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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 23-12-2015, 12.19.35   #41
maral
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Riferimento: Lettera sulla Morte

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Originalmente inviato da Sgiombo
Se qualcosa o qualcuno é ora può benissimo darsi che (non) sia stato (alcunché) in passato o che (non) sarà (alcunché) in futuro.
Sgiombo se riconosciamo che la preposizione "l'essente è nulla" è una contraddizione (e lo è), lo è in qualsiasi momento, non può esserci alcun momento in cui "questo essente è niente" non sia falsa, ciò che è è sempre, se il principio di non contraddizione deve essere rispettato.
Constatiamo poi che anche fenomenologicamente noi siamo sempre presenti e viviamo solo questa presenza in cui costantemente ci troviamo a essere con tutte le memorie e le aspettative ora presenti al nostro esserci adesso. Questa costante presenza (che c'è anche quando ci si immagina il momento in cui non si sarà presenti o non si fu presenti) è la sola cosa di cui abbiamo costante reale esperienza.
Citazione:
Originalmente inviato da Acquario
nello stesso tempo pero e in quella stessa circostanza,(magari casi in cui erano dati per clinicamente morti o di coma irreversibile) si potrebbe altrettanto dire che fossero vivi?!..
(perlomeno di cio che per noi consideriamo in tal senso,e questo mi farebbe pure sorgere il dubbio che forse quello che noi riteniamo- essere/ci in vita- sia anche qualcosa di diverso e/o riduttivo rispetto a cio che riusciamo ad esperire)
L'essere morti è un giudizio dell'osservatore su ciò che osserva e che definisce a uso e consumo della descrizione dell'oggetto nei termini che lo classificano, da un punto di vista assolutamente esterno, vivo o morto. Il soggetto, non può comunque incontrare ciò che l'osservatore definisce come "essere morto" sulla base di ciò che egli, dal di fuori osserva. Cosa accade dunque al soggetto? Possiamo concepirlo da osservatori? Temo di no, potremo solo viverlo da soggetti al momento in cui (forse) accadrà.
Un tempo avevo ipotizzato sulla base della lettura di un passo di "Risvegli" del famoso neurologo Oliver Sacks (purtroppo da non molto scomparso) che approssimandosi al momento che l'osservatore definisce come punto di morte, il soggetto viva un'esperienza del tempo sempre più rallentata (un po' come nell'avvicinarsi di una astronave all'orizzonte degli eventi di un buco nero), di cui ovviamente non si rende conto. Praticamente per il soggetto l'ultimo istante della coscienza corrisponderebbe all'eternità, non causata da una distorsione gravitazionale, ma da una sorta di distorsione psichica della dimensione temporale.
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Vecchio 23-12-2015, 14.18.46   #42
acquario69
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Riferimento: Lettera sulla Morte

Citazione:
Originalmente inviato da maral

L'essere morti è un giudizio dell'osservatore su ciò che osserva e che definisce a uso e consumo della descrizione dell'oggetto nei termini che lo classificano, da un punto di vista assolutamente esterno, vivo o morto. Il soggetto, non può comunque incontrare ciò che l'osservatore definisce come "essere morto" sulla base di ciò che egli, dal di fuori osserva. Cosa accade dunque al soggetto? Possiamo concepirlo da osservatori? Temo di no, potremo solo viverlo da soggetti al momento in cui (forse) accadrà.
Un tempo avevo ipotizzato sulla base della lettura di un passo di "Risvegli" del famoso neurologo Oliver Sacks (purtroppo da non molto scomparso) che approssimandosi al momento che l'osservatore definisce come punto di morte, il soggetto viva un'esperienza del tempo sempre più rallentata (un po' come nell'avvicinarsi di una astronave all'orizzonte degli eventi di un buco nero), di cui ovviamente non si rende conto. Praticamente per il soggetto l'ultimo istante della coscienza corrisponderebbe all'eternità, non causata da una distorsione gravitazionale, ma da una sorta di distorsione psichica della dimensione temporale.

d'accordo,non possiamo sperimentare il soggetto in causa dal nostro punto di vista di osservatori esterni..eppure credo che non si potrebbe obiettare il fatto che queste persone che hanno avuto quest'esperienza escono da tutti i canoni a cui noi finora abbiamo dato una definizione di morte…
come nei casi di morte fisica,dove il soggetto non rientra più nella "nostra" casistica dei vivi (tipo clinicamente morti,con encefalogramma piatto,funzioni vitali zero) e dopo qualche tempo,un tempo magari relativamente troppo lungo,perché possa ritenersi scientificamente possibile,questi si rianimano.
dunque verrebbe comunque da pensare che non fossero morti (anche se noi li consideravamo tali e fisicamente non potevamo avere dei dubbi)
ora sempre se non avrei colto male,quando dici che la morte non si può incontrare e' per il motivo stesso che la morte non esiste ed e' per questo che non si può farne l'esperienza,(credo sarebbe assurdo fare esperienza di qualcosa che non e',casomai posso solo fare esperienza di cio che E') perché cio che noi riteniamo che sia morte,ma solo secondo la nostra definizione, sarebbe solo un "passaggio" ad un altro livello di "vita" se così ci si può esprimere…come il bozzolo che diventa farfalla o l'embrione all'interno della madre,in continuità simbiotica che scaturisce dalla vita stessa (ossia,cio che E') che si rigenera

anche sopra in risposta a sgiombo forse intendi la stessa cosa dicendo:
se riconosciamo che la preposizione "l'essente è nulla" è una contraddizione (e lo è), lo è in qualsiasi momento, non può esserci alcun momento in cui "questo essente è niente" non sia falsa, ciò che è è sempre, se il principio di non contraddizione deve essere rispettato.
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Vecchio 23-12-2015, 16.35.26   #43
Garbino
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Riferimento: Lettera sulla Morte

Lettera sulla morte

Scusate se intervengo nella discussione che trovo molto interessante.

X Maral

Nulla (ah, ah, ah, cominciamo bene! ) da eccepire sul fatto che l' individuo o soggetto non possa provare sensitivamente o avere esperienza sia della propria nascita che della sua morte. Alla nascita perché non è ancora esperienzialmente attivo e alla morte perché il cessare di esistere è un trapasso (poi vedremo verso cosa ) che l' individuo non può assolutamente provare a livello esperienziale.
Altra cosa se si ammette la presenza dell' anima intesa in senso religioso perché essa sicuramente ha esperienza di entrambe gli avvenimenti. Come agnostico io nego questa possibilità ma tanto valeva riportarla perché inerente alla discussione.

Naturalmente non sono d' accordo con Heidegger che fa risiedere nel nulla tutti i soggetti tranne che durante il corso della vita. Il nulla è e rimane un no-logos e perciò, sempre a mio avviso, neanche nominabile.

Sempre a mio avviso, si nasce e basta. Prima non si è se non a livello potenziale nei geni dei genitori con una possibilità di nascita infinitesimale.

Per quanto riguarda la morte, io credo, come ho già detto altre volte, che si cessa di esistere e basta. Non si va né si torna da nessuna parte. E' ovvio che ciò possa sembrare contraddittorio se interpretiamo l' essere vivente come essente. Evidentemente siamo qualcos' altro, o la contraddizione non esiste. Naturalmente non possiamo addentrarci così in profondità della logica senza ravvisare che le nostre teorie sono soltanto teorie, e nulla ( e ci risiamo!!! ) sappiamo di ciò che è la nostra realtà.

Possiamo supporre, criticare qualche teoria troppo dogmatica, ma non possiamo andare oltre. Ecco perché sono sempre molto cauto sul percorso di Severino. La logica, sempre a mio avviso, dovrebbe porsi dei limiti o si rischia di aprire una metafisica che su base logica potrebbe ammettere tutto e il contrario di tutto senza contraddirsi. E meno male che questa volta ho evitato il solito termine che però non voglio assolutamente più nominare.

Vi ringrazio della cortese attenzione.

Garbino Vento di Tempesta.
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Vecchio 24-12-2015, 11.13.44   #44
sgiombo
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Riferimento: Lettera sulla Morte

Originalmente inviato da Sgiombo:
Se qualcosa o qualcuno é ora può benissimo darsi che (non) sia stato (alcunché) in passato o che (non) sarà (alcunché) in futuro.

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Originalmente inviato da maral
Sgiombo se riconosciamo che la preposizione "l'essente è nulla" è una contraddizione (e lo è), lo è in qualsiasi momento, non può esserci alcun momento in cui "questo essente è niente" non sia falsa, ciò che è è sempre, se il principio di non contraddizione deve essere rispettato.
Constatiamo poi che anche fenomenologicamente noi siamo sempre presenti e viviamo solo questa presenza in cui costantemente ci troviamo a essere con tutte le memorie e le aspettative ora presenti al nostro esserci adesso. Questa costante presenza (che c'è anche quando ci si immagina il momento in cui non si sarà presenti o non si fu presenti) è la sola cosa di cui abbiamo costante reale esperienza.

La proposizione "l' essente (participio presente) é (presente indicativo) nulla" è certamente una contraddizione (allorchè, ogni volta che viene proferita).

Ma le ben diverse proposizioni "l' essente (participio presente) era (indicativo imperfetto, cioé tempo passato, nulla") e "l' essente (participio presente) sarà (indicativo futuro) nulla" sono altrettanto certamente non contraddittorie, coerenti, logicamente correttissime, dotate di significato.

Che il presente vissuto di istante in istante (nello scorrere del tempo) sia sempre e comunque presente nell' istante in cui lo é (e non prima né dopo) é una pura e semplice tautologia; essa effettivamente é la sola cosa di cui abbiamo costante reale esperienza certa.
Ma ciò non fa per niente del non essere più presente del passato e del non essere ancora presente del futuro delle contraddizioni
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Vecchio 24-12-2015, 18.36.15   #45
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Riferimento: Lettera sulla Morte

Ma cosa vuol dire per voi "cessare di esistere", supponendo che siamo confinati nella vita di un singolo organismo, e tralasciando ora per semplicità l'ipotesi della coscienza collettiva.
Io so cosa vorrebbe dire "cessare di esistere", ma voglio vedere se ci avete mai pensato, e se arriviamo tutti alla stessa conclusione.
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Vecchio 24-12-2015, 22.06.01   #46
maral
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Riferimento: Lettera sulla Morte

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Originalmente inviato da Garbino

Per quanto riguarda la morte, io credo, come ho già detto altre volte, che si cessa di esistere e basta. Non si va né si torna da nessuna parte. E' ovvio che ciò possa sembrare contraddittorio se interpretiamo l' essere vivente come essente. Evidentemente siamo qualcos' altro, o la contraddizione non esiste. Naturalmente non possiamo addentrarci così in profondità della logica senza ravvisare che le nostre teorie sono soltanto teorie, e nulla ( e ci risiamo!!! ) sappiamo di ciò che è la nostra realtà.

Possiamo supporre, criticare qualche teoria troppo dogmatica, ma non possiamo andare oltre. Ecco perché sono sempre molto cauto sul percorso di Severino. La logica, sempre a mio avviso, dovrebbe porsi dei limiti o si rischia di aprire una metafisica che su base logica potrebbe ammettere tutto e il contrario di tutto senza contraddirsi. E meno male che questa volta ho evitato il solito termine che però non voglio assolutamente più nominare.


La logica, caro Garbino, credo sia solo ciò che coerentemente implica il principio di identità, poiché il verbo essere, quando diciamo questa cosa è) semplicemente proclama l'identità tautologica assoluta (questa cosa è questa cosa, ossia questa cosa = questa cosa)
Ogni ente in quanto identico a se stesso lo è eternamente, ma ogni ente è pure, oltre che essente, in qualche modo esistente, ove esistente indica che si mostra, appare reciprocamente agli altri enti significandoli e venendone significato. L'essente può apparire solo come esistente nei suoi significati e le sue apparenze significanti mutano, sono sempre diverse, perché diversi sono i modi in cui si lega agli altri enti e, a un certo punto quell'ente non appare più, esce da questo cerchio dell'apparire (se vogliamo usare questa espressione severiniana che dopotutto è solo una metafora) dopo che a suo tempo vi fu entrato.
L'esistenza in tal senso contraddice radicalmente l'essenza, l'esistenza è cambiamento, l'essenza è eterna permanenza identitaria. Se aderiamo all'esistenza sembra di non avere altra strada che quella di considerare l'essenza un'assurdità che nega la pura evidenza, ma in realtà, poiché l'esistenza è il modo di manifestarsi dell'essenza (che al di fuori di essa non può mostrarsi) l'esistente coincide in tutto e per tutto con l'essente, si tratta del medesimo ente che in quanto è, è eterno, in quanto appare significando comincia e finisce, viene e passa oltre, sostituito da altri. Dunque la contraddizione tra la logica del principio di identità (o di non autocontraddizione) e la fenomenologia dell'apparire è tale solo se le manteniamo astrattamente separate. Ogni cosa si dà quindi nella sua ontologica eternità identica proprio e solo in quel nascere e morire che appare negare in tutta evidenza, alla luce di un pensiero che separa, questa eterna unità.
Non è un discorso facile, è molto più facile vedere la contraddizione che separa l'essenza dall'esistenza (la metafisica ontologica dalla fenomenologia esistenziale) e quindi sentirsi in dovere di credere nell'una o nell'altra, come se fossero principi opposti.

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Originalmente inviato da sgiombo
La proposizione "l' essente (participio presente) é (presente indicativo) nulla" è certamente una contraddizione (allorchè, ogni volta che viene proferita).

Ma le ben diverse proposizioni "l' essente (participio presente) era (indicativo imperfetto, cioé tempo passato, nulla") e "l' essente (participio presente) sarà (indicativo futuro) nulla" sono altrettanto certamente non contraddittorie, coerenti, logicamente correttissime, dotate di significato.
Che il presente vissuto di istante in istante (nello scorrere del tempo) sia sempre e comunque presente nell' istante in cui lo é (e non prima né dopo) é una pura e semplice tautologia; essa effettivamente é la sola cosa di cui abbiamo costante reale esperienza certa.
Ma ciò non fa per niente del non essere più presente del passato e del non essere ancora presente del futuro delle contraddizioni
Cosa sono Sgiombo, oltre a essere tempi grammaticali di verbi, passato e futuro? Sono qualcosa il passato e il futuro oltre a essere qualcosa che certamente non è (poiché il passato fu e quindi non è più e il futuro sarà e quindi non è ancora)? E il presente cos'è, alla luce di un passato che non è più e di un futuro che non è ancora? Può essere qualcosa? O à tutto? O è anch'esso niente?
Il punto è cos'è il tempo che tu invochi a giustificazione del divenire e dunque della evidentissima realtà fenomenologica di quel continuo nascere e morire che costantemente ci appare?
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Originalmente inviato da pepe98
Ma cosa vuol dire per voi "cessare di esistere", supponendo che siamo confinati nella vita di un singolo organismo, e tralasciando ora per semplicità l'ipotesi della coscienza collettiva.
Cessare di esistere è semplicemente (secondo significato letterale) il cessare di apparire di ogni ente in un determinato contesto che lo faceva apparire. Ma questo cessare di apparire in quel contesto che gli dava significato non significa cessare di essere, poiché nessun essente può cessare di essere, infatti esso è sempre proprio ciò che è.

Buon Natale a tutti

Ultima modifica di maral : 24-12-2015 alle ore 22.16.39.
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Vecchio 25-12-2015, 10.44.41   #47
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Riferimento: Lettera sulla Morte

Lettera sulla morte.

Intanto un Buon Natale a tutti e una Buona Fine d' Anno. Una dimenticanza nell' intervento di ieri a cui pongo riparo.

X Maral.

Non ho più dubbi, o almeno penso di poterlo affermare grazie alla tua chiarezza, che se si ammette l' esistenza dell' essere o essente, di ciò che è infinitamente ed imperituro non può essere che così.
Ma è a monte che io pongo il problema. La necessità che le cose stiano così , almeno a mio avviso, non c' è.

Ecco perché affermo che non sappiamo assolutamente come stiano le cose, e che potrebbero stare in un modo completamente differente.

Il fatto è che da diverso tempo, dopo essere stato uno strenuo difensore, amatore, ed osannatore della matematica e della logica, di sua derivazione, ho incominciato a dubitare che ci sia una diretta implicazione di un rapportarsi del mondo sia fisico che metafisico ( soprattutto quello metafisico ) ad esse.

Se non ricordo male invece tu sei di tutt' altra opinione ed è ovvio che si tenda a inquadrare l' argomento da angolazioni diverse. Ma poco male, anzi direi che è proprio ciò che rende il pensiero umano e la filosofia interessante. Come spesso anche tu affermi.

Come sempre con stima per un piacevole Natale.

Garbino Vento di Tempesta
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Vecchio 25-12-2015, 12.23.16   #48
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La logica, caro Garbino, credo sia solo ciò che coerentemente implica il principio di identità, poiché il verbo essere, quando diciamo questa cosa è) semplicemente proclama l'identità tautologica assoluta (questa cosa è questa cosa, ossia questa cosa = questa cosa)
Ogni ente in quanto identico a se stesso lo è eternamente, ma ogni ente è pure, oltre che essente, in qualche modo esistente, ove esistente indica che si mostra, appare reciprocamente agli altri enti significandoli e venendone significato. L'essente può apparire solo come esistente nei suoi significati e le sue apparenze significanti mutano, sono sempre diverse, perché diversi sono i modi in cui si lega agli altri enti e, a un certo punto quell'ente non appare più, esce da questo cerchio dell'apparire (se vogliamo usare questa espressione severiniana che dopotutto è solo una metafora) dopo che a suo tempo vi fu entrato.

Cerco di tradurre questa tua terminologia, da “linguaggio per iniziati” quale effettivamente è, nel linguaggio corrente (in particolare nella in lingua italiana comunemente parlata), ma non per questo privo di rigore logico: semplicemente comprensibile anche ai profani o “non severiniani”:

La realtà è costituita da quelli che chiami (enti intesi in quanto) “esistenti” (ciò che accade realmente).
Di ciò (che accade realmente) possiamo avere diretta, immediata esperienza (possiamo direttamente constatarlo; e dunque essere certi del suo accadere realmente) solo se si tratta di sensazioni ovvero apparenze fenomeniche.
Tuttavia secondo me questo non ci impedisce di ipotizzare che accada realmente anche qualcos’ altro da ciò di cui si ha diretta, immediata esperienza fenomenica o sensitiva (sensibile): per esempio sensazioni fenomeniche distinte, altre da quelle appartenenti all’ insieme di esse (all’ esperienza fenomenica cosciente) immediatamente esperita ed appartenenti invece ad altri, analoghi insiemi da esso diversi e con esso non comunicanti (in discontinuità); o anche “cose in sé” non sensibili (non sentite), non apparenti (letteralmente: non fenomeni) ma solo congetturabili (letteralmente: noumeni).

Ciò che denomini (ente inteso in quanto) “essente” (questo mi sembra l’ unico modo di intendere il significato di ciò che vai affermando) è il concetto, il pensiero (di qualcosa).
Esso è necessariamente reale -se reale- solo in quanto tale -in quanto pensato, oggetto o “contenuto” di considerazione teorica o di pensiero- e non necessariamente come evento reale (accadente indipendentemente da cosa inoltre si pensi o meno, di esso o di altro; che accada realmente inoltre che esso sia pure oggetto di riferimento concettuale o meno).
Il concetto pensato (e non riferentesi ad alcunché di reale) di “ippogrifo” è diverso da un cavallo reale (cui si riferisce il concetto di “cavallo”): i concetti di “ippogrifo” e di “cavallo” possiedono lo stesso “grado di realtà” (sono “reali allo stesso modo”, nello stesso senso), ma i cavalli realmente esistenti sono reali anche in un’ altro ben diverso e importante senso da quello in cui (non) sono reali gli ippogrifi.
Dunque ciò che dici degli (enti intesi in quanto) “essenti” (che Ogni ente in quanto identico a se stesso lo è eternamente) vale per “cose concettuali”, meri contenuti di pensiero o considerazione teorica in quanto tali, come il concetto di “ippogrifo” o quello di “cavallo” (allo stesso modo, nello stesso senso per entrambi), ma non per “cose reali”, come i cavalli (e non gli ippogrifi; casomai varrebbe per come sarebbero gli ippogrifi se per assurdo esistessero realmente: periodo ipotetico dell’ irrealtà).
Non vale per gli (enti intesi in quanto) “essenti” ovvero cose, fatti reali.
Vale nel pensiero (per i concetti che ne fanno parte), ma non nella realtà (per le cose e i fatti che ne fanno parte; e alle quali i concetti possono alludere, che possono indicare, denotare).
I fatti reali, contrariamente ai concetti che ad essi si riferiscono, che servono per pensare ad essi, predicare circa essi, eventualmente avere conoscenza di essi (che li denotano), possono essere e di fatto sono per determinati lassi di tempo e anche non essere e di fatto non sono per determinati altri, diversi periodi di tempo, precedenti o successivi (passati o futuri) rispetto a quelli per i quali sono e (limitatamente a questi ultimi!) non possono non essere.

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Originalmente inviato da maral
L'esistenza in tal senso contraddice radicalmente l'essenza, l'esistenza è cambiamento, l'essenza è eterna permanenza identitaria. Se aderiamo all'esistenza sembra di non avere altra strada che quella di considerare l'essenza un'assurdità che nega la pura evidenza, ma in realtà, poiché l'esistenza è il modo di manifestarsi dell'essenza (che al di fuori di essa non può mostrarsi) l'esistente coincide in tutto e per tutto con l'essente, si tratta del medesimo ente che in quanto è, è eterno, in quanto appare significando comincia e finisce, viene e passa oltre, sostituito da altri. Dunque la contraddizione tra la logica del principio di identità (o di non autocontraddizione) e la fenomenologia dell'apparire è tale solo se le manteniamo astrattamente separate. Ogni cosa si dà quindi nella sua ontologica eternità identica proprio e solo in quel nascere e morire che appare negare in tutta evidenza, alla luce di un pensiero che separa, questa eterna unità.
Non è un discorso facile, è molto più facile vedere la contraddizione che separa l'essenza dall'esistenza (la metafisica ontologica dalla fenomenologia esistenziale) e quindi sentirsi in dovere di credere nell'una o nell'altra, come se fossero principi opposti.

L’ esistenza (o accadimento) reale non contraddice affatto l’ “essenza” (o il pensiero del concetto di ciò che esiste o accade realmente o meno), semplicemente è un’ atra ben diversa cosa (che per non contraddirsi non va predicata come se si trattasse di esistenza reale, non va intesa come se fosse la stessa cosa e viceversa).
E infatti del tutto pacificamente semplicemente ciò che esiste realmente muta, trapassa dal non essere all’ essere e viceversa, mentre quella tutt’ altra cosa che è l’ “essenza”, ovvero il concetto, il pensiero di ciò che esiste realmente è sempre se stesso (in quanto tale, concetto, da tenersi ben distinto dalla realtà -l’ ente o evento reale- cui si riferisce).
Scusa, ma a me quello severiniano sembra un discorso “astruso”, piuttosto che non facile (un discorso può benissimo essere difficile ma non per questo non essere astruso o deliberatamente e ingiustificatamente “oscuro”, esoterico, bensì chiaro, essoterico).

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Originalmente inviato da maral
Cosa sono Sgiombo, oltre a essere tempi grammaticali di verbi, passato e futuro? Sono qualcosa il passato e il futuro oltre a essere qualcosa che certamente non è (poiché il passato fu e quindi non è più e il futuro sarà e quindi non è ancora)? E il presente cos'è, alla luce di un passato che non è più e di un futuro che non è ancora? Può essere qualcosa? O à tutto? O è anch'esso niente?
Il punto è cos'è il tempo che tu invochi a giustificazione del divenire e dunque della evidentissima realtà fenomenologica di quel continuo nascere e morire che costantemente ci appare?

Il presente è qualcosa (non è né niente né tutto).

Il passato è qualcos’ altro (non è né niente né tutto).

Il futuro è qualcos’ altro ancora (non è né niente né tutto).

Tutte cose (né tutto, né niente) reciprocamente non contraddittorie ma solo diverse (sarebbero contraddittorie se anziché qualcosa ciascuna di esse fosse ”tutto” oppure “niente” e contemporaneamente diversa da ciascun’ altra di esse: ma così non è!).


Il tempo è un aspetto imprescindibile del divenire delle cose (enti ed eventi reali; in quanto fenomeni: esse est percipi!) che immediatamente si esperisce (ovvero delle cose che immediatamente si esperiscono divenire).

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Originalmente inviato da maral
Cessare di esistere è semplicemente (secondo significato letterale) il cessare di apparire di ogni ente in un determinato contesto che lo faceva apparire. Ma questo cessare di apparire in quel contesto che gli dava significato non significa cessare di essere, poiché nessun essente può cessare di essere, infatti esso è sempre proprio ciò che è.

E qui secondo me l’ astruso linguaggio severiniano propizia assai la confusione fra realtà e pensiero:
nell’ ambito della prima (per quanto riguarda cose e fatti reali: enti in quanto “esistenti”) possono accadere e di fatto accadono il’ iniziare e il cessare (possono darsi l’ essere e il non essere, purché in lassi di tempo diversi), nel’ ambito del secondo (per quanto riguarda i concetti pensati e pensabili di cose e fatti: enti in quanto “essenti) può darsi solo l’ essere o il non essere in assoluto.
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Vecchio 25-12-2015, 16.38.44   #49
pepe98
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Intendo il fatto che tu, come essere cosciente, "cessi di esistere". Che implicazioni ha, nei tuoi confronti di essere cosciente, il cessare di esistere. Si dovrebbe arrivare ad una conclusione interessante.
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Vecchio 25-12-2015, 19.00.27   #50
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Ma cosa vuol dire per voi "cessare di esistere", supponendo che siamo confinati nella vita di un singolo organismo, e tralasciando ora per semplicità l'ipotesi della coscienza collettiva.
Io so cosa vorrebbe dire "cessare di esistere", ma voglio vedere se ci avete mai pensato, e se arriviamo tutti alla stessa conclusione.

Per me significa qualcosa di simile al sonno senza sogni (assenza di sensazioni fenomeniche coscienti) che si prolunga indefinitamente, per sempre.
sgiombo is offline  

 



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