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28-01-2009, 09.33.03 | #53 |
Ospite abituale
Data registrazione: 10-06-2007
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Riferimento: Verità... inutile
Giorgiosan: considera però che il cercare la verità e non trovarla è per me non solo l’essenza della storia della filosofia, ma di tutte le specie di storia, anche se può essere inteso – ai livelli più alti - come un cercare il bene cioè il vero bene: vedo questo lampo nel neonato e forse anche prima, nell’aprirsi alla vita e nel suo ultimo spegnersi. E proprio perché non trova qual è il senso di questo fatale e precario sviluppo, il genere umano vive e aspira a un destino più grande di quello degli individui e dei loro incerti equilibri fra la vita e la morte – un respiro che si allarga ai popoli, alle epoche, alle specie che forse seguiranno la nostra….La storia non è una ricerca di verità? L’universo non è una ricerca di verità, se non altro nei limiti di un orizzonte degli eventi? Una piccola in una grande storia, un atomo nell’esplodere delle galassie, perché certo si arriva infine ad un buco nero, che è però ciò che dà significato all’esistenza della galassia così come l’agonia è ciò che dà significato al vivente (tanto per ricordare ciò che ha detto il filosofo Heidegger che hai citato).
Potrai dire che questo è un voler reintrodurre il concetto di fine là dove la scienza l’ha escluso, anzi un voler introdurre una fantasia religiosa in un’evoluzione che, come quella di Darwin, è palesemente laica. Può essere, fermo però restando che per me la fede ha un senso solo se sorpassa i dogmi di tutte le religioni puntando a una meta che è assolutamente vera anche o proprio perché non la si trova e non la troveremo mai. Ciò che è alla fine l’unica specie di divinità in quell’universo al quale lo scienziato punta il suo telescopio. |
28-01-2009, 15.17.47 | #54 | |||||
Moderatore
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Riferimento: Verità... o facezie?
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29-01-2009, 00.30.02 | #55 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 03-12-2007
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Riferimento: Verità... inutile
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Ma la sfortuna... esiste. Se per esistente diamo però il significato di "concreto", "solido", visibile" allora non esisterebbe (almeno secondo un certo tipo di paradigma); ma il concetto di sfortuna esiste ed è spiegabile in un paradigma deterministico. Se un uomo nasce sordo lo si deve alla sfortuna, ovvero al caso che ha oggettivamente privato l'uomo della vista. Se ci facciamo caso la privazione è assenza, quindi non sarà mai concreta e solida, il concetto però è vero anche se non è concreto. Questo per dire che la verità non è un concetto che si sposa facilmente con la concretezza o con la presenza di cose concrete. L'esperienza stessa non è la visione esclusiva di cose concrete e solide. Se dico che i dinosauri non esistono dico una cosa vera ma oggettivamente falsa? Forse, secondo logica, questa potrebbe essere un'affermazione vera ma oggettivamente non verificabile (o non dimostrabile), ma non falsa perchè non è concreto il concetto di assenza di dinosauri. La falsità di una cosa non concreta non posso garantirla. Non potendo garantire la falsità non posso nemmeno garantire la verità. La soluzione sarebbe quindi: "credo per fede" che i dinosauri non esistano. Se è inutile la verità lo sarà anche la falsità... se invece mi soffermo alla verità dell'esistenza delle sole cose concrete, allora io darò per scontato che esistano le cose che paiono attraverso la mia sola esperienza, ma non posso dare per scontato che esse siano esistenti "oggettivamente", poichè la falsità non può essere dimostrata in quanto nella mia assenza, alcuno può garantirmi che le cose che io vedo ora esistano senza di me... ciao |
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29-01-2009, 10.00.40 | #56 |
stella danzante
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Messaggi: 1,751
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Riferimento: Verità... inutile
Il Dubbio, spero non la prenderai come una cosa personale, ma sto invece tentando di portare avanti una mia personalissima battaglia, su un uso etico del linguaggio, etica linguistica e quindi tento di svelare i sofismi le fallacie argomentative e lo stravolgimento del senso delle parole facendo dire alle cose tutt’altro.
Bene davanti alla tua descrizione di sfortuna mi dai esattamente una delle possibili manifestazioni di sfortuna, come il nascere senza vista e allarghi il senso come se significasse solo questo, quindi sarebbe impossibile dire è vero che x non esiste. Non prendertela dunque se ti dico questo si chiama sofisma, sfortuna è infatti anche un esistentissimo vaso che materialmente cade in testa ad un passante sotto quel balcone, quindi parliamo anche di cose che esistono e che chiamiamo casi sfortunati. Ma in questo caso lo diciamo a posteriori, è una esclamazione sentenziare con che sfortuna! Come potrebbe esserlo una bestemmia, tanto parliamo sempre di cose che non esistono. Ma, intanto il mio argomento era per spiegare un concetto in filosofia del linguaggio -l‘indeterminatezza della traduzione- che era stato travisato, poi, si trattava non di assenza di causa, ma proprio di un determinismo, ovvero gatto nero causa di sfortuna. Ma a parte questo vediamo quanto sei davvero disposto a difendere l’esistenza della sfortuna, al pari di quella del sole, se iniziassi a non vedere più, e ti recassi dal tuo medico e quello ti dicesse: Oh, che sfortuna, evita di passare sotto le scale e le strade attraversate da gatti neri. Sei disposto a prendere seriamente queste prescrizioni come mediche piuttosto che cercare invece la causa reale, la verità sul tuo stato di salute? Se non stai difendendo la tua causa solo per partito preso e se vuoi un dialogo onesto allora dovrai convenire che ci sono cose vere e cose che non lo sono. Il tuo stato di salute non è tale solo per te che ne sei direttamente coinvolto, ma lo sarà anche per il tuo medico, e non si tratta di doverlo dimostrare perché è talmente evidente che si dimostra da sé. È un fatto, anche se avrà una sua sottodeterminazione teorica il fatto sovradetermina ogni teoria, il tuo stato di salute potrà essere giudicato dal medico anche in maniera sbagliata, con relativa diagnosi sbagliata, ma la teoria potrà essere sbagliata e quindi relativa,mentre il fatto continuerà ad esistere, tanto che magari cambiando medico si arriverà alla diagnosi esatta, ma qui entra però effettivamente in gioco la fede, meglio andarci coi santini e un cornetto rosso in strutture sanitarie pubbliche e private. |
29-01-2009, 13.37.33 | #57 | |
like nonsoche in rain...
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Riferimento: Verità... o facezie?
Citazione:
Coscienza dei limiti, riflettiamo su questo. Si tratta di sperimentare, Koli, per vedere di cogliere qualche buona intuizione; era Bertrand Russell che diceva che ogni buon discorso filosofico deve partire da premesse condivisibili da tutti e giungere a conclusioni assurde per chiunque... no? Beh, io mi adeguo. Ciao! |
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29-01-2009, 17.33.58 | #58 | |
Moderatore
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Riferimento: Verità... inutile
Provo ad inserirmi nuovamente nella discussione.
Innanzitutto, per evitare confusioni, mi concentrerei nell'affrontare la verità, lasciando perdere la morale, i dogmi e le scienze. Mi sento vicino a Koli per quanto riguarda il suo banalizzare, in un certo modo, la questione della verità. In sostanza, come sosteneva Strawson, io e Koli condividiamo che non c'è nessun problema a se stante della verità, a parte determinare il contenuto semantico che fornisce alle parole e alle frasi il significato (e il referente) che queste anno. Una volta che il problema del significato e del riferimento è risolto non rimane più nessun problema da affrontare. Questa visione porta Koli a sostenere, giustamente, che non ci si può sbarazzare facilmente della verità, anche perché la verità non è niente di così complicato come alcuni filosofi ci vorrebbero far crede, anzi, sotto un certo punto di vista, è tra le cose più banali. Citazione:
Ci sono un numero infinito di verità, delle quali noi conosciamo solo un piccolissimo numero. Questa mi sembra un'ovvietà, e non riesco a capire come si possa ancora appoggiare il relativismo ontologico (non parlo qui di quello epistemologico). Ormai sappiamo da tempo che il relativista (ontologico) si confuta da sé. Anche il relativismo culturale, sostenuto da Giorgiosan, è autocontraddittorio, tant'è che la maggior parte delle culture non crede in esso... Ma mi sento vicino, come idee, anche a Nexus, forse ancora più che a Koli. Con ciò mi sto riferendo a tutto quel parlare di schemi concettuali. Azzardo anche un'osservazione: se io e Nexus saremo bravi a sufficienza nello spiegarci, credo che Koli potrà apprezzare tale posizione e sostenerla. Il difficile nel sostenere questa posizione è che si posiziona esattamente tra l'assolutismo (ontologico) e il relativismo-anarchismo (ontologico): quindi dagli assolutisti si verrà accusati di relativismo, mentre dai relativisti si verrà accusati di assolutismo. Che situazione! Per spiegare tale posizione, incollerò un mio vecchio intervento qui di seguito. Io credo che il Pluralismo Concettuale sia la giusta via di mezzo tra due allucinazini filosofiche: il relativismo (anarchico) e l'assolutismo. Sostengo, in particolare, che il pluralismo sia lo sbocco naturale del (o forse coincide con il) Realismo Pragmatico -- o, come lo chiama a volte Putnam, un "realismo dal volto umano" o un "realismo ingenuo" --, che conserva molto della nostra concezione pre-teorica del mondo. Premetto innanzitutto che il mio pluralismo (e il mio realismo pragmatico) è preso in prestito da Hilary Putnam (o almeno da come io interpreto Putnam nei suoi ultimi scritti). Partiamo da Kant. Che ci disse, Kant, di estremamente importante nella sua Critica alla Ragion Pura? Disse una cosa semplice e lampante, cioè che quando noi descriviamo il mondo non stiamo facendo una mera copia di ciò che è là fuori. La descrizione del mondo è sempre modellata dai nostri schemi concettuali (Kant, per la verità, pretendeva di averli determinati tutti: in realtà, le categorie non sono fisse ed immutabili, anzi variano da contesto a contesto, col variare dei nostri interessi e scopi. Ma ciò è di secondaria importanza per l'argomento). E' per questo che esistono diverse prospettive, diversi modi di 'ritagliare' il mondo (e qui cade la visione di un'ontologia che ha come scopo quella di redigere un inventario del mondo fisso, ed indipendente dagli uomini). Wittgenstein direbbe che esistono diversi giochi linguistici, che riflettono diverse forme di vita, ma anche diversi interessi e scopi (pratici o teorici). E' per questo che molto spesso mi trovo a difendere la mente umana dagli attacchi di chi vuole ridurla a concetti fisici/chimici/biologici/informatici: esiste, per esempio, la visione della neurologia che ci parla del cervello e la visione agenziale (ossia quella che presuppone concetti intenzionali) che ci parla di persone. Non voglio parlare qui della mente, questo era semplicemente un esempio di che cosa intendo io per "Pluralismo Concettuale". Ma ritorniamo a Kant. Kant, oltre alla sua grande intuizione già accennata da me, fece anche un grosso sbaglio, quello cioè di aver fatto il passo più lungo della propria gamba: dopo aver scoperto che le nostre descrizioni sono modellate da schemi concettuali, non contento di questo, affermò che tali descrizioni non colgono la vera realtà, come il mondo è in sé stesso. Egli allora si chiese: qual è la descrizione delle cose come esse sono in sé? Questo quesito (il concetto di "in sè" o di "noumeno"), però, è senza significato, è vuoto. Infatti, chiedersi com'è il mondo in sé è privo di senso proprio come chiedersi come deve essere descritto il mondo nel linguaggio proprio del mondo (cosa del tutto assurda, naturalmente!). Il fatto è che esistono solamente linguaggi umani, che noi parlanti adoperiamo per i nostri svariati scopi. Che la nostra descrizione del mondo non è una copia totalmente neutrale -- andando così contro all'assolutismo e alla teoria della verità come corrispondenza -- lo si può dedurre dalle tesi che ormai, al giorno d'oggi, sembrano essere pacificamente accettate dai filosofi (ango-americani, ma non solo): la conoscenza dei fatti presuppone la conoscenza delle teoria, e, viceversa, la conoscenza delle teoria presuppone la conoscenza dei fatti; la conscenza dei fatti presuppone la conoscenza dei valori, e, viceversa, la conoscenza dei valori presuppone la conoscenza dei fatti. Già basta questo per comprendere che non c'è una descrizione metafisicamente neutrale, non esiste il "fatto bruto" a cui far corrispondere una "descrizione bruta". (ecco che finalmente mi sono liberato totalmente dalla verità come corrispondenza ) Prendiamo un caso semplice. Gettiamo a caso dei sassolini a terra. Ora dobbiamo descrivere ad un amico la loro disposizione. A seconda dei nostri scopi specifici, adotteremo diversi metodi di classificare i sassolini (e se non abbiamo uno scopo preciso, adotteremo un metodo arbitrario, ma mai non ne utilizzaremo nessuno): per adiacenza, per grandezza, per colore, per peso, per lucentezza, etc., etc., etc....... Io scelgo di descrivere la configurazione dei sassolini seguendo qualche criterio per adiacenza (magari andrò da sinistra a destra, e dall'alto verso il basso, come a leggere un teso, perchè non avevo nessuno scopo specifico; o magari, essendo un esperimento di qualche genere, sceglierò un ordinamento per peso). Bene, ora il mio amico mi dice "va bene, tu mi hai dato una descrizione della disposizione dei sassolini che riflette i tuoi schemi concettuali (hai adoperato uno schema di ordinamento), ma non hai dato una descrizione di come i sassolini sono disposti in sé, in realtà non so come essi sono disposti!". Ma ha veramente senso l'obbiezione rivoltami dal mio amico? non credo proprio, infatti perchè mai ciò che dico dovrebbe essere in qualche modo parziale (nel senso di 'mancante di qualcosa')? Perchè mai il mio amico dovrebbe sentire che nella mia opera di descrizione manca qualcosa? Da questo esempio ci è chiaro che: 1) le nostre descrizioni sono modellate dai nostri schemi concettuali (e questi, a loro valta, dai nostri interessi e scopi, generali e locali); 2) che non c'è niente di male, né di misterioso nel punto (1), anzi non si capisce proprio che significato abbia pretendere una descrizione priva di concettualizzazione. Il pluralismo ammette diversi punti di vista (i modi di catalogare i sassolini), tutti ugualmente leciti, (e in questo è simile al relativismo anarchico), ma ammette che, scelto un punto di vista (catalogare per adiacenza) vi siano descrizioni migliori di altre, cioè vi siano criteri di oggettività (e in questo è simile all'assolutismo). |
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30-01-2009, 08.10.33 | #59 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Verità... inutile
Citazione:
A me pare, che il tuo post, se ho capito bene, mostri una impostazione che in linea generale mi trova d'accordo. Quello che intendo dire non vuole toccare i temi dell'assoluto, sul quale tema le convinzioni di ognuno sono le più diverse, né la validità o meno della metafisica, ecc. ecc.. In definitiva non vuole affrontare il problema della verità o della realtà. Prendiamo un tema come la cultura. Cos'è la cultura? Inutile dirti, perchè lo sai bene, che trovare una definizione consensuale, è impresa utopica. All'interno di tradizioni culturali sembra di poter trovare un minimo comune denominatore ma se scavi appena un poco, il consenso si frantuma nuovamente. Con la stretta vicinanza, poi, di molte più culture, quello che si può chiamare globalismo culturale, "la babele delle lingue", rende anche un minimo convenire culturale estremamente difficile, per non dire impossibile. Aprioramente impossibile; allora ci si può affidare ad una verifica a posteriori: Vero, oggi, può essere considerato ciò che dà luogo a conseguenze pratiche soddisfacenti, relativamente alle esigenze vitali ed esistenziali più profonde degli individui. O come espresso da Albert : … ciò su cui tutti non possono fare a meno di concordare o ciò su cui si può trovare un consenso generale perché ogni essere umano, di norma, cerca il soddisfacimento delle proprie esigenze vitali, e tutti concordano su ciò che le può soddisfare. Vale a dire: se la prova o la dimostrazione, di una qualsiasi verità non può essere accettata perchè carente in qualche modo, non rimane che quel consenso espresso sopra. Vedere le eventuali possibili conseguenze pericolose di quei criiteri non può certo bastare ad inficiarli. C'è fose una qualche attività dell'essere umano che non comporti rischi? Ciao |
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30-01-2009, 10.17.03 | #60 | |
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Riferimento: Verità... inutile
Citazione:
Se intendi contradditorio sul piano logico come sembra contradditorio, per esempio, "vietato vietare", perchè si ammetterebbe e si negherebbe allo stesso tempo, formalizzando il disorso, fai una operazione inadeguata. Il principio di non contraddizione, qui, è inadeguato. Esempio: sono un sovrano e vieto ai miei guardiacaccia di vietare la caccia alla volpe. Vietato vietare la caccia alla volpe. Non ha senso parlare di contraddizione in cui sarebbe incorso il sovrano. Questo per dire che formalizzare il linguaggio non sortisce alcunché come se si volese tentare di fare entrare in un bicchiere, il mare. Ciao Epicurus |
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