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02-01-2016, 02.17.25 | #72 |
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Riferimento: Lettera sulla Morte
Alcune interessanti -a mio avviso- considerazioni aggiuntive all'argomento in questione,tratte dal libro di Matgioi - la Via Metafisica:
(per chi lo desidera ho il link per scaricarlo) Noi tutti, forme visibili e invisibili dell'Universo, emaniamo dall'Infinito: non possiamo uscirne e siamo ad esso Ma che cos'è dunque la forma? La forma, geometricamente (e filosoficamente) parlando, è il contorno: è l'apparenza del Limite. Limite e forma: ecco che cos'è che ci determina, ci specifica, ci divide. Questa divisibilità all'Infinito che è il trascorrere nelle forme, ecco che cosa ci separa da Dio. Fra Dio e noi c'è il Limite, ossia ciò che specificamente determina ogni creazione. E fra Dio e noi non c'è altro che il Limite, poiché, se quest'ultimo venisse soppresso, ogni creazione scomparirebbe e non resterebbe se non l'Unità Universale. Consideriamo profondamente questo teorema; esso contiene tutta quanta la spiegazione dell'Universo, se vogliamo ricordare che il Limite o le Forme, o la Corrente delle Forme non comporta soltanto,come pensano i bambini,i lineamenti o i contorni,ma anche le funzioni di peso, di volume, di densità e tutte le nozioni e percezioni che costituiscono le differenzi azioni superficiali e apparenti delle molecole della Materia. Non vi è dunque creazione imprevista; non c'è generazione spontanea; gli esseri sono esistiti tutti quanti nello stesso tempo e il primo giorno in cui noi constatiamo la loro esistenza non è il giorno della loro nascita; una siffatta pretesa nasce dall'orgoglio di cervelli umani serviti da un'intelligenza imperfetta e da organi sensoriali in realtà assai mediocri; Ciò che precede può sembrare paradossale perché, per farei meglio comprendere, impieghiamo le parole nascita e morte per designare i passaggi fra i cicli, e perché l'ingenua vanità umana dà un senso di accrescimento all'entrata nell'umanità (nascita) ed un senso di diminuzione all'uscita dall'umanità (morte), il tutto come se l'umanità occupasse il vertice di una parabola, al di qua e al di là del quale non si potrebbe che discendere. Non vi e errore contemporaneamente più pericoloso e più ridicolo. Vediamo che metafisicamente, nella successione dei cicli, la morte è un avanzamento sulla nascita, perché l'ingresso nel ciclo X+1 e' superiore all'ingresso nel ciclo X. Ma tra la sua nascita e la sua morte, su questo cerchio senza spessore, su questa superficie imponderabile del volume universale dove l'attrazione della volontà dall'alto non viene esercitata affatto, l'individuo è libero. Egli è libero assolutamente, nel compimento e nel senso di tutti i suoi atti terreni. Egli non ha più per maestro la volontà del cielo: ha per guida la coscienza oscura, sorta d'istinto mentale che non è il medesimo per tutti gli individui, che evolve, s'ispessisce o si affina con ciascuno di essi, e che è in rapporto aritmetico con le facoltà intellettuali dell'individuo, e il valore dell'ambiente sociale nel quale s'inserisce. Questa coscienza è la generatrice dinamica delle sue azioni personali. E' nel fenomenismo morale in cui si esercita questa coscienza, strumento mediocre, che nascono le contingenze del bene e del male. Ed è la credenza personale nel bene e nel male, limitati l'uno dall'altro, che fa del bene e del male una realtà oggettiva nello spirito umano. E' la coscienza dell'uomo che crea il bene e il male, ed è la libertà dell'uomo che, permettendogli di seguire l'uno o l'altro, crea delle responsabilità. Non insisteremo mai troppo su queste evidenze razionali: la coscienza, che genera il bene e il male, è una particolarità specifica, temporanea,anche nella specie; la libertà d'agire è estremamente limitata nel tempo e nelle contingenze individuali; gli atti compiuti da questa libertà e qualificati da questa coscienza sono dunque degli atti relativi, esclusivi alla specie e all'individuo, non avendo valore che nelle oggettivita e per le ogggettività dove essi nacquero, ed essendo indifferenti rispetto all'infinito. L'uomo e' un essere limitato e relativo; non puo commettere che atti relativi,generatore di meriti relativi e capaci di sanzioni relative. Cio' che e' fatto nel tempo non può che essere apprezzato nel tempo; la figura che si inscrive in uno spazio a due dimensioni non può avere tre dimensioni,qui noi siamo stretti all'evidenza assiomatica della geometria più semplice. Dunque l'atto di un uomo,che e' l'atto temporaneo e finito,se colpevole quanto possa giudicarlo la coscienza generale non può procurargli una punizione eterna ed infinita,dunque le pene eterne non esistono! ma i sentimentali illogici gridano che la colpa,rivolgendosi ad un essere infinito,Dio,necessita di una pena infinita. ecco una doppia assurdità . Una contingenza non può affliggere l'assoluto. coloro che cercano di convincersi di una cosa così terribile potenza non hanno mai pensato a cio'. |
02-01-2016, 13.23.34 | #73 | |
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Riferimento: Lettera sulla Morte
Citazione:
La teoria è ragionevole ma parte da un presupposto che definisce a priori l'essere umano. Ossia che l'essere umano disponga solo di due dimensioni e che venga definito dai suoi limiti. Ma siamo certi che l'essere umano disponga solo di limiti e non sappia trascenderli ? A parte che non capisco che senso avrebbe di parlare di libertà relativa , se i limiti sono tutto ciò che siamo, la libertà relativa diventa solo un'espressione di questi limiti, quindi non si tratta di libertà, nè relativa nè tantomeno assoluta. Se non c'è libertà non ci può essere colpa, nemmeno relativa e tantomeno nessuna punizione, nè relativa nè assoluta. Se vediamo la vita come eterna trasformazione, non penso si debba interpretare la nascita come un "prima" e la morte un "dopo" nell'esistenza di un determinato essere. La nascita è un "prima" per l'IO individuale, realtà autocostruita dal pensiero e dal senso di essere distinto dalle altre cose, mentre la "morte"è la cessazione di questo Io mutevole. Ma in senso ultimo, per quello che ci costituisce, c'è solo cambiamento, non nascita e non morte. Nascita e morte hanno un senso solo per l'osservatore/io individuale che cessa di essere al cessare delle condizioni che lo tengono in essere ( pensiero e attività cerebrale mediamente "sana"). Definire l'infinito come senza forma è veritiero ? O è l'Idea di infinità che è priva di forma ? Noi vediamo che tutto ciò che ci circonda ha forma e pensiamo ci debba essere qualcosa senza forma. Ma l'infinità non potrebbe ridursi alla semplice somma di incalcolabili forme ? Talmente numerose e inconcepibile per le nostre possibilità mentali che le definiamo come Infinito ? E alcuni Assoluti, come Tempo e Spazio, altro che mutamento e movimento di queste infinite forme cangianti ? Allora la domanda diventerebbe:- C'è "Qualcosa/qualcuno" all'interno/esterno di noi capace di essere consapevole di questo immenso mutare e di saperlo trascendere ? E , se esistesse davvero questo Qualcosa/qualcuno, avrebbero senso le categorie di Io e di Dio, comunemente intese, per definirlo ? O non le trascenderebbe entrambe ? E a questo supposto Qualcosa/qualcuno si potrebbero accollare ancora le idee mentali di forma e senza-forma? O non si porrebbe al di là di ogni forma e di ogni assenza di forma ? E ne potremmo , in qualche modo, farne/esserne esperienza ? E se sei al di là delle forme definite dai limiti e al di là dell'assenza ( mentale) di quelle forme e di quei limiti, non sei pure al di là di "nascita e morte" ? |
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02-01-2016, 15.59.57 | #74 | ||
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Riferimento: Lettera sulla Morte
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Cosa significa che la morte, come la nascita, è solo un confine temporale? dato che ogni istante è eterno che significa confine temporale? E che significa percepire solo quello che vi è in mezzo alla luce dell'asserzione che la sensazione (ovvero la percezione) è tutto? Citazione:
Ultima modifica di maral : 02-01-2016 alle ore 16.11.02. |
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03-01-2016, 01.44.02 | #75 | ||
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Riferimento: Lettera sulla Morte
Citazione:
quella delle due dimensioni credo abbia voluto soltanto fare un esempio dei più semplici tanto per arrivare a dare l'idea,in questo caso geometrico e di come in senso analogico un ipotetica creatura che sia,diciamo posizionata in un mondo a due dimensioni gli risulterà inconcepibile quello a tre,e anche per costui gli varrà' la stessa cosa per un altra dimensione o livello superiore,una quarta eccc.. ce' un bellissimo libro,un romanzo geniale che apre a queste considerazioni..davvero consigliata la lettura,dal titolo flatlandia. https://it.wikipedia.org/wiki/Flatlandia per il resto mi sembra che concordi sul fatto che l'evento nascita e morte riguarda solo l'IO e che in realtà non vi e' ne' nascita e ne morte. Citazione:
chiaramente già si puo dire che definire l'infinito sia un evidente contraddizione, così come credo per lo stesso motivo sia assurdo pensare che l'infinita' sia una somma di altre forme,visto che l'infinito essendo tale non può avere delimitazioni alcuna infatti credo sia proprio questo il motivo per cui l'autore a un certo punto dice: Ma che cos'è dunque la forma? La forma, geometricamente (e filosoficamente) parlando, è il contorno: è l'apparenza del Limite. Limite e forma: ecco che cos'è che ci determina, ci specifica, ci divide. in effetti credo si possa dire che noi siamo la forma,quindi abbiamo un limite che la configura e che di fatto divide,avendo appunto un limite. mi e' capitato di riflettere su queste considerazioni,allora mi sarebbe venuta un immagine che forse può aiutare a chiarire meglio le cose; immagina un spazio vuoto davanti a te,poi successivamente in questo spazio vuoto compare una cornice o se si vuole una figura chiusa,come potrebbe essere una qualsiasi forma geometrica. nel primo caso non cera niente,nel secondo ad un certo punto mi APPARE qualcosa (si manifesta) questo manifestare mi aiuta così a capire anche cio che prima non mi appariva e che non si manifestava,ma in realtà esisteva da sempre anche prima,solo che non potevo "vederlo" e che quel "niente" in realtà era/E' già TUTTO e che tutto può "contenere" un altra considerazione e' che cio che mi e' apparso (manifesto) ha una forma,ed ora,(sempre avendo presente l'immagine di prima) vi sarebbe un "dentro e un fuori" di questa forma. noi concepiamo le cose nella forma (e su questo punto riprenderei analogamente anche l'esempio dato all'inizio delle due-tre dimensioni ecc..) e le possiamo così definire,ma sullo sfondo vi e' l'indefinibile che rende possibile il definibile,ossia cio che determina ogni creazione |
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03-01-2016, 02.13.10 | #76 | |
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Riferimento: Lettera sulla Morte
Citazione:
Si,le sue parole sono umane,percio ogni tentativo di implicita definizione ricade nella stessa forma,che e' appunto limitata credo pero che l'autore esprimendosi in questo modo (del resto appunto l'unico che ci e' consentito,per tentare una qualsiasi spiegazione) voglia far intendere che non e' appunto il cervello o la sua razionalità od anche i sensi che si devono adoperare per trascenderne il senso ma riguarderebbe "qualcosa" di per se non umano e che per,diciamo nostra comodita si puo chiamare intuizione sovra-razionale. infatti -secondo me- l'autore non si e' espresso nell'orgoglio e non ha giudicato,anche se in apparenza potrebbe sembrare così,ma ha voluto sottolineare l'errore che non consente di trascendere per arrivare a cogliere cio che sta al di la di ogni definizione che e' specificatamente umana. noi essendo forma,ed essendo percio definiti non possiamo definire cio che non ha forma,perché cio che non ha forma non può avere definizioni. sembrerebbe percio impossibile ma come nell'esempio scritto a Sariputra si può arrivare a "coglierlo" trascendendolo attraverso l'intuizione sovra-razionale che "connette" simultaneamente il conoscente con il conosciuto eliminando ogni separazione. |
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03-01-2016, 03.20.11 | #77 |
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Riferimento: Lettera sulla Morte
se mi e' consentito dai moderatori vorrei postare due video su "flatlandia" visto che ho già inviato i post,non potendoli aggiungere ora
https://www.youtube.com/watch?v=md9o2QbSNuU https://www.youtube.com/watch?v=A7DIhigATpI https://www.youtube.com/watch?v=aZDnGnKk1yA https://www.youtube.com/watch?v=BrhCu0pVQJE |
03-01-2016, 14.11.02 | #78 | |
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Riferimento: Lettera sulla Morte
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Nonostante gli istanti siano coesistenti, si possono comunque ordinare in un senso logico, chiamare un riferimento arbitrario presente, e ció che secondo il nostro ordinamento viene prima di esso, chiamarlo passato rispetto al presente di riferimento, e ciò che viene dopo chiamarlo futuro rispetto allo stesso presente di riferimento. La nascita e la morte sono due istanti temporali, che, SECONDO L'ORDINAMENTO COMUNE e spontaneo(verso l'accumulo di informazioni nella memoria), rappresentano i limiti entro cui è descritto l'intervallo di vita. |
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03-01-2016, 17.28.02 | #79 |
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Riferimento: Lettera sulla Morte
Ho trovato molto interessante il discorso introdotto da Acquario su flatlandia che mi ha portato ad alcune riflessioni.
Se lo spazio nel mondo di flatlandia è bidimensionale gli abitanti di questo mondo non possono che avere una visione monodimensionale degli oggetti che vi si trovano, esattamente come nel nostro mondo tridimensionale, la visione esterna, se non intervenissero meccanismi di accomodamento dovuti alla visione bi-oculare, è bidimensionale. La visione bi-oculare riconduce infatti due immagini bidimensionali diverse di qualcosa che rappresenta lo stesso oggetto e questa contraddizione è risolta in automatico dal meccanismo percettivo che introduce il senso virtuale di una profondità che riporta la duplicità di immagini a un’utile unità di significato. Se poi vogliamo considerare il tempo come una quarta dimensione, anch’essa si rivela come un’ulteriore virtualità che nel nostro mondo viene automaticamente ad aggiungersi e che funziona in modo da fare intendere l’identità dell’oggetto come una successione di immagini tridimensionali di per sé diverse. Questa unità di immagini nel tempo ha anch’essa una indubbia utilità: in primo luogo quella di consentire di conservare il senso identitario delle cose (e di noi stessi) pur se si muovono da un luogo a un altro, pur se, anche rimanendo ferme, mutano di immagine e invecchiano, fino a diventare altro, qualcosa di assolutamente non più riconoscibile. Fino a qui il meccanismo dimensionale, nella sua produzione di dimensioni virtuali come profondità e tempo, opera come recupero dell’unità identitaria in modo strettamente fisico e immediato, ma proprio la dimensione del tempo, in cui il principio che manifesta l’esigenza di un’unità di significato è dato dalla memoria che rende congruente e quindi significante la successione degli istanti, introduce una nuova contraddizione che si verifica nella stessa successione mnestica. A un certo punto si presenta una repentina discontinuità per la quale una certa entità che esiste nello spazio e nel tempo viene a cessare pur mantenendo nel nostro modo di sentirla il suo significato identitario: a un certo punto chi ci era vicino, chi riempiva del suo significato la nostra memoria, diventa bruscamente qualcosa di completamente altro, diventa un cadavere, un cadavere che non è più lui, ma che in qualche modo è ancora lui, è lui nel modo in cui rievoca il nostro sentirlo nella memoria e dunque nel nostro modo di significarlo e di concepirlo nella successione degli eventi di cui conserviamo memoria che ci hanno dato modo di significarlo e concepirlo. Se infatti non avessimo la memoria che ci consente di conservare un’identità nel tempo risolvendo in unità una molteplicità di immagini, non ci sarebbe alcuna morte, la morte è data dalla memoria, dal presentarsi, alla luce del senso in essa deposto, di una brusca discontinuità. Da qui il sentire la necessità di trovare una nuova dimensione in cui risolvere questa contraddizione: la contraddizione di un ente che non è più lui, perché è un cadavere, ma continua a essere lui nonostante non lo sia, un ente che viene a mancarci, e proprio poiché si presenta la sua mancanza, in questa mancanza esso ci è presente. Per risolvere questa contraddizione dovremmo avere a disposizione un’ulteriore dimensione in cui risolverla, ma purtroppo il meccanismo percettivo fisico che fino a qui ha automaticamente risolto i problemi dell’identità nella terza e quarta dimensione, non ce la mostra. Quindi o ci limitiamo a dire che questa ulteriore dimensione non c’è, proprio perché non si dà, oppure comunque affermiamo il suo esserci in modo non percepibile, ossia affermiamo che essa è oltre al limite percettivo che non la costruisce, non le dà forma. Occorre qualcuno o qualcosa, oltre la nostra percezione sensoriale che ce la dia, un ente che sia in questa ulteriore dimensione per potercela dare, poiché essa da sola non si dà lasciandoci nell’angosciante contraddizione della mancanza che ci ripresenta l’ente venuto a mancare. Nei filmati di Flatlandia, questo ente coincide con lo speaker, egli è il Dio che esiste in tre dimensioni rispetto a un mondo in cui se ne percepiscono solo due, e solleva nella terza dimensione l’essere bidimensionale per mostrargli la visione unitaria che la sua natura bidimensionale non gli consente, ma, perché questo accada, lo stesso essere bidimensionale deve diventare tridimensionale e in questa tridimensionalità riconoscere se stesso, oltre la naturale bidimensionalità in cui si percepisce, deve morire alla propria contraddizione di significato, morire alla propria stessa morte per ritrovarsi come originaria unità. Ma è questo che è del tutto incomprensibile come possa accadere e la metafora di Flatlandia purtroppo non riesce a darne ragione, il suo accadere resta quindi solo una questione di fede: di immaginazione desiderante di una volontà che sente la mancanza di una ulteriore dimensione virtuale alla propria esistenza, e la vuole, non potendola avere se non nel sentire la mancanza di essa. Se la morte appartiene alla identità costruita dalla memoria come tempo avente significato finito, in questo tempo finito c’è il desiderio a volte che nulla di quanto più ci corrisponde possa morire, ma esso muore e ci resta solo il nostro desiderio che lo rievoca presente e in questo suo presente mancarci noi stessi ci vediamo morire. |
04-01-2016, 04.13.45 | #80 | |
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Riferimento: Lettera sulla Morte
Citazione:
un paio di considerazioni (ovviamente dal mio punto di vista) la prima e' che la memoria rimane in funzione della forma (senza forma non ci sarebbe nemmeno la memoria)..ma ce' anche una memoria alla stessa,che trascende le cose contingenti e che spesso e volentieri,anche attraverso queste,ci ricollegano a qualcosa di appunto "altra dimensione" ed e' la memoria del Tutto a cui apparteniamo (e di cui sentiamo nostalgia…e penso non sia un caso che la memoria va molto frequentemente a braccetto con la medesima)…come l'onda che ha in se "memoria" (ma non sempre cosciente) di essere oceano la seconda sul il fatto che risulterebbe incomprensibile del come possa accadere e sempre dal mio punto di vista risulta comprensibile dalla visione unitaria e coincidente del Tutto (che per noi ora risulta solo una visione,ma che quando questa forma cesserà' non vi sarà bisogno nemmeno di questo,perché saremo quel Tutto..come l'onda che rientra nell'oceano suppongo continuerai comunque a sostenere che anche questa e' solo una questione di fede,intesa tra l'altro come immaginazione desiderante* *piccola nota (personale sempre) sull'immaginazione desiderante assunta come fede: credo anch'io che per molti,se non la maggioranza dei cosiddetti credenti,esista una pseudo-fede intesa appunto in quel modo,ma non e' di certo l'autentica fede,che a mio avviso,e sempre usando la stessa metafora di prima; e' l'onda resasi consapevole di essere in realtà oceano |
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