E più scopriamo, meno ne siamo certi. |
06-07-2006, 11.17.53 | #126 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 01-12-2005
Messaggi: 1,638
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Citazione:
Infatti è proprio così… Siamo solo una piccolissima parte di un qualcosa di più complesso che si muove all’interno dello spazio che gli compete e che non può in nessun modo cambiare quella parte più ampia che lo contiene. Il libero arbitrio è pertanto ristretto alle nostre "misere" competenze. Che differenza c’è tra una cellula del nostro corpo, libera di muoversi nello spazio di sua competenza e l’essere che contiene quella cellula, cioè noi nel complesso? Nessuna…se non la possibilità che la parte più complessa (cioè noi) possa decidere anche di ucciderla, come la parte più complessa che ci contiene prevede la morte alla quale noi non siamo in grado di sottrarci… …e come quella cellula non comprende la parte più complessa alla quale partecipa, noi non comprendiamo quella che ci contiene e che sarà dotata di un “libero arbitrio” con poteri superiori ai nostri. Come spiegavo prima, la morte è la dimostrazione di questa facoltà superiore alla quale nulla noi possiamo. Una certa organizzazione di cellule (ignare di ciò che formano nel loro complesso) costruiscono ciò che noi chiamiamo uomo che a sua volta sarà organizzato in una struttura più complessa che non conosciamo. Ad ognuno il libero arbitrio che gli compete! |
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