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Vecchio 17-12-2015, 17.53.53   #31
sgiombo
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Riferimento: Lettera sulla Morte

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Originalmente inviato da acquario69
si credo di capire la tua obiezione
dicevo quindi,la nascita come punto di "inizio" e la morte come punto "finale" e tutto questo comprende la vita.
la morte per come l'avrei percio menzionata prima intendeva dire al di la della "soglia",ossia che non comprende più la vita (per come la concepiamo "qui")
naturalmente questa sarebbe solo una forma di analogia espressiva perché la vita e la morte (come lho detto prima) e' una distinzione apparente dovuto al limite di cio che (ora) ci appare,ma che questo e' in funzione di cio che (ancora) non ci appare..e i sensi fisici,corporali,"materiali" non ce lo fanno apparire..bisogna trascenderli.
quando si realizza che non siamo un corpo (oggi anche la fisica moderna ce lo dimostra) ma che la nostra coscienza,la nostra essenza non sia situata solo in un ipotetico "interno,ermeticamente chiuso" ma che ne siamo parte integrante alla coscienza,essenza stessa e che questa infatti ha coincidenza simultanea al TUTTO (il manifesto,insieme alla sua forma materiale e' infatti sottomesso al tempo e allo spazio e che sappiamo esiste solo in questa condizione..e anche qui la fisica moderna ci ha dimostrato che in realtà vi sarebbe simultaneita)

il tema della morte sarebbe percio il tema su cui partire e/o arrivare per capire chi siamo ed e' per questo che e' così importante e per me infatti non e' una questione di fede,come forse potrebbe sembrare (e come credo era da sempre stato correttamente concepito ma che poi questa concezione originaria e' stata sovvertita se non quasi del tutto scomparsa..l'autentico messaggio di fede era infatti originalmente e integralmente un messaggio di conoscenza mentre ora si può dire che e' stata ridotta a semplice superstizione) ma di Conoscenza

secondo me ci sarebbe pure da riflettere sul fatto che non si possa negare che nell'attuale situazione cio che predomina e' la "cultura" della morte,(intesa pero in questo caso come la fine irreversibile) e il paradosso e' che nonostante la sua costante realizzazione,in tutti i campi e in tutti i sensi,parlarne e' considerato un tabù!
..dicevo,cultura della morte,del relativismo e del suo conseguente nichilismo,votandoci in ultimo all'autoestinzione e a mio avviso non e' appunto un caso ma proprio della conseguenza nell'aver perso questa Conoscenza..Metafisica e quanto mai Reale,con la R maiuscola

Comprendo poco o nulla di tutto il tuo ragionamento, e in particolare il significato "peculiare" che assumerebbero i concetti da te indicati con l' iniziale maiuscola, la diversità rispetto a quello comunemente inteso da chiunque comunemente usa (e scrive con l' iniziale minuscola) tali concetti.

Tuttavia per parte mia sono convinto che il fatto che l' umanità stia correndo a grandi passi verso l autoestinzione sia conseguenza dei rapporti di produzione dominanti, capitalistici, che implicano inevitabilmente la ricerca del massimo profitto a breve temine cronologico e a qualsiasi costo (umano e ambientale) da parte di unità produttive di beni materiali e servizi (anch' essi in qualche misura sempre inevitabilmente "materiali"), "imprese", in reciproca concorrenza, e dunque la produzione tendenzialmente illimitata di tali beni e servizi nel contesto ineludibile di un mondo dotato di risorse materiali (realisticamente, non fantascientificamente) disponibili alla produzione-consumo umana limitate.
E che conseguentemente si tratta di un andazzo teoricamente superabile, di un rischio per lo meno in linea di principio evitabile, alla condizione che si riuscisse per tempo a sovvertire radicalmente (mediante un processo rivoluzionario) tali rapporti di produzione.
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Vecchio 17-12-2015, 21.42.41   #32
Mariano
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Riferimento: Lettera sulla Morte

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Originalmente inviato da maral
Dopotutto né la nascita, né la morte ci competono in prima persona, non sperimentiamo né l'una né l'altra, l'io non le conosce se non per quello che vede nell'altro e che l'altro gli riflette addosso.

Mi permetto di fare un timido commento:
ritengo che la nascita l’abbiamo sperimentata, anche se a livello conscio non lo ricordiamo, ma certamente ci ha dato delle emozioni che oggi non siamo capaci di collegare a quell’evento; per quanto riguarda la morte, essendosi il nostro essere sviluppato nel corso della nostra vita materiale, potremmo essere capaci di sperimentarla coscientemente.
L’esperienza di nascita e morte riflessa negli altri non ci può far conoscere la loro essenza: infatti è estremamente differente vivere una cosa sulla propria pelle dal viverla di riflesso.
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Vecchio 19-12-2015, 21.38.01   #33
maral
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Riferimento: Lettera sulla Morte

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Originalmente inviato da Sariputra
La nascita sicuramente non possiamo sperimentarla ( la nascita del corpo intendo). Ma la Morte ? Siamo poi sicuri che non la sperimentiamo ? Basta osservare il sorgere e morire continuo dei nostri pensieri per sperimentare cos'è la morte. E quasi sempre un pensiero cessa d'essere perchè insorge e lo soppianta un altro, prima ancora che riusciamo di portarlo a termine.Ma noi non temiamo questo tipo di morte. In realtà l'Io teme solamente la morte fisica, il suo non poter continuare a pensare e rimuginare su se stesso, la sofferenza fisica che quasi sempre si prova ( e l'agonia è veramente pesante, lo so, ne ho viste e in parte vissute, anche se ai margini, 14 solo quest'anno), sofferenza a volte terribile, insopportabile. L'Io teme di perdere se stesso e con esso tutto ciò che lo tiene in vita, ossia i suoi attaccamenti. Ma c'è anche qualcosa di più profondo che si teme di perdere, ci si dispera perchè non potremo più vedere la Bellezza (che è amore) di questo mondo evanescente, la poca dolcezza che a volte gustiamo, il calore che è in noi. Diventeremo il Tutto ? Il Grande Io ? La coscienza universale ? Sono solo pensieri astuti per ingannarci, per sfuggire a questa vacuità, per non guardare in faccia la realtà.
Perchè in definitiva quello che l'uomo vuole non sono questi stati soprasensibili, ultraterreni, ecc. Non vuole la poesia.
Vogliamo vivere in eterno noi, proprio noi, anima e corpo, così come pensiamo di essere, per sempre, qui , in questo mondo.
Vogliamo la vita eterna. E tutto ciò che costruiamo (dal materiale all'immateriale) urla disperatamente solo questo: Voglio vivere!
L'io teme di perdere se stesso poiché questo gli è inconcepibile. L'io vede il cadavere dell'altro e in esso non trova più l'altro che conosceva come un io che lo rifletteva e vede in questa perdita definitiva dell'altro e di ogni altro il suo stesso diventare radicalmente altro.
L'io universale non ha alcun senso (come non ha senso pensare a un io incorporeo, una sorta di ineffabile sostanza di pura coscienza in cui continua a essere), perché non sono io, non è il mondo che io vivo da soggetto che quell'io universale o incorporeo può restituirmi. La morte è l'angoscia suprema e totale di una coscienza che non può assolutamente concepirla per se stessa, anche se vede continuamente la morte accaderle attorno sottraendo ogni cosa alla sua presa, finché sarà assurdamente sottratto anche ciò che io sono senza che nulla resti.
I miei pensieri che muoiono è altra cosa dal diventare io, che li ho pensati, cadavere e quindi nulla, per l'eternità. Ma in quel nulla io non ci sono, dunque la morte, in ultima analisi, non mi compete per nulla, tutto ciò che mi compete è il disfacimento del mio corpo e l'essere abbandonato, finché vi è ancora un barlume di coscienza, finché vivo nell'impossibile attesa di poter morire.
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Originalmente inviato da Mariano
ritengo che la nascita l’abbiamo sperimentata, anche se a livello conscio non lo ricordiamo, ma certamente ci ha dato delle emozioni che oggi non siamo capaci di collegare a quell’evento; per quanto riguarda la morte, essendosi il nostro essere sviluppato nel corso della nostra vita materiale, potremmo essere capaci di sperimentarla coscientemente.
Su che base ritieni che abbiamo sperimentato la nostra nascita se non sulla base dell'esperienza degli altri? Se l'abbiamo sperimentata inconsciamente come possiamo sapere di averla sperimentata?
Per contro, se sperimenteremo la morte è evidente che in quell'evento noi non moriremo, altrimenti come possiamo sperimentarla?
Citazione:
L’esperienza di nascita e morte riflessa negli altri non ci può far conoscere la loro essenza: infatti è estremamente differente vivere una cosa sulla propria pelle dal viverla di riflesso.
Ma la morte e la nascita hanno forse essenza? Come è possibile il nulla assoluto di me stesso che diventa che viene a essere ciò che io sono in essenza, e ciò che io sono in essenza che viene a essere definitivamente nulla? Equivale a dire che la mia essenza è il nulla, ma non è forse questa un'assoluta contraddizione?
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Vecchio 20-12-2015, 01.12.25   #34
Sariputra
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Riferimento: Lettera sulla Morte

Tra gli innumerevoli desideri dell'uomo c'è pure quello di Non-essere, di Non-esistere. E' un desiderio profondo di fuga , di distacco dal dolore. Spesso lo si vede negli anziani provati dalla sofferenza o dalla solitudine. Ma anche la persona "sana", mediamente infelice, non sprofonda con gratitudine nel sonno alla sera ? Non ci si rifugia con dolcezza nell'oblio di se stessi? E con quanta fatica, spesso, ci si rialza al mattino o si indugia nel tepore del letto, intimoriti dall'iniziar la giornata. Questi due poli, coscienza e incoscienza, vita e morte, veglia e oblio, danzano insieme. Ma se non ci fosse il ristoro della dimenticanza come sarebbe possibile sopportarsi in eterno? Temiamo la morte fisica , ma sostanzialmente è un tornare da dove siamo venuti. Ci siamo levati dalla terra e a quella torniamo, nudi di tutto siamo entrati, nudi ce ne usciamo.
Nudi dall'Io abbiamo provato la nascita, eppure c'eravamo davvero. Con questo compagno incostante e infelice gusteremo la morte ? O pure lui ci abbandonerà nel momento finale ? O sarà probabilmente talmente cambiato dalla vecchiaia o dalla malattia che ignaro se ne andrà alla fine ?
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Vecchio 20-12-2015, 10.59.30   #35
sgiombo
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Riferimento: Lettera sulla Morte

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Originalmente inviato da maral
Ma la morte e la nascita hanno forse essenza? Come è possibile il nulla assoluto di me stesso che diventa che viene a essere ciò che io sono in essenza, e ciò che io sono in essenza che viene a essere definitivamente nulla? Equivale a dire che la mia essenza è il nulla, ma non è forse questa un'assoluta contraddizione?

(Per la mia ignoranza in materia di filosofia idealistica) Il concetto di "essenza" mi é del tutto oscuro.

Tuttavia mi sembra evidente che, come osservo che l' esperienza cosciente di altri, alla loro morte (al loro diventare cadaveri), non accade più, smette definitivamente di accadere realmente (o meglio: é per lo meno pensabile come possibile che così sia, essendo pure pensabile come possibile che continui un esistenza "svincolata" dal, o non più in corrispondenza biunivoca con il, funzionamento del loro cervello*), ciò si dia (o per lo meno possa darsi) anche della mia propria esperienza cosciente.

Dire che mia esistenza finisce (=viene a essere definitivamente nulla) dopo la morte (come quella di tutti gli altri uomini) non equivale affatto a (é altra ben diversa cosa da) dire che la mia essenza è nulla ora che sono vivo: quella prima affermazione non é affatto una contraddizione, in un certo senso si potrebbe dire anzi che é un' assoluta non-contraddizione; é invece solo questa seconda -assolutamente diversa- ad essere assolutamente contraddittoria.

E lo stesso dicasi del passaggio dal fatto che ciascuno di noi non é (ancora realmente vivo) prima della nascita al fatto che é (realmente vivo) dopo la nascita (e prima della morte): é tutt' altra e ben diversa cosa assolutamente non-contraddittoria- dal preteso non essere realmente vivo dopo la nascita (e prima della morte), il quale é invece assolutamente contraddittorio.


* Per la cronica ci tengo a precisare che non lo credo, anche se non ritengo dimostrabile con certezza la verità della negazione di questa ipotesi; e dunque vivo conseguentemente a questo mio non credere alla continuazione delle mia esperienze cosciente (la mia come le altre) dopo la morte cerebrale.
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Vecchio 21-12-2015, 17.57.43   #36
Mariano
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Riferimento: Lettera sulla Morte

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Originalmente inviato da maral
Su che base ritieni che abbiamo sperimentato la nostra nascita se non sulla base dell'esperienza degli altri? Se l'abbiamo sperimentata inconsciamente come possiamo sapere di averla sperimentata?
Per contro, se sperimenteremo la morte è evidente che in quell'evento noi non moriremo, altrimenti come possiamo sperimentarla?
Credo che la tua logica stringente abbia ragione e sono io che ho difficoltà ad esprimere il mio pensiero non avendo tra l’altro dimestichezza con la terminologia filosofica. Ci riprovo.
E’ vero che nel periodo che va dalla nostra nascita alla nostra morte noi viviamo nel tempo e nello spazio e recepiamo dal mondo esterno quello che i nostri sensi (presenti fin dalla nascita) ci permettono di recepire: ed i nostri sensi non sono solamente cinque come la nostra limitata razionalità ci insegna, ma anche qualcosa di più profondo della quale penso che tutti noi ne abbiamo una irrazionale consapevolezza.
E quello che noi sperimentiamo è un susseguirsi di attimi di presente che rappresentano la nostra realtà che , nello stesso momento in cui avviene svanisce, lasciandoci il ricordo del passato e la speranza del futuro.
Se consideriamo la nascita e la morte non come gli attimi fuggenti dell’inizio e della fine della nostra vita materiale (attimi che, per quanto io ne sappia, neanche la scienza riesce a definire precisamente), ma come processi che ci portano ad assumere coscienza prima dell’inizio e poi della fine della vita , io ritengo possibile sperimentare la morte come somma di tutti gli istanti successivi alla nostra percezione che è in arrivo e precedenti all'attimo finale, vivendoli soggettivamente come ricordo.
Ma ti prego, spiegami che significato ha sperimentare la nostra nascita e morte sulla base dell’esperienza degli altri; non riesco a capirlo: ritengo che l’esperienza sia un qualcosa di personale .
P.S. su internet, ci si può credere o meno , ma si trovano molti scritti(alcuni considerati anche scientifici) che raccontano di persone che hanno sperimentato una situazione di pre-morte e che hanno avuto la capacità di raccontarlo come ricordo soggettivo del passato.
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Originalmente inviato da maral
Ma la morte e la nascita hanno forse essenza? Come è possibile il nulla assoluto di me stesso che diventa che viene a essere ciò che io sono in essenza, e ciò che io sono in essenza che viene a essere definitivamente nulla? Equivale a dire che la mia essenza è il nulla, ma non è forse questa un'assoluta contraddizione?
Anche qui hai logicamente ragione, forse avrei dovuto dire percepire la sensazione della vita e della morte e non conoscerne l’essenza.
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Vecchio 22-12-2015, 19.56.23   #37
maral
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Sgiombo, quando diciamo che qualcuno è diventato nulla , dunque che è nulla rispetto a quel qualcuno che era, esprimiamo una evidente contraddizione, perché se è nulla non può mai (né nel passato, né nel presente, Nè nel futuro, in qualsiasi attimo) essere quel qualcuno.
Immaginare (dato che evidentemente non potrò mai constatarlo, anche se lo prevedo) che io sarò un giorno nulla è appunto questa contraddizione: o ci sono io o c'è il nulla, le due cose insieme non potranno mai starci e dunque nulla (inteso come essere altro da ciò che sono) io non potrò mai esserlo in base al principio di identità che implica quello di non contraddizione.
Lo stesso discorso vale per la nascita, ma in termini opposti. E' il divenire stesso che è un'assoluta contraddizione.
Ma di questo abbiamo già a lungo parlato, quindi non mi ripeterò ulteriormente, qui volevo solo evidenziare il fatto che la nostra morte la vediamo solo come riflesso del morire degli altri, identificandoci in essi in quanto l'io appare come altro del nostro altro. E' sempre solo l'altro che muore (ogni altro), a quanto possiamo fenomenologicamente vedere.
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Vecchio 22-12-2015, 21.16.40   #38
maral
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Originalmente inviato da Mariano
Ma ti prego, spiegami che significato ha sperimentare la nostra nascita e morte sulla base dell’esperienza degli altri; non riesco a capirlo: ritengo che l’esperienza sia un qualcosa di personale .
L'esperienza è sicuramente qualcosa di personale, ma è sempre direttamente o indiretamente esperienza dell'altro che ci rimanda a noi stessi e soprattutto lo è per la nostra nascita e la nostra morte, poiché né all'una né all'altra possiamo assistere. Assistiamo solo alla nascita e alla morte degli altri e di questa solo abbiamo esperienza, quindi pensiamo, anch'io, come tutti gli altri niei simili, sono nato e morirò. Se abbiamo esperienza della morte significa che ciò di cui abbiamo esperienza non è assolutamente la nostra morte.
Il morire dell'altro, ossia la sola morte che vediamo, è semplicemente la nostra esperienza di non poterlo assolutamente più trovare, il suo definitivo non poterci più apparire in ciò in cui lo riconoscevamo.
Sia la nascita che la morte dunque le vediamo solo nel nascere e morire degli altri, la differenza è che, mentre nel primo caso può esserci qualcuno che ce la racconta per come lui ne ha avuto esperienza, nel secondo no.
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P.S. su internet, ci si può credere o meno , ma si trovano molti scritti(alcuni considerati anche scientifici) che raccontano di persone che hanno sperimentato una situazione di pre-morte e che hanno avuto la capacità di raccontarlo come ricordo soggettivo del passato.
Infatti: non sono morti, dunque la morte nemmeno loro l'hanno incontrata per farne esperienza.
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Vecchio 23-12-2015, 03.45.03   #39
acquario69
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Mariano
P.S. su internet, ci si può credere o meno , ma si trovano molti scritti(alcuni considerati anche scientifici) che raccontano di persone che hanno sperimentato una situazione di pre-morte e che hanno avuto la capacità di raccontarlo come ricordo soggettivo del passato.

maral
Infatti: non sono morti, dunque la morte nemmeno loro l'hanno incontrata per farne esperienza.

nello stesso tempo pero e in quella stessa circostanza,(magari casi in cui erano dati per clinicamente morti o di coma irreversibile) si potrebbe altrettanto dire che fossero vivi?!..
(perlomeno di cio che per noi consideriamo in tal senso,e questo mi farebbe pure sorgere il dubbio che forse quello che noi riteniamo- essere/ci in vita- sia anche qualcosa di diverso e/o riduttivo rispetto a cio che riusciamo ad esperire)
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Vecchio 23-12-2015, 08.27.30   #40
sgiombo
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Originalmente inviato da maral
Sgiombo, quando diciamo che qualcuno è diventato nulla , dunque che è nulla rispetto a quel qualcuno che era, esprimiamo una evidente contraddizione, perché se è nulla non può mai (né nel passato, né nel presente, Nè nel futuro, in qualsiasi attimo) essere quel qualcuno.
Immaginare (dato che evidentemente non potrò mai constatarlo, anche se lo prevedo) che io sarò un giorno nulla è appunto questa contraddizione: o ci sono io o c'è il nulla, le due cose insieme non potranno mai starci e dunque nulla (inteso come essere altro da ciò che sono) io non potrò mai esserlo in base al principio di identità che implica quello di non contraddizione.
Lo stesso discorso vale per la nascita, ma in termini opposti. E' il divenire stesso che è un'assoluta contraddizione.
Ma di questo abbiamo già a lungo parlato, quindi non mi ripeterò ulteriormente, qui volevo solo evidenziare il fatto che la nostra morte la vediamo solo come riflesso del morire degli altri, identificandoci in essi in quanto l'io appare come altro del nostro altro. E' sempre solo l'altro che muore (ogni altro), a quanto possiamo fenomenologicamente vedere.

Secondo il significato correntemente assegnato alle parole (dai parlanti italiano, nella fattispecie) le cose non stanno così:

Dire che qualcuno é diventato nulla al tempo “b” rispetto a qualcosa (o qualcuno) che era al tempo “a”, essendo “a” =/= “b”, del tutto evidentemente non é una contraddizione.

Se qualcosa o qualcuno é ora può benissimo darsi che (non) sia stato (alcunché) in passato o che (non) sarà (alcunché) in futuro.
Immaginare (dato che evidentemente non potrò mai constatarlo, anche se lo prevedo) che io sarò un giorno nulla è appunto un pensiero sensatissimo, logicamente correttissimo, coerentissimo, assolutamente non contraddittorio: o ci sono io o c'è il nulla per un determinato, identico a se stesso, lasso di tempo, le due cose insieme contemporaneamente non potranno starci. Ma in periodi di tempo diversi potranno starci benissimo.
Dunque non sarò più (dopo la mia morte) nel pieno rispetto del principio di identità che implica quello di non contraddizione.
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