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07-01-2013, 11.41.59 | #12 | |
stella danzante
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Riferimento: L'uomo e la tecnica
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08-01-2013, 15.09.14 | #13 |
Ospite abituale
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Riferimento: L'uomo e la tecnica
Intuitivamente la cd "tecnica" sta al "mezzo" come il "fine" per cui essa è stata realizzata sta ad un bisogno, una necessità o un'opportunità precedentemente voluta.
Ma vi invito a riflettere su come, nel mondo contemporaneo, le cose non siano affatto così semplici e, anzi, non stiano davvero così. Non siamo più al tempo di Galileo, quando tra l'applicazione dell'ottica alle lenti e la conoscenza del cielo intercorreva un territorio effettivamente neutrale di conoscenze. Quando dico "neutrale" intendo: indipendente dal corpus teoretico atto a descrivere ciò che da semplice "osservato" sarebbe assurto al ruolo di "conosciuto". Al tempo di Galileo, ad esempio, le contestazioni relative alla veridicità dei fatti osservati (causa la distorsione dell'immagine prodotta dalla lente) furono spazzate via dalla dimostrazione che il sistema copernicano si allineava con essi in modo assai più adeguato di quanto non facesse quello tolemaico. La maggior precisione delle previsioni e non la maggior armonia del sistema garantiva al cannocchiale una perfetta neutralità, in quanto ausilio "tecnico", rispetto a sistemi teoretici che, indipendentemente da esso, potevano essere confrontati. Oggi le cose stanno diversamente. Le tecnologie hanno raggiunto un tale grado di complessità da non poter più, in nessun modo, essere tenute distinte dalle discipline che le impiegano. Impossibile separare la fisica delle particelle e, in generale, la fisica teorica dalle metodologie di indagine: le osservazioni non sono "neutre" rispetto allo strumento impiegato. Il dato "osservato" non è tale in senso empirico: è la macchina che osserva, non l'occhio umano. Quanto alla "scoperta" essa non assomiglia neanche lontanamente all'individuazione galileana (ad esempio) dei satelliti di Giove. Si tratta, al contrario, di una valutazione probabilistica, fondata sull'ampiezza statistica delle deviazioni dei dati rilevati rispetto a quelli previsti da un modello. E, in funzione di questi e di quello, si parla oggi non di rivelazioni o scoperte, bensì di conferme o non conferme. Persino i Gedankenexperimente non possono prescindere da strumenti, modelli teorici e metodologie possibili. In genetica umana la decodificazione del genoma umano sta alle scoperte di Galileo come la sua decriptazione (l'attribuzione di senso alle sue parti - i geni - e la comprensione del loro funzionamento) alla fisica quantistica. La metodologia strumentale e l'implementazione al computer non sono affatto "neutre" rispetto all'osservato e, di qui al conosciuto - sempre in termini probabilistici - si passa attraverso il confronto e la creazione continua di nuovi modelli. E via così... Pensate che la Finanza sia "al di sopra" degli strumenti che utilizza? Che i prodotti derivati, con tutta la tecnologia matematica che li sottende, oppure gli algoritmi dell'analisi tecnica siano strumenti neutri rispetto ai dati che essi manipolano? Al contrario, pare persino più ragionevole supporre che siano questi ultimi, che sia la tecnologia a manipolare (impersonalmente) la finanza stessa. Al punto che, probabilmente, chi elaborasse strumenti informatici più potenti di quelli in uso ne avrebbe sicuramente il controllo, se non che... Il cervello umano, sotto il profilo della elaborazione computazionale, oggi non può più competere neppure con la calcolatrice in regalo nel pacchetto di patatine! Il tempo necessario ad elaborare un software più potente di quelli che oggi operano negli scambi finanziari è astronomicamente più lungo di quello in cui si svolgono gli scambi stessi. Il mio pensiero, in grande sintesi, è il seguente. Categorie come quelle di "mezzo" e "fine" hanno perso qualsiasi significato come concetti atti ad interpretare il mondo contemporaneo nel suo complesso. In modo particolare ed ancora più evidente essi sono inutilizzabili per descrivere qualsiasi relazione intercorrente oggi tra l'uomo e la tecnica. Anzi, il termine stesso "tecnica" è del tutto inappropriato a definire ciò che è divenuto nella nostra vita quel "tutto ciò" che abbiamo sempre denominato con questo nome. Nulla ci vieta di farlo, naturalmente. Come del resto nessuno potrebbe impedirci, se lo volessimo, di provare a descrivere in numeri un dipinto di Van Gogh. E' certamente fattibile... I nostri PC lo fanno. Ma lo fanno senza poterne ricevere e ricavare alcuna effettiva immagine mentale. |
08-01-2013, 21.05.54 | #14 | ||
Ospite abituale
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Riferimento: L'uomo e la tecnica
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09-01-2013, 09.19.07 | #15 | |
Ospite abituale
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Riferimento: L'uomo e la tecnica
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Molto interessanti le tue considerazioni. Galileo che segue tutto il processo dalla creazione artigianale del cannocchiale fino all’osservazione del fenomeno. C’è separazione fra strumento o mezzo, fine e procedimento gnoseologico. Oggi più che scoprire ed indagare si finalizza a comprovare ciò che già è stato teoricamente descritto in un modello. La particella di Higgs è un comprovare più che scoprire, idem gli elementi della tavola di Mendel, allorchè conoscendo la configurazione atomica e il modello matematico/fisico/chimico, già si conoscevano le caratteristiche degli elementi da scoprire, o meglio confermare. Penso che storicamente siano avvenuti due fenomeni nella tecnica e gnoseologia. Il primo è che la percezione sensoriale non gestiva più il fenomeno dall’avvento dell’elettricità in poi .Noi sensorialmente non la percepiamo l’elettricità, intendo il processo. Il secondo è che il modello artigianale della conoscenza è passato all’integrazione industriale e post industriale, cioè si progetta già sul fine: una sorta di escatologia della tecnica sostenuto da un modello di rappresentazione. Il mezzo è già nella fase di progettazione soggetto a specifiche costruttive , lo strumento nasce già finalizzato. Nelle scienze sociali non lo so, ho dei dubbi…ma però. Mi spiego meglio con un esempio .Nella finanza si dice che grandi famiglie che storicamente finanziavano le guerre già nel Settecento ora presiedono grandi gruppi finanziari e “strani” club”. E’ da parecchio non solo sul piano economico che si parla di “una mano longa” o “di un grande vecchio”: francamente ciò potrebbe essere vero, ma fino ad un certo punto. Le masse finanziarie in termini di quantità e di velocità nelle transazioni è così talmente elevata nella globalizzazione che è sempre più improbabile che qualcuno riesca a determinarla. Dovrebbe possedere una massa finanziaria talmente consistente e significativa per determinare i mercati. Ho invece sempre più l’impressione che in effetti si segua per inerzia quello che tu esprimi. Cioè apro internet, vedo le quotazioni borsistiche, aggiorno i dati nel software che comprende un algoritmo euristico e quello mi dice dove conviene , in quel momento e con quei dati e con un determinato scenario, andare ad investire .In altri termini il mio compito è di aggiornamento ,il processo è gestito dal software Quindi sono più propenso alla tua considerazione.. E se questo lo fanno tutti coloro che investono, significa che è il software che porta tutti in una certa direzione e quel software incorpora un modello finalizzato. Il risultato pratico è che tutti tendono ad andare in una certa direzione e ognuno di loro andandoci non fa che confermare ad un altro la strada da seguire in quanto spostiamo una consistente massa finanziaria da un punto ad un altro. Il modello funziona perché facendoci muovere in una certa direzione si autoconferma predittivamente. Io temo che noi siamo diventati mezzo e i modelli dei fini che cambiano i nostri linguaggi. Intendo dire andando ora sulla meccanica quantistica,(continuo a fare esempi in prima persona per essere più chiaro possibile, o almeno lo spero) che faccio fatica a capirne le logiche, in quanto esce dalla mia sensorialità percettiva, esperienziale. Devo ricostruirne il modello mentalmente e solo lì, in quanto i sensi che mi servivano fino alla termodinamica ora mi sono di ostacolo per costruirmi l’immagine mentale del modello. Ma quel modello costruendo appunto mentalmente in me un qualcosa di diverso rispetto a prima cambia il mio linguaggio e quindi anche le relazione con il mondo, il mio processo gnoseologico. Quindi i modelli di rappresentazione del mondo che sono strumenti di conoscenza sono ancor più potenti in quanto capaci di farci cambiare in funzione dello stesso modello e in quanto tale tendono ad autoconfermarsi ad autoreferenziarsi. |
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09-01-2013, 10.46.01 | #16 | |
stella danzante
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Riferimento: L'uomo e la tecnica
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09-01-2013, 21.19.13 | #17 | ||
Ospite abituale
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Riferimento: L'uomo e la tecnica
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09-01-2013, 22.15.12 | #18 |
Ospite abituale
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Riferimento: L'uomo e la tecnica
@ La Viandante
Io credo che quello che trasforma i valori dello spirito in strumentali ed utilitaristici non sia il valore economico. Ma sia, come dice Severino, quella destrutturazione radicale che il pensiero moderno ha operato nei confronti del valore dello spirito. Il valore dello spirito si dà un fine; uno scopo ultimo; in definiva una verità "assoluta": è questa verità che oggi viene a mancare. E se non esiste una verità qualsiasi cosa va bene (purchè "efficace"); "qualsiasi fosso può essere saltato" (così si esprime Severino). Io non trovo che il valore economico abbia un tale "potere". "Economia" significa ordine; regolarità. Essa si concretizza nella realizzazione del massimo risultato con il minimo sforzo. Ma, oggi, nessuno ci dice quale sarebbe o quale dovrebbe essere questo risultato "massimo". Quindi no, l'economia resta essenzialmente uno strumento (vedi anche il mio post: "Economia cos'è e cos'è diventata"); come uno strumento resta quel denaro che, in fin dei conti, assume "valore" nel momento in cui viene speso. No, a mio avviso, è altrove che bisogna guardare se vogliamo individuare il fine (nascosto, ma che c'è indubbiamente, perchè non potrebbe non esserci). La destrutturazione radicale che ha subito il valore dello spirito ha avuto come sua conseguenza fondamentale l'angoscia. Una angoscia profonda, che deriva dal senso dell'essere "gettati nel mondo", senza possibilità alcuna di poter dare un senso "infinito" all'esistenza. La possibilità che tutto possa succedere, anche la cosa più atroce (per dirla con Kierkegaard), paralizza l'essere umano e lo getta nell'angoscia. Come reagire a tutto ciò? L'uomo moderno reagisce "economicamente" (cioè cercando di realizzare il massimo risultato con il minimo sforzo. Molti assumono massicie dosi di psicofarmaci, altri bevono o si drogano, altri ancora cercano "stordimento" in frenetiche attività di vario genere - qualsiasi cosa va bene, purchè efficace); ma il fine che egli si pone è quello lì: cercare di far fronte alla mancanza di senso; all'angoscia dovuta alla destrutturazione del valore dello spirito. L.Tolstoj, nel meraviglioso "La Confessione", usa parole terribili per descrivere la propria angoscia (alcuni passaggi sono davvero spaventosi per l'abisso che ci descrivono), e ne usa altre altrettanto terribili per descrivere la sua disumana fatica nel cercare di arginare questa angoscia. Alla fine di un percorso che definire tormentato è un eufemismo, Tolstoj riesce (forse, perchè egli ci dà modo di dubitare di tale riuscita) ad uscire dall'angoscia. E vi riesce nell'unico modo possibile per le menti come la sua, ovvero ri-strutturando il valore dello spirito. Non si può certo dire che lo abbia fatto "economicamente", perchè ha raggiunto un minimo risultato (il dubbio fa sempre capolino nelle sue parole) con uno sforzo disumano. un saluto (leggo sempre volentieri quanto scrivi, e ti apprezzo sinceramente) mauro |
10-01-2013, 00.20.22 | #19 |
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Riferimento: L'uomo e la tecnica
@ Leibnicht
Perdonami ma il tuo discorso non mi è chiaro (mi ricorda quelli di certi politici che si dicono "riformisti" ma che del termine "riforme" evitano sempre accuratamente di specificarne il contenuto). Se, per certi versi, intendi dire che la conoscenza dell'"osservato" dipende dall'osservatore non potrei essere più d'accordo (d'altronde mi sembra questo che ci ha insegnato la teoria della relatività). Quello che mi sfugge è il nesso con il contesto di questa discussione. Io non credo affatto che categorie come quelle di "mezzo" e di "fine" abbiano perso qualsiasi significato. E penso che questa supposta "complessità" del mondo altro non sia che lo strumento (appunto) con cui categorie di tecnocrati legittimano un potere che è essenzialmente politico ("sopra" la finanza vi è il moderno ruolo della banca, che ha s-personalizzato la proprietà storicamente intesa soprattutto grazie al regime di assoluto privilegio che le elites di certi, e potenti, stati hanno voluto concedergli). Se (se...) per "razionalità" si intendesse ciò che si commisura in base all'efficacia dei mezzi prescelti in vista di un fine (certo potremmo sempre definirla in altro modo, ma dubito che ne potremmo ricavare una "effettiva immagine mentale"), allora non potremmo fare a meno di rilevare come di tale fine nessuno ne parli più. Ma, esattamente come avviene nel caso delle "riforme", non se parla più semplicemente perchè è molto più conveniente tacerne (conveniente, ovvero, per chi da quel silenzio ha tutto da ricavare...). Evidentemente, se non si parla del fine non si parla nemmeno del mezzo. Ma si parla, vagamente, di una "efficienza", o "efficacia", di cui, personalmente, mi sfugge il senso (in realtà non mi sfugge affatto). E mi sfugge soprattutto se, nell'universo relativo, mi chiedo: efficienza relativa a che cosa? Efficacia per fare cosa? Forse è efficiente dare montagne di soldi alle banche per ripianarne le marachelle e fare morire, che so, la ricerca archeologica? O forse si ritengono efficienti le stesse banche e non la ricerca archeologica? Ma non demorderei ugualmente: efficienti per fare che cosa? E perchè la ricerca archeologica non lo è? Insomma, spero tu mi scuserai ma nelle tue parole io ci vedo molta ingenuità. Perchè al mondo cambiano le parole e i paradigmi al cui interno esse vengono usate, ma non cambia IL mondo (la conoscenza dell'osservato dipende dall'osservatore, ma le due categorie permangono nel loro "essere" di oggetto e di soggetto). un saluto |
10-01-2013, 03.09.49 | #20 | |
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Riferimento: L'uomo e la tecnica
Citazione:
Non era esattamente questo il "core", ma hai espresso uno scetticismo legittimo e razionale. Il "Ci siamo": questo è il punto critico. "Ci siamo" chi, come e... in che senso? E poi: "è l'uomo che alla fine ha decretato (...)" L'uomo chi? L'uomo in che senso? L'uomo che cosa? Non esiste nessun "ci siamo" nel processo decisionale che porta ad avvalorare oppure disconfermare le risultanze di un esperimento. Esistono parametri e criteri metodologici che sono stati "ammessi" dalla comunità scientifica a legittimare i protocolli di qualsiasi ricerca. Questi parametri e questi criteri conseguono al processo selettivo che, nel tempo, li ha imposti come "maggiormente affidabili" in ragione del miglior rapporto possibile tra costi e risultati attesi. Questo perchè la ricerca comporta spese enormi ed è cosa buona e giusta individuare a priori "come" ridurre al minimo il "rumore di fondo" dell'inutile, del velleitario e del ridondante. L'essere umano non è il "convitato di pietra" di questo processo. Forse la "Verità" ha questo ruolo terribile. Forse perchè la tecnica coniuga, oggi, la soggettività dell'uomo nella triade sillogistica hegeliana in un modo nuovo e illogico. Non lo so... Ma l'uomo che sottoscrive, pubblicandola, i risultati di un lavoro di ricerca è assai più un notaio che non uno scienziato. Questa è la realtà: può piacere o dispiacere oppure spiacere, ma le cose stanno così. P.s.: no, la macchina restituisce soltanto composizioni statistiche numeriche. Le "immagini" che vediamo in allegato alle pubblicazioni divulgative sono semplici algoritmi destinati alla rappresentazione analogica. Sono simili alle forme che windows ci proponeva, tanti anni fa, quando ascoltavamo musica. Anche la "lettura" è programmata ed è questa che si traduce in composizioni etc... |
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