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13-04-2014, 17.43.36 | #12 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Come è possibile un pensiero metafisico?
Citazione:
Grazie per le precisazioni sgiombo, devo ammettere che su Berkeley e Hume sono molto ignorante. E se devo essere sincero, un pó mi dispiace dover apprendere che causa delle percezioni per Berkeley sia comunque un ente eterogeno all'uomo, perché così viene a mancare molto del fascino del suo immaterialismo. Ma al di là di tutte le interpretazioni che si potrebbero dare e avere del pensiero dei vari filosofi, leggo sempre con piacere tutti i tuoi interventi su questo sito, e poiché sei dotato di profondità di giudizio, mi piacerebbe conoscere il tuo personale parere riguardo la questione del noumeno, cioè (nella definizione kantiana) di un oggetto meramente pensato dall'intelletto a prescindere da qualsiasi nostra esperienza, sempre ammesso che possa esistere. Infatti mi par di capire dalle tue parole che anche tu sia abbastanza scettico a riguardo. Ovviamente l'invito è rivolto a tutti coloro che siano interessati all'argomento.l |
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13-04-2014, 19.56.47 | #13 | |
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Riferimento: Come è possibile un pensiero metafisico?
Citazione:
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14-04-2014, 02.17.04 | #14 |
Ospite abituale
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Riferimento: Come è possibile un pensiero metafisico?
Il progetto kantiano è oggi unanimemente conosciuto come lo sforzo di fondazione del pensiero newtoniano, ossia dell'analisi veritativa del pensiero.
Ma se il pensiero del limite è oggi ancora utilissimo e fondante, così non si può dire del suo tentativo di fondazione del pensiero matematico che lui ipotizzava come un sintetico a priori. Non è tanto la fascinazione di un pensiero neoplatonizzante quanto l'incapacità teorica della verificabilità a essere stata messa in evidenza: essa non ha lo stesso vigore della dimostrazione dell'impossibilità della cosa in sè, (e in questo senso si parla di noumeno). Kant si muove gravemente nella sfera humiana, ma non ne sposa il carattere scettico, e come potrebbe visto che il suo fine era la dimostrazione dell'impianto da cui partiva newton? Il suo fallimento è dunque frutto delle sue personali e numeros ossessioni, che poi sfociano nella sua morale delirante dell'uomo-macchina. Se vogliamo partire da Kant per stabilire la validità del pensiero metafisico dobbiamo invece riferirci alla critica della ragione pratica, ossia quando parla dell'impossibiltà della purezza della critica, che "cede" ad un tipo di intellettualizzazione della morale che non può fare a meno del pensiero dell'aldilà a partire dall'aldiquà, il famoso "il cielo sopra di me e la legge morale dentro me stesso" come certezze, certezze chiaramente metafisiche di impronta luterana, come ci fece notare all'epoca un utente (psiconanaliticamente Kant è determinato da quel ambiente). Dunque sconsiglierei kant in maniera totale. Hegel è infinitamente superiore, sia per le sue intuizioni visionarie sia per la complessità della critica radicale all'intelligere. Ma la sua visionarietà finirà nell'esaltazione dello spirito cristiano come ragione ultima. Hegel in questo è stato ampiamente criticato di operare un balzo che lo pone veramente vicino ad un pensiero religioso più che filosofico. Ed io non ho problemi a riconoscerlo, in Hegel non diversamente che Kant il legame con il religioso è importante. Sono d'accordo con gli interventi precedenti Kant pretendeva sintetico ciò che era analitico. Il fatto è che gli analitici continentali prendendo per buono questa specie di neoplatonismo hanno formalmente liquidato la questione del fondamento. Fu Peirce a introdurre la necessità di nuove categorie kantiane che depurassero la filosofia analitica delle categorie del sintetico. Esse si basano sul concetto fondamentale del giudizio, ossia in termini moderni si parla del pensiero induttivo: è l'intuizione tramite un processo a ritroso, dove a contare sono i sensi e le capacità dell'intelletto, a separare quelle categorie: per come la vedo io un precursore delle funzioni insiemistiche che studiamo a scuola sotto il nome "gli insiemi di Cantor". Non sono dunque intuizioni che già rendono funzionale, ma funzioni garantite dall'intuzione della forma, che però fin dall'inizio separa. Come se l'intuizione fosse esattamente il separare, cosa totalmente opposta dell'unione ideale e infondata kantiana dei "sintetici". Infondata per via di Godel proprio a partire dal necessità del fondamento. Oggi questa questione è di nuovo taciuta da tutta la scuola analitica. Anche Peirce però finirà per essere strettamente unito al pensiero religioso. In questo senso (cioè nella comunanza dell'esperienza intellettuale) Hume - Peirce - Cartesio - Hegel sapevano benissimo che questo metafisico non era pensabile intellettualmente...kant addirittura vi riscontrò il male quando frainteso. dunque il metafisico è possibile solo a contatto con il religioso. vorrei poter andare avanti e mi permetto alcune altre considerazioni a cui se vuoi darai lettura e possibilmente risposta Io credo che il punto è proprio nel coacervo di potenza che il metafisico esercita sui maggiori pensatori a indicarci una direzione che indubbiamente richiami ancora il metafisico e il pensiero del metafisico. Il fatto che sia un germe partoriente di ulteriore pensiero, a me già da l'idea della possibilità infinita di significazione avanti e indietro. Dove "avanti" significa deduzione e scienza mentre "indietro" induzione e religione. Non è una questione di valore.( per me è più importante il secondo se ti interessa.) In questo senso Nietzsche che rimane il pensatore per eccellenza, mi ha fornito tanto di quel materiale sulle deviazioni del pensiero metafisico che non mi rimane che consigliare di andarci con i piedi di piombo sulle fascinazioni del pensiero analogico. (il pensiero analogico è quello che si origina in egitto e sfocia nello gnosticismo contemporaneo, quello digitale è quello della new age che ritiene lo stesso pensiero una macchina delle scienze dell'IT (intelligenza della tecnica-tecnologia) che si autodetermina per progressive oscillazioni casuali (e quindi formale deduttiva) dei microprocessi selettivi---che siano bioloogici (darwinsimo cognitivismo psichiatria neuroscienze) o tecnologici ( ingegneria, scienze del sociale, statistica etc...) in riassunto il pensiero metafisico è potenziale solo come analogico, solo con un salto fideistico, ed è irto di pericoli che lo rendono monolitico e cioè fascista e mortuario, e al contempo fonte di attacchi dal pensiero digitale, pensiero digitale totalmte percorso dalla stessa monoliticità a cui incorre l'economia politica vero deus ex-machina di questa epoca e di quel pensiero. Bene penso che sul tavolo ci sono tante (troppe?) questioni, siamo sotto fuoco incrociato direi eh! |
14-04-2014, 09.10.33 | #15 | |
Moderatore
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Riferimento: Come è possibile un pensiero metafisico?
Citazione:
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14-04-2014, 11.43.38 | #16 | ||
Ospite
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Riferimento: Come è possibile un pensiero metafisico?
Citazione:
Condivido pienamente. Citazione:
Qui Kant erra a parer mio nel giudicare le categorie come ente metafisico dell'intelletto quando invece sono un ente dell'immaginazione. Io penso di aver rilevato una contraddizione interna allo stesso criticismo, della quale però non ho trovato riscontro alcuno in tutti i libri, siti o manuali di storia della filosofia che finora ho letto; se viene attestata l'esistenza di giudizi sintetici a priori, ovvero di pensieri che vengono prima di qualsiasi nostra intuizione empirica, allora come giustificare l'impossibiltà di una conoscenza metafisica? Cioè dello stesso noumeno? Sulla questione di fatto Kant non ha dubbi, i sintetici a priori, quindi i pensieri al di fuori di qualsiasi nostra esperienza, esistono: 5 + 7 = 12, è uno di questi. Così come lo è quest'altro: «la somma degli angoli interni di un triangolo è equivalente a un angolo piatto»; oppure «ogni fenomeno rimanda a una causa», perché il predicato di causa non è contenuto nel soggetto di fenomeno. Ma se allora possiamo intuire il concetto di fenomeno oppure di triangolo prima di ogni nostra intuizione empirica, non sono forse questi dei noumeni? Allora perché non dovrebbe essere valido anche il pensiero metafisico: «l'insieme delle cose condizionate rimanda a un principio assoluto»? Io mi chiedo semplicemente come sia possibile avere un concetto (come per esempio quello di triangolo) prima di ogni nostra possibile intuizione empirica... In effetti lo stesso Platone ha detto che in natura il triangolo non esiste, eppure noi ne abbiamo un'idea, quindi sarebbero possibili pensieri metafisici? Vale a dire pensieri indipendenti da qualsiasi nostra esperienza? E come sono possibili? Grazie ancora per l'attenzione, ciao Nell'affermare ciò credo che venga in aiuto Spinoza(nonostante anteceda il filosofo) che nel suo Ethica differenzia ciò che è pensiero da ciò che è immaginazione. L'idea del triangolo geometrico in quanto non esiste in natura viene immaginato in sucessione agli attributi del pensiero che nascono dall'idea di una causa esterna. In questi termini non c'è nulla che sia al di là della mente di ciò che conosciamo, quindi sappiamo solo ciò che conosciamo? Una tautologia indeterminabile(vedi Godel)? Facile qui cadere nel solipsismo ma un po' come Descartes, qui Spinoza, si appella ad un Dio di cui tutto è suo effetto ed attributo, causa necessaria a tutto ciò che è derivante della sua natura e che perpetua nella sua natura. Così nella Mente non c’è alcuna volizione, cioè non c’è alcuna affermazione o negazione, oltre a quella che un’idea, in quanto è idea, implica. Se non abbiamo l'idea del triangolo non potremo nemmeno concepire che la somma dei suoi tra angoli corrisponde a due angoli retti quindi per sapere se la somma di 2+2 da 4 dovremo necessariamente avere l'idea di cosa sia l'1. E qui il problema è proprio quest'1 che si genera come pensiero tramite le cause esterne (e si formerà necessariamente finchè non ci sarà un altro pensiero di forza superiore e contraria) che passano attraverso le percezioni, semplici filtri nient'altro, che definirei l'idea che abbiamo del corpo. Deriva da questo che la Mente umana percepisce, insieme con la natura del suo proprio corpo, la natura di moltissimi corpi. La materia e il mondo esterno, la realtà, inoltre, non sono cose separate o singole (questo è ciò che fa l'immaginazione) ma sono un'unica cosa, un'unica natura se concepita dall'intelletto in quanto il vuoto non esiste. L'acqua che conosci con l'intelletto non è l'acqua delle pozzanghere, della pioggia o del mare dell'immaginazione, è l'acqua in essenza. L'immaginazione si forma dall'intelletto, l'intelletto con la causa esterna. Come può l'intelletto non conoscere ciò che produce? Può essere che non ne sia consapevole, ma potrà sicuramente avere capacità di conoscerlo, in quanto nella mente non c'è niente che escluda la conoscenza d'un idea che può corrispondere o meno con la cosa in sè. Ma la cosa in sè kantiana cos'è infine se non l'inconoscibile verità oggettiva o il dio spinoziano? A parer mio è impossibile non conoscere il noumeno ed è possibile postulare l'esistenza solo della cosa in sè che lo trascende. Se suddividiamo le cose in cause esterne(cosa in sè), percezioni/idea del corpo, intelletto(noumeno) e immaginazione(intuizione) le cose diventan più chiare e ciò che non conosciamo son solo le cause esterne, il resto è per forza conoscibile. Il fatto che possa esistere un pensiero metafisico puro, cioè con causa originaria la metafisica stessa credo sia impossibile, se dovesse nascere un essere umano senza percezioni non si formerebbero nemmeno nessuna idea o pensiero, nonostante la mente sia organo pensante, ma su questo ne dubito e non saprei su cosa pendere (anche nel post su sul velo di maya ho proposto un enigma simile) . Il dilemma qui è infine se può generarsi un pensiero senza passare dall'idea del corpo e quindi dalle percezioni ed io mi sento di dire che forse in anni la mente potrebbe trovare un sesto sesto tramite cui percepirà se stessa. Rifacendosi anche alla filosofia orientale, in caso esistesse un'anima, un assoluto che ci trascende in essenza oltre la vacuità della mente, la risposta sarebbe affermativa. Oppure se si segue l'idea di Jung secondo qui già dalla nascita esiste un inconscio collettivo istito nella specie. Ciò che entra a far parte del campo empirico inoltre son le percezioni degli strumenti utilizzati per sondare la realtà o una sua parte. |
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14-04-2014, 14.12.48 | #17 |
Ospite abituale
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Riferimento: Come è possibile un pensiero metafisico?
@ green&grey pocket
Ciao green, concordo con gran parte di quello che scrivi, solo su Hegel ho un dubbio; perché Hegel riteneva possibile perseguire una conoscenza metafisica assolutamente certa, non riteneva nulla di impensabile intellettualmente, e questa sua certezza non derivava da un salto fideistico, ma da un elemento altamente speculativo, la capacità dell'intelletto di poter giungere ad una visione d'insieme della natura ideale di tutta la realtà, del molteplice (il vero è l'intiero). Ma comunque anche lui finì come Cartesio, e da quanto ho appreso da sgiombo, anche come Berkeley, con l'ammettere una causa trascendente (lo Spirito) per giustificare la realtà molteplice. Correggimi se sbaglio, ma è sempre lo Spirito il protagonista indiscusso dell'idealismo hegeliano che infinitamente si pone come finito per poi superarsi dialetticamente nell'infinito come Assoluto, quindi causa della coscienza individuale (dell'io empirico fichtiano) è sempre lo Spirito (l'io assoluto fichtiano). Ecco allora una giustificazione fideistica, religiosa e non filosofica della metafisica del pensiero. La razionalità del reale è solo data all'uomo, e come tale la ragione umana è eminentemente passiva, ossia ricettiva, come l'intuizione kantiana. Ma la produzione della razionalità del reale è stata ancora una volta emendata ad una causa estrinseca alla ragione umana, e come tale la coscienza infelice è riportata dallo Spirito nel mondo come frutto di un panteismo immanentistico. Allora l'apriori metafisico è sempre ricondotto all'esterno dell'uomo, almeno in questo Kant era stato coerente, nell'ammettere cioè l'impossibilità di poterne avere una conoscenza razionale. Ma chi si arroga la capacità di poterlo conoscere, dovrebbe quantomeno dare una spiegazione della sua origine divina (sempre ammesso che esista), e non dire prima che il noumeno è un prodotto dell'intelletto umano, e poi ricondurre l'intelletto umano ad uno Spirito non umano, non divino, non trascendente, forse immanente, insomma non si capisce. Io non ho ancora capito dove ritorna l'idea dopo che é uscita di sé per poi ritornare in sé... Ma dove? Da dove è uscita? Se è un'idea è comunque uscita dalla mia testa, quindi lì dovrebbe ritornare. Ma se è così, comunque Hegel non lo dice, non lo ha scritto da nessuna parte. Ed è comunque importante (per me), perché stiamo parlando dell'Essere in sé e per sé (la sintesi del pensiero), metafisica pura. Ciao. |
14-04-2014, 18.25.47 | #18 |
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Riferimento: Come è possibile un pensiero metafisico?
Sgiombo:
Obbietto alle affermazioni di cui credo di comprendere il significato e che non condivido in questa interessante discussione. PRIMA PARTE DAVIDE M: Io penso di aver rilevato una contraddizione interna allo stesso criticismo, della quale però non ho trovato riscontro alcuno in tutti i libri, siti o manuali di storia della filosofia che finora ho letto; se viene attestata l'esistenza di giudizi sintetici a priori, ovvero di pensieri che vengono prima di qualsiasi nostra intuizione empirica, allora come giustificare l'impossibiltà di una conoscenza metafisica? Cioè dello stesso noumeno? Sulla questione di fatto Kant non ha dubbi, i sintetici a priori, quindi i pensieri al di fuori di qualsiasi nostra esperienza, esistono: 5 + 7 = 12, è uno di questi. Così come lo è quest'altro: «la somma degli angoli interni di un triangolo è equivalente a un angolo piatto»; oppure «ogni fenomeno rimanda a una causa», perché il predicato di causa non è contenuto nel soggetto di fenomeno. Ma se allora possiamo intuire il concetto di fenomeno oppure di triangolo prima di ogni nostra intuizione empirica, non sono forse questi dei noumeni? Allora perché non dovrebbe essere valido anche il pensiero metafisico: «l'insieme delle cose condizionate rimanda a un principio assoluto»? Io mi chiedo semplicemente come sia possibile avere un concetto (come per esempio quello di triangolo) prima di ogni nostra possibile intuizione empirica... In effetti lo stesso Platone ha detto che in natura il triangolo non esiste, eppure noi ne abbiamo un'idea, quindi sarebbero possibili pensieri metafisici? Vale a dire pensieri indipendenti da qualsiasi nostra esperienza? E come sono possibili? Sgiombo: Se fossero possibili giudizi sintetici a priori (come sostiene Kant), allora sarebbe possibile la conoscenza di “oggetti puramente congetturabili” e non fenomenicamente percepibili (a posteriori). Ma il noumeno inteso come "cosa in sé reale oltre i fenomeni" (insieme di entità metafisiche) farebbe parte di essi? Mi sembra che Kant stesso affermi la sua inconoscibilità (anche se solo attraverso la ragion pura), e dunque lo neghi. Peraltro mi sembra (anche dagli esempi da te e da altri proposti) che i giudizi sintetici a priori cui alludeva Kant siano da identificare con i teoremi logici e matematici, che oggi vengono invece generalmente ritenuti analitici (a priori; tali sono fra l’ altro per tutti gli altri intervenuti in questa discussione tranne te, se qualcosa non mi sfugge); e in quanto tali essi sono certi ma “vuoti di contenuti di conoscenza” ulteriori rispetto a quelli implicitamente già contenuti nelle definizioni e assiomi di partenza, che si limitano ad esplicitare: sono “poco più che tautologie”, che pagano la loro certezza con la loro vacuità o per lo meno “sterilità” conoscitiva. Inoltre non riguardano enti reali (fenomenici o noumenici) ma solo nozioni arbitrariamente stabilite dal pensiero puro (gratuito, meramente ipotetico, non applicato o riferito ad alcun evento reale ma del tutto a prescindere dalla realtà), e cioè per l’ appunto a priori; tali sono per esempio i concetti geometrici di linea, punto, angolo, triangolo, circonferenza, raggio, ecc., che propriamente intesi non esistono realmente da nessuna parte. Invece i giudizi sintetici a posteriori, oltre ad essere limitati necessariamente ad enti ed eventi fenomenici, pagano il loro contenuto reale (ovvero la loro “fecondità conoscitiva”) con un’ ineliminabile incertezza: o sono generali-astratti, come le leggi della fisica, ma allora si ricavano (per lo meno in linea di principio o “di diritto”, anche se solitamente non “di fatto”) dalle osservazioni particolari per induzione, la quale è indimostrabile essere veritiera, come chiarisce la critica humeiana del nesso di causalità fra gli eventi (fenomenici); oppure sono particolari-concreti (affermano la realtà di singoli enti o eventi fenomenici), ma allora la loro certezza è del tutto effimera, limitata all’ attimo presente in cui vengono affermati poiché immediatamente dopo i loro "contenuti" diventano oggetto di memoria -sempre passibile di errore- e non più di immediata evidenza empirica-fenomenica. I concetti matematici e logici, come quello di “triangolo” di fatto sorgono nella nostra coscienza a posteriori, per astrazione da esperienze empiriche (oggetti o superfici o parti di superfici di oggetti grossolanamente, approssimativamente triangolari), anche se “di diritto”, per essere propriamente intesi come tali devono venire rigorosamente definiti in maniera arbitraria e a prescindere dalla realtà (infatti non esiste da nessuna parte alcun triangolo geometrico, se non nelle nostre menti e, come puro concetto od oggetto di pensiero e non come ente reale indipendentemente dall’ essere -inoltre eventualmente- anche pensato, alla stregua dei fenomeni). Ultima modifica di sgiombo : 15-04-2014 alle ore 12.00.32. |
14-04-2014, 18.48.38 | #19 |
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Riferimento: Come è possibile un pensiero metafisico?
SECONDA PARTE
MARAL: Concordo con Sgiombo, anche a me non pare che 2+2=4 sia un giudizio sintetico a priori, quanto una conseguenza analitica del concetto astratto di numerabilità che appare nella fenomenologia dei numeri naturali (secondo la definizione che ne danno gli assiomi di Peano o la teoria degli insiemi) pure forme astratte, pensabili a mezzo di un giudizio che ne valuta la sola corrispondenza definitoria (per cui è vero con riferimento ai postulati di Peano, che 2 è un numero e 4 è un numero dato dalla somma di 2+2 secondo la definizione operativa del segno +) e non evidentemente in ragione di alcuna corrispondenza empirica. Sgiombo: Conseguentemente con quanto più sopra da me affermato, fin qui concordo perfettamente. MARAL: Il numero naturale mi pare quindi possa essere considerato a ragione noumeno e le operazioni che si fanno a mezzo dei numeri naturali una vera e propria metafisica confermata solo dalla sua analisi tautologica formale, per quanto tale conferma si riveli incompleta (come dimostrerà il teorema di Godel) e che pertanto mantiene il rimando alla cosa in sé: forse l'idea platonico pitagorica di numero (come ente in sé esistente che si degrada mostrandosi nella sua fenomenologia empirica di cose razionalmente numerabili) o forse la realtà empirica delle cose di per sé del tutto autosufficiente e di cui la numerabilità è tangibile espressione. Il pensiero puro espresso dal noumeno come forma a priori, originaria e intuitiva non può quindi non ricondurre a un'ancora più originaria idealizzazione metafisica platonica (da cui Kant voleva staccarsi) o al puro empirismo dell' esse est percipi che costituisce a sua volta una metafisica di segno opposto. La negazione del pensare metafisico dichiarata da Kant credo che in realtà sia data dall'emergenza dell'impossibilità logica di superare questa antinomia di giudizio aperta proprio dalla sua critica della ragion pura ed Hegel, dopo di lui, si impegnerà proprio in questa direzione a mezzo del pensiero dialettico. Sgiombo: Qui sono in disaccordo. A meno che per “noumeno" si intenda “mero oggetto di pensiero non reale se non unicamente in quanto tale e non anche indipendentemente dall’ essere eventualmente anche pensato”, come è invece il caso dei fenomeni e della stessa “cosa in sé” che potrebbe “stare -pure realmente e non solo concettualmente- oltre” i fenomeni (ammesso che sia qualcosa di positivamente esistente, cosa che non si può provare: la realtà potrebbe essere limitata ai soli fenomeni; in questo credo ovviamente di discostarmi da Kant, restando fedele a Hume). Le entità logico-matematiche possiamo pur denominarle “noumeno”, ma le dobbiamo comunque intendere come appartenenti al regno “formale” o meramente “di pensiero” per l’ appunto della logica e della matematica e non al regno ontologico della realtà, né in quanto fenomeni (entità fisiche), né in quanto (eventuale, indimostrabile) “cosa in sé esistente oltre i fenomeni” (ovvero entità metafisiche). Sono entità meramente logiche. Non ontologiche in alcun senso, né fisico, né metafisico. DAVIDE M.: Grazie per le precisazioni sgiombo, devo ammettere che su Berkeley e Hume sono molto ignorante. E se devo essere sincero, un pó mi dispiace dover apprendere che causa delle percezioni per Berkeley sia comunque un ente eterogeno all'uomo, perché così viene a mancare molto del fascino del suo immaterialismo. Ma al di là di tutte le interpretazioni che si potrebbero dare e avere del pensiero dei vari filosofi, leggo sempre con piacere tutti i tuoi interventi su questo sito, e poiché sei dotato di profondità di giudizio, mi piacerebbe conoscere il tuo personale parere riguardo la questione del noumeno, cioè (nella definizione kantiana) di un oggetto meramente pensato dall'intelletto a prescindere da qualsiasi nostra esperienza, sempre ammesso che possa esistere. Infatti mi par di capire dalle tue parole che anche tu sia abbastanza scettico a riguardo. Ovviamente l'invito è rivolto a tutti coloro che siano interessati all'argomento. Sgiombo: Sei troppo buono nei miei confronti, e ti ringrazio di cuore degli apprezzamenti. Credo di averti già risposto più sopra: per me effettivamente (in accordo con Hume) non si può avere certezza dell’esistenza reale di qualcosa che sia “oltre” le percezioni fenomeniche (intese “a la Berkeley”) e che può solo essere ipotizzato e creduto (di fatto personalmente ci credo, come penso tutte le persone generalmente ritenute “ragionevoli”, se non addirittura sane di mente), e che potrebbe costituire sia gli oggetti che i soggetti delle sensazioni stesse. E qui sta per me l’ aspetto forse più interessante dell’ intera questione, che a mio avviso permette di risolvere il problema filosofico (scientificamente insolubile; e infatti ci si sono inutilmente rotti la testa e continuano a farlo fior di scienziati) dei rapporti materia/pensiero (o mente/cervello): la “res cogitans”, per dirla “a la Descartes", é la percezione fenomenica di entità noumeniche “soggetti personali (di esperienza)” da parte di se stessi; mentre la “res extensa” è la percezione fenomenica da parte di essi di entità noumeniche diverse da se stessi. Certo questo non è dimostrabile (trattasi di noumeno!); ma credo sia un’ ipotesi (per l’ appunto non scientifica ma filosofica) che spiega perfettamente come ad ogni determinato stato di coscienza mentale corrisponda necessariamente un certo, determinato stato fisiologico (fisico, materiale) di un certo determinato cervello (constatabile nell’ ambito di altre, diverse esperienze fenomeniche coscienti) e viceversa: nel cervello non si troveranno mai qualia materiali in generale (colori, forme, suoni, sapori, ecc.) o mentali (sentimenti, emozioni, nozioni, ecc.) ma solo determinati tipi di qualia materiali che sono neuroni, membrane, sinapsi (in ultima analisi molecole, atomi, particelle-onde subatomiche): questi ultimi sono "in un certo senso" la stessa “cosa noumenica (in sé)” percepita fenomenicamente come materia da altri, diversi soggetti senzienti (noumenici); mentre i qualia mentali la sono in quanto percepita fenomenicamente come fatti di coscienza propri da essa stessa (entità neumenica-soggetto senziente che é anche, in questo caso, oggetto sentito). Allorché tu hai una certa esperienza cosciente, nel tuo cervello (come è osservabile nell’ ambito di qualsiasi esperienza cosciente diversa dalla tua; per esempio la mia) necessariamente avvengono certi determinati eventi neurofisiologici (in ultima analisi fisici) e viceversa, rispettivamente come percezioni fenomeniche (da parte di quella entità noumenica senziente che sei tu) di se stessa, "interne" (sotto forma di esperienze mentali) e da parte di entità noumeniche senzienti diverse da essa, "esterne" (sotto forma di esperienze materiali: il tuo cervello). Mi scuso per essermi lanciato (forse perché lusingato dai tuoi incauti apprezzamenti) in queste considerazioni alquanto “spericolate”, decisamente eccedenti la questione fenomeni/noumeno come intesa da Kant. Ultima modifica di sgiombo : 15-04-2014 alle ore 12.10.49. |
15-04-2014, 13.16.19 | #20 |
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Riferimento: Come è possibile un pensiero metafisico?
@ Mymind.
Ciao Mymind, sei stato molto chiaro. Quindi mi par di capire che anche per te il noumeno è un'utopia, non può esistere, perché scrivi che «l'1 si genera tramite le cause esterne». Infatti poi continui introducendo un'interessante facoltà dell'intelletto, l'immaginazione, che avrebbe il compito di unificare il molteplice, permettendo così all'intelletto di produrre un'idea. L'immaginazione si forma dall'intelletto, l'intelletto si forma con la causa esterna, hai scritto. Quindi alla fine anche l'immaginazione è effetto della causa esterna. Ed infatti poi scrivi un'altra cosa molto interessante, che la realtà, la materia ed il mondo esterno non sono cose separate, ma sono un'unica cosa, un'unica natura. Fin qui ci arrivo, perché è quest'unica natura che rende possibile l'idea, unificata dall'intelletto e percepita dall'immaginazione. Però poi non ho capito perché scrivi che a parer tuo «è impossibile non conoscere il noumeno ed è possibile postulare l'esistenza solo della cosa in sé che lo trascende»; se qualsiasi nostro pensiero è causato dall'esterno, allora il noumeno non esiste, perché non possiamo pensare nulla che non provenga da una nostra intuizione. Quindi non sarebbe possibile nemmeno conoscere il noumeno, come hai scritto, perché non si può conoscere qualcosa che non esiste. Ho notato questa contraddizione nel tuo pensiero, sbaglio? Ultima modifica di Davide M. : 15-04-2014 alle ore 13.42.44. |