Ospite
Data registrazione: 19-05-2003
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Tradire
Se andiamo all'origine della parola tradimento, ci accorgiamo che deriva dal latino tradere, che vuol dire consegnare.
Tradimento, allude, per metaplasma (figura retorica che indica una trasformazione avvenuta nella parola), nell'uso cristiano del termine, alla consegna di Gesù, da parte di Giuda, nelle mani dei Giudei.
Ora, anche mantenendo questa trasformazione (e la cosa non è azzardata, dal momento che tutti noi abbiamo subito le influenze di certa cultura giudaico-cristiana), possiamo cercare il senso ultimo del tradire.
Nella metafora evangelica, ad una prima lettura, troviamo una vittima (Gesù) ed un carnefice (Giuda).
Per poco che riflettiamo su quella metafora, interpretata come l'istituzione della coppia di opposizione vittima-carnefice, ci accorgiamo che noi tradiamo, cioè consegniamo alla morale un argomento che morale non è.
Quell'argomento, infatti, annuncia la fine di qualcosa (la condanna di Gesù alla crocefissione), che è stato ontologicamente fondato
dall'Essere stesso, che qui si costituisce come origine di un dramma che deve compiersi, altrimenti Egli, l'Essere, non è più ontologicamente tale, non è più, cioè, la Verità, ma una delle tante verità storiche, filogenetiche, non ontologiche.
Ora, in virtù di quel tradimento, di quella consegna, si compie, al di là ed oltre ogni discorso morale, la Verità dell'Essere.
Il tradimento, nostro, umano, quotidiano, è anch'esso una verità ontologica, che nulla ha da spartire con un qualunque discorso morale.
E' ontologica, quella verità, perché ci dice qualcosa sul nostro essere uomini (maschi e femmine), e il nostro essere è l'esistere, l'essere nel mondo come presenza.
Ma il nostro esere nel mondo, si costituisce come possibilità di fluttuare liberamente tra i due limiti della nostra esistenza, e cioè la nascita e la morte.
La libertà, o quanto meno il tendere verso la libertà, è la possibilità che trascende la nostra stessa presenza nel mondo e ci costituisce come esseri in grado di pro-gredire, cioè di varcare i limiti che fondano la nostra esistenza, cioè la nascita e la morte.
In questo senso, il tradimento (del maschio o della femmina che sia), va letto come possibilità che sorpassa i limiti esistenziali del nascere e del morire, per fondare il senso della propria verità ontologica, cioè dell'essere uomini.
Tutto questo non ha nulla di morale, ed è il solo punto di osservazione da cui possiamo intendere il significato autentico del tradire.
Tutto il resto, la capacità di perdonare, di sopportare; la disponibilità di sentire le esigenze dell'altro o di ignorarle, è problema di natura prevalentemente morale, che riguarda cioè il costume del tempo che viviamo.
Ma, ognuno di noi, può e deve liberamente decidere, se conformarsi alla norma o se oltrepassarla, e avendo deciso, costituirsi come portatore di quella verità che individua ciascuno di noi.
Un affettuoso abbraccio. Gaetano
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