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01-10-2012, 17.02.57 | #122 | ||||
Ospite abituale
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Riferimento: Sull'esistenza di Dio
Citazione:
Dio non è “un qualcosa”, e poiché nell’esserci ciò che non è un qualcosa non esiste, Dio appare come Nulla. Sperimentare la dimensione divina è allora possibile solo nello slancio che supera il mero esserci. Poiché l’esserci è scissione originaria soggetto-oggetto, è proprio nella comunicazione, dove il soggetto e l’oggetto cessano di essere irrimediabilmente distinti per unificarsi, che si manifesta l'“esistenza”. E’ infatti con l’altro, nella comunicazione esistenziale, che cesso di essere soggetto, per diventare con l’altro “esistenza”. Esistenza che è certezza della Trascendenza. In quel momento, “ognuno” perde di significato, perché non vi sono due soggetti che comunicano, ma solo l’irripetibile comunicazione. L’esistenza è comunicazione. Ciò che tu chiami “conoscenza profonda” secondo me non è perciò un “sapere”. Non è cioè un qualcosa che prima non si conosceva (possedeva) e poi si è conosciuto (posseduto). Bensì essa consiste nel diventare noi stessi. Nella comunicazione esistenziale si attua uno slancio verso la nostra origine, verso ciò che realmente siamo. In questo slancio si sperimenta la certezza di Dio. Citazione:
Chi torna dai suoi compagni nella caverna dell’esserci, rivelando loro la propria esperienza esistenziale non sarà mai creduto, perché ognuno deve sperimentare da sé. Nell’esserci, Dio non c’é. Ma anche chi ha sperimentato l’esistenza, tornando inevitabilmente nell’esserci perde la certezza che pure aveva raggiunto. Perché nell’esserci non vi è Verità assoluta, e dunque tutto può e deve essere messo in dubbio. Di modo che il naufragio è inevitabile. La “coscienza profonda” diventa ben presto un ricordo, utile per tentare un nuovo slancio, ma non per potervisi sostenere stabilmente. Di fronte alla situazione-limite, come può esserlo la morte della persona cara, il ricordo della comunicazione esistenziale non può essere pertanto in sé un’efficace risposta, ma solo un faro da seguire. Nel naufragio di fronte alla morte, il tentativo di rinnovare la comunicazione esistenziale, con chi non c’è più, non può che fallire, perché la comunicazione può realizzarsi solo nell’esserci. Occorre allora fare affidamento alla propria fede nella Verità (appello all’esistenza) che spezza l’esserci! Perché l’esistenza è reale! Nonostante nulla possa provarla. Ma cosa significa che l’esistenza è reale? Non significa forse che l’oggettività non è che apparenza? Che la realtà di quella persona non consiste tanto nella sua oggettività, ma nella comunicazione esistenziale che è avvenuta sì allora, ma pure per l’eternità? Non è forse questa comunicazione ciò che conta davvero? Non è forse perché essa è ciò che m’importa davvero che provo dolore? Se reale è l’esistenza, e si tratta di un atto di fede, allora quella persona oggettiva non c’è mai stata. Perché la sua realtà è esistenza, la cui origine è fondata nella Trascendenza. Quella persona non parla più con me, nell’esserci, ma rimane più “vera” di qualsiasi oggettività. Non so se sono riuscito a chiarire almeno un po’. D’altronde, non è che io conosca, solo provo a muovermi... con te. Citazione:
Come ho cercato di dire nella mia precedente risposta a femmefatale, Nietzsche esprime un nichilismo “forte”, mentre il fascismo deriva dal nichilismo “debole”. Di modo che la “volontà di potenza” assume significati diversi a seconda del terreno in cui si sviluppa. In Nietzsche è secondo me come tu dici. Ossia presa di responsabilità di fronte alla constatazione che Dio non c’è. In Nietzsche c’è amore, amore che non vuole ingannarsi a nessun prezzo. In lui è ben presente l’Assoluto, che non guida più i nostri passi, ma, nelle vesti del Nulla, pretende da noi tutto. Viceversa per il nazi/fascismo la “volontà di potenza” esprime il puro arbitrio, dove tutto è permesso perché l’uomo non solo non ha nulla sopra di sé, ma neppure dentro di sé! Molti nostri politici soffrono di un acuto nichilismo “debole”, non dissimile da quello fascista. In loro non vi è amore, e forse neppure autentico odio: solo vuoto. |
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03-10-2012, 16.46.24 | #123 | ||||||||
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Riferimento: Sull'esistenza di Dio
Citazione:
Se tengo fede a questa affermazione allora anche il pensiero non esiste (e non esisterebbe nemmeno ciò di cui un tempo non sospettavamo e provato l'esistenza, nella scienza ad esempio) E nemmeno la coscienza, in tale assunto, esisterebbe. E persino la vita, visto che gli elementi a renderla "oggettivamente identificata" non sono ben tutt'ora chiariti. Citazione:
e dell'immaginazione che è il motore primo di ogni creazione dell'uomo, allora non resta che il "mero esserci". In tal caso però anche il "ci" di essere sarebbe di troppo, non credi? Perché se quel "ci" sta a indicare l'ipotetico luogo in cui risiediamo, non esistendo il pensiero allora possiamo ancora affermare con oggettività di essere qui ? "Qui" dove? Scusa, l'avvocato del diavolo.. Potrei veramente affermare di essere qui se non usassi la capacità di astrazione capace di discernere il mio corpo dal tuo e dalla terra a contatto coi piedi? Ma anche non cavillassi io sino a questo punto nel considerare le zone d'ombra di questa tua affermazione, resta ancora da considerare il punto in cui affermi che, solo attraverso lo slancio che supera -usando le tue parole- "ciò che esiste" posso giungere alla dimensione divina. Ma andiamo per gradi. Citazione:
L' "esserci" ovvero la capacità mentale di discernere, di individuare le cose per contrasto, non è che una qualità della capacità di vedere, non l'unica. Se ad esempio metto un dito a distanza ravvicinata ai miei occhi e miro l'orizzonte sarò incapace di individuare il mio dito separato dal campo visivo dell'orizzonte mirato, eppure "oggettivamente" mutando prospettiva posso mirare ora l'uno ora l'altro, oppure insieme perdendo il dettaglio del particolare "dito". Ma sempre implicito sta il pensiero che il mio mirare sia differente dal campo mirato, per cui anche in questo caso un ipotetico mero esserci risulterebbe impossibile senza il filtro del pensiero che affermi "non esistente". Cosa voglio dimostrare? Che la capacità di discernere un "me" da un "altro da me" implica l'uso di un "qualcosa" che di per sé analizzando secondo il tuo procedere risulterebbe "non esistente" ovvero la nostra mente (non il cervello, ben inteso, ma la nostra mente) cioè il traduttore delle nostre percezioni. Quindi direi che non "l'esserci" è causa della nostra scissione soggetto-oggetto, visto che il percepire primo -senza l'uso del pensiero del distinguo- non fa alcuna distinzione entro il campo del percepire, ovvero non c'è che la percezione medesima, e solo dopo avviene la differenziazione che quella percezione "è a me". Prima quella percezione "è (me)". Quindi seguendo pedantemente questo mia analisi sembra proprio che tutto si sviluppi da un "qualcosa" che tu affermi come "non esistente". E che quindi non vi sia alcuna necessità di un salto quantico per giungere a sperimentare quello che tu affermi come "non esistente". Non basta forse prendere coscienza che il pensiero (che secondo la tua analisi è) "non esistente" sta interpretando in un determinato modo le ("mie") percezioni? Citazione:
In questa situazione il campo visivo resta il medesimo, centrale ancora è la percezione. Nel momento in cui questa viene "tradotta" attraverso una qualità della mente, il pensiero, ha luogo la scissione "me" "altro da me", in tal caso però "me" e "altro da me" risultano essere in determinati passaggi "coincidenti" per cui la percezione ritorna come priva di differenziazione. E "sento" come un'esperienza maggiormente coinvolgente perché la qualità del pensiero di differenziazione in seno alla mente non assume il ruolo principale nell'esperienza mentre si erge centrale la coscienza stessa della capacità del percepire, che in questo caso si avvicina sempre più ad aderire alla capacità stessa della mente di essere cosciente di sé (e non del pensiero di sé). Ecco allora che l'esperienza di (/dell') "Essere" si affaccia in ciò che chiami "esserci" non perché ha fatto un salto verso il Trascendente ma semplicemente perché ha spaziato maggiormente entro le sue capacità, quelle di esperire e non solo pensare l'esperito. Pensare il pensiero di essere coscienti non è lo stesso che essere coscienti di pensare il pensiero di essere coscienti e non è lo stesso di essere coscienti dell'essere coscienti. Citazione:
Esistenza (così come la intendi tu) è certezza di Essere (così come lo intendo io). Immanente e trascendente, divenire e essere, samsara e nirvana. Sono nomi alla medesima realtà "oggettiva" dove l'oggetto in questione è la coscienza stessa che li intende. Se la coscienza (mentale) è separata (fratturata) analiticamente direi che la visione appare fratturata, ci sarà allora un'immanenza ed una trascendenza, un divenire e un essere, un samsara ed un nirvana. Se la coscienza (mentale) è integra il trascendente è immanente, l'essere appare divenire ed il nirvana si realizza nel samsara. Ovvero risulta chiaro come gli opposti concetti citati risultino da una frattura in seno all'esperienza (che impedisce l'esperienza di rivelarsi integra). Ovvero detto attraverso le tue parole: Citazione:
Citazione:
La coscienza profonda non è un pensiero di una coscienza profonda ma l'utilizzo della qualità integra della mente, allora non c'è necessità di "sostenercisi stabilmente" perché il vedere si rivela integro semplicemente. Semplicemente.. non sempre facilmente.. Citazione:
Io penso che proviamo dolore ogni volta che quella frattura in noi non è definitivamente sanata.. Il pensiero di quella persona "che non parla più con me nell'esserci" è reale quanto il pensiero di io che resto. Sondato questo il velo di frattura cade semplicemente. La mia analisi sembra priva di cuore, tanto più quando si parla di affetti, eppure è realmente solo un pensiero parziale che divide dall'interezza. Spero vorrai perdonare la rigorosità della mia analisi pesando la posta in gioco.. |
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04-10-2012, 20.35.06 | #124 | ||
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Riferimento: Sull'esistenza di Dio
Ciao Gyta,
il tuo ultimo post mi ha lasciato davvero perplesso. Quando mai ho affermato che il pensiero non esiste? Eppure il tuo testo è un continuo rilevare che per me il pensiero non esiste… A quanto pare questa tua convinzione deriverebbe dal mio scritto: Citazione:
Citazione:
Un pensiero è senz’altro un qualcosa, che altro? Per prima cosa vorrei precisare, nel caso ve ne fosse ancora bisogno, che nella mia frase “esiste” è sinonimo di “c’è”, perché mi riferisco all’esserci. Entrando nel merito, l’esserci è tutto quello che c’è. E c’è… proprio in quanto è qualcosa. Il pensiero, per il fatto stesso che lo possiamo oggettivare è qualcosa. Quindi esiste: nell’esserci. Ciò che non possiamo aggettivare, nell’esserci propriamente non c’è (non esiste). Questo vale anche per il pensiero, che è tanto più valido, concreto, affidabile quanto più è oggettivo. Anche un sentimento, quanto più è oggettivabile e tanto più c’è: esiste. E, viceversa, meno è oggettivabile e più si fa vago, svanisce fino a diventare un confuso sentore… La coscienza è coscienza di qualcosa. Ritenere di possedere una coscienza a prescindere dal qualcosa, è un’illusione: un’eventuale coscienza dell’indefinito sarebbe puro nulla. Pure l’autocoscienza è coscienza di qualcosa, e questo qualcosa… è sempre altro da me. L’affermazione che dice “Io sono” a prescindere da ogni oggetto, è, a mio avviso, illusione. E’ sempre e solo l’altro (l’oggetto) che fa in modo al soggetto di essere cosciente di sé. E’ cosciente di sé avendo coscienza dell’altro. L’altro può benissimo essere anche un pensiero o un sentimento. Certamente la vita non è ancora ben oggettivamente identificata! Ci mancherebbe… nessun “oggetto” in realtà è mai completamente identificato. Se lo fosse, sarebbe la Verità. Siamo noi che, per vivere, semplifichiamo e dichiariamo sicura oggettività ciò che in realtà solo appare tale. Ne deduco comunque che evidentemente per te il pensiero non è un qualcosa. Cioè il mondo interiore per te non è esserci. Non ho ben capito cosa sia, ma immagino tu lo intenda parte della soggettività. Questo modo d’intendere pregiudica, a mio avviso, la successiva argomentazione. Perché in questo modo stabilisci già a priori quale sia per te la Verità: il pensiero non è un qualcosa e perciò… Prima escludi il mondo interiore dalla critica sull’oggettività (perché non è qualcosa), e poi giungi alle tue conclusioni semplici… Credo bene che siano semplici! Il loro esito era scontato dalle premesse… La tua visione è senz’altro rispettabilissima, ma essendo, a mio avviso, una costruzione metafisica che dichiara la sua “verità”, appartiene a quelle soluzioni che la razionalità ormai fatica ad accettare. Perché è ormai sempre più evidente l’impossibilità di conoscere la Verità. Impossibilità dovuta all’ineliminabile dubbio, che si alimenta nelle situazioni-limite. |
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05-10-2012, 17.19.33 | #125 | |||
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Riferimento: Sull'esistenza di Dio
La comprensione del pensiero altrui
può avvenire solo se seguiamo con profonda attenzione lo svolgersi del ragionamento altrui attendendo che ogni significato giunga implicitamente od esplicitamente dalla costruzione delle parole di quel medesimo scritto sennò attraverso lo scritto non è possibile una comprensione autentica. Quindi l'autore del pensiero dovrebbe partire dal definire nel modo meno equivocabile le parole che costruiranno lo sviluppo e le argomentazioni del suo ragionamento, sempre che intendiamo esprimere il nostro pensiero con l'obiettivo reale di desiderare condividerlo in tutto il suo articolarsi, non dando nulla per scontato, esattamente come si fa quando si illustra un nuovo linguaggio partendo dalla modalità in cui questa lingua esprime il suo mondo. Così dovremmo fare noi se vogliamo giungere a comunicare il nostro pensiero e la nostra esperienza agli altri. Un onesto filosofo partirà, pur rischiando la pedanteria, dando una propria definizione chiara di ogni termine attraverso il quale esprimerà le proprie argomentazioni del pensiero che intende illustrare. Allora ogni ragionamento può essere seguito, inteso e discusso nell'ambito del suo medesimo sviluppo e risulteranno chiare eventuali lacune, contraddizioni o imprecisioni. Nell'espressione di un quadro completo allora si potrà procedere ad evidenziare e rapportare fra loro le differenti pennellate, ovvero i differenti linguaggi che hanno dato vita a quei dipinti di autori diversi e non prima. Questo se intendiamo procedere entro argomentazioni filosofiche, cioè sviluppi del pensiero umano e non esattamente argomentazioni mistiche dove la comprensione è invece risultato di parole-chiave poste centrali come scatenanti intuitivi. Premesso questo arrivo al tema, sempre che sia di tuo e di vostro interesse sviscerare per bene l'argomento. Dici che nell'esserci esiste esclusivamente ciò che risulta oggettivabile. E il concetto in senso generico è comprensibile. Ma il senso generico non è sufficiente nell'illustrazione di un pensiero filosofico. Manca la definizione personale approfondita e argomentata del termine "esserci" e del termine "essere" senza nulla lasciare sottointeso. Perché attenendomi alle parole da te scritte, potrei allora affermare che, se il pensiero è oggettivabile allora qualunque pensiero è oggettivabile, anche il pensiero di Dio. Quale differenza passa fra il pensiero di Dio e Dio? [Visto che ne stiamo parlando o vorremmo parlarne..] Può esserci un Dio senza un pensiero corrispondente? Se comunichiamo lo dovremmo tramite il nostro pensiero, il nostro ragionamento fornisce i parametri per definire ciò di cui stiamo parlando. Se dimentichiamo che ogni cosa parte come realtà pensata, ovvero come pensiero, allora tradiamo alla radice quel procedere analitico fondante il ragionamento razionale. Sempre secondo il tuo assunto, se ogni oggettivazione è (/esiste/c'è) in quanto è possibile pensarla allora qualunque cosa pensata è (/esiste/c'è). Non resta che definire quel "è" (/esiste/c'è). Ed anche qui risulta importante la definizione dell'autore delle parole usate di "oggettivo" e "oggettivabile". Sempre secondo il tuo procedere, sembrerebbe che il pensiero è oggettivo (oggettivabile) a causa del nostro poterlo pensare mentre non si comprende perché Dio allora in tal caso non risulterebbe oggettivo? Insomma di lacune ne ravviso parecchie, a meno che non faccio finta di seguire alla lontana le tue argomentazioni intervenendo con personali passaggi che diano corpo definito al tuo pensiero. Ma a questo punto sorge quasi d'obbligo la questione della definizione tua (vostra/nostra) di ciò che chiami "Dio", senza anche qui cadere nell'errore di accettare un termine a cui il lettore dà corpo secondo personali intuizioni. Non vorrei apparire gratuitamente pedante (e pesante) ma se non procediamo passo a passo possiamo per davvero esprimere un pensiero compiutamente o semplicemente ci accontentiamo di parlare un po'.. da soli? Perciò ammesso ch'io non sia l'unica a non aver compreso lo sviluppo preciso del tuo pensiero, cosa ne diresti di ricominciare (/se ricominciassimo) daccapo? E' da dire, comunque che tu non sia il solo ad aver parlato di Dio, dell'essere, del non essere (e magari persino dell'avere), degli enti, del problema ontologico, dell'esistenza, lasciando che le parole si definissero da sé.. Come se fosse chiaro a tutti cosa si intenda con "esistenza" e cosa con "essere". Se ogni parola è suono e scarabocchio a definire un'immagine mentale allora forse è necessario che quell'immagine faccia uso di molti suoni affinché il concetto si avvicini ad esprimere quella particolare visione mentale. Ovvero quando parliamo di essere ed esistenza è fondamentale partire dall'inizio facendo tabula rasa di ogni pre-concetto dato per assunto e scontato, allora potremo giungere per davvero a confrontare i nostri modi di ragionare e di sentire interiore. Sennò al di là dell'aver fatto finta (con noi stessi e con l'altro) di comunicare.. il nostro dipinto morirà con noi. Se apriamo l'argomento "Dio" penso sia necessario aprire precedentemente l'argomento "mente" (*) ovvero attraverso quali concetti procediamo nella dimostrazione del nostro pensiero, che deve essere l'aderenza più prossima al nostro ragionamento attraverso cui quel pensiero divenuto un dipinto si è andato formando. Essendo questo un forum di riflessione potremmo prenderci tutto il tempo che ci occorre per discutere come desideriamo, in modo approfondito.. qualora lo reputassimo utile. Prima cerco di esprimere "me" poi cerco di definire ogni concetto che voglio dimostrare "non me" quindi posso essere sicuro di non aver dato spazio a interpretazioni distanti dalla mia personale esperienza che desidero comunicare. Sennò possiamo fare finta di aver compreso molto bene che stiamo parlando di Dio.. Di cosa, sennò??? (*) : mente.. che partorisce l'idea di Dio p.s: ------------------------------------- Aggiungo, per essere ancora più chiara: Citazione:
essendo solo la ripetizione della medesima affermazione e non esattamente un argomentare dettagliato. Cosa sarebbe "tutto quello che c'è" ? Ciò che tocco, ciò che vedo, ciò che sento, ciò che penso? E ciò che immagino, che poi è pressoché lo stesso che dire "penso"? Ma se ognuna di queste specificazioni fosse ciò che desideri intendere, vedi tu -attraverso la facoltà di farne esperienza e parlarne- altre realtà che esulano dalla precedente lista a sintesi di ciò che intendi con "esserci" ? Da dove dunque comparirebbe la realtà "essere" che dici non essere nell'"esserci"? Altro punto: Citazione:
Sarò felice di dilungarmi nelle spiegazioni ma preferisco procedere con ordine. Perché sino a quando non sarà chiaro di cosa si stia parlando ogni mia ulteriore affermazione a risposta dei tuoi scritti potrà solo ingigantire il fraintendere reciproco e recare solo confusione a chi legge. Non ipotizzare cosa intenda io di mio, e non intendo ipotizzare cosa intenda tu del tuo stesso vedere. Limitiamoci ognuno a dare espressione al proprio pensiero. E ricomincerò anche io a definire il mio senza mischiarlo con partenze a spunto di affermazioni tue non a me chiare. Allora un confronto potrà essere possibile e non fraintendimenti continui. Citazione:
quando avrò avuto modo di giungere a comunicarla senza fraintendimenti.. situazione reciproca. Ultima modifica di gyta : 06-10-2012 alle ore 01.09.03. Motivo: Aggiunta ps |
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07-10-2012, 00.14.47 | #126 |
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Riferimento: Sull'esistenza di Dio
Cara Gyta,
concordo senz’altro con te. Occorre procedere per gradi, vangando e rivangando perché le parole non sono mai sufficienti. Inoltre, qui si tratta di muoversi insieme sul limite tra il concepibile e l’inconcepibile. Per cercare di chiarire, vorrei partire dall’”esserci”. La vita è un continuo susseguirsi di situazioni. La situazione consiste nella presenza simultanea del se stesso e di altro. L’onnipresenza della situazione fa sì che normalmente essa non sia problematizzata ma accettata come l’ovvia condizione della vita. Si è generalmente consci della distinzione tra se stesso e l’altro. Tuttavia, sia il se stesso sia l’altro sono dati per scontati. Il se stesso può essere identificato con il proprio corpo, oppure, dopo un maggior approfondimento, esso può essere individuato nel cervello, o nella sola mente, o in un’anima senziente. Comunque sia, il se stesso è inteso come un qualcosa, materiale o mentale oppure spirituale, ma comunque in qualche modo definito, e cioè oggettivabile, perciò non dissimile dai qualcosa che fanno parte dell’altro. Può però capitare che in una situazione si colga inaspettatamente la scissione originaria soggetto-oggetto in tutta la sua radicalità. Questa situazione diventa allora “situazione-limite”, perché il se stesso (soggetto) compare in tutta la sua indefinitezza, mentre ogni possibile oggetto si rivela tale proprio perché altro. Non solo cose, ma pure pensieri, emozioni, sentimenti,… per il semplice fatto di trovarsi davanti al soggetto sono oggetto, ossia altro. Mentre il soggetto rimane indefinito. Io non sono i miei pensieri, le mie emozioni, i miei sentimenti… ma ho pensieri, emozioni, sentimenti… Il soggetto, polo indispensabile della scissione soggetto-oggetto, non può mai diventare oggetto. E poiché tutto ciò che è possibile conoscere deve diventare oggetto per poter essere conosciuto, il soggetto è l’assolutamente inconoscibile. Una volta colto questo aspetto del soggetto e dell’oggetto, ogni situazione rivela allora la sua essenza: originaria scissione soggetto-oggetto. Ogni situazione è perciò “esserci”, ossia compresenza dell’inconoscibile se stesso (soggetto) e dell’altro (oggetto). L’abissale distanza tra soggetto e oggetto, comporta anche che la conoscenza dell’oggetto sia sempre insufficiente e, in sostanza, non vera. Perché il soggetto non è “lì” dov’è l’oggetto. Un mio sentimento, per esempio d’amore, potrà coinvolgermi al punto da rischiare tutto per esso, ma questo sentimento non potrà mai essere assoluto: per essere assoluto io dovrei essere quel sentimento. Per questa stessa ragione il pensiero di Dio non è pensiero di Dio, ma solo una sua arbitraria raffigurazione. Se Dio diventasse oggetto, non importa se come pensiero o come cosa, essendo l’Assoluto richiamerebbe il soggetto a sé, e l’”esserci” sarebbe giunto a compimento: fine della scissione soggetto-oggetto. E’ questo il motivo per cui Dio è Nulla, nell’esserci. Il principio cardine della Razionalità è il Principio d’Identità: A = A Questo principio assolutizza l’oggetto e in questo modo permette lo sviluppo del pensiero razionale. Per comunicare, e anche per vivere, è necessario realizzare pensieri razionali. La razionalità è uno strumento indispensabile. Occorre però rendersi conto che l’assolutizzazione dell’oggetto è solo una necessaria semplificazione, che funziona per la vita nell’esserci, ma che diventa però un’illegittima forzatura se desideriamo dirigerci verso l’origine della scissione soggetto-oggetto. Poiché l’oggetto di per sé non può essere assoluto, la razionalità è inapplicabile quando la nostra ricerca si rivolge a Dio. Vorrei aggiungere che sebbene la razionalità sia indispensabile per comunicare, ciò che poi si comunica di “Vero” esula dalla razionalità che serve solo come supporto. Perché le parole e le costruzioni razionali altro scopo non hanno se non di risvegliare in noi ciò che sta all’origine. Non può che essere così, visto che la razionalità si fonda sul relativo (pur scambiandolo per assoluto). Non so se sono riuscito a chiarire almeno un poco. |
07-10-2012, 23.01.47 | #127 | |||||
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Riferimento: Sull'esistenza di Dio
Citazione:
E può capitare che in una situazione si colga inaspettatamente che il se stesso (soggetto) compaia in tutta la sua indefinitezza, mentre ogni possibile oggetto si rivela.. figlio di quella medesima indefinitezza. Si giunge allora ad aver chiaro perlomeno un punto: l'indefinitezza. Secondo il mio modo di intendere, comprendo che la scissione "soggetto" percepiente ed "oggetto" percepito non è che una interpretazione che diamo a ciò che i nostri sensi.. ci sciroppano per reale. Ciò di cui possiamo essere certi (o quasi) è che qualcosa accade. Che l'occhio vede una forma, che l'orecchio ode un suono, e che qualcosa di misterioso coglie da tutto questo una profonda esperienza, talvolta concettualmente intesa come dolore, altre intesa come piacere. Ciò a cui possiamo avvicinarci ad essere certi è che.. se il soggetto man mano ci appare e risulta come indefinito allora qualunque esperienza che faccia capo a quel soggetto non può che riportare in seno quella medesima indefinitezza. E diversamente da ciò a cui tu giungi mi sento di dire invece che non ho più elementi per considerare l'altro come altro da me, essendo quel medesimo "me" inafferrabile ad identificarsi. Citazione:
Una volta colto questo aspetto della mancanza del soggetto e dell'oggetto, allora ogni situazione rivela la sua essenza originaria: qualcosa "esiste" ma non so che accidenti sia! E, strano a dirsi, giungiamo alla medesima conclusione: l'inconoscibile. Un inconoscibile di cui però facciamo esperienza. Citazione:
Come.. prima dici che ciò che sperimenti essere te stesso è una realtà indefinita e poi sei così sicuro che quel sentimento che provi sia altro da te? E come fai? Bisognerebbe avere preciso ciò che si è per affermare ciò che non si è, ti pare? Lo so, sono una grande rompiballe. Citazione:
Chiudi gli occhi, stai in una condizione di assenza di suoni, escludi il tatto: cosa sei tu? E cosa è l'altro? Ogni pensiero, sentimento, immagine e quant'altro non è che rappresentazione (interpretazione) di una magia chiamata (>l'interpretazione<) capacità intellettiva, il pensiero. Ogni assoluto ed ogni relativo nascono dalla nostra modalità del pensare. Compreso questo possiamo giungere a fare esperienza di quell' "indefinito" con maggiore coscienza che ogni pensiero è frutto e rappresentazione di quella magia dell'esperire. I termini Essere ed Esserci ed i concetti a loro relativi sono anch'essi frutto di tale interpretazione. Ed è proprio la capacità intellettiva che ci dona gli strumenti per giungere a comprendere che ogni cosa non prescinde dal modo di formularla del pensiero atto a tradurre ogni nostro percepire. Quando giungiamo a comprendere che ogni cosa definita da noi è gioco (=risultato) di questi sensi e non può prescinderli allora "l'origine" , " l'essenza" è trovata! Quel nostro percepire viene colto in tutto il suo spessore, quella magia a cui non sappiamo dare nome e attributi, al di fuori di esaminarla dentro la scatola nera del pensiero, "è". Siamo felici di questa magia? Allora la chiameremmo Dio, Amore, Ineffabile. Nulla di concettuale. Siamo scontenti di questa magia? Allora la chiameremmo "Non ci capisco niente" "Come sono Scontento". "Nulla di Nulla". Però direi che più si è coscienti che l'intelletto crea ciò di cui discute e maggiore sarà la vicinanza al fare esperienza realizzante (=felice) di quella magia. Non ho dovuto nemmeno spiegare il concetto di coscienza per giungere a comunicare nel succo l'intendere che desideravo comunicare. Citazione:
E' incredibile come pur avendo passaggi così differenti giungiamo in alcuni alle medesime conclusioni. Direi che al di là del fatto che tu intendi l'altro come inderogabilmente altro, sul resto del procedere sembra giungiamo entrambi al medesimo intendere. E adesso mi odierai se ti dico che per giungere all'origine, all'essenza o come vogliamo chiamarla è sufficiente essere profondamente consapevoli dell'esistenza della modalità del pensiero che traduce ogni nostro percepire. Questo mio discorso però non significa che l'altro non esiste ma che se cerchiamo l'origine, l'essenza o chiamiamola come ci pare, assoluto o quant'altro allora giungiamo nel luogo dove ogni concetto si rivela inadeguato resta l'esperienza di ciò che sperimentiamo e a cui non sappiamo fornire un nome. Quindi non è che uno giunga a credere che ciò che esiste sia lui stesso e gli altri come riflesso del suo percepire o che esistano gli altri ma non se stesso, ma che nella realtà più profonda soggetti ed oggetti si rivelano solo giochi apparenti dovuti al discernere per contrasto della modalità del pensiero, modalità attraverso cui questo sperimentare (ci) appare in tale forma. Giochi apparenti della manifestazione di una realtà o essenza o "qualcosa" evidentemente sperimentabile e percepibile attraverso i suoi attribuiti o qualità, dei quali non conosciamo per ora che quegli attributi (e qualità) a cui man mano giungiamo a saper dare vita ovvero a rappresentare (secondo livello). Si direbbe quindi (secondo il procedere di questa analisi) che quella realtà o essenza sia.. la nostra stessa. |
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09-10-2012, 22.54.12 | #128 |
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Riferimento: Sull'esistenza di Dio
Gyta, le tue parole mi tentano… ma devo resistere.
Perché tu già voli oltre l’esserci, così come a me a volte accade, ma la mia stessa fede nella Verità non mi permette di rallegrarmi per averla raggiunta. In quanto così facendo la perderei irrimediabilmente! Tutta mia è la responsabilità, e allo stesso tempo nulla posso senza l’aiuto di Dio. Vorrei la certezza, ma tutto dipende invece da me: è una questione di pura fede. Ciò che ho cercato di descrivere è cosa per me sia l’esserci, non ciò che viceversa ritengo sia l’Essere. Per non mettere troppa carne sul fuoco, non ho aggiunto che pure l’oggetto si rivela in sé inconoscibile (anche se poteva essere implicito nel fatto che non può essere assoluto). Vorrei però chiarire, che per me l’altro è “inderogabilmente altro” solo nell’esserci. Se, viceversa, ci riferiamo all’Assoluto, all’Essere, allora le barriere tra me stesso e l’altro cadono. Ho avuto modo di sperimentare il mio essere l’altro. Ma quando ritorno nell’esserci, tutto ciò può anche essere stato illusione. E il dubbio deve necessariamente tornare, perché nell’esserci la Trascendenza (Assoluto) è il Nulla che tutto annienta. Quando ti ritrovi a superare la barriera soggetto-oggetto, il Nulla si manifesta con le sue infinite possibilità ma mostra pure tutto il suo orrore! Così come quando la mente finalmente si ferma, perché vuoi vedere a tutti i costi cosa c’è dietro… con tutta l’anima vorresti allora non averlo mai fatto. Ciò nonostante, ritengo che fissare il volto della Medusa sia necessario, per andare oltre, ma non risolutivo, perché ciò che davvero importa è giungere a noi stessi. Ultima modifica di bobgo : 10-10-2012 alle ore 21.06.19. |
11-10-2012, 21.56.18 | #129 | |
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Riferimento: Sull'esistenza di Dio
Non comprendo cosa ti abbia "tentato" di ciò che ho scritto
e cosa intendi con 'essere tentato'. Riguardo al dubbio.. : Il dubbio persiste sino a quando l'esperienza interiore non è diventata profonda tanto da andare a toccare (e a rispondere ad ) ogni aspetto della nostra psiche. Non c'è un'esperienza interiore da mantenere, è attraverso la chiarezza mentale che l'esperienza interiore può emergere intera. Non si va a creare un'esperienza interiore che prima non esisteva. E' la naturale nostra mente pulita da preconcetti che viene ad emergere senza alcuno sforzo e tanto meno senza cercare di mantenere l'esperienza. La dimensione dell' "Essere" o "Dio" non è "qualcosa" di "trascendente" è semplicemente la realtà più profonda della (nostra) mente non condizionata, quell' "intelligenza", quella "capacità di conoscere" che non conosce la limitazione del qui o del là. E' la parte superficiale della psiche che confonde quella capacità di conoscere con i concetti mentali (ed allora, saltano fuori concetti come 'immanenza' e 'trascendenza'). Il dubbio non va levato con violenza, va perseguito con determinazione il lavoro sulla mente condizionata affinché possiamo giungere a sperimentare la nostra pienezza integra e non filtrata, travisata, dalle facoltà concettuali di superficie. Non c'è da far tacere i concetti come qualcuno affermerebbe ma indagare profondamente la mente. Indagare profondamente in noi, fare un'indagine profonda di come si muove, di come lavora la nostra mente, la nostra capacità di esperire. Non c'è da togliere. Non c'è da mettere. Solo da conoscere, da osservare per bene il suo muoversi. Allora la sua natura più profonda emerge da sotto l'apparenza del suo muoversi. La conoscenza del linguaggio attraverso cui si formano i nostri pensieri è molto importante per non restarne intrappolati. Citazione:
Fai molta attenzione a questo pensiero. Indaga da dove arriva. |
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13-10-2012, 18.00.49 | #130 | |||
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Riferimento: Sull'esistenza di Dio
Citazione:
La Verità è questa! E allora finalmente vivere sereni… Questa, per me, è la tentazione più perniciosa. Perché risolve la tensione dell’esserci che smette di essere problema. Non più situazioni-limite, perché l’Essere si mostra ormai nella sua Verità. In questo modo la ricerca è conclusa, o almeno così pare… Perché nell’esserci, anche Dio, se mai comparisse rimanendo l’esserci, non sarebbe Dio. In quanto la verità, nell’esserci, è verità solo ed esclusivamente perché negazione della non-verità! La non-verità nell’esserci è ineliminabile. Perché la stessa verità mondana consiste, come sua essenza, nella continua negazione della possibile non-verità. Il medesimo pensiero razionale è tale proprio attraverso la continua e faticosa riconferma dell’A = A. Ovvero della negazione dell’A eguale al non-A. Citazione:
Ciò non vuol dire che siano “verità”, ma neppure che dipendano da me stesso (che poi anche lo stesso pensiero...). Che l’Assoluto sia qui, ora, è una possibilità che per me è solo probabile, niente di più. Le filosofie orientali sono molto profonde, e anch’io ne sono stato sedotto per un certo periodo. Ora però ritengo che vi sia in esse un messaggio di “verità”, ma non la Verità stessa. |
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