Io non mi riferisco al potere d'acquisto del singolo, ma al potere d'acquisto pro capite, ovvero il potere d'acquisto medio di ogni abitante della terra se la distribuzione di beni e danari fosse uniforme per tutti.
Quanto alla disponibilità di beni, è un meccanismo di saturazione del mercato: Quando tutti avevamo la tv in bianco e nero, ecco che spunta quella a colori. Quando poi tutti abbiamo la tv a colori, ecco che spunta il videoregistratore, il DVD, ecc. ecc.
Quando un mercato si satura, occorre riciclarlo con qualcosa che sia migliore, oppure occorre indurre un bisogno dove prima non c'era. (pubblicità, stereotipi, ecc. ecc.)
Ma, in tutto questo, torno a dire che il valore intrinseco globale della produzione non può superare il valore globale della potenzialità di consumo, altrimenti produco produco e poi non posso vendere perchè non c'è chi compra, o se c'è non ha i soldi per comprare, o chi li ha il prodotto ce l'ha già.
E quindi, il potere d'acquisto
globale è immutabile, se così non fosse, il capitalismo si sarebbe estinto da tempo.
Tornando in base a quanto ho appena scritto all'inizio del discorso ed al titolo di questa riflessione: "globalizzazione", il punto è proprio la disponibilità di beni ed il loro consumo eterogeneo a livello globale.
Se il potere d'acquisto fosse omogeneo ognuno di noi potrebbe costruire automobili in modo artigianale ed ognuno di noi potrebbe avere il suo piccolo mercato.
Il problema nasce quando qualcono lavora per me alla costruzione di un bene. Senza tirare in ballo il concetto di plusvalore e di pluslavoro, va da se che una persona che lavora percepisce una retribuzione, che puntualmente spende in beni di consumo che produce esso stesso.
E' quindi un circolo vizioso, si produce per vendere da un lato, si aiuta a produrre per acquistare dall'altro. Per produrre pago uno stipendio, per comprare ho bisogno di uno stipendio. Più vendo più posso produrre, più produco più ho bisogno che i prodotti vengano acquistati. Il limite è quello per il quale ho raggiunto una produzione tale da soddisfare le esigenze di chi compra. In questo momento devo produrre di meno perchè i prodotti vengono venduti meno, quindi non mi avvalgo più della collaborazione di chi lavora per me e tolgo dalla circolazione i relativi stipendi, che contribuiranno a deprimere maggiormente il mercato, e così via.
In pratica, i soldi non sono nostri. Ci vengono prestati. Gli unici soldi nostri sono quelli che non spendiamo.
In un'ottica globale, avendo il prodotto occidentale saturato il mercato occidentale, i casi sono due: o si creano nuove esigenze o si allarga il mercato. Ed è a questo secondo scopo che serve il terzo mondo. Al di là di qualsiasi aspetto morale, il terzo mondo è un'inesauribile scorta di consumatori. E' sufficiente prestare loro del denaro e fare in modo che lo spendano in beni che io produco.
L'alternativa a questo è il concetto marxista, ma perchè funzioni necessita di una condizione irrinunciabile: occorre essere tutti d'accordo. (non ci si riesce in quattro su questo forum, figuriamoci in sei miliardi).
In ogni caso, prima o poi la "globalizzazione" coinvolgerà anche chi oggi vive esclusivamente del frutto delle sue mani e di ciò che offre la foresta. Quando quel giorno verrà vorrà dire che il mercato ha assunto una dimensione planetaria, e che più di così non potrà essere espanso. Sarà il collasso totale.
Spero di non avervi annoiato con questa mia lunga telenovela a puntate, a volte complicata da seguire, che è un pezzetto di ciò che vedo del mondo, e che mi sembrava riduttivo liquidare in un unico post senza intanto raccogliere le impressioni, le critiche ed i suggerimenti di tutti voi.
In sintesi:
Se desidero diventare ricco per poter comprare tutto ciò che c'è al mondo, allora devo condannare qualcun'altro a diventare povero, o a diventare ancora più povero di quello che è.
Oggi abbiamo i Rayban e il Nokia, ma per averli li abbiamo dovuti barattare con quanto abbiamo strappato dalle fauci affamate di miliardi di persone.
Ciao!