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24-05-2012, 19.13.05 | #92 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?
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Infatti sfugge il fondamento originario in base al quale affermi quello che affermi. Qualsiasi cosa affermi (quindi anche che è lo spettacolo ad essere fermo, mentre la coscienza si muove), la puoi affermare in base alla forma originaria di ogni affermazione in quanto tale. Ora, non è la coscienza, il tuo io, questa forma? Non è cioè la condizione ineliminabile che ti permette di affermare qualunque cosa e da cui non puoi uscire perché per definizione non saresti più tu? Non è la coscienza il riferimento fermissimo al quale tutto (dallo spazio infinito ai millenni del tempo) si relaziona quando deve essere affermato, anche nel caso si volesse tentare di prescinderne? Cartesio era meravigliato del metodo scientifico e dei risultati proficui che esso portava al contrario delle eterne discussioni degli aristotelici del suo tempo. Volendo trovare il segreto del successo della scienza, scoprì che mentre gli aristotelici ragionavano per deduzioni talvolta facendo leva anche sull’autorità, gli scienziati volevano verificare di persona. Ora, a noi sembra che, verificando di persona, gli scienziati operino qualcosa di scontato, ma non lo è, perché verificare di persona significa inserire il soggetto come elemento indispensabile del processo di conoscenza. Cosa che per Cartesio non facevano gli aristotelici. Quello di Cartesio è solo un esempio (tra l’altro basato su presupposti sbagliati, ma è un altro problema) di come anche la scienza si sia accorta dell’indispensabilità del soggetto. E se ne sia accorta già alla sua nascita, non in seguito in relazione a certi fenomeni subatomici. Certo la scienza non arriva ad aderire alla filosofia idealista che dice che il mondo è prodotto dal soggetto stesso, e tra l’altro l’aspetto che della scienza ho messo in luce non è affatto originale, perché è l’atteggiamento da sempre presente nella filosofia, tanto è vero che ripeto la ricostruzione di Cartesio è errata. Però, quel suo errore ha comunque permesso al filosofo di portare alla luce la necessità di approfondire una filosofia del soggetto come condizione di ogni filosofia delle cose, e dire “cogito ergo sum” (ancorché personalmente abbia molto da ridire su questo “ergo). Proviamo però a compulsare comunque, almeno per brevi cenni, la tua tesi (per nulla insolita al contrario di come potrebbe sembrare a prima vista) che vede fermo lo spettacolo che appare, mentre è la coscienza a muoversi, a divenire. Io chiederei innanzitutto se è lo spettacolo ad apparire alla coscienza o viceversa. Nel secondo caso sarebbe lo spettacolo ad accogliere la coscienza, alla maniera del realismo presente nel senso comune, nella scienza, e in varie filosofie. E quindi sarebbe lo spettacolo il luogo originario in relazione al quale poter affermare tutto l’affermabile, compresa la coscienza. Ma questo luogo, che è quello in cui innanzitutto appare qualsiasi cosa, non diventa in questo modo la coscienza originaria (cioè di primo livello), rendendo derivata (cioè di secondo livello) la singola coscienza di ognuno? E se la singola coscienza è una realtà di secondo livello e quindi produce conoscenze di secondo livello, che valore può avere quella conoscenza di ognuno che stabilisce che è lo spettacolo ad essere fermo e la coscienza a divenire? Saluti. |
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25-05-2012, 10.35.09 | #93 | ||
Ospite abituale
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?
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Difficile risponderti punto per punto. Dovrei prima focalizzare il mare di concetti e/o preconcetti interni alla tua analisi. Uno di questi concetti (che si vede benissimo, ha in se tutta una serie di pre-concetti da sviluppare) è quel che si intende per "singola" coscienza. Tu domandi: Io chiederei innanzitutto se è lo spettacolo ad apparire alla coscienza o viceversa. Prima di ogni cosa va detto che noi non sappiamo cos'è la coscienza. Sembra un controsenso, ma della coscienza non abbiamo conoscenza. Ma vorrei precisare che questo controsenso in realtà non è un controsenso. Quel che ci inganna è il concetto (pre-concetto) di conoscenza. Avevo sviluppato, in questo forum, una mia analisi su questo problema. Per conoscenza (e ciò che riguarda l'epistemologia) noi intendiamo, in modo principale, tutto quello che si può descrivere. Lo strumento usato per descrivere è il linguaggio. Ci sono però concetti che nascono nella nostra mente privi di una descrizione. Brevemente: la coscienza quindi conosce se stessa non attraverso una descrizione, quindi non attraverso il linguaggio, ma in modo immediato e autoreferenziale. Per cui la coscienza può al limite essere descritta come una conoscenza autoreferenziale. Questo paradigma è a circolo chiuso. Tutta la nostra conoscenza è autoreferenziale per la coscienza, benchè si ricorra spesso allo strumento del linguaggio per descrivere quel che in sostanza non può essere descritto sino in fondo. Preambolo necessario. Saltiamolo! Diamolo per scontato. Quando mi domandi se è lo spettacolo ad apparire alla coscienza o viceversa, ripercorri lo scenario cartesiano dove abbiamo lo spettacolo da una parte e la coscienza dall'altra. E' normale, appena gli enti incominciano a moltiplicarsi, pensare al "movimento" dell'uno rispetto all'altro. Tutto sommato lo hai dato per scontato tu inizialmente, defininendo il divenire come qualcosa che si muove rispetto alla coscienza (che sta ferma). Io ho solo ribaltato il tuo iniziale pre-concetto cartesiano sostenendo che se immaginassimo lo sfondo fermo, ricaveremmo una coscienza che si muove. Al massimo è il nostro concetto (pre-concetto) di movimento che ci inganna. Come fare a capire chi si sta muovendo? Avremmo bisogno (facendo riferimenti alla fisica relativistica) di un terzo osservatore, forse anche di un quarto e così via. Avremmo bisogno, in sostanza, di un riferimento assoluto, che non è la coscienza e nemmeno lo sfondo. Lasciamo perdere la fisica, ritorniamo al ragionamento. Tu parli di "luogo originario" facendo riferimento allo sfondo, ma anche alla coscienza, che in pratica diventano della stessa natura. Ma hai un sussulto (credo non ti piaccia) e controbatti (magari combattendo contro te stesso) sostenendo che la coscienza di ognuno a quel punto diventerebbe una coscienza di secondo livello. Siccome è di secondo livello: che valore può avere quella conoscenza di ognuno che stabilisce che è lo spettacolo ad essere fermo e la coscienza a divenire? Domanda che io infatti ti ho ribaltato. Se fosse vero che la nostra coscienza è di secondo livello, che valore avrebbe la tua tesi che sia lo spettacolo a divenire? Ne la tua tesi ne la mia avrebbe valore. E con questo forse ho raggiunto lo scopo. |
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25-05-2012, 11.49.59 | #94 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?
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Nell'ambito del concetto positivista di ordine e progresso si può arrivare a concepire insieme l'ordine (ciò che permane) ed il progresso (ciò che muta). Se si tengono uniti ordine e progresso si evitano le contraddizioni che derivano dall'identificare l'episteme separatamente nell'immutabile o in ciò che muta. Tale concezione positivista però conduce ad un sapere di tipo ipotetico (il sapere scientifico) e non ad un sapere assoluto ed incontrovertibile. Come in biologia un essere vivente tende all'adattamento senza riuscire mai ad adattarsi completamente , così l'uomo può tendere alla verità senza poter impossessarsene completamente. Ultima modifica di CVC : 25-05-2012 alle ore 20.34.58. |
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25-05-2012, 17.45.15 | #95 |
Ospite abituale
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?
Il positivismo di fatto conduce al materialismo cioè alla conclusione che esiste solo la realtà empirico materiale. L' esistenza umana, la coscienza, la mente devono essere dedotte dalla sola realtà materiale.
In realtà Compte personalmente arrivò a degli esiti diversi, "misticheggianti" è stato detto, che teorizzò nel suo ,Trattato di sociologia che istituisce la religione dell’umanità. Mutata mutandis il pensiero di Severino, assai più “misticheggiante” di quello dell’ultimo Comte, giunge alla conclusione che tutti gli enti sono eterni e che l’ente essere umano è destinato alla eterna gioia, oltre ogni eventuale sua aspettativa. Muove a questa meta partendo dalla sua interpretazione di Parmenide. Da credente questo suo esito filosofico strepitoso non mi è alieno, persino il tono entusiastico non lo è, come non lo sono talune espressioni : … Ma il cielo splende sempre al di sopra della sua testa. Lui crede di non vedere altro che i volatili, le migrazioni degli uccelli e magari pensa a un cielo e "Chissà mai quando mai lo vedrò! Chissà mai se lo troverò". No, il cielo è qui da noi. Noi siamo nel cielo. (http://www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=48) Da Parmenide, (interpretato da Severino), si biforcano due strade, l’una tracciata dal pensiero Occidentale (greco) che è già nichilista in nuce e quindi non può che svilupparsi come pensiero nichilista ed uno, il sentiero di Severino, che solo conduce all’autentica episteme, alla verità. Severino contro tutti. Basta il buon senso a far dubitare di tanta presunzione. Severino è stato molto prolifico nella scrittura e cogliere le contraddizioni dell’interminabile percorso è assai difficile, bisognerebbe averlo letto per intero e dopo avere compreso per intero tutte le concatenazioni logico-dialettiche, conoscere con precisione ogni lemma del suo lessico, ovvero il significato che S. gli attribuisce, lessico che ha volte è liberamente immaginifico, figurato. Chi lo ha fatto? Penso nessuno, all'infuori di S. stesso. Si può fare un tentativo, per esempio, di cogliere ciò che non convince all’origine del cammino e partire da Parmenide coinvolgendo anche i limiti epistemologici della metafisica. (Lessi, molti fa, un interessantissimo libro sulla metafisica (l’autore è francese ed è persuaso della validità del riflettere metafisco)) che criticava con grande acume alcuni luoghi comuni di questa. Per quanto l’abbia cercato, poi, non sono ancora riuscito a trovarlo.. ma non dispero. Non serve però solo ricordarlo.) Quando ho detto che si deve trovare nell’esperienza esistenziale e storica ciò che permane, non mi riferivo alla sfera materiale, perché in quel caso la tua considerazione sarebbe appropriata ma alla realtà fenomenica, ad una fenomenologia delle realtà non materiali, spirituali in senso ampio, senza scomodare in alcun modo Hegel, spirituali ma esperibili. Ultima modifica di Giorgiosan : 26-05-2012 alle ore 12.26.51. |
26-05-2012, 11.29.19 | #96 |
Ospite abituale
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?
Ritenere che in questo “mondo” sia eternità mentre il divenire non è altro che ciò che chiamiamo a manifestarsi dal cerchio delle apparenze significa avere costruito l’inferno in terra.
Non esiste l’oblio di un bimbo sgozzato, un’immagine che persiste come una colpa eterna , esiste la pena eterna del ricordo che non è nemmeno memoria essendo eterna è verità. E fra le verità di tutti gli essenti qual è i senso della verità se non proprio e solo l’eternità stessa? Perché noi stessi esseri coscienti , la nostra esistenza, siamo solo nel “fantomatico” cerchio delle apparenze .Tutto essendo determinato non ha origine e fine. Dov ‘è la gioia del divenire di Severino se non è concesso i divenire? E’ un indovino contradditorio? E’ tutta una contraddizione con a mio parere dei pericoli intrinseci nell’applicazione della teoria alla filosofia pratica, nei comportamenti individuali e sociali, perché tutto diviene derivato dalle verità che sorgono dagli eterni e in quanto tale giustificato: dov’ è la libertà, dove sta il bene e il male che senso ha essere buoni o cattivi ?Come quasi tutte le teorie novecentesche che ci hanno portato ad un oggi dove l’uomo cerca se stesso e un senso alla sua esistenza: con due guerre mondiali e ideologie di massa che hanno “spaccato il mondo” e fanatismi religiosi. Mancano principi universali che uniscano e non fantontologia. |
26-05-2012, 16.33.59 | #97 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?
Per evitare che in ogni tuo post "allarghi" sempre il "campo da gioco", ed in tanta diluizione il punto del discorso raggiunga concentrazioni omeopatiche,
frammenterò i tuoi interventi. Citazione:
Certamente sì! Il robot avrebbe l'intenzione che il programmatore ha espresso, non essendo il robot che una "protesi" del programmatore stesso, cioè predisposta a compier determinati atti e/o a reagire a determinati [i]stimoli dell'ambiente secondo programma. Da rilevare che la perfetta replica robotica di un essere umano deve avere soltanto valore analogico. Per definizione un robot non è un essere umano e di fatto nessun robot è un essere umano. Ultima modifica di Giorgiosan : 27-05-2012 alle ore 15.09.40. |
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26-05-2012, 17.53.10 | #98 | |||
Ospite abituale
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?
Citazione:
Peccato saltarlo. Non solo perché altrimenti non sappiamo di che coscienza stiamo parlando, ma anche perché darebbe modo di chiarire che l’autoreferenzialità (tanto spesso equivocata) non è una parolaccia. Spero di riprendere l’argomento in un altro thread, perché qui sarebbe OT come varie altre cose. Mi piacerebbe sapere dove hai parlato di “concetto (pre-concetto) di conoscenza” per capirne di più. Citazione:
Io spero che mentre pensi queste cose non ti venga in mente di smentire che vengano in mente allo stesso soggetto. Come auspico che confermando questa mia speranza, di conseguenza concluda da te “come fare a capire chi si sta muovendo”. In altri termini, e tralasciando la gratuità con la quale hai ipotizzato il contrario dell’assunto che mi ero impegnato a motivare (e che quindi non è “pre-concetto”), non mi sembra che tu abbia ancora ben presente che qualsiasi cosa possa essere affermato, lo è sulla base di ciò che è così imprescindibile che persino la sua negazione non può prescinderne. Cioè la coscienza. Se facessimo riferimento ad un osservatore terzo, quarto e così via, sarebbe sempre sul fondamento dell’osservatore originario (cioè primo). Se potessimo approfondire in un altro luogo, spiegherei che anche per la meccanica quantistica e per la relatività, non tutto dipende rispettivamente dall’osservatore o dal sistema inerziale di riferimento, in quanto entrambe pensano l’osservatore o il sistema inerziale di riferimento come una cosa tra le cose e non come il centro assoluto di ogni riferimento come sto spiegando che sia la coscienza. Tra l’altro se è vero che della coscienza in senso scientifico non sappiamo ancora molto, della coscienza in senso filosofico abbiamo invece una vastissima tradizione comune che data alle origini della stessa filosofia. Tradizione che va dalla “psyché”, all’”intellectum”, al “cogito”, all’”Io penso”, allo Spirito, all’”io trascendentale”, all’”esserci”, ecc. Chissà perché in genere si fa finta che questa tradizione non conti nulla, e che le nuove prospettive (specie quelle che intendono fare leva sulla visione scientifica) abbiano ragione di negarle senza perdere altro tempo. Citazione:
Tu domandi: “Se fosse vero che la nostra coscienza è di secondo livello, che valore avrebbe la tua tesi che sia lo spettacolo a divenire?”. Risposta certa: avrebbe un valore “di secondo livello”. Ma probabilmente hai perso il filo perché questa è la conclusione che deriva dalla tua tesi, di cui mi sono preso personalmente la briga di mostrarne le ragioni (cioè la non gratuità) dopo che mi era stata posta gratuitamente, trovando che quelle ragioni portavano alla conclusione che allora la singola coscienza di ognuno emette giudizi relativi. Conclusioni che sono certamente contraddittorie dal momento che diventerebbe relativa anche l’affermazione: “la singola coscienza di ognuno emette giudizi relativi”. L’unica forma originaria dell’affermabile in quanto tale e riferimento fermissimo in quanto nulla può prescinderne, è la coscienza. Sempre che per coscienza non si intenda la mente del povero comune mortale nato dalla polvere, diveniente, storico, caduco, contingente, transeunte, effimero, ecc. che l’uomo generalmente crede (di credere) di essere. L’uomo è molto di più di questo, cioè di questa credenza. Tra l’altro, in quanto anche Dio (quel Dio così come è definito da tutta una precisa tradizione storica) è una credenza, questo fa dire, ad esempio al solito Severino megalomane, che Dio non è troppo per l’uomo, così come pensa l’ateismo credendo che Dio soffochi coi suoi comandamenti, ma troppo poco, come è troppo poco qualsiasi credenza difronte a qualsiasi realtà. Oppure che è troppo poco anche un paradiso garantito da una promessa (ancorché divina) in confronto ad un paradiso destinato per diritto perché, sibi permissus, si è da sempre eterni. Saluti. |
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26-05-2012, 23.23.53 | #99 | |
Cioraniana Incrollabile
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?
Citazione:
eccomi di nuovo. ho riletto il libro, la frase che ho citato si trova a pagina 78. Le frasi "l'essere già stato del dolore non può avere riscatto...." a pagina 72. così come "dire che non è possibile riscattare il dolore significa che nessun evento può cancellare l'evidente esistenza del dolore" che devo aver citato in talti altri post, a pagina 71. per inciso, le trovo frasi geniali e "inconfutabili" tra tutti i libri che ho letto/consultato di e su Severino, sono le mie preferite. Le trovo vere, "eterne". |
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27-05-2012, 10.02.59 | #100 | ||
Ospite abituale
Data registrazione: 24-08-2011
Messaggi: 75
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?
Citazione:
Grazie, apprezzo molto che tu sia tornata in biblioteca per reperire gli estremi delle citazioni. Come presumevo, in quelle citazioni Severino non esprime il suo pensiero, ma commenta il celeberrimo discorso di Ivan e poi del Grande Inquisitore nei Fratelli Karamazov di Dostoevskij, per mostrare come Ivan porti, contro il fratello Aljosa, delle formidabili ragioni per affossare il vecchio Dio redentore della religione. Il discorso di Ivan è parallelo a quello che Severino ha fatto tante volte sui motivi del tramonto della tradizione filosofico-religiosa nella fede contemporanea che ci sia solo il divenire. Ivan dice di credere in Dio, ma non nel mondo, ma poi, inventando la storia del Grande Inquisitore, si vede che è tutto il contrario. Dio esiste ed è l’armonia, mentre il mondo è lo scandalo del dolore e la violazione dell’armonia. Il Dio della tradizione religiosa, intendendo riparare lo scandalo attraverso il perdono da parte del Cristo sofferente, invita tutti i sofferenti a perdonare sul modello del Cristo. E inoltre istituisce l’inferno per rimediare alla colpa dei peccatori non redenti. Ma, dice Ivan, se ci fosse redenzione, che ne sarebbe del dolore patito? Non lo si ridurrebbe a mera apparenza? (E, aggiunge Severino, non si ridurrebbe a mera apparenza anche la violazione della legge divina?) E l’istituzione dell’inferno, non costituisce un’altra violazione dell’armonia? Cioè il punto di partenza e il dato incontrovertibile è sempre il dolore, e affinché il dolore possa essere considerato come realtà vera (e ogni salvezza non è apparente nella misura in cui il dolore da cui ci si salva non è apparente), non ci può essere alcuna salvezza che redima e riporti l’armonia, perché l’armonia è la negazione del dolore. Il dolore rimane dunque “puro”. Il discorso parallelo di Severino riguardante il tramonto della tradizione filosofico-religiosa, sostituisce il divenire al dolore, e l’eternità che l’Occidente pensa “deducendola” dal divenire, a Dio e la sua armonia. Per il resto lo schema rimane lo stesso: l’eterno che l’Occidente evoca per giustificare e salvarsi dal divenire rende apparente il divenire stesso, quindi quel tipo di eterno non può esistere. Citazione:
Certamente Severino non è un amico dei presupposti del dolore, cioè dell’esistenza della volontà che ha come conseguenza sia il dolore specifico che accompagna i casi specifici in cui non ottiene quel che vuole, sia il dolore trascendentale che accompagna sempre la volontà come tale in quanto, essendo negazione della verità, è impossibilitata ad ottenere (e credere di ottenere) qualunque cosa voglia. Ma perlomeno è uno degli autori che più insiste nell’invito a conoscere bene e tutelare tutto ciò che nega la verità (e dunque a tutelare i presupposti del dolore), perché altrimenti non si comprende la portata di ciò che si afferma come vero. Il nostro tempo è il tempo del dolore estremo perché è orfano dei “rimedi” della tradizione e contempla il “rimedio” superiore della tecnica che però è ancora abbastanza in embrione. E’ il tempo del dolore più “nudo”, del “dato” puro del dolore. Una “nudità” e una “purezza” che sono virgolettate secondo lo stesso senso per cui hai virgolettato l’”inconfutabilità” delle frasi che hai citato. Saluti. |
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