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23-09-2012, 15.16.23 | #112 |
Ospite abituale
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Riferimento: Sull'esistenza di Dio
Ciao Bobgo.
Premetto che mi trovo d’accordo con Gyta, l’ambito in cui esistono i limiti comunicativi sono ancora nel razionale, diversamente si sfora nel puro sentimentalismo o nel misticismo. Io penso sempre che sia un’armonia da scoprire dentro e fuori di noi; dall’essere, al mondo cosiddetto sensibile che possono darci il senso delle regole e misure. Non credo che parlare di essere significhi alienare il corpo o viceversa il materialismo alienare lo spirito. Gli estremismi portano a disarmonie e al non sapere stare nel mondo. Il problema rimane sempre il sistema di relazione che governa noi stessi .Il mondo esterno è una rappresentazione della realtà così come il mondo interiore. Il linguaggio è il sistema di comunicazione che muove l’io verso un oggetto materiale o spirituale che sia. Non esistendo una verità assoluta noi non riusciamo a “tarare” nemmeno i nostri linguaggi comunicativi, in altre parole significa che i nostri sistemi di misura sono obbligati storicamente a cercare continui tentativi che la conoscenza man mano gli dispone. Come facciamo a sapere che veramente stiamo conoscendo noi stessi o sia invece un’illusione? Come facciamo a trovare quel qualcosa che purifichi la conoscenza per arrivare a noi stessi? Se Dio è mancanza lo dobbiamo però “riempire” con dei significati. Il male non è solo volontà che implica una scelta ,può esserlo anche l’indifferenza che trovo sia il contrario dell’amore e non l’odio che è ancora un sentimento. C’è un’ oggettività: se mi appoggio ad un muro fisico mi sostiene, se mi appoggio ad una idea cado. Io vivo e parlo di spiritualità e di Dio finchè il corpo fisico sostiene il tutto, questa è la condizione e se si vuole schiavitù della disciplina della terra: è ineludibile. Per questo penso che il segreto stia nella vita e nei suoi movimenti fisici e spirituali, di contrazione e di distensione, di input e output, di inspirazione ed espirazione, di sapere ascoltare e saper riflettere, di uscire fuori di noi e rientrare dentro di noi, ecc. Dio per me è la conclusione , ma non è la partenza né teorica né pratica, è la giustificazione dell’Essere: una naturale chiusa. Ma rimane la vita a dirci nei gesti quotidiani, sul lavoro, in famiglia, con amici e conoscenti se i nostri sistemi di relazione stiano migliorando o meno, se stiamo maturando oppure no. E’ proprio nelle consuetudini della vita che noi ci rappresentiamo per quello che siamo o vorremmo essere e gli altri ci percepiscono per i nostro sistema di relazione e di linguaggio. Se il nostro modo di relazionarsi migliora, gli altri lo percepiscono. Il movimento di apertura e chiusura del nostro essere è una conoscenza che appartiene all’intuito e direi ad un istinitività umana difficile da concettualizzare. Solo la poesia e l’arte riescono in qualche modo nel tentativo di esprimerla. |
23-09-2012, 16.34.27 | #113 | |||||
Ospite abituale
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Riferimento: Sull'esistenza di Dio
Citazione:
Provo a chiarire il mio pensiero. Tutto gira attorno alla Libertà, e alla fede nella Verità. Nell’esserci non vi è alcuna libertà. Se ci mettiamo a cercarla, con impegno, la libertà non può che risultare una pia illusione. Con libertà intendo qualsiasi azione o pensiero incondizionato: nell’esserci niente è incondizionato. Se viviamo questa condizione come situazione-limite può nascere in noi, tramite la nostra fede nella Verità, l’assurdo convincimento di essere comunque liberi. Questa è la libertà esistenziale, che è conscia di sé perché si sa donata dalla Trascendenza. Trascendenza che le appare come Nulla, tanto grande è la lontananza, ma che è il suo fondamento. L’esistenza, come libertà esistenziale, non si manifesta nel mondo empirico (esserci) tramite la volontà dell’agire o del pensare, ma solo nel volere se stessa oppure no. Volere se stessa, significa aprirsi alla propria origine in modo che ciò che deve essere pensato sia pensato e ciò che deve essere fatto sia fatto. Per questo è necessario un passo indietro, in modo che possa farsi avanti ciò che è. Non volere se stessa, viceversa, significa volere l’esserci, cioè rifiutare quella stessa libertà esistenziale. E’ libertà di rifiutare di essere liberi. Il Male è il voler comunque l’esserci, una volta giunti a percepire la libertà esistenziale. Seppur paradossalmente, libertà non è fare ciò che voglio (un volere sempre insufficiente) ma fare la volontà di Dio, prendendosene... tutta la responsabilità. Citazione:
L’amore, perciò, non è mai “vero” amore (nell’esserci). Eppure, se abbiamo fede nella Verità, l’amore assoluto deve esistere! Come per la libertà, così per l’amore occorre fare un passo indietro. Quando perciò io dicevo che qualcosa “scatta”, intendevo che dalla nostra origine può scaturire quell’infinito amore che vi è racchiuso. Questa è un’esperienza che ognuno dovrebbe provare nella vita. Poiché si è trattato di uno slancio oltre l’esserci, inevitabilmente il relativo torna ad avvolgerci. Citazione:
Per quel che mi riguarda, vivo l’amore, per quanto in modo sempre insufficiente, come l’impulso di annullarmi per diventare la cosa amata. Ed è appunto perché la “cosa” in sé non esiste che l’amore assoluto non è possibile. L’Essere, così ben descritto nell’estasi biblica della Genesi: “Io sono colui che sono!”, così come nella tensione della mente razionale di Plotino: “E’ ciò che è!”, si rivela solo in queste tautologie. Che sono senza significato per chi vede solo esserci. Il credere che esista l’oggettività in sé, così come la soggettività in sé, impedisce di cogliere ciò che è. No, non si tratta di una fuga, anzi, proprio il contrario, significa volere la Verità, in nome del proprio sentimento per la persona amata. Volere la Verità significa guardare in faccia la Gorgona, e resistere. Perché più scavi e più avanzi nel deserto. Il cuore batte ancora in un corpo che è ormai cadavere, perché il cervello è ormai andato, forse già in fase di putrefazione. E’ ancora qui, e pure non lo è più. Chi, cosa amo e ho amato? Quei neuroni che hanno smesso di funzionare? Queste membra che esalano l’ultimo respiro? Se il mio amore è “vero” dov’è la sua ragione? |
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23-09-2012, 22.42.43 | #114 |
Ospite abituale
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Riferimento: Sull'esistenza di Dio
Ciao Paul11.
Se sei convinto che la comunicazione sia limitata al razionale, allora proprio non ci siamo. Il razionale è lo strumento indispensabile per comunicare, ma ciò che si comunica va oltre la razionalità. In caso contrario sarebbe una comunicazione nulla. Probabilmente sono le considerazioni sulle situazioni-limite che danno la sensazione di esulare dal razionale. Non è affatto così, semplicemente stiamo cercando di trattare ciò che fonda ogni pensiero razionale. Non disprezzerei comunque il misticismo, perché è il cuore pulsante da cui è nata, solitamente immiserendolo, ogni religione. Se per te occorre muoversi in armonia, per me ciò significa naufragare in partenza. L’Essere, è un essere in tempesta, altro che armonia… L’armonia potrebbe rivelarsi alla fine, si può sperare, ma pretenderla all’inizio significa non voler davvero cercare. Se l’oggettività è indispensabile, ossia, contrariamente a quanto magari si afferma, è una verità assoluta, allora l’esserci è l’unica realtà. E su questa base, come già dissi, ci si mette poi alla ricerca di un rimedio: Dio. Ho l’impressione che ciò che scrivo venga ridotto e semplificato a priori. Per renderlo meno indigesto, immagino. Probabilmente dipende da una mia insufficienza, ma è ciò che riesco a fare. |
24-09-2012, 10.31.23 | #115 | |
Ospite
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Riferimento: Sull'esistenza di Dio
Citazione:
Ciao Bobgo, ti rispondo da qui, che forse e'meglio. Vedo che parli di <esserci> (che e' pur sempre un' interpretazione filosofica dell'uomo) e probabilmente alludi a Heidegger. Eppure consideri H. un catttivo maestro. Se alludi alla sua presunta accettazione del nazismo, recenti studi e documenti hanno ampiamente dimostrato come il suo interesse nei confronti di questa dottina fosse di tipo esclusivamente filosofico e non comportava nessun giudizio di merito in seno alle scelte politiche. H. ha anche personalmente aiuatato molti allievi ebrei a fargli ottenere una cattedra: Wemer Brock, Helene Weiss, emolti altri. Essere e tempo e' proprio dedicato al suo maestro Husserl che era ebreo, Marcuse che era ebreo dichiaro' in una famosa intervista: «Quello che le posso assicurare è che Heidegger non era antisemita» (Colloquio con Herbert Marcuse, 24 aprile 1977), e Lowit anche lui ebreo si espresse in modo simile; e comunque non esistono casi documentati di iniziative di Heidegger contro o a sfavore di Ebrei. H. non fu assolutamente antisemita e la sua tiepida adesione al nazionalsocialismo si deve intendere nel senso che in esso egli si aspettava un rinnovamento e una rigenerazione spirituale di tutta la vita, una riconciliazione dei contrasti sociali e una salvezza dell'Esserci occidentale dai pericoli della tecnologizzazione moderna ormai incombente in occidente (basta leggersi interamente il suo discorso di Rettorato per renderseene conto). Nel 1934 poi riconobbe il suo errore politico: si dimise dalla sua cattedra di filosofia come protesta contro lo Stato e il partito, anche se e' vero che forse manco' di coraggio e non fece mai una chiara e ufficiale abiura pubblica, che pero' lo avrebbe consegnato al boia assieme alla sua famiglia. In questo senso forse Jaspers ha ragione quando dice di lui che " il fatto di vivere, segna la nostra stessa colpa". E non capisco come tu possa aver giudicato "razionalistica" la sua disamina sull'esistenza nel suo piu' famoso libro. La sua lotta alla logica aristotelicamente intesa e alla razionalita' metafisica classica da Platone in poi mette facilmente al riparo la sua filosofia proprio da questa critica. Jaspers, ebreo, era fin troppo borghese e difficilmente avrebbe potuto capire la sua filosofia, specialmente in quegli anni avvelenati dal furore anti-giudaico. Naturalmente questa e' solo mia opinione e prendila come tale, pero' per me H.rimane per me uno straordinario pensatore,molto piu' originale di tanti altri. |
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24-09-2012, 16.12.26 | #116 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Sull'esistenza di Dio
Citazione:
L’ideologia nazifascista è un’espressione diretta del nichilismo. E’ il delirio di volontà di potenza che non ammette nessun valore superiore. Non si esaurisce perciò nell’antisemitismo, nel quale trova solo uno sfogo, tra i tanti. Una pur “tiepida” adesione al nazifascismo, soprattutto se dura anni, non può essere derubricata come “errore politico”. Meno che mai se chi commette questo “errore” è ritenuto filosofo! Qui non si tratta di errore, anzi, questa sua “svista” svela ciò che lui è nel profondo. E infatti, i suoi scritti trasudano di questo lato oscuro. Il nazifascismo può magari irretire per un fugace momento, ma poi, se non si risveglia in noi l’orrore, vuol dire che ne siamo partecipi! Secondo me, Heidegger ha tratto da Husserl e da Jaspers ciò che poteva essergli utile. Per poi costruire la sua filosofia, che ha avuto successo proprio perché espressione razionale di concetti, che non sono però “sentiti”, in quanto manca il pathos per l’Assoluto. Relativamente facili da comprendere perciò, perché non impegnano l’”esistenza” ma solo la razionalità. Il successo di Heidegger testimonia la nostra epoca, dove il nichilismo non ha smesso di prosperare. Non mi risulta che Jaspers fosse ebreo, ebrea era sua moglie. Ho trovato in Karl Jaspers il mio maestro. Leggo e rileggo le sue opere fondamentali, in particolare “Filosofia” e “Sulla Verità”. Nonostante Jaspers sia spesso accomunato a Heidegger, come “filosofi dell’esistenza”, ho sempre percepito tra i due una differenza incolmabile. Più volte ho cercato di leggere “Essere e Tempo” di Heidegger, e ogni volta dovevo smettere per il disgusto che provavo. Anche se non me ne sapevo dare una chiara ragione... Finché su Micromega (n. 3/2006) è comparso un capitolo dell’autobiografia di Jaspers, che riguardava i suoi rapporti con Heidegger (mai pubblicato con Jaspers in vita, immagino per ritrosia dell’autore). Lì ho trovato espresso il medesimo senso di negatività che io stesso percepivo in Heidegger! A un lettore disattento può apparire che i due filosofi dicano sostanzialmente le stesse cose, ma non è così! Le parole sono sovente le medesime, ma non il messaggio. In Jaspers pulsa l’amore per la Verità, mentre nell’altro non vi è amore, solo vuoto raziocinio. Senz’anima, ecco come mi appare Heidegger. Che alle domande di Jaspers (quando ancora lo considerava amico) riguardo ad Essere e Tempo: < Che cosa è accaduto in lei pensando a questo libro? Si tratta di una somma di conoscenze che riguardano stati di cose, oppure dell’espressione di un impulso dell’esistenza? Quale effetto nel lettore deve avere lo studio del libro?> non rispondeva. Per concludere, a titolo di esempio, ho potuto riscontrare come a Vattimo, che è un cultore di Heidegger, sia incomprensibile l’importanza delle Fede nella Verità. Direi, coerentemente. |
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25-09-2012, 13.08.35 | #117 | |
Cioraniana Incrollabile
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Messaggi: 154
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Riferimento: Sull'esistenza di Dio
Citazione:
scusami, mi permetto di aggiungere due miei pareri "flash": 1) Il nazismo/fascismo sono proprio l'opposto del Nichilismo! Vivono (e si cibano) dei loro deliri di super io, super potenza, super virilità, Dio è con noi, tutti argomenti che a un vero Nichilista "non fregano niente". Per come la vedo io, il Nichilismo (almeno in qualcuno dei suoi sottogeneri, perchè il Nichilismo di Cioran o Caraco non è il Nichilismo di Quinzio o quello di Stirner, o di Herzen, giusto per semplificare...) vive soprattutto su questo assioma "tutto è irrilevante". Se sono Nichilista, che mi dovrebbe importare di far prevalere la supremazia del popolo tedesco sugli ebrei?! o di far prevalere questo o quel valore su qualcosaltro? direi "chissenfrega", una cosa vale l'altra. Pensate alla figura del Nichilista in Turgenev! Fare piazza pulita di questo o quel valore! Riporto una frase che mi segnai: "Padri e figli" di Ivan Turgenev: domanda: "Voi negate tutto o più esattamente, demolite tutto...ma bisogna anche costruire" risposta: "Questo non è più affar nostro..da prima bisogna far piazza pulita" Riporto anche questo pensiero di Octavio Paz: "Il vero Nichilista però non danza nè ride: va di qua e di là -intorno alla sua stanza o il che per lui è la stessa cosa,-intorno al mondo. è condannato a girare continuamente,a parlare con i propri fantasmi. Il suo male è una continua insoddisfazione, un non poter amare nessuno e nulla, un'agitazione senza oggetto,un disgusto di fronte a se stesso-e insieme un grande amore per se stesso.-La visione della sua caduta lo affascina ..." che avevo trovato nell'introduzione ai "Demoni" di Dostoevskij, e che secondo me rende bene il concetto 2) Su Jaspers... a me non piace particolarmente (troppo "positivo") però che gioia ho provato a vedere che qualcuno ha riportato il suo nome! Ad ogni modo concordo, tra lui e Heidegger, c'è un abisso di differenza! (e anche tra lui e molti altri Esistenzialisti; forse a livello di "indole" lo assocerei più a Berdjaev! ) |
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25-09-2012, 13.57.40 | #118 | ||||||
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Riferimento: Sull'esistenza di Dio
Citazione:
Sì, ma le parole per cercare di definire ciò che stiamo sperimentando le abbiamo inventate apposta, per questo il linguaggio, per cercare di comunicare il nostro mondo interiore agli altri, ad altri mondi interiori. Allora io posso esaminare e giungere all'analisi che un determinato conoscere profondo intorno ad una determinata realtà lo chiamo "amare" anche se quel conoscere che chiamo amore è la parte razionale del mio atteggiamento interiore, l'unico sul quale posso agire; al di fuori di quello e del suo corrispondente agire resta tutto ciò che sperimentiamo come sentire e tutto ciò che quel sentire implica e va a influire ed a toccare nel totale della nostra esperienza interiore. Citazione:
Mah, sempre secondo la mia analisi quell'impulso "ad annullarsi per divenire la cosa amata" non è altro che la realtà medesima della conoscenza profonda: nel conoscere profondo divento la realtà che sto conoscendo. Più che impulso ad "annullarsi" lo vedrei più chiaramente come disposizione a fare posto in noi (per davvero, s'intende). Se una sorta o non sorta di annullamento ne è il risultato e se quel annullamento non è una negazione di parte di ciò che sperimentiamo in noi, allora sempre a mio avviso significa che quella realtà che stiamo sperimentando è la nostra medesima identità e non un annullamento della nostra identità in virtù di un'altra che prende il suo posto. Citazione:
D'accordo. Ma non scordiamo che le parole servono unicamente a cercare di comunicare la nostra esperienza interiore (che per semplicità definiamo come "individuale"). Quando ci predisponiamo all'ascolto reale in noi allora il fuori e il dentro non sono che parametri imprecisi dell'esperienza che stiamo sperimentando Citazione:
Se non partiamo dalla distinzione a mio avviso non possiamo giungere nemmeno all'unificazione; se in virtù di una volontà all'unione cancello il mio sentire per accogliere la realtà dell'altro non giungo a conoscere l'altro né me. Se lascio che l'esperienza in me della realtà dell'altro si manifesti piena allora l'unione ne è la spontanea conseguenza e ciò che di superfluo vi era nella distinzione di identità scema naturalmente senza necessità di "manipolare" preventivamente nulla. Perché se dovessimo seguire questa linea di formulazione del sentire attraverso la non distinzione di soggetti giungiamo presto a comprendere che: se non esiste quella persona "oggettiva" allora non esiste nemmeno il "mio" amore. Come sempre il linguaggio può rivelarsi trappola ad un mirare profondo, questo non ci dispensa dall'usarlo con le dovute cautele che le complessità dei casi richiedono. Citazione:
Bella domanda. Hai amato ciò che tutt'ora ami. Ovvero ami ciò che ti si è rivelato appartenerti nel profondo. Ecco allora che fuori e dentro si rivelano parametri insufficienti a stabilire una relazione profonda senza peraltro che la dimensione dell'individualità venga ad un certo livello di indagine azzerata. La macchina fotografica esiste anche se ciò che ho in mano è la foto da questa scattata. Orribile esempio ma non me ne viene di migliore. Ed anche dire che la foto sia farina unica della macchina fotografica è sbagliato. Senza luce, senza obiettivo, senza buio, senza distinzione tutto questo non sarebbe stato possibile. Dov'è la realtà di quell'immagine? Non nell'annullamento delle dimensioni ma nel cogliere il cuore attraverso cui ogni dimensione può rivelarsi tale. Difficile argomento di conversazione, come d'altronde ogni tema seriamente indagato. Citazione:
Questo tuo discorso intorno all'inesistenza "oggettiva" dell'altro come individuo abbraccia però quel medesimo sentire che tu hai condannato del nazionalsocialismo, sarebbe da guardare per bene in sé, talvolta e spesso il desiderio legittimo di non soffrire spinge verso strade pericolose.. Non è negando la sua individualità oggettiva che lo riconosco nella sua preziosità essenziale di essere al di là del tempo, o in altre parole che riconosco in lui l'essenza divina dell'essere. Questa strada di abbracciare Dio in ogni persona esulando però dalla realtà della persona individuo unica e irripetibile è una strada abbracciata da molti ricercatori interiori che mirerebbe a rispondere al problema della sofferenza non risolvendo il conflitto (in seno alla sofferenza) ma evitandolo di netto. Se l'uomo come individuo è inesistente allora il problema della sofferenza non si pone. Ed allora negando l'individuo giungo ad "amare" non lui ma ciò che per me rappresenta, nella migliore delle ipotesi amo l'essenza unica dell'essere o detta in altre parole amo "Dio" nell'uomo. Ma un conto è riconoscere la preziosità dell'essere che anima ogni individualità un'altro è l'essere ciechi all'individuo nel nome di una medesima essenza in seno alle cose. Possono sembrare vedere simili ma sono due visioni molto differenti e che portano ad un sentire molto differente e ad un agire molto differente. Se la persona deve "svanire" per essere accolta da me come essenza o "cifra della Trascendenza" allora gioco unicamente con i miei specchi interiori, non sto amando perché non vi è alcun atto conoscitivo in corso ma nella migliore delle ipotesi un semplice fagocitare illusorio: l'altro non è che specchio del mio desiderio non di comprendere ma di possedere, e visto che non posso possederlo se non tramite l'atto di conoscere me e lui, nego me o lui rendendo nullo il percorso dall'individualità all'unità, poiché se non vi è distinzione allora l'unità -in tal caso illusoria- è raggiunta. Il discorso, questo, è da sempre molto delicato e complesso e campo minato di molti di quei percorsi mistici che mirano alla realizzazione "di Dio" e che pur parlando di scoperta di sé negano alle fondamenta una reale conoscenza di sé intima e profonda. C'è un modo semplice per non soffrire ed è negare la realtà di chi sperimenta la sofferenza, ovvero l'individuo, che sia io o che sia l'altro da me. Ma ci sono anche altre strade per giungere a non sperimentare una sofferenza insostenibile e sono quelle che al centro della questione mettono la fede nella ragione dell'uomo come luce atta ad illuminare e a sciogliere i conflitti profondi dell'io giungendo all'unità attraverso la conoscenza più intima nella comprensione profonda dei nostri movimenti interiori. Perché se è vero che non esiste una reale oggettività è altrettanto vero che solo attraverso la conoscenza profonda della mia soggettività posso incontrare e riconoscere l'altro come distinto da me e solo dalla distinzione posso giungere ad una reale e maturata profonda unione non fittizia o di comodo apparente. |
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26-09-2012, 16.12.09 | #119 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Sull'esistenza di Dio
Citazione:
Sono infatti convinto che il nichilismo sia connaturato nell’uomo, essendo l’inseparabile compagno della razionalità. Nel mito, Adamo è il primo uomo e quindi… il primo nichilista. Il nichilismo, come tu stessa dici, si fonda sul convincimento che nulla abbia valore. Tuttavia differenti sono poi le modalità con le quali questa idea viene vissuta, che suddividerei in tre tipologie: 1) Vi è chi lo percepisce solo vagamente, e in quei rari momenti in cui lo avverte subito lo scaccia magari rassicurandosi con un rimedio, come può esserlo una religione. Qui il nichilismo ancora rimane sostanzialmente represso, sebbene possa manifestarsi in qualsiasi momento nelle altre due tipologie. 2) Vi è invece chi non riesce a trascurarlo e non trova ristoro in nessun rimedio, e allora lo fugge immergendosi nell’esserci, dove ogni lasciata è persa. Questo potremmo chiamarlo nichilismo “debole”, di chi ne è succube ma non del tutto consapevole e che comunque non vuole ammetterlo a se stesso. 3) Infine, vi è chi ne è ben consapevole, e lo accetta con coraggio perché convinto che quella sia la Verità. Una triste realtà, ma quella è. Questo può essere indicato come nichilismo “forte”. In effetti, in un uomo difficilmente è presente solo uno di questi casi, normalmente vi convivono tutti e tre, ma uno di questi è quello predominante. Tralascerei il primo caso, che è soltanto uno stadio embrionale, per concentrarmi sugli ultimi due. Possiamo notare come il nichilismo “forte” sia una condizione in cui il soggetto si assume la responsabilità della propria visione del mondo. Per lui, come giustamente tu fai notare, la volontà di potenza non ha alcun senso. Perché in effetti nulla ha senso. Viceversa, il nichilismo debole, che è di gran lunga più diffuso, è pericoloso proprio per il fatto che non è riconosciuto e accettato dal soggetto che ne affetto. Che però ne soffre l’angoscia, senza avere il coraggio di guardare in se stesso. E allora segue il primo pifferaio magico che passa, capace di soddisfare le viscere e far dimenticare l'angoscia esistenziale. Sì il fascismo non è nichilismo, però ne deriva, ne è la risposta viscerale. Il fascismo è un calderone che accoglie dentro tutto. Vi compaiono difatti molti “valori”: Dio, patria, famiglia... Questo “tutto” viene in questo modo contrapposto al “nulla”, come baluardo che è però senza speranza. Perché questi "valori" non sono in realtà creduti per davvero, ma solo usati per combattere l'angoscia. Delirio di volontà di potenza in risposta all’effettivo, seppur non dichiarato nemmeno a se stessi, svuotamento di ogni “verità”. Hai presente il "Me ne frego!" fascista? Il nichilismo debole, e l’Italia ne è terreno fertile, ha perciò generato il fascismo, e ora con pseudo valori ancor più mediocri il berlusconismo, e domani chissà quale altra devastazione potrà portare… Il nichilismo forte è però pure una grande opportunità, la sfida necessaria a cui siamo tutti chiamati. Il suo superamento potrebbe rivelarsi un evento epocale, paragonabile alla nascita della razionalità. Il suo non superamento potrebbe invece farci precipitare nell’abisso. Dipenderà da noi. Se a prevalere saranno le viscere, oppure se riusciremo ad andare oltre. In effetti, il nichilismo in se stesso ha i piedi d’argilla, sia perché è contraddittorio in quanto nega valore a ogni cosa fuorché al divenire, sia perché questo suo negare valore non è radicale al punto di farlo giungere alle situazioni-limite: si ferma un attimo prima. I migliori interpreti del nichilismo, come Nietzsche o Leopardi sono lontani mille miglia dal fascismo, erano grandi uomini e affrontavano con coraggio l’orrore del nulla. Ma non ne avevano compreso l’essenza: il significato dato al Divenire. Perché se la Verità non c’é... neppure la nostra interpretazione del Divenire è senz’altro vera. |
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