ATTENZIONE Forum in modalità solo lettura Nuovo forum di Riflessioni.it >>> LOGOS |
08-02-2010, 15.02.17 | #92 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 30-09-2004
Messaggi: 2,009
|
Riferimento: Principio d’identità e sue possibili applicazioni (mente-cervello)
Citazione:
Non tenterò di mostrarti le incongruenza che relativamente al mio lessico, sono rilevabili nel tuo post. Mi rendo conto che il "dizionario filosofico secondo Il-Dubbio" è piuttosto originale. Dovrai quindi informarmi ogni volta sul significato che attribuisci ai lemmi che usi perchè io possa capire il tuo pensiero. Concludo la mia partecipazione a questo topic confermandoti il mio giudizio sul principio d'identità: una conoscenza autentica non è fatta di proposizioni tautologiche come la bicicletta è la bicicletta. Insomma con proposizioni in cui il predicato è identico al soggetto non si ha scienza come afferma Kant, o come afferma Hegel con ciò non è stato detto nulla. La prima nozione che è espressa col soggetto è sempre incompleta e deve arricchirsi via via di nuovi dati che sono espressi dai vari e diversi predicati. Quando il soggetto funge anche da predicato è unicamente in relazione con se stesso mentre per cogliere una qualsiasi realtà bisogna coglierla in ralazione col più vasto universo possibile rapporto che si prefigge sempre la filosofia. Peirce ha parafrasato così il principio d'identità: "continuiamo a credere ciò che abbiamo fin qui creduto, nell'assenza di ogni ragione in contrario" . Ultima modifica di Giorgiosan : 08-02-2010 alle ore 15.32.53. |
|
08-02-2010, 17.10.04 | #93 | ||||
Ospite abituale
Data registrazione: 03-12-2007
Messaggi: 1,706
|
Riferimento: Principio d’identità e sue possibili applicazioni (mente-cervello)
Citazione:
Fichte diceva: Con la proposizione A = A si giudica. Ma ogni giudizio è, secondo la coscienza empirica, un agire dello spirito umano, giacché possiede tutte quelle condizioni dell'atto nell'autocoscienza empirica che vanno presupposte, ai fini della riflessione, come certe e indubitate. A fondamento di questo agire sta qualcosa fondato su nulla di superiore, e cioè X = io sono. Veniamo alla questione. Fichte diceva che con la proposizione A=A si giudica. Ma che senso dobbiamo dare alla parola giudizio? Con il principio di identità si esprime sempre un giudizio? Veniamo ora al dunque: Io posso giudicare qualcosa esterna a me e presupporre che sia identica a se stessa, ma questo non è un giudizio evidente (ho affrontato questo discorso nei primi post. Leggere per credere). Se A=A lo pensiamo come un giudizio esterno è infatti dubitabile (lo ripeto, ho già affrontato questo discorso all'inizio del topic prevedendo il problema), ma quando io penso A non esprimo alcun giudizio su A dico una cosa evidente su A ovvero dico A. Allo stesso modo se dico che “io sono io” non esprimo un giudizio su qualcosa di esterno a me, ma faccio una riflessione (che poi mi ricorda molto il termine autoreferenziale) su di me. Non esprimo quindi alcun giudizio su di me dico una cosa evidente su di me. Tu puoi esprimere un giudizio su di me dicendo che “io sono io” ma senza alcuna possibilità di credere che questo giudizio sia altrettanto evidente come per me. Per te sarà una supposizione, per me è certezza. I piani di giudizio sono diversi, quindi li chiamerei in modo diverso, il primo lo lascerei "giudizio" il secondo soltanto "evidenza". Il problema di questa incomprensione è che tendiamo sempre a riferirci a qualcosa di esterno a noi, per me invece il principio di identità esprime qualcosa di evidente e l'evidenza non è un giudizio è solo un atto di auto-riconoscimento; ciò che noi pensiamo esterno a noi è invece dubitabile. Altrimenti nemmeno il principio di identità, posto in questi termini, sarebbe indubitabile e quindi non sarebbe nemmeno evidente. Per come ne parli, o ne parlate, sembra che esprimiate una supposizione tipo questa: esterno a me vi è un mondo a parte (mondo platonico) in cui vi sono tutte le idee. Queste sono identiche a loro stessi. Ogni volta che io penso ad A penso ad una A inserita in questo mondo delle idee. Quindi ogni volta che un uomo pensa ad A pensa all'idea di A identica a se stessa; perciò ogni A pensata dagli uomini è sempre identica. Questa è una bellissima supposizione ma rimane comunque una supposizione e come tutte le supposizioni è dubitabile. L'universalità (platonica) dei simboli rimane solo una buona supposizione. Alla base della nostra conoscenza io lascerei solo qualcosa di davvero indubitabile. Citazione:
Avevo già risposto sulle negazioni, per me la negazione non si pone sotto lo stesso aspetto di evidenza. Poi, comunque, tra parentesi dici: se penso A, Aè A (e fin qui siamo d'accordo) non possono non pensare ad A – Quest'ultima assomiglia invece più ad un giudizio (almeno secondo me). Se io penso ad A penso ad A, poi giudico (in un secondo momento) la mia riflessione su A come incompatibile con un'altra riflessione ovvero l'assenza di una riflessione. La cosa evidente però è soltanto una ovvero la riflessione principale: “penso ad A”. L'assenza di riflessione è senza senso (la negazione in questo caso non aggiunge nulla alla proposizione principale), non è un'informazione che possa reggersi da sola, quindi deve legarsi all'unica evidenza data dalla riflessione “penso ad A”. La non-contraddizione non ha senso quindi, non si pone su nessun piano di evidenza... Al contrario,come ho già detto, e ripetuto più volte, però, se io credo invece che l'assenza (quindi negazione) sia un dato evidente (indubitabile come per l'affermazione) allora sarebbe un'informazione da tener conto (risulterebbe una sorpresa in quanto il risultato sarebbe molto improbabile ma non evidentemente da scartare) , quindi la contraddizione sarebbe in linea di principio possibile. Citazione:
Citazione:
Ho sempre risposto alle obiezioni e dato tutti i chiarimenti possibili; padrone però di rimanere con le tue (a questo punto lo credo) pseudo conoscenze p.s. x tutti la cosa che risulta da questa discussione è che invece di mettere in discussione tutto, voi relazionate quello che già conoscete con quello che dico io. E' chiaro che se io dicessi qualcosa di nuovo sarebbe sbagliato in relazione a quello che voi già sapete. Ma l'analisi filosofica dovrebbe soffermarsi a riflettere sulla nuova tesi senza escluderla a priori solo in quanto non facente parte del vostro database. |
||||
08-02-2010, 17.56.17 | #94 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 30-09-2004
Messaggi: 2,009
|
Riferimento: Principio d’identità e sue possibili applicazioni (mente-cervello)
Citazione:
Desisto non perchè tu non abbia dato chiarimenti ma perchè sarebbe troppo lungo e temo anche inconcludente mettere in discussione quasi tutto quello che dici e non perchè non stimi la tua intelligenza ma per il modo "selvatico" con cui usi i termini. Magari sono d'accordo con te ma non me ne posso accorgere. Non si può non avere un database a cui fare riferimento (cioè quella che Gadamer chiama precomprensione e la dinamica del circolo ermeneutico che implementa la conoscenza.) E questo vale anche per te...solo che i nostri database non sono affini...tutto qui. Ciao (Non ho ancora capito dove vuoi arrivare con questo topic) Ultima modifica di Giorgiosan : 08-02-2010 alle ore 22.39.14. |
|
08-02-2010, 18.13.10 | #95 | |||
Ospite abituale
Data registrazione: 30-05-2008
Messaggi: 53
|
Riferimento: Principio d’identità e sue possibili applicazioni (mente-cervello)
Citazione:
Il principio di identità dice semplicemente che una cosa è determinata, è se stessa... e dicendo ciò non si sta esprimendo alcun giudizio, si sta soltando portando costatando... e la costatazione è un modo di evidenza: l'evidenza della nozione/idea/concetto/etc. Citazione:
1) idee/concetti/nozioni sono "cose in me"; e infatti il concetto è ciò che l'intelletto concepisce nell'esercizio della sua attività di pensiero: quando il pensiero pensa, pensa sempre qualcosa, e la cosa che pensa è concetto/nozione/idea (se poi il contenuto di questa idea -non l'idea in quanto tale- si riferisce a qualcosa "fuori di me" è un altro discorso; l'idea, per il fatto stesso di essere idea, è qualcosa in me, punto!... è, in fondo, la classica distinzione della logica: formale e materiale, ossia minor e major). Or bene, il concetto/nozione/idea è regolato dal principio di identità/determinazione: ogni concetto/nozione/idea se è qualcosa, è qualcosa di determinato, è "quella cosa lì"... il puro essere non è, è impensabile (e su questo punto Hegel ha delle pagine davvero illuminanti nella sua Logica). 2) Il principio di non contraddizione non regola i concetti, ma la connessione dei concetti stessi; in altre parole si regola le proposizioni, le quali proposizioni sono composti da concetti (il soggetto è un concetto, il predicato è un concetto... dunque, anche qui, soggetto e predicato sono cose in me); queste "cose in me", quando le "assemblo", quando le metto insieme, può succedere una di queste due cose: o affermo o nego, non posso affermare e negare contemporaneamente e sotto lo stesso rispetto, altrimenti (in forza del principio di identità che regola i concetti) non ho nulla da pensare e da dire. Il principio di non contraddizione è il principio di identità applicato ai giudizi/proposizioni/etc. Posso dire che "una cosa è un'altra" o che "una cosa non è un'altra", non posso dire che "una cosa è e non è un'altra" altrimenti annullo il giudizio.... e se voglio dare un senso all'ultima proposizione debbo specificare il significato dell'affermazione e della negazione (cioè affermazione e negazione non hanno lo stesso rispetto). Più facile di così non so dirlo! Citazione:
Anche io, cmq., mi ritiro dalla diatriba... la verità è come la luce (cito ancora Aristotele), purtroppo, spesso, siamo come i pipistrtelli: si accecano e non riescono a vedere lo stesso. Credo che qui stia succedendo la stessa cosa! |
|||
09-02-2010, 00.37.00 | #96 | |||||
Ospite abituale
Data registrazione: 03-12-2007
Messaggi: 1,706
|
Riferimento: Principio d’identità e sue possibili applicazioni (mente-cervello)
Citazione:
Citazione:
In questo evidenzio una nozione nuova: il principio di identità regola il concetto/nozione/idea. Non ho ben compreso però come lo regoli... ma ne prendo coscienza. La seconda cosa che evidenzio è che non ho capito assolutamente questo capoverso: "quella cosa lì"... il puro essere non è, è impensabile (e su questo punto Hegel ha delle pagine davvero illuminanti nella sua Logica).” Non so, ma mi viene da sottolineare una cosa importante: qui nessuno ha discusso sulle mie argomentazioni (le principali sono l'impossibilità della negazione e un problema legato alla filosofia dell'informazione). Anche emmeci si difeso dicendo che Hegel dice cose illuminanti ma non è riuscito a dirne una. Ho quasi timore di affrontare, io stesso, queste cose tanto illuminanti per paura poi di non saperne parlare. Nessuno ha discusso le mie argomentazioni (e questo è importante se si vuole discutere e no soltanto impartire lezioni), e le mie qui le ho scritte mentre non trovo scritto una sola parola illuminante di Hegel, o delle vostre argomentazioni contro le mie. Sarà....ma non capisco quale tipo di discussione voi abbiate in mente in un forum di filosofia. Citazione:
Nel momento in cui tu assembli le due “nozioni” (parliamo sempre di A e di B), come tu hai anche detto, esponi un giudizio. Quando esponi un giudizio tu hai già affermato qualcosa (per esempio il principio di non-contraddizione) quindi non è vero che non hai avuto nulla di pensare o di dire... hai già pensato e detto. Tu “supponi” di non poter pensare o dire qualora negazione e affermazione fossero contemporaneamente pensate. La supposizione però non è un segnale di evidenza, è bensì dubitabile. Questo è il punto! Non riesco, per il resto, a risponderti in altro modo poiché non si comprende il motivo per cui io non riuscirei a pensare o dire nel caso di contraddizione. Citazione:
Annullare il giudizio non significa non pensare. Citazione:
La verità è come la luce? Vallo a dire ad un cieco e senti cosa ti risponde Per fortuna invece che esistono i pipistrelli Comunque grazie per aver partecipato... le ultime sono solo delle battute ironiche con uno significato appropriato al tema, anche se mi aspetto che tu non comprenda nemmeno quelle |
|||||
09-02-2010, 10.04.31 | #97 | ||
Ospite abituale
Data registrazione: 03-12-2007
Messaggi: 1,706
|
Riferimento: Principio d’identità e sue possibili applicazioni (mente-cervello)
Citazione:
Nelle scuole elementari si insegna a distinguere un aggettivo da un nome. Il nome è quella cosa lì (per esempio Sole o Luna); la si indica, la si mostra, la si fa vedere; l'aggettivo invece indica la "qualità". Per esempio il "Sole è caldo". Quindi il Sole è un nome proprio di cosa; caldo è un aggettivo qualificativo di quella cosa lì. Se un bimbo non sa cosa vuol dire caldo (e ce ne sono) lo si porta davanti ad un termosifone acceso e gli si fa "provare" il caldo. Ecco quello significa caldo. Ma il Sole può anche essere piccolo o grande e per riconoscere le due categorie gli si mostra, gli si indica, gli si fa vedere una cosa piccola e una cosa grande. Il Sole è quella cosa lì che in italiano (non so in altre lingue), è un nome proprio di cosa. Il Sole però è anche una stella, ma la stella è un nome generico...cioè ci sono tante stelle, il Sole invece è solo quello lì. Da qui anche il concetto di "proprio". Citazione:
Per me basta avere ben in mente le nozioni base che impartisce da secoli la scuola elementare. Se non si hanno in mente nemmeno quelle è difficile comprendere dove voglio arrivare. Per esempio, riprendiamo l'esempio del Sole caldo. Può il Sole essere allo stesso tempo caldo e freddo? Si! Dipende a cosa viene paragonato, paragonato alla terra è caldo, paragonato ad una stella più calda è freddo. Gli scienziati si sono domandati per secoli cosa significasse la parola caldo, ma poi è risultata una parola che non ha la stessa valenza che ha per noi. Ha un significato diverso, che anch'io sorvolo per mancanza di spazio. Però queste categorie sono rimaste a distinguere cosa calde da cosa fredde in quanto soggettivamente sentiamo la differenza. Mi sembra che qui si sia arrivati a essere d'accordo con ciò che il principio di identità voglia dire a prescindere dalle parole che vengono usate. Non ci è stato accordo con le sue possibili applicazioni. Per esempio posso domandarmi se caldo è una categoria applicabile sempre ed in ogni caso. Sappiamo che non è così! In fondo noi viviamo le contraddizioni pur distinguendo le categorie. Ho parlato di mancanza di evidenza delle negazioni e su questo nessuno ha voluto parlare, e non mi sembra che abbia usato "termini" selvaggi per farlo. La mancanza di caldo (per esempio) è una categoria che non regge da sola. Non è evidente. E non so se c'è bisogno di essere pluri-laureati per comprenderlo e per discuterne... io credo che basti la sola conoscenza elementare. comunque se nessuno vorrà discutere su i miei argomenti vi lascio e vi saluto con questa citazione: il Carme 85 di Catullo (poeta latino) -Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior. (Carmina, LXXXV) Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia. Non lo so, ma sento che ciò accade, e mi tortura. |
||
09-02-2010, 20.54.57 | #98 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 30-09-2004
Messaggi: 2,009
|
Riferimento: Principio d’identità e sue possibili applicazioni (mente-cervello)
Citazione:
Ho scelto due proposizioni del tuo ultimo post. Per me, il loro significato è assolutamente indecifrabile e mi dispiace di doverlo dire. Una persona che spende parte del suo tempo in un forum di filosofia non può non avere simpatia per un altro che lo spende allo stesso modo. Ciao amico |
|
10-02-2010, 10.16.25 | #99 | ||
Ospite abituale
Data registrazione: 03-12-2007
Messaggi: 1,706
|
Riferimento: Principio d’identità e sue possibili applicazioni (mente-cervello)
Citazione:
Le mie proposizioni sono state queste: Per esempio posso domandarmi se caldo è una categoria applicabile sempre ed in ogni caso. Sappiamo che non è così! In fondo noi viviamo le contraddizioni pur distinguendo le categorie. Se non conosci il significato del termine calore è difficile comprendere. Non ti dispiacere, è normale basta chiedere Solitamente si dice che il calore è ciò che produce la sensazione di caldo (era l'esempio che si fa ad un bambino per mostrargli cosa significa caldo). Questa sembra una proposizione del tutto banale! Ma non è banale è inesatta! Esperimento: se lo stesso bimbo mette la mano destra nell'acqua fredda, prova una sensazione di freddo; se poi mette la sinistra nell'acqua calda sente caldo. E fin qui non c'è nulla di strano! Ma se successivamente lo stesso bambino mette entrambe le mani nell'acqua tiepida, la destra (prima fredda) sente caldo e la sinistra (prima calda) sente freddo. Quindi il termine caldo non è ciò che produce la sensazione di caldo. Non è cioè una "categoria" applicabile sempre ed in ogni caso! Comunque era solo un esempio. Ti stai attaccando solo a cose che non capisci... se vuoi il dialogo puoi chiedere spiegazioni su quelle cose che non comprendi o invece potresti soffermati sulle cose che comprendi. Oppure non rispondere... semplice! Citazione:
Quanta pazienza... Diciamo che mi auguro che tu spenda il tuo tempo nel migliore dei modi, ma allo stesso modo spero che tu abbia anche rispetto per il mio... |
||
10-02-2010, 15.21.35 | #100 |
Ospite abituale
Data registrazione: 03-12-2007
Messaggi: 1,706
|
Riferimento: Principio d’identità e sue possibili applicazioni (mente-cervello)
Solo per chi fosse interessato all'argomento (non c'è bisogno di contestarmi solo per il gusto di farlo) faccio un piccolo riepilogo su alcune risposte che ho dato e che forse si sono perse (non potrò, purtroppo,riepilogare tutto...avrei avuto piacere di dialogare sulla questione legata alla filosofia dell'informazione, ma a questo punto la ritengo difficile).
Prima però volevo puntualizzare e correggere una cosa da me scritta nel post precedente (ancora non pubblicato) a proposito di caldo e calore. Chiaramente il caldo è una sensazione, il calore è invece quella cosa li che mi permette di provare caldo. Sembrerebbe quindi che il calore sia quella sostanza che mi permette di sentire caldo. In realtà noi distinguiamo caldo da freddo ma la sostanza (che poi non è una sostanza) che sembra farci avvertire le differenze, non è divisibile. Detto questo... Incominciamo a mettere in evidenza alcune definizioni che, per carità, possono essere contestabili. Ma da qualche parte devo iniziare. Da wikipedia: In logica classica, il principio di non-contraddizione afferma la falsità di ogni proposizione implicante che una certa proposizione A e la sua negazione, cioè la proposizione non-A, siano entrambe vere allo stesso tempo e nello stesso modo. La domanda che ci si può porre è: cos'è una proposizione? Da wikipedia: Nella filosofia, nella logica e nella linguistica moderne, si intende per proposizione il significato di una dichiarazione. La presente voce si interessa del senso tecnico del termine, quello per cui ogni dichiarazione, quando espressa, suggerisce che una certa affermazione è vera. Anche qui c'è almeno una domanda che ci si può porre: cos'è un significato? Come si fa a capire che qualcosa abbia un significato? Il principio di identità esprime un significato? Ammettiamo di si. Se Il principio di identità è una proposizione che esprime un significato come si fa a ritenerlo vero? Altra domanda: che cos'è quindi la verità? A=A è vero? O è solo vero per supposizione? Le mie risposte. Ho tentato di affermare, in questo argomento, che A=A è evidente non che sia vero per supposizione (concretamente quando io penso ad A, A è A). Non emetto un giudizio sulla verità di A. Il mio è solo un atto di consapevolezza su A. Questo è ciò che ho affermato, e che voglio ribadire (dopo tante parole inutili che ho letto, si sarà perso) Vediamo cosa dice invece il dizionario filosofico di questo sito sul termine verità: Verità, dal latino verum ("vero"). In greco la verità è aletheia (a- come privativo e lèthe, "nascondimento", ovvero, "ciò che non è nascosto", "che è esposto allo sguardo"). La verità è la caratteristica di ciò che è vero, ossia di ciò che possiede le caratteristiche del proprio essere in modo incontestabile. Contrapposta all'opinione e alla fede, la verità si lega necessariamente al fatto di mostrarsi e rendersi evidente per la sua incontestabilità. La verità possiede quindi la caratteristica di essere valida universalmente in rapporto a qualsiasi situazione (contrariamente al concetto di opinione). La verità quindi dovrebbe essere valida universalmente. Nella definizione c'è anche una proposizione autoreferenziale: la verità è qualcosa che è vero, cioè qualcosa di incontestabile. Questa definizione andrebbe bene anche per il principio di identità (cioè è incontestabile); ma è ugualmente universale? Se fossi un egocentrico direi che la mia incontestabile evidenza è universale, cioè è evidente per tutti. Quindi il mio A è VERO perché è incontestabile ed è universale. Io però non sono egocentrico e ritengo A soltanto evidente, ma non vero universalmente. Anzi, non posso assolutamente ritenere la mia proposizione vera perché non ho evidenze di cose vere e nemmeno di cose false. Falso e vero sono, io credo, un'altra coppia di “categoria” che abbiamo creato successivamente come regole di linguaggio. Quindi quando esprimo A sto solo, e consapevolmente, esprimendo una cosa evidente non una cosa vera. Perché mi intestardisco a ribadire questo concetto? Cos'ha di differente una cosa evidente da una cosa vera? L'evidenza è ciò che consapevolmente io pongo davanti a me. Una cosa vera invece è una “categoria” a cui appartengono quelle proposizioni che si pongono come contrarie alle cose vere, cioè quelle che noi chiamiamo false. Io non posso sapere però a quale categoria collocare le mie povere evidenze. Anzi io dubito che oltre le mie evidenze ci siano categorie che distinguono cose vere da cose false. [E' come distinguere il male dal bene, il caldo dal freddo, la felicità dall'infelicità.] Le distinzioni, i contrari e peggio ancora l'idea delle negazioni, sono tutte dubitabile per non dire, spesso, inconsistenti, inesatte e sbalorditivamente stupide (anche se utili). La verità posso comprenderla se pongo dinanzi a me assiomi e regole da rispettare. Nel principio di identità non c'è nulla che io debba rispettare affinché possa dichiararla una proposizione vera, essa è soltanto evidente. Nel principio di non-contraddizione invece io ho aggiunto una regola (che è un divieto) che mi vieta di ritenere una proposizione vera e falsa contemporaneamente. Questa è una regola che deve essere rispettata. Una regola però è qualcosa che ho aggiunto all'evidenza dell'identità. La non-contraddizione si avvale quindi di una “regola” da rispettare, ma perde, per questo motivo, evidenza. La stessa negazione, poi, è soltanto una “regola” di linguaggio. Il principio di identità invece è il precursore (se vogliamo la spiegazione o giustificazione) delle regole del linguaggio. Dove voglio arrivare con questo argomento? Voglio arrivare a riportare tutto verso l'unità, li dove c'è solo divisione, categorie, inferenze, molteplicità, regole, assiomi. Il linguaggio è uno strumento per comunicare, mi sembra quasi di dire una ovvietà, ma ci sono cose che sono evidentemente tali anche se è impossibile comunicarle tramite il linguaggio. Sono appunto quelle cose lì... e ed è da li che traiamo ogni tipo di divisione, categorie, inferenze, molteplicità, regole e assiomi. Infatti poi spesso ci ritorniamo, filosoficamente e praticamente o scientificamente, a pretendere l'unità. Mentre sembra che le divisioni, le categorie, le inferenze, le molteplicità, le regole o gli assiomi siano all'origine della nostra stessa possibilità di comunicare. Chiaro, non pretendo di comunicare senza di esse, ma per una volta sarebbe meglio evidenziare anche che esse erano, in origine, unite dentro un unico contenitore che non ha ancora perso la propria identità. |