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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 02-01-2010, 11.58.15   #141
emmeci
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Riferimento: Una base per l'etica

Mi pare che alcune difficoltà sorte nel discutere su questo argomento derivino da un’incertezza sul significato di due termini: etica e moralità. Vogliamo ragionare su di essi, visto che anche la grande filosofia li ha spesso sottintesi o confusi?
Alla base, io credo, è il problema morale, cioè la possibilità che si presenta costantemente nella vita dell’uomo di arrivare a qualcosa di più di ciò che offre la percezione dell’essere, affrontando il pensiero di ciò che invece dovrebbe essere: che è un oltrepassare magari improvviso e avventato della realtà per affrontare prospettive che possono essere in totale contrasto con essa.
È questo l’avventuroso e pericoloso concetto di moralità, mentre l’etica è in fondo una registrazione di comportamenti, di ciò che l’umanità, articolata nei modi di esistere individuali e pubblici, ritiene convenzionalmente valido per una convivenza. La differenza si è messa in rilievo in Grecia col passaggio da una vecchia a una nuova saggezza, per esempio da Socrate o Platone ad Aristotele. Ma tante volte le due forme vengono in conflitto, determinando situazioni felici o nefaste: basta pensare a ciò che promettono e che in realtà causano le rivoluzioni, come quelle che hanno affollato il secolo XX marchiando il pianeta di orrori tali da lasciare perplessi di fronte a quella “base etica” a cui Albert si appella.
Perché, quand’anche fossimo giunti a trovarla, questa base etica, a stabilire le norme necessarie per vivere insieme e non ricadere in quello che Thomas Hobbes chiamava stato di natura, il problema morale non è certo risolto: noi non siamo animali irreggimentati come api e formiche, anzi, dove c’è un poco di sensibilità più acuta di quella comune, ecco che si rialza quella voce che può assumere il nome di coscienza morale, ad avvertirci che siamo anche noi degli esseri che, come animali, vivono di predazione. E a chi obiettasse che dopo tutto questa è la condizione della vita, potrebbe rispondere che le leggi del mondo allora sono cattive, proprio quelle leggi che – secondo la tradizione - Dio, terminata l’opera, trovò tanto buone da potersi, da allora, concedere un lungo anno sabbatico o una incessante domenica.
Ma c’è una tale giornata di festa per chi sente assillante in sé la fiamma morale?
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Vecchio 02-01-2010, 13.50.05   #142
Giorgiosan
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Riferimento: Una base per l'etica

Citazione:
Originalmente inviato da emmeci
Mi pare che alcune difficoltà sorte nel discutere su questo argomento derivino da un’incertezza sul significato di due termini: etica e moralità. Vogliamo ragionare su di essi, visto che anche la grande filosofia li ha spesso sottintesi o confusi?
Alla base, io credo, è il problema morale, cioè la possibilità che si presenta costantemente nella vita dell’uomo di arrivare a qualcosa di più di ciò che offre la percezione dell’essere, affrontando il pensiero di ciò che invece dovrebbe essere: che è un oltrepassare magari improvviso e avventato della realtà per affrontare prospettive che possono essere in totale contrasto con essa.
È questo l’avventuroso e pericoloso concetto di moralità, mentre l’etica è in fondo una registrazione di comportamenti, di ciò che l’umanità, articolata nei modi di esistere individuali e pubblici, ritiene convenzionalmente valido per una convivenza. La differenza si è messa in rilievo in Grecia col passaggio da una vecchia a una nuova saggezza, per esempio da Socrate o Platone ad Aristotele. Ma tante volte le due forme vengono in conflitto, determinando situazioni felici o nefaste: basta pensare a ciò che promettono e che in realtà causano le rivoluzioni, come quelle che hanno affollato il secolo XX marchiando il pianeta di orrori tali da lasciare perplessi di fronte a quella “base etica” a cui Albert si appella.
Perché, quand’anche fossimo giunti a trovarla, questa base etica, a stabilire le norme necessarie per vivere insieme e non ricadere in quello che Thomas Hobbes chiamava stato di natura, il problema morale non è certo risolto: noi non siamo animali irreggimentati come api e formiche, anzi, dove c’è un poco di sensibilità più acuta di quella comune, ecco che si rialza quella voce che può assumere il nome di coscienza morale, ad avvertirci che siamo anche noi degli esseri che, come animali, vivono di predazione. E a chi obiettasse che dopo tutto questa è la condizione della vita, potrebbe rispondere che le leggi del mondo allora sono cattive, proprio quelle leggi che – secondo la tradizione - Dio, terminata l’opera, trovò tanto buone da potersi, da allora, concedere un lungo anno sabbatico o una incessante domenica.
Ma c’è una tale giornata di festa per chi sente assillante in sé la fiamma morale?

La confusione non è fra etica e morale che significano la stessa cosa (anche etimologicamente: l’uno viene dal greco ethos che significa costume, l’altro dal latino mos che significa pure costume).

La confusione viene dall’equivoco che il comportamento morale possa essere valutato con gli stessi criteri esteriori coi quali si valuta se un comportamento è legale: si confonde etica (morale) e legge positiva.
Chi fa questa confusione, e sono molti, si arroga il diritto di dare giudizi morali sul suo prossimo.
Sottoporsi ad un “tribunale” etico può solamente essere una scelta individuale di chi riconosca a qualcuno altro da sé, questa prerogativa.

La coscienza individuale è il “luogo” inaccessibile all’altro, cui l’essere umano deve sempre obbedire quando il giudizio della propria coscienza sia certo.
Se agisse deliberatamente contro tale giudizio, si “condannerebbe” da sé. Entrerebbe in conflitto con se stesso, conflitto che è percepibile psicologicamente con quel sentimento che è chiamato rimorso.
Per questa ragione non è “consentito” dalla coscienza fare il male perché ne derivi un bene.

La coscienza è inviolabile, essa rappresenta e manifesta l’identità morale.

Ovviamente il comportamento morale di una persona può confliggere con la legge positiva ma in questo caso viene giudicato ed eventualmente condannato in base alla legge che valuta l’esteriorità di una azione non la sua moralità.
Giorgiosan is offline  
Vecchio 02-01-2010, 21.00.20   #143
Giorgiosan
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Riferimento: Una base per l'etica

Citazione:
Originalmente inviato da epicurus

(La mia concezione morale è espressa, solo superficialmente ma comunque in modo articolato, nel mio sito, qui.)

Ne devo dedurre che la posso commentare, in questo forum?

Citazione:
Originalmente inviato da epicurus


Quindi tu aiuteresti il prossimo solamente perché la divinità vuole così? Cioè, ti comporti bene solo perché c'è dio che desidera questo?
Ti prego di rispondere approfonditamente a queste due domande (che sono la stessa), perché ritengo che siano estremamente importanti per questa discussione.

Mi pare banale osservare che questo tipo di atteggiamento non è virtuoso, e una qualsiasi morale che voglia essere presa seriamente, non può poggiarsi su un modo simile di vedere le cose.


Non lo trovo un atteggiamento banale mentre trovo banale il modo in cui recepisci fare la volontà di Dio...

Come apprendiamo ogni nozione così impariamo la morale sia da una tradizione o da varie tradizioni, sia dall’ esperienza.
La morale di ognuno non può essere che la risultante di questi due vettori. Sei d’accordo?

Anteriormente alla morale, poi, bisogna delineare una antropologia perché la morale non può sussistere senza l’antropologia, essendo prioritaria la conoscenza dell’essere umano e la sua capacità di fare rispetto a ciò che si pretende debba fare.

In estrema sintesi per la mia antropologia il modello dell’essere umano è Cristo ed il suo comportamento è il modello di riferimento del comportamento cristiano e il suo consiglio, attuale, ciò che informa attualmente la coscienza.

Quando si agisce in conformità a Cristo si è virtuosi nello stesso senso che il Cristo è virtuoso… egli stesso ha uniformato il suo agire alla volontà del Padre suo.
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Vecchio 03-01-2010, 10.42.16   #144
emmeci
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Riferimento: Una base per l'etica

Mi dispiace, Giorgiosan, ma l’etimologia ha sempre torto di fronte alla vita delle parole. Perché tutto scorre e oggi noi (noi uomini della strada) possiamo parlare di moralità di un politico, di un automobilista e perfino di un calciatore pensando a quanto è bacato dentro di sé, anche se non si mette in urto col codice e non sollecita l’intervento dei carabinieri….mentre l’etica. Beh, credo che ne possa parlare solo chi ha frequentato almeno il liceo.
Comunque, a parte queste fiorettate eleganti, credo anch’io naturalmente che non sia la stessa cosa la coscienza morale e l’osservanza di un codice (che potrebbe essere anche un decalogo inciso sulla pietra): se lo fosse la storia non avrebbe registrato tante viltà ed eroismi, tanti roghi e beatificazioni….
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Vecchio 03-01-2010, 16.32.09   #145
Nikolaj Stavrogin
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Riferimento: Una base per l'etica

Concordo con emmeci,

"L'etica (dal greco antico ἔθος (o ήθος)[1], "èthos", comportamento, costume, consuetudine) è quella branca della filosofia che studia i fondamenti oggettivi e razionali che permettono di assegnare ai comportamenti umani uno status deontico ovvero distinguerli in buoni, giusti, o moralmente leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti cattivi o moralmente inappropriati.

L'etica può anche essere definita come la ricerca di uno o più criteri che consentano all'individuo di gestire adeguatamente la propria libertà nel rispetto degli altri. Essa pretende inoltre una base razionale, quindi non emotiva, dell'atteggiamento assunto, non riducibile a slanci solidaristici o amorevoli di tipo irrazionale. In questo senso essa pone una cornice di riferimento, dei canoni e dei confini entro cui la libertà umana si può estendere ed esprimere. In questa accezione ristretta viene spesso considerata sinonimo di filosofia morale: in quest'ottica essa ha come oggetto i valori morali che determinano il comportamento dell'uomo.

Ma l'etica si occupa anche della determinazione di quello che può essere definito come il senso, talvolta indicato con il maiuscolo Il Senso dell'esistere umano, il significato profondo etico-esistenziale (eventuale) della vita del singolo e del cosmo che lo include.

Anche per questo motivo è consuetudine differenziare i termini 'etica' e 'morale'. Un altro motivo è che, sebbene essi spesso siano usati come sinonimi, si preferisce l'uso del termine 'morale' per indicare l'assieme di valori, norme e costumi di un individuo o di un determinato gruppo umano. Si preferisce riservare la parola 'etica' per riferirsi all'intento razionale (cioè filosofico) di fondare la morale intesa come disciplina.

http://it.wikipedia.org/wiki/Etica


Quindi ì albert con questo thread ìha un intento etico: "intento razionale di fondare la morale intesa come disciplina", e non morale: "assieme di valori, norme e costumi di in individuo o di un determina gruppo umano."

C'è da dire poi che la parola "etica" a me piace di più
Nikolaj Stavrogin is offline  
Vecchio 04-01-2010, 00.46.51   #146
Il_Dubbio
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Riferimento: Una base per l'etica

Citazione:
Originalmente inviato da Nikolaj Stavrogin
[i]"L'etica (dal greco antico ἔθος (o ήθος)[1], "èthos", comportamento, costume, consuetudine) è quella branca della filosofia che studia i fondamenti oggettivi e razionali che permettono di assegnare ai comportamenti umani uno status deontico ovvero distinguerli in buoni, giusti, o moralmente leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti cattivi o moralmente inappropriati.


Prova a descrivere le parole: buono, giusto, moralmente lecito, cattivo o moralmente inappropriato.
Forse è come dice emmeci, bisogna aver fatto almeno il liceo per riuscire a parlarne, o forse, come io credo, non serve studiare basta saper inventare...;

Cosa c'è, poi, di "oggettivo" nei comportamenti etici vorrei proprio comprenderlo.
Il_Dubbio is offline  
Vecchio 04-01-2010, 14.52.39   #147
Giorgiosan
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Riferimento: Una base per l'etica

La distinzione tra eticità e moralità è stata introdotta da Hegel con la sua opera, "Filosofia del diritto": siamo nel 1821.
Prima di allora i due termini erano stati usati come sinonimi perchè indicavano la stessa riflessione filosofica e per 22-23 secoli, almeno da Aristotele, è sempre stato così.
In questo patrimonio di riflessione non c’è differenza fra eticità e moralità, il che la dice lunga.

Nella riflessione di Socrate , per i sofisti, per Aristotele, per Platone, per Epitteto, per Cicerone, per Epicuro, per gli stoici, ecc. ecc. e su su fino a Spinoza, a Kant, Hobbes, Hume, senza dimenticare la plurisecolare riflessione cristiana….per tutti costoro morale ed etica significavano la medesima disciplina. E’ ovvio che quanto proveniva dalla cultura filosofica greca era a volte traslitterato con etica ma era tradotto con morale.

Hegel ha voluto distinguere l’intenzione del soggetto, la sua disposizione interiore, ecc. ecc. cioè gli aspetti soggettivi della moralità , dal complesso dei valori morali effettivamente realizzati nella storia che lui classifica come eticità.
Ha bisogno di mostrare, infatti, la scissione fra stato e individuo, antitesi che poi sarà superata in una nuova sintesi operata da quella religione popolare che egli ipotizza e che opererà un rinnovamento morale.
Da questo si può capire perché questa scissione operata del tutto artificiosamente da Hegel sia poi piaciuta alle ideologie, ai demolitori della morale (etica) individuale e ai negatori della validità di una morale religiosa.

E’ cosa del tutto naturale che gli studiosi di filosofia morale si occupino spesso anche di problemi di filosofia giuridica, di concezioni sociologiche, politiche talvolta anche economiche….si pensi ai marxisti. Se poi l’applicazione della riflessione morale in questi campi si vuol chiamare etica la si chiami pure ….ma senza dimenticare che alla base c’è la morale individuale e quindi la libertà individuale e che bisogna sempre massimamente diffidare di chi proponga una etica sociale sganciata dall’etica individuale che ne è il fondamento ineludibile.

Eticità e moralità dicono la stessa filosofia ed io non ho preferenze né per l'una né per l'altra come ho avuto modo di dire altre volte.

Citazione:
Originalmente inviato da emmeci
Mi dispiace, Giorgiosan, ma l’etimologia ha sempre torto di fronte alla vita delle parole. Perché tutto scorre e oggi noi (noi uomini della strada) possiamo parlare di moralità di un politico, di un automobilista e perfino di un calciatore pensando a quanto è bacato dentro di sé, anche se non si mette in urto col codice e non sollecita l’intervento dei carabinieri….mentre l’etica. Beh, credo che ne possa parlare solo chi ha frequentato almeno il liceo.
Comunque, a parte queste fiorettate eleganti, credo anch’io naturalmente che non sia la stessa cosa la coscienza morale e l’osservanza di un codice (che potrebbe essere anche un decalogo inciso sulla pietra): se lo fosse la storia non avrebbe registrato tante viltà ed eroismi, tanti roghi e beatificazioni….

Vorrei solo farti notare che ho messo l'etimologia fra parentesi per indicare che non era un argomento che consideravo decisivo.
E' vero che è l'uso a determinare il significato delle parole e non l'etimologia però questa serve a ri-orientare quando il significato di una parola è confuso.

Ultima modifica di Giorgiosan : 04-01-2010 alle ore 23.55.22.
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Vecchio 06-01-2010, 17.43.55   #148
emmeci
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Ma al di là di una sostenibile differenza fra morale ed etica, ciò che è alla base di questi termini - che quasi unirei nel termine ethos - è, in una visione antropologica e filosofica, quella maturazione del pensiero dell’uomo che lo porta a passare dal concetto dell’essere a quello del dover essere, il quale si sovrappone, per così dire, all’evoluzione naturale della specie e la trasforma in storia. Qualcosa che mi pare sia sfuggito a Darwin, quando ha fissato nell’adattamento e nel caso gli elementi determinanti dell’evoluzione, mentre questo processo sembra dipendere da un potere diverso, proprio della specie homo, quasi una sua capacità non solo di automodificarsi ma addirittura di cambiare la propria essenza.
Così, mi pare che possiamo lasciare da parte il dibattito sul significato preciso dei termini e concentrarci sull’elemento che hanno in comune e che è rappresentato da una sorta di balzo inatteso del pensiero. E’ evidente che in quel “dover essere” è l’alba di un mondo nuovo, cioè di un mondo degno della nuova specie apparsa su questo pianeta. Forse direte che è difficile abbozzare ipotesi su ciò che è tanto remoto, eppure non credo che solo la scienza possa arrivare ad afferrare l’inizio, anzi credo che l’inizio di realtà così estese nel tempo non possa essere colto che dal pensiero – oserei dire creato dal pensiero, perché solo un pensiero creativo può scavalcare storia e preistoria e sprofondare in qualcosa che c’è e non c’è.
Perché non si tratta di immergersi in ciò che è solo natura. Anche dopo che si è formato il primo dna dell’uomo, è continuato il processo di formazione: l’apparire dell’ethos costituisce una mutazione almeno altrettanto decisiva di quella del dna. Ed è questo, mi pare, che è sfuggito all’occhio di Darwin, cioè che il dna non è tutto e il nascere della nostra specie è stata caratterizzata almeno da un’altra base prioritaria (per riferirmi a come la chiama Albert, a cui chiedo scusa se la spoglio dei singoli comandamenti): quella che è proprio la base dell’ethos, ed è su questa che l'uomo diviene in grado di determinare il futuro, con un potere che cambia l’evoluzione per iniziare la storia. Non è infatti veramente una rivoluzione, cioè una superiore capacità di mutazione, questo nuovo modo di pensare il rapporto col tempo, cioè quell’ethos che non sopravviene per forza di cose cioè per necessità evolutive, ma per il sollevarsi della coscienza di un essere apparso come nuovo personaggio nella scena del mondo?
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Vecchio 07-01-2010, 00.03.45   #149
Giorgiosan
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Originalmente inviato da emmeci
Ma al di là di una sostenibile differenza fra morale ed etica, ciò che è alla base di questi termini - che quasi unirei nel termine ethos - è, in una visione antropologica e filosofica, quella maturazione del pensiero dell’uomo che lo porta a passare dal concetto dell’essere a quello del dover essere, il quale si sovrappone, per così dire, all’evoluzione naturale della specie e la trasforma in storia. Qualcosa che mi pare sia sfuggito a Darwin, quando ha fissato nell’adattamento e nel caso gli elementi determinanti dell’evoluzione, mentre questo processo sembra dipendere da un potere diverso, proprio della specie homo, quasi una sua capacità non solo di automodificarsi ma addirittura di cambiare la propria essenza.
Così, mi pare che possiamo lasciare da parte il dibattito sul significato preciso dei termini e concentrarci sull’elemento che hanno in comune e che è rappresentato da una sorta di balzo inatteso del pensiero. E’ evidente che in quel “dover essere” è l’alba di un mondo nuovo, cioè di un mondo degno della nuova specie apparsa su questo pianeta. Forse direte che è difficile abbozzare ipotesi su ciò che è tanto remoto, eppure non credo che solo la scienza possa arrivare ad afferrare l’inizio, anzi credo che l’inizio di realtà così estese nel tempo non possa essere colto che dal pensiero – oserei dire creato dal pensiero, perché solo un pensiero creativo può scavalcare storia e preistoria e sprofondare in qualcosa che c’è e non c’è.
Perché non si tratta di immergersi in ciò che è solo natura. Anche dopo che si è formato il primo dna dell’uomo, è continuato il processo di formazione: l’apparire dell’ethos costituisce una mutazione almeno altrettanto decisiva di quella del dna. Ed è questo, mi pare, che è sfuggito all’occhio di Darwin, cioè che il dna non è tutto e il nascere della nostra specie è stata caratterizzata almeno da un’altra base prioritaria (per riferirmi a come la chiama Albert, a cui chiedo scusa se la spoglio dei singoli comandamenti): quella che è proprio la base dell’ethos, ed è su questa che l'uomo diviene in grado di determinare il futuro, con un potere che cambia l’evoluzione per iniziare la storia. Non è infatti veramente una rivoluzione, cioè una superiore capacità di mutazione, questo nuovo modo di pensare il rapporto col tempo, cioè quell’ethos che non sopravviene per forza di cose cioè per necessità evolutive, ma per il sollevarsi della coscienza di un essere apparso come nuovo personaggio nella scena del mondo?

Sapere chi è l'essere umano e come è (antropologia) per sapere cosa deve fare (etica). Un dover essere preceduto da un dover sapere... la ricerca dell'assoluto, una brama di conoscere tutto, di risolvere tutto, di voler vedere tutto...di desiderare tutto.
Sembra proprio che ci si aspetti molto, moltissimo dall'essere umano.
Gli ideali verso cui si protende, giustizia, compassione, solidarietà, altruismo, amore disinteressato, sacrificio di sé....sono altissimi e stridono con la sua animalità.
Si potrebbe dire che l'etica che si teorizza ci dice chi è che la può praticare....l'etica ideale diventa rivelatrice dell'antropologia....ovvero l'etica postula l'antropologia.

Sembra proprio l'educazione di un dio in embrione.

Ultima modifica di Giorgiosan : 07-01-2010 alle ore 10.43.09.
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Vecchio 07-01-2010, 11.40.26   #150
emmeci
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L’uomo – un Dio in embrione? Mi pare un’espressione forte, Giorgiosan, ma non sbagliata, perché – risalendo a quelle primordiali ere dove non può arrivare antropologo o storico - si potrebbe pensare che la religiosità, questa prima universale cultura dei popoli, trovi la sua base nell’onnipotenza non di un Dio ma del desiderio degli uomini di arrivare, al di là di sconfitte, malattie e morte, a dominare gli eventi, facendo delle loro qualità – di tutte le qualità, positive e negative – le proprietà sublimi di un Dio. Perché anche quelle che si ritengono qualità negative, a volte appaiono degne di un Dio: non si è detto in un sacro testo "Io sono un Dio geloso"?; e non ha esortato a combattere gli dei d’altri popoli o a rubarli e consegnarli al suo popolo? Non si loda la sua giustizia quando colloca in paradiso i fedeli e gli infedeli all’inferno? E, se mi consentite di aprirmi ancora una volta all’antropologia, non ci è dato supporre che veramente potesse trovarsi qui il germe della fede, che trasforma l’umana ansia dell’assoluto nella visione di un super-uomo in grado di regnare come un monarca, circondato da musicanti e guerrieri? E siamo proprio sicuri che l’uomo abbia rinunciato – nella nostra o in un’altra regione del mondo – al segreto compiacimento di credersi lui stesso Dio?
Forse non basta l’ethos su cui abbiamo discusso a frenare le nostre ambizioni, e non basta, Albert, un comandamento. O meglio, si tratta di vedere, affidandoci magari a uno psicoanalista freudiano, se in quel pronome “me” usato in un decalogo per la verità controverso, si cela veramente Dio.
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