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28-05-2012, 10.21.54 | #102 | ||
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?
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https://www.riflessioni.it/forum/filo...onoscenza.html https://www.riflessioni.it/forum/filo...ifferenze.html https://www.riflessioni.it/forum/filo...primitivo.html Non sono i soli argomenti dove parlo di coscienza e di conoscenza, ma si può partire da questi. Citazione:
Forse non mi sono spiegato. Tu avevi detto che lo spettacolo è in divenire mentre la coscienza è lo sfondo. Io ti ho chiesto di dirmi perchè non potrebbe essere vero il contrario. A quanto pare il contrario porterebbe solo a definire la coscienza come secondo livello (è un ragionamento che non ho nemmeno tentato di contraddire). Ma questo non significa che questa possibilità sia da scartare. Se io avessi suggerito che la mia coscienza è di primo livello, tu avresti trovato (forse) una contraddizione , ma io ho solo chiesto perchè è un vincolo pensare che lo spettacolo è in divenire mentre è necessario che la coscienza sia lo sfondo. Spero di aver chiarito. Ripeto e sintetizzo: qui l'argomento è incentrato nel trovare un rimedio ad un problema (angoscia del divenire) che io invece metto in discussione come "falso" problema. Addirittura per darci un'idea di cosa intendiamo per divenire proponiamo il concetto di movimento: mentre gli oggetti si muovono la coscienza sta ferma. Questa deduzione avrebbe bisogno di essere supportata da qualcosa di più profondo. Sarà anche vero, ad esempio, che registrare un oggetto in movimento significa oggettivare il movimento. Nello stesso tempo però sembra vero anche che sia la mia conoscenza/coscienza a muoversi registrando ogni istante di quell'oggetto. Se la mia conoscenza/coscienza fosse realmente ferma, non registrerebbe il tragitto dell'oggetto, ma forse solo un punto. La nostra conoscenza non è quindi passiva rispetto agli oggetti, o per lo meno non lo è sempre. A me sembra che si sia instaurato, al nostro interno, l'angoscia della passività rispetto al mondo esterno (deterministico). Ci viene spontaneo pensare che subiamo il mondo. Ma se fosse vero, la conoscenza non avrebbe alcuna influenza su di noi ne in senso positivo ne in senso negativo. Staremmo parlando di nulla... |
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28-05-2012, 12.00.45 | #103 | |||||||
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?
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Certamente sono d’accordo, infatti non ero io a problematizzare il significato di “coscienza”. Ma allora perché prendi spunto da una parte del mio discorso? Citazione:
Certamente quel che percepisco in due momenti diversi non ha lo stesso contenuto, in quanto altrimenti per definizione non ci sarebbe tempo e quindi momenti diversi. Aristotele queste cose le sapeva bene (Fisica, IV, 10, 218a), infatti la sua celeberrima definizione del tempo (Fisica, IV, 11, 219b) consiste nel conteggio di quello specifico mutamento che si mostra secondo il prima e il poi (stante che per Aristotele esistono anche altri sensi del mutamento). E altrettanto certamente variano le relazioni tra la coscienza e ciò di cui si è coscienti in momenti diversi. Ma cambia anche la coscienza, ovvero il contenuto comune dei due momenti diversi? Chiaramente no, perché se non si definisse ciò rispetto a cui il divenire diviene (e che quindi non può divenire), non ci sarebbe divenire. Il divenire non diviene a sua volta, così come il tempo non scorre, ma sono le cose a scorrere nel tempo. La coscienza è lo sfondo immutabile ed eterno che non può esser nato perché sarebbe dovuto essere già lo sfondo di quel divenire in cui consiste la nascita. E non può morire perché allora dovrebbe essere lo sfondo stesso di quel divenire in cui consiste la sua morte. Se qualcuno crede che questi siano sofismi, allora tenga presente che i sofismi non sono solo parole, ma ragionamenti (fallaci), e come tali possono essere smentiti da altrettanti ragionamenti che dimostrano o che il discorso si contraddice o che contraddice qualche suo imprescindibile presupposto. In assenza di confutazione, si hanno solo parole in libertà (quando non bassi insulti che fanno innanzitutto torto alla nobile arte di insultare). Ora, vorrei capire cosa c’entrano con questo significato originario della coscienza, le accezioni biologistiche o culturali della stessa, che presuppongono appunto il divenire della coscienza intesa come sfondo ultimo di ciò che si percepicse. Citazione:
Lascio volentieri che mediti sulle ragioni per quali, iniziando con “Forse…”, hai usato secondo me correttamente la forma ipotetica. Citazione:
Primo e secondo livello sono semplici modi di dire che stanno per assoluto e relativo, oppure per originario e derivato. Così va meglio? Se la coscienza è qualcosa che sta dentro il mondo e non viceversa, allora la verità del mondo è di qualità superiore alla verità che può cogliere la coscienza. Ma converrai che se questo è vero, e se è vero altresì che quella coscienza contenuta dal mondo non siamo altri che noi, allora questa verità pronunciata da noi sarebbe di qualità inferiore. Così come a sua volta sarebbe di qualità inferiore anche la nostra affermazione che le verità della coscienza sono di qualità inferiore e così via all’infinito. Se ne conclude che non è la coscienza ad essere contenuta dal mondo. Citazione:
Scusa, ma hai presente quanto credo che anche tu abbia letto di ciò che ho scritto sulla coscienza da un mese a questa parte? Non ti sembra che sia proprio la tua domanda ad essere un po’ gratuita? Comunque, prescindendo dal quello che ho già scritto in proposito e volendo farla brevissima, non credi che anche per smentire la frase che hai citato devi presupporre che la smentita non possa prescindere dalla coscienza che la pone? Non credi che per smentire l'imprescindibilità della coscienza, non si possa prescindere da quest'ultima? Citazione:
Il “vivente”, “biologico”, ecc. sono tutti contenuti che possono inerire alla coscienza secondo il tuo dettato, solo in quanto sono presi come contenuto e dimostrati dalla coscienza stessa, che dunque assume già per questo un significato più ampio ed originario di quello “vitalistico”, “biologistico”, ecc. ecc. E’ chiaro a questo punto che è vero che l’uomo crede ad un mucchio di cose e su queste generalmente si gioca tutto o quasi tutto, ma alla fine deve per forza di cose essere costretto ad attribuire ad esse il valore relativo che compete loro se non mostrano di essere verità assolute. Se non mostrano cioè di essere quel che l’uomo (che è il fondamento, cioè la verità ultima, di quel crede, sia esso giusto o sbagliato) già sa da sempre e talvolta se ne ricorda, ancorché sia offuscato dalla prevalente nebbia di innumerevoli e convintissime fandonie. Saluti. |
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29-05-2012, 10.00.02 | #104 | ||||
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Ti ringrazio dei link, mi saranno utili. Citazione:
Credo di aver capito dov’è l’equivoco. Così come la metti, non sembra esserci differenza se lo sfondo ultimo delle cose è la coscienza o un mondo inteso come ambito fuori da ogni coscienza. Se l’uno è di primo livello, l’altro è di secondo, e viceversa, secondo la terminologia che sto adottando inter nos. Allora, mi chiedi, dov’è la differenza? Mi sembrava fosse chiaro un assunto che pensavo fosse abbastanza esplicito nel nostro dibattito, e cioè che non è accidentale che, tra coscienza e mondo, uno dei due coincida proprio con chi sta ponendo tutti questi problemi (e che è la condizione di ogni problema in generale). A dirimere la primarietà di livello tra coscienza e mondo è proprio la coscienza che si pone questo problema. Ma questo non genera affatto un conflitto di interessi “trascendentale” laddove si consideri che sia di diritto la coscienza a doversi porre il problema e in generale ogni problema. Se il diritto fosse di un giudice terzo o in ogni caso non fosse della coscienza, questo diritto non potrebbe che essere affermato sulla base della stessa coscienza. Che dunque verrebbe giudicata da un giudice che riceve da essa il codice e l’ermellino. Non possiamo uscire da noi stessi altrimenti, non essendo più noi, non saremmo più né il “noi” che è uscito, né il “noi” di partenza. Come si vede non è solo un dato di fatto, ma è necessario, e fonda la necessità che il punto di vista della coscienza sia quello originario e preceda ogni punto di vista. Quindi dire che lo sfondo originario delle cose è la coscienza fa differenza. Come già ti accennavo, è vero che sia l’osservatore della meccanica quantistica sia il sistema inerziale di riferimento della relatività, sono punti di vista dai quali non si può prescindere nel dare senso all’osservazione, ma entrambi sono concepiti come punti di vista in mezzo ad altri punti di vista intercambiabili, essendo equivalenti tutti gli osservatori e tutti i sistemi inerziali di riferimento. Non solo, perché bisogna considerare che questa equivalenza è solo ipotetica (ancorché supportata da prove “interne” appartenenti alla conoscenza scientifica del momento), non potendosi escludere che vi siano osservatori o sistemi inerziali di riferimento che rispondano a leggi fisiche completamente diverse, sia perché quelle altre leggi appartengono ad un’altra “dimensione” della natura, sia perché sono leggi che, pur appartenendo alla stessa “dimensione”, sono superiori alle leggi note. Non è un semplice caso di somiglianza quello che, dopo la messa in crisi di un legame incontrovertibile tra linguaggio e mondo, ha reso equivalente e intercambiabile all’infinito qualsiasi definizione linguistica, così come nella scienza sono intercambiabili gli osservatori e i sistemi inerziali di riferimento delle misurazioni. Infatti, ciò che nella scienza rende intercambiabile gli osservatori e i sistemi di riferimento, è la quantificazione dei dati, cioè la parte matematica che è appunto il linguaggio formale delle teorie scientifiche. Citazione:
Oltre a rimandare a quanto poco sopra ho scritto in risposta a ulysse sulla necessità che non tutto della coscienza sia in divenire (e che non potevi aver letto perché mentre scrivevi non era stato ancora pubblicato) e oltre a rimandare naturalmente a quanto già scritto in questo post, può essere utile usare come metafora del movimento dello spettacolo e della coscienza, il movimento rispettivamente del Sole e della Terra, ancorché si tenga conto dei limiti di ogni metafora. Dalla Terra si vede che il Sole si muove, ma dal Sole si vede che a muoversi è la Terra. Gli uomini di un tempo avevano un ben dire che fosse il Sole a muoversi perché effettivamente non è un’illusione che, dal punto di osservazione della Terra, sia il Sole a muoversi. Il movimento del Sole dunque non è un’apparenza, come spesso si dice. Però si pensa che anche il movimento della Terra dalla prospettiva del Sole non lo sia perché anche in questo caso intervengono le stessi leggi del movimento, e si conclude con l’equivalenza dei punti di vista. Ora, fuor di metafora, dalla coscienza non si può uscire, quindi anche considerando l’ipotesi dell’equivalenza dei punti di vista, questa ipotesi andrebbe dimostrata sulla base del punto di vista della coscienza. Che quindi non è equivalente a qualsiasi altro, ma è quel sistema di riferimento assoluto (non semplicemente misurativo) che è alla base anche della stessa meccanica quantistica e della relatività che invece lo smentiscono. Citazione:
Non è che proponiamo, il divenire è movimento. E il divenire pensato da tutta la cultura occidentale è movimento di un certo tipo. Nella fattispecie è il movimento dal nulla all’essere e dall’essere al nulla da parte delle cose. Il problema del divenire (dell’Occidente) angoscia perché è il problema della morte, del diventare nulla, della distanza infinita e definitiva di ciò che muore, sia esso un congiunto, un cane, un’opera d’arte, un conto in banca, ecc. Il divenire inteso in altro modo, ossia ad esempio come apparire e scomparire di enti eterni ed indistruttibili che non sono isolati e distanti, ma in eterna compagnia di tutto ciò che compete loro, non genera alcuna angoscia. Oltre che in relazione all’uomo, il divenire è un problema teorico perché sembra presentare tutta una serie di contraddizioni le cui prime datano praticamente all’inizio storico della filosofia e che riguardano da vicino (o che propriamente consistono ne) il modo di intendere i rapporti tra identità e molteplicità. Saluti. |
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29-05-2012, 15.06.49 | #105 |
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?
Il movimento dal nulla al nulla non è l'idea fondamentale ispiratrice delle attività umanistiche e di quelle scientifiche,
La scienza meno che meno ed oggi più di ieri. Le "cose" cioè l'ente "appare", certo, dalle mani dell’artigiano, o della macchina utensile, o dal seno di una donna. Questo lapis, questo essere umano in verità sono trasformazioni: dal legno, da due cellule ... ed il legno da un albero e questo a sua volta da un seme e le due cellule a loro volta da altre cellule. E non si crede che scompaiano nel nulla. Il percorso da e quello a sono seguiti e registrati secondo l'attuale sviluppo delle scienze e questi due percorsi si spingono a perdita d'occhio senza soluzione di continuità. Nell'antichità e fino agli albori dell'epoca moderna erano i miti a sostituire ciò che non si conosceva: uno degli ultimi miti è stato quello della generazione spontanea. Lo stesso vale per il "destino" di ogni "ente", la "sorte", per dirlo in maniera prosaica, è il riciclaggio. Nelle scienze umane c'è una componente nichilistica ma non è quella prevalente. Bergson non è come Nietzsche, e neppure Kant, e neppure Spinoza e neppure Socrate ... ecc . ecc. . Voler ficcare tutti e tutto nell'etichetta nichilista è una evidente forzatura in nome e per amore della propria teoria. Oggi nel mondo siamo sette miliardi circa e la gran parte non è affatto "nichilista" e da ultimo neanch'io ... e non c'è filosofia che possa ipotizzare e, tanto meno, dimostrare il contrario. Ultima modifica di Giorgiosan : 29-05-2012 alle ore 17.48.40. |
29-05-2012, 19.20.23 | #106 | |
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Penso di saperle anch’io queste ovvietà, e penso che almeno tu dovresti sapere perché dico allora che il divenire occidentale è l’uscire delle cose dal nulla e il ritornarvi. Basta leggere anche solo qualche quarta di copertina dei libri di Severino che possiedi per capire che il divenire come diventar altro da parte delle cose (diventare albero da parte del seme, diventare legna da parte dell’albero, diventare cenere da parte della legna, ecc.) è il loro diventare nulla, e quindi è contraddittorio. Infatti, dov’è l’albero quando c’è il seme? E’ mica in qualche luogo che possiamo ragionevolmente supporre? No, risponde tutta la civiltà occidentale (culturale e non culturale, teorica e pratica, scientifica e non scientifica), esso è nulla! E dov’è lo stesso albero quando appare la cenere? E’ daccapo nulla! Per il divenire occidentale, l’albero comincia ad essere e finisce di essere. Cioè era nulla, poi diventa qualcosa, e poi ancora ridiventa nulla. Certo, secondo la scienza gli atomi o da ultimo la massa e l’energia si conservano, ma converrai che questi non sono l’albero, come l’insieme amorfo di tutti i ricambi di un auto non è un auto. La conservazione della massa e dell’energia non è solo qualcosa che la scienza sperimenta (o crede di sperimentare, dato che dipende in ultimo dalla precisione degli strumenti che sarà sempre variabile), ma è dovuta alla necessità che il divenire debba fare riferimento a qualcosa che non diviene altrimenti non è pensabile. Ora, il divenire della civiltà occidentale, inteso come uscire dal nulla e ritornare nel nulla da parte delle cose, presenta l’inconveniente di contraddire la verità fondamentale che l’essere non è il nulla. Infatti, prima di essere, l’essere è nulla, e poi ridiventerà nulla. Cioè ci sono due momenti in cui l’essere è il suo contrario. Parmenide, tagliando la testa al toro, rase direttamente al suolo l’esistenza stessa del divenire. Ma Melisso di Samo (Diels-Kranz, fr. 1), l’ammiraglio discepolo di Parmenide, si impegnò invece nel porre rimedio alla contraddittorietà del divenire che identifica essere e nulla, mediante il principio dell’ex nihilo nihil, stabilendo che le cose non si generano dal nulla, e cioè si generano sempre da qualcosaltro. Ma è chiaro che nella generazione, c’è pur sempre una parte della cosa che viene dal nulla e non può preesistere, altrimenti non si genererebbe nulla e la cosa intera esisterebbe già. E se a generarsi è solo una parte della cosa, ed è quella parte come parte della cosa solo quando esisterà la cosa, vuol dire che, prima di esistere, la cosa intera in quanto tale è nulla. Anche l’ex nihilo nihil fallisce ed è una violazione non meno grave della verità dell’essere. I saperi umanistici e scientifici non possono non avere al loro fondamento il divenire come uscire e ritornare nel nulla, perché altrimenti dovrebbero avere (e non hanno) il divenire alternativo di Severino che consiste nell’apparire e scomparire di enti eterni (stante che è eterno anche il comparire, lo scomparire, e il divenire non nichilistico come loro alternarsi). Ora, se (e poiché) l’autentico nichilismo è il pensare e vivere l’identificazione dell’essere e del nulla, non solo l’Occidente che pensa in senso estremo il non essere come nulla di nulla, ma ogni civiltà e preistoria mai apparsa è nichilistica, in quanto, anche se non pensa esplicitamente che le cose diventano nulla, pensa comunque le cose diventano altro, e quindi quell’altro in cui di esse non ne è più nulla. Saluti. |
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30-05-2012, 10.19.19 | #107 | |
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Il problema che sollevi è interessante, ma di difficile soluzione (e per alcuni, anche di difficile comprensione). Io ci ho tentato con questo argomento: https://www.riflessioni.it/forum/filo...ormazione.html Una delle domande che mi sono fatto: abbiamo bisogno di un informatore e di un informato o basta la sola informazione per creare entrambe le figure? Immaginiamo che l'informazione sia un ente. Poi prendiamo ad esempio il seme e l'albero come oggetti nell'atto di divenire. Trascuriamo la terra l'acqua, aria ed altri composti che vanno a incidere sulla "trasformazione" del seme in albero. Vedremo che tutta l'informazione dell'albero è implicita nel seme. E l'albero è solo una parte dell'informazione del seme. Sarebbe come prendere ad esempio il dna e l'essere vivente, sempre che il dna rappresenti quel che il seme rappresenta per l'albero. In base a questo discorso l'informazione non si distrugge, mentre le trasformazioni (dna-essere vivente, seme-albero) sono solo apparenti. Un albero è chiaramente per noi differente da un seme, ma da un punto di vista informativo non c'è alcuna differenza. L'albero rappresenta solo un particolare punto di vista del seme. Il divenire quindi, da un punto di vista informativo, è roba solo per profani della filosofia dell'informazione. Riprendo (per chi non l'ha letto) la definizione di informazione : il contenuto informativo di un messaggio è legato alla sua probabilità di mostrarsi entro un insieme di messaggi possibili: maggiore è la probabilità di realizzarsi, minore è il contenuto informativo. Quindi il messaggio meno probabile ha in sè la massima quantità di informazione. Prendiamo ad esempio il seme e l'albero. Se da quel seme nasce sempre lo stesso albero, la quantità di informazione contenuta nel seme è bassa. Se dallo stesso seme invece nascessero alberi di natura diversa, il contenuto informativo del seme sarebbe alto. L'ente/informazione non muta quindi nella trasformazione. Quel che noi vediamo è solo una parte di quest'ente. Ora la domanda iniziale si fa più intrigante. Chiarito che l'ente informazione non si distrugge e non muta, perchè notiamo le trasformazioni? Ad un certo punto appaiono due figure apparentemente losche. Una è rappresentato dall'informatore e l'altro dall'informato. L'informatore è più semplice da descrivere in quanto è impersonificato ora nel seme ora nell'abero. Abbiam visto che però la differenza fra seme ed albero è praticamente inesistente dal punto di vista informativo, il secondo (l'albero) è solo un particolare del primo (seme). I problemi sorgono quando dobbiamo descrivere l'informato, colui cioè che "coglie" codesta informazione. Secondo una certa legge della natura, nulla si crea e nulla si distrugge, quindi anche l'informazione non si crea e non si distrugge. Ma questo vuol dire che anche l'informato è insito nell'ente informazione? E' un grosso problema e la soluzione è difficile (almeno secondo il mio punto di vista). L'unico ragionamento che si può fare è questo: l'informato ha dentro di se i codici per riconoscere l'informazione, ovvero ha la stessa informazione che deve riconoscere. Siccome anche in questo caso il codice e l'informazione da riconoscere sono sostanzialmente la stessa cosa, o al massimo il codice è un particolare dell'informazione, avremo che per ammettere l'esistenza dell'informato, dovremo dotare l'ente/informazione di una speciale caratteristica che permette all'informazione di riconoscere se stessa attraverso questi codici. Praticamente abbiamo descritto, in senso informativo, la coscienza.... che è la stessa informazione base, ma con codici di auto-riconoscimento. Ad un certo punto, per sintetizzare, accanto all'informazione sembrerebbe nascere l'oggetto che rappresenta l'informatore e il soggetto che rappresenta l'informato. Siamo partiti però dall'unità: ente-informazione. Per l'informazione (ente), oggetto e soggetto sono della medesima sostanza informativa, quel che cambia è la qualità, ovvero il particolare "messaggio" informativo, proprio come è di qualità diversa il seme dall'albero. Normale sarebbe poter riconoscere la coscienza attraverso questi codici (che per semplicità chiamo codici). Pare che la natura però abbia donato all'informazione i codici autoreferenziali per conoscere se stessa, ma non ha pensato di creare codici per riconoscere i codici autoreferenziali. Forse la natura ha pensato di dare all'uomo la possibilità di accorgersi della sua esistenza, ma non ha pensato che l'uomo si sarebbe chiesto anche perchè! |
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30-05-2012, 16.28.37 | #108 | ||||||
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?
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Diventare altro non è diventare nulla. Dall'embrione all' infante, all'adolescente, giovane, adulto non è diventare nulla. C'è qualcosa che permane e qualcosa che evolve. E non è proprio il caso di dire "diventare altro", come se ad ogni momento della crescita non rimanesse quell'individuo, quella stessa identità. Come se si potessero indicare dei momenti, dei punti fermi nella crescita, per cui A cessa di diventare A ed il momento successivo è B. Si potrebbe anche applicare il paradosso di Zenone e concludere che l'essere umano non cresce mai. Non c'è soluzione di continuità nella vita Per me è chiaro, evidente ed inoppugnabile che A si modifica pur restando sempre A. L'ho già detto, se poni A, il seme dell'albero, allora non puoi porre B la pianta perchè così hai gia deciso a priori che essa pianta sia tutt'altro dal seme ... e che dimostrazione sarebbe? Poniamo A il seme ed Ac la pianta: possiamo dire che A permane e c la crescita lo modifica. Il fatto è che la logica è sciocca e il pnc è stupido quando si pretenda di fargli rappresentare la realtà e Severino è un sofista quando con un trucco da illusionista attribuisce alla logica la capacità di produrre contenuti. E lo si capisce dagli esiti delle sue deduzioni "logiche": la matita, il legno tagliato, la cenere, tutti gli occhiali Ray-ban, gli occhialetti che inforcavo da bambino e che ho rotto, le mie ciabatte, ogni molecola, ogni atomo, il sale da cucina che ho messo nell'acqua degli spaghetti De Cecco, gli spaghetti stessi ... sono enti eterni ... Citazione:
E dov'è il domani, oggi? Veramente la biologia dice altro, la chimica, la biochimica dicono altro, la genetica dice altro. A proposito di semi, alberi, piante, pomodori e prezzemolo se ti imbatti in un testo di embriologia vegetale, ti renderai conto dell'identità fra seme e pianta e dello sviluppo da seme a germoglio, da germoglio a pianta ... senza soluzione di continuità. Citazione:
I ciocchi di legna che introduco nella stufa hanno questo destino: nella combustione il legno solido scompare e si trasforma in prodotti gassosi, lasciando solo un po' di cenere. Questa deriva da altre piccole componenti del legno, che non bruciano e restano solide. Una reazione chimica è una trasformazione in cui si distruggono alcune molecole e se ne formano altre. (Per non citare wiki cito dal sito dell'università di Napoli ) La legna non diventa nulla ma qualcos'altro. Citazione:
Era nulla ?!? Non dice Parmenide che il nulla non è ? Non esisteva quell'albero prima di nascere. Non è però sorto dal nulla ma da due gameti se è un eucariota. Ed i gameti da piante della stessa specie in fase riproduttiva e quelle speci da altre speci ... e da molecole organiche ... e più genericamente dagli elementi della tavola periodica ... e più remotamente da uno stato quantico fluttuante della gravità. Questo dice all'incirca la scienza. Per la scienza ancor piu che per Parmenide il nulla non esiste...o come diceva il mio incolto vicino: " cun gnint uns fa gnint", con niente si fa niente. E sono certo che non ha mai neppure sentito nominare Parmenide. Citazione:
Un albero vivo ad un certo livello di organizzazione della materia è atomi, molecole organiche, energia chimica, flussi di corrente elettrica che escono ed entrano nelle cellule ( vedi anche potenziale di membrana). Una misurazione non può essere perfetta, non lo può necessariamente, ma quando prendi un areo le "quantificazioni" sono accettabilmente esatte perchè di fatto vola. Citazione:
Riferendoci anche solo all'Occidente in realtà il cosmo non esce dal nulla. Nelle cosmogenesi primitive lo si ritiene mitologicamente generato, mai proveniente dal nulla. Ed anche per la dottrina cristiana è, sì, creato dal nulla, (ma solo per la dottrina e non per la Bibbia, per questa esce dal caos), ma le anime sono in mente dei prima di essere create e la morte non porta e non è porta del nulla. Nella prima filosofia Occidentale (leggi greca):Talete vede l'acqua generatrice di tutto e crede che la Terra galleggi nell'acqua, per Anassimene è l'apeiron, cioè infinito e illimitato, per Anassimene è l'aria, per Eraclito c'è un flusso perpeto di tutto ... per i pitagorici i numeri, per Senofane tutto nasce dalla terra... ecc. Nessuno crede ad una origine dal nulla e tanto meno Parmenide. Il filo che Severino traccia per dire che l'Occidente è nichilista comincia secondo lui dalla interpretazione errata di Parmenide, dal dopo Parmenide per così dire e punti salienti sono Nietsche e Leopardi. L'Occidente non è solo Nietzsche e tantomeno solo Leopardi, e se questi sono nichilisti e se il loro pensiero è nichilista, essi non caratterizzano l'Occidente ma ne sono solo un aspetto. (Continua ... altrimenti il post è troppo lungo) Ciao Ultima modifica di Giorgiosan : 31-05-2012 alle ore 00.33.38. |
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31-05-2012, 11.46.10 | #109 | |
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La radice dello svolgimento del pensiero di Severino si coglie solo se si parte dalla sua interpretazione di Parmenide, e lo dovresti fare anche tu per potere assumere un atteggiamento intellettuale critico e non “ripetere” semplicemente quello che afferma Severino. Di dico questo non per spirito polemico ma perché la filosofia si fa così. Ovviamente potresti rimanere della stessa opinione, ci mancherebbe altro, ma sarebbe una opinione fondata e meno condizionata dall’affabulazione severiniana. S. ipostatizza, cioè attribuisce, secondo l’accezione moderna, uno statuto ontologico ad un concetto astratto. Per ontologico intendo una realtà sostanziale, reale, “concreta”. In questo senso sembra proprio che Parmenide considerasse il suo essere, tant’è che egli ne concepisce la forma che è quella sferica. Un frammento dei 19 che ci sono pervenuti recita: “ Ma poiché c’è un limite estremo, esso è compiuto, da ogni parte, simile alla massa di ben rotonda sfera, di ugual forza dal centro in ogni parte. ( Diels-Kranz, 28B8, vv. 42-44) Il suo essere non solo è sferiforme, ma limitato, perché ( pitagoricamente) assume che solo il finito è perfetto. Ora con Aristotele viene categorizzato essere , vale a dire che vengono analizzati tutti i modi in cui si “declina” il termine essere, un passo verso la demitizzazione del concetto parmenideo: essere non ha significato univoco ma equivoco, esprimendo significati diversi. Severino non prende in considerazione questo progresso e tanto meno gli ulteriori progressi del pensiero greco-occidentale. Ed ora faccio un salto: la mia opinione è che essere sia una idea, la più universale idea, se si vuole una idea innata ma direi, secondo la mia testa, una idea implicita in tutte le idee e, forse, in questo senso innata. Ogni punto del post è discutibile, ovviamente, ma sarebbe bene discutere un punto alla volta ed esaurientemente. Per ultimo ci sarebbe da dibattere anche l’assenza nel pensiero di Severino della dimensione morale o assiologia, qualunque sia la morale o i valori a cui ciascuno si riferisce. (Se vi va: http://www.youtube.com/watch?v=e8wR6cCO084 specialmente da 1,50 in poi, in cui Severino fa una considerazione ... simpatica.) Ora debbo andare. Ultima modifica di Giorgiosan : 01-06-2012 alle ore 08.08.57. |
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31-05-2012, 13.46.38 | #110 | |
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Lasciamo da parte il discorso sul modo in cui generalmente vengono intese l’informazione e le sue forme, sia perché le forme sono perlopiù interpretazioni come appunto il seme e l’albero, e non dati incontrovertibili dell’esperienza, sia perché è un’interpretazione che qualcosa contenga un’informazione, sia perché sono interpretazioni le trasformazioni delle forme e l’informazione come dato comune che si conserva, e sia perché è un’interpretazione che l’informazione venga sempre intesa come qualcosa in grado di trasformare essa stessa e le forme che la racchiudono come si pensa che accada quando si “trasferisce” nella coscienza e la “modifica”. Pur senza dare tutto questo per scontato, però possiamo reinterpretare lo scenario dell’informazione che passa da una forma ad un’altra (o anche da una forma alla coscienza) attraverso lo schema più essenziale e incontrovertibile di uno spettacolo che varia in riferimento ad una permanenza. Anche le informazioni (le permanenze) possono essere a loro volta forme di altrettante informazioni. Ad esempio, osserviamo la permanenza dell’umano nel bambino che diventa giovane che diventa adulto che diventa vecchio, ma poi quando il vecchio scompare, non c’è più anche l’umano come contenuto comune dell’intera sequenza. A sua volta l’umano, per scomparire, deve essere inteso come un’altrettanta forma di un’informazione più originaria che fa da permanenza ulteriore e per così dire di livello superiore. Quindi l’informazione in quanto tale non ha una permanenza eterna. Cioè non è “indistruttibile”, secondo il linguaggio che usi, ancorché non sia evidente che ciò che non permane più sia distrutto, cioè ridotto a nulla. Di che natura è l’informazione (o permanenza) ulteriore? Di natura più generale, di natura sintattica. Nella storia della filosofia c’è il famoso albero di Porfirio, che riproduce una classificazione dicotomica del creato partendo dai generi sommi, così come prospettata nell’Isagoge. Non è proprio originale, ma è stato un topos fondamentale della cultura medievale, e serve ad illustrare come dei significati ne includano altri, o li precedano, o ne siano l’antecedente, ecc. ecc. Presenta dei problemi non solo nel tipo di significati individuati, ma anche per il metodo dicotomico, o la metafora stessa della forma ad albero che pone dei generi sommi al vertice e delle individualità alla base, ma sono altre questioni che porterebbero troppo lontano. Mi è venuto in mente l’albero di Porfirio perché hai detto che quanta meno informazione ha un ente (o un concetto, un significato, ecc.), tanto più è probabile che accada, e viceversa. Il motivo presumo che sia la minore o maggiore presenza di quel concetto tra i predicati delle cose che accadono. Ad esempio, è chiaro che il concetto di “essere” è presente in tutte le cose, quindi ha la possibilità massima di realizzarsi in ogni accadimento. Viceversa per il concetto di “nulla” sarà il contrario. Nel linguaggio ancora in parte usuale della logica medievale, si direbbe che un concetto come l’”essere” ha la minima intensione (con la “s”) e la massima estensione, cioè è quello che ha bisogno di meno predicati per essere definito, e definisce il maggior numero di cose. In questo senso è il concetto primitivo per eccellenza. Ma la questione non è così “medievale” come sembra, e vediamo perché. Non è un caso che a partire dal momento storico in cui non solo si riconosce il ruolo fondamentale della costituzione della coscienza nel conoscere le cose (da Cartesio a Kant escluso), ma si conclude che è la coscienza stessa che in tutto o in parte costituisce le cose (da Kant a Hegel), non si parli più di pochi generi sommi (o al massimo uno solo) che racchiudono tutto, ma di strutture o sistemi del sapere o della ragione che sono, appunto in tutto o in parte, la struttura sintattica delle cose. Il passaggio fondamentale avviene con Hegel che rifiuta l’indistinzione generica tra soggetto e oggetto teorizzata da Schelling, e chiarisce che tale indistinzione è quella molteplicità strutturata che chiama “logica”. Ma al di là dell’excursus storico, voglio dire che l’albero di Porfirio va bene in un mondo in cui la coscienza non è altro che una cosa come le altre, ed anzi si collocherebbe addirittura verso la base dell’albero in quanto è associata all’individualità umana. Una volta riconosciuto però che il suo ruolo è imprescindibile, diventa imprescindibile ritrovarla nel significato stesso delle cose. Non si tratta cioè di domandarsi se nell’informazione risiede anche, in qualche forma, ciò che la decodifica, perché il decodificatore universale è la sintassi universale che essa comprende in sé tutte le cose, e in cui propriamente la coscienza consiste in quanto imprescindibile riferimento assoluto da cui non si può uscire. Se c’è qualcosa che permane sempre in ogni variazione dello spettacolo, in ogni passaggio di informazione da una forma ad un’altra o alla coscienza (ma già ogni passaggio da una forma all’altra è un passaggio dell’informazione alla coscienza), è lo sfondo imprescindibile costituito dalla stessa coscienza. L’informazione è propriamente la cosa stessa che appare, non come si pensa, qualcosa di intrinseco, implicito, mediato, da dedurre, rispetto a ciò che appare. E quello che si pensa sia la forma con la quale appare, è propriamente la modalità specifica in cui appare, non il trascurabile involucro da cui è possibile astrarre per ottenere secondo deduzione l’informazione intrinseca. Mi piacerebbe approfondire un po’ quest’ultimo argomento per chiarire quanto poco scontate siano alcune cose che sembrano indiscutibilmente parte del buon senso, ancorché il buon senso sia poi proprio una di quelle cose nientaffatto scontate ed indiscutibili. Ad esempio, su un piano appare un cubo. Esso appare con al massimo tre facce visibili. Che il cubo appaia mediante le sole tre facce visibili, non vuol dire che quelle tre facce non siano di un cubo. Esse sono la modalità specifica con la quale appare interamente ciò è proprio della definizione “minima” di cubo, altrimenti non potremmo dire che quelle tre facce appartengono ad un cubo. Certamente la definizione “minima” di cubo comprende l’avere sei facce, e quindi, si dice, non essendo possibile che appaia un cubo senza che abbia tutto della definizione “minima”, quando appaiono solo al massimo tre facce possiamo solo ipotizzare, non constatare, che appartengano ad un cubo, che quindi diventa l’informazione nascosta da decodificare (se c’è, naturalmente) rispetto alla fuorviante sembianza di ciò che appare. La quale sembianza, per come si presenta per se stessa, non può essere un cubo e va negata. Ora, questo è un tipico caso di quella contraddizione di tipo dialettico (Severino la chiama "contraddizione C") che né la logica tradizionale né le logiche contemporanee si sognano solo di immaginare che esista, ma spero in futuro di riprendere l’argomento. Se le tre facce visibili non bastano a definire “minimamente” un cubo, allora, si diceva, il cubo non è visibile ed è da dedurre, ma non sono allora visibili nemmeno le tre facce in quanto facce di un cubo. E non vale girare attorno al cubo, perché ad ogni giro si ripresenta la stessa situazione con al massimo tre facce visibili che non mostrano nessun cubo se non nell’ipotesi. Cioè anche se volessimo creare una sintesi delle esperienze fatte girando attorno al cubo, questa sintesi sarebbe solo una semplice giustapposizione arbitraria di esperienze perché queste ultime propriamente hanno in comune solo l’ipotesi di riferirsi a immagini visibili di un cubo che è sempre al di là, altrove. E’ necessario dunque che, se appartengono ad un cubo, le tre facce visibili appaiano insieme a tutto ciò che compete alla definizione “minima” di cubo e dunque insieme alle altre tre facce che mancano dal computo. E’ necessario che le altre tre facce appaiano, cioè, siano visibili anch’esse, ancorché secondo una modalità diversa da quella delle prime tre. Solo che l’apparire delle seconde (e l’apparire del cubo in quanto tale) non viene decifrato perché, nel tempo della vita e cioè dell’isolamento dei sensi delle cose dalla verità che fonda (la fede in cui consiste) la volontà di far diventare altro le cose, è destinato ad essere decifrato solo ciò che appare all’interno di quell’ente trascendentale che è appunto l’isolamento citato. Ancorché questo non voglia dire che, pur all’interno della dimensione dell’errore in cui consiste l’isolamento, la verità non possa in qualche modo apparire. Infatti, per quanto stiamo dialogando mediante il linguaggio (che è una delle forme eminenti dell’errore), è impossibile che tale linguaggio riesca ad offuscare del tutto la verità, cioè la negazione dell’impossibile. Ma questa, e la sua fondazione, naturalmente è tutta un’altra storia… Saluti. |
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