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13-01-2009, 03.22.16 | #72 | |||
like nonsoche in rain...
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last chance...
Scusate, ma tutto ciò con la presente discussione che c'azzecca?
°°° Per me è importante la singola analisi dei passi concettuali con cui giungiamo alle nostre credenze, che siano scientifiche, filosofiche o religiose. Dunque non faccio domande per spirito di contraddizione, ma per comprendere come giungiamo ad esse. Citazione:
Citazione:
Questa la mia tesi: è anche possibile non sposare appieno la precedente visione (l'approssimazione), continuando ad asserire che la “mappa” di Newton sembra più limitata di quella di Einstein in certi campi d'applicazione; in altri, invece, risulta molto più preferibile: ecco che ciò ci impedisce di pensare ontologicamente che Einstein sia più vicino alla verità della natura perché, anche se non te ne rendi conto, pensare alla scienza come approssimazione sempre migliore verso "qualcosa" (natura fenomenica?) è nient'altro che una credenza meta-fisica ovvero attiene alla filosofia personale d'ognuno, per quanto la ritieni razionale. Vedi, il punto sta in ciò che metafisicamente pensiamo sia l'oggetto delle teorie scientifiche. E ne pensiamo sempre qualcosa coscientemente o inconsciamente, su questo non sarò mai d'accordo con te, poiché a me pare palese che questa tua affermazione seguente, ad esempio, nasconde in sé una precisa filosofia personale che riguarda la fisica: Citazione:
Saluti... |
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13-01-2009, 08.48.20 | #73 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Sui fondamenti della scienza
Citazione:
Una cosa alla volta. Riguardo a Kant trovo piuttosto imbarazzante (per te) aver giudicata cogente parola tua) “ La critica della ragion pura” che dici di aver letto. Deve essere per l’interpretazione personalissima che ne hai dato e che mi piacerebbe conoscere. Ti riporto un brano della Prefazione di Kant alla II edizione della CRP: "Ho dovuto dunque eliminare il sapere per fare posto alla fede. Il dogmatismo della metafisica, cioè il pregiudizio di poter progredire i essa senza una critica della ragion pura, è la vera fonte di ogni incredulità, in contrasto con la moralità, che è sempre spiccatamente dogmatica. Se dunque con una metafisica sistematica composta seguendo la critica della ragion pura, può essere per l’appunto non difficile il lasciare un legato alla posterità; certo però non si tratta di un dono spregevole Il valore di tale dono risulterà tuttavia massimamente quando si metta in conto l’inestimabile vantaggio, di porre un termine per ogni tempo avvenire a tutte le obiezioni contro la moralità e la religione e ciò in modo socratico, ossia mediante la più chiara dimostrazione dell’ignoranza degli avversari. " G. Colli, Immanuel Kant, Adelphi, Milano 1995 Pag. 33-34 Senza considerare che per capire gli argomenti kantiani bisognerebbe conoscere Wolff e gli empiristi. Hai letto direttamente anche questi o hai assunto l'interpretazione di altri? Quando si parli di filosofia (quella storica), ma anche di scienza non si può fare a meno di affidarsi anche alla interpretazione di qualcuno. Considerando, anche, che per la trasmissione del sapere è necessario attingere a numerose sintesi...e la sintesi è interpretazione (per esempio la sintesi filosofica che fa Geymonat è molto diversa da quella che fa Reale ). Conclusione Anche tu interpreti sempre e ti servi di interpretazioni. ciao |
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13-01-2009, 19.01.19 | #74 | |
Lance Kilkenny
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Riferimento: Sui fondamenti della scienza
Citazione:
esatto, la distinzione tra metafisica e scienza è sul piano epistemologico più assoluto insussistente, in quanto l'assunto per cui piccole conoscenze parziali verificate in quanto riproducibili siano l'unica forma possibile di conoscenza effettiva è nient'altro che una costruzione convenzionale, una mappa dell'idea di reale e non una mappa del reale.Significa banalmente che se utilizzo quella mappa non potrò trovare che oggetti rilevabili da quella mappa e però non potrò affermare che quelli che la medesima non rileva non esistono, ma solo che la medesima non è in grado di provarne l'esistenza.Nessuno può dimostrare oggi che la scienza - per costituzione - non sarà mai in grado di trovare un'equazione di dio o della fede in dio, magari fra 500 anni.Quanto è metafisica oggi non è escluso da nessuna teoria scientifica che debba esserlo anche in futuro. |
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13-01-2009, 22.05.56 | #75 |
like nonsoche in rain...
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Qualche altra citazione sul carattere della scienza (IN TEMA!)
<<Lo scienziato che rifiuta di confrontarsi con la filosofia finisce per adottare inconsapevolmente una filosofia scadente, che può anche danneggiare il suo lavoro, come avviene oggi a causa dell'accettazione inconsapevole della filosofia di Democrito. L'unica filosofia utilizzabile per la fisica delle particelle sarebbe invece quella di Platone.>> (Heisenberg – Fisica e filosofia)
<<L’esperienza è l’unica sorgente di verità per il fisico e per tutti: soltanto i singoli fatti della scienza sono certi, in quanto compiuti. Ma questi non fanno scienza, perché un cumulo di fatti è tanto poco una scienza, quanto un mucchio di pietre una casa.>> (Henry Poincarè - La scienza e l’ipotesi) <<I concetti vengono inventati da noi: nessuno dirà che i concetti e le verità scientifiche provengano da una rivelazione soprannaturale. Non possiamo quindi cercare la spiegazione di un concetto qualsiasi all’infuori e indipendentemente dal quadro delle nostre sensazioni ed esperienze al di là del quale il concetto stesso neppure esisterebbe.>> (Bruno de Finetti - L’invenzione della verità) <<Chiamare col nome di ‘realtà empirica’ quella parte delle nostre impressioni che dipendono esclusivamente e immediatamente dalle nostre sensazioni è una convenzione di linguaggio che siamo liberissimi di fare, e la intendiamo stabilita. Allora possiamo dire ‘oggettive’ quelle proposizioni che riguardano la realtà empirica.>> (Bruno de Finetti - Probabilismo) Da http://www.swif.uniba.it/lei/rassegna//000912a.htm <<La scienza dimentica facilmente il proprio passato, tende ad interpretarlo alla luce del presente, sulla base del "paradigma" del giorno; si finisce così per veicolare l'idea che la scienza proceda in modo lineare e cumulativo, da antichi precursori a futuri eredi. Ma, se proviamo a leggere gli scritti scientifici del passato inseguendone la coerenza interna e nel loro contesto culturale, scopriamo che non sempre gli antichi concetti si riferivano alle stesse realtà a cui si rivolgono oggi. E' come se, prima di Copernico o di Einstein, si guardasse il mondo in modo diverso da oggi, si vedesse un'anatra là dove noi vediamo un coniglio, per riprendere la figura ambigua, resa nota dagli studiosi della Gestalt e ripresa nelle Ricerche filosofiche di Wittgenstein. Proprio questi mutamenti percettivi, questi slittamenti di significato, ci impongono di riconoscere l'esistenza di rivoluzioni scientifiche: la storia delle scienze è percorsa da fratture, da discontinuità, e la variazione di un paradigma trasforma i fatti stessi presi in considerazione (l'energia e la materia non sono più la stessa cosa dopo Einstein)>>. °°° Mi fa piacere leggere altrove idee molto simili alle mie. Ho trovato in particolare, nel mio errare, questo articoletto che parla di un libro di Bruno Latour, conosciuto sociologo della scienza francese; si intitola “STATI IPOTETICI DELLA CONOSCENZA - Le teorie scientifiche come rappresentazioni che consentono l'orientamento nel mondo" da http://www.swif.uniba.it/lei/rassegna/991113b.htm. Non condivido alcune conclusioni arbitrarie tipo che “La natura diventa l'arbitro finale solo una volta che la controversia è risolta: la natura risolve solo le tesi già risolte”, ma molti altri passi invece sono in linea con quanto penso: <<L'odierna tecnoscienza non ha fatto che accrescere la capacità degli scienziati di lavorare con immagini e rappresentazioni: "Noi ci facciamo immagini del mondo", diceva il Wittgenstein del Tractatus, riproponendo un tema caro a Hertz, al neokantismo e a Boltzmann. E' a questa tradizione che si richiama Giovanni Boniolo, in Metodo e rappresentazioni del mondo: "un'altra filosofia della scienza" (recita il sottotitolo) - Bruno Mondadori, L. . 32.000 - rispetto al neopositivismo, suicidatosi in uno sterile formalismo, e agli annunci postmoderni della riduzione della scienza a semplice strumento d'azione. Le teorie scientifiche sono rappresentazioni (Bilder) ipotetiche del mondo, costruite (gehildet) dal soggetto, mentre modelli ed esperimenti mentali sono rappresentazioni funzionali, strumenti concettuali, dei "come se", diceva Vaihinger. [...] La teoria non è descrizione vera o approssimata del reale, ma rappresentazione che consente, in via provvisoria, di rendere conto dell'insieme dei fenomeni e di orientarci in esso (si veda "Sul significato delle teorie" in Modelli matematici, fisica e filosofia. Scritti divulgativi di Ludwig Boltzmann - a cura di Carlo Cercignani, Bollati Boringhieri, L. . 35.000); e il suo essere finzione va inteso in senso etimologico, costruzione, messa in forma, in cui gioca la libertà inventiva dello scienziato. Più che al mondo della logica, l'epistemologia dovrà allora prestare attenzione al "mondo della vita"; la fiducia, la difesa dogmatica delle proprie tesi, l'aristotelica prudenza, il ricorso alla filosofia personale, cioè all'insieme delle credenze infondate che guidano i ricercatori, sono fattori ineliminabili del fare scientifico. Il che impone di rinunciare all'epistemologia presuntuosa che prescrive norme ai ricercatori, come se si potesse chiedere ad uno scalatore di seguire i passi della danza classica, diceva Feyerabend. […] Da questa prospettiva, i fatti consolidati, le macchine sofisticate o le teorie accolte non appaiono come verità indiscutibili; vediamo semmai un universo dominato dall'incertezza dove gli scienziati, nei loro gruppi di lavoro, decidono, sono in competizione, si impegnano in controversie, fanno propaganda e pubblicano articoli per cercare fondi ed alleanze, usano tecniche retoriche per rendere credibili ricerche dagli esiti ancora incerti (si veda la magistrale ricostruzione dell'avvento del pasteurismo che Latour ci ha fornito in I Microbi, Editori Riuniti). Senza questo lavoro "impuro", un fatto non viene accolto dalla comunità: ma un fatto non è qualitativamente diverso da una finzione, solo nel corso del processo collettivo di discussione si sedimenta ed assume forza venendo incorporato in articoli. Che una teoria corrisponda alla realtà non è questione che un metodo possa risolvere: se uno scettico volesse aprire la "scatola nera" delle scienze sarebbe rimandato ad una catena che non ha al suo termine la natura, semmai il laboratorio, cioè iscrizioni, rappresentazioni visive, dispositivi di registrazione. Ed è lo scienziato a porsi come portavoce, interprete ufficiale di quanto è leggibile nei grafici e nelle tracce lasciate dall'esperimento. […] Lo scienziato vittorioso potrà dire che la natura sta dalla sua parte, mentre l'errore dell'avversario (di Pouchet che rimane fedele alla generazione spontanea, contro Pasteur) sarà attribuito a ragioni ideologiche o a pregiudizi. […] Luigi XVI inviò Lapérouse a tracciare una mappa completa del Pacifico; per scoprire se l'isola di Sahkalin fosse unita all'Asia o separata da uno stretto, chiese aiuto agli indigeni i quali con disegni confusi cercarono di tracciare una mappa di quel territorio. I risultati della spedizione furono inviati in Francia, dove a poco a poco si raccolsero mappe e carte geografiche (analoghe alle collezioni degli zoologi nei musei di scienze naturali) che consentirono agli europei di dominare a distanza il mondo reale, lavorando sul mondo di carta e a scala ridotta. Ciò che cambia rispetto ai "primitivi" è il progressivo accumularsi delle mappe; ed è questo il meccanismo comune alle scienze naturali e a quelle umane.>> |
13-01-2009, 22.08.33 | #76 |
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Sommario
Una volta giunti a questa idea, a mio parere più "realistica" del procedere scientifico, rimane intatta la questione sul motivo profondo, dunque sull'interpretazione, di questo progressivo accumularsi di mappe (alcune delle quali hanno un grado di precisione sperimentale che appare straordinario) e di cosa ciò implica per il carattere della conoscenza umana. Poiché se l'attività di indagine del mondo può essere considerata, in qualche senso ragionevole, costruzione del mondo e se si ammette, come argomentato, che più teorie scientifiche forniscono (o hanno bisogno di supporre) differenti ed ipotetiche rappresentazioni o visioni del mondo, allora l'attività conoscitiva dell'uomo appare generare una pluralità di "mondi", come sperimentabili in una data epoca ed in un dato contesto socio-culturale; la scelta dell'uno o dell'altro si baserebbe, dunque, su criteri legati a tali contesti o legati ai bisogni tecnologici dell'uomo nei suddetti contesti.
Ecco, a questo punto, che siccome la mente umana sembra abbia bisogno di immaginare esistente una realtà tutto sommato coerente ed unitaria al di fuori di sé, "oggetto" del proprio studio (scientifico, artistico, filosofico, religioso, etc.), dunque una realtà da cui scaturiscano tutti quei "mondi" prodotti, allora (la mente) tende ad adottare la convenzione meta-fisica che il "mondo", la realtà o "natura" sia una, unica ed al di là delle nostre percezioni, anche se questa è appunto solo convenzione o credenza inconscia che non tiene in ragionevole conto come l'uomo pervenga alla conoscenza di ciò che chiama "natura". Rimane da indagare su tali circuiti inconsci e come questi siano legati al nostro modo di ordinare le molteplici percezioni in un tutto coerente ovvero, ad esempio, come siano legati all'esperienza (quanto primitiva?) dello spazio, da cui scaturisce la geometria, e del movimento, da cui scaturisce l'aritmetica ed il tempo. Ad esempio, l'immagine intuitiva di realtà che ci costruiamo da piccoli, in cui impariamo a muoverci ed a percepire il nostro corpo in relazione all'ambiente, è adatta a rappresentare la geometria dello spazio in cui viviamo ogni giorno (che sappiamo non essere più un "a propri") la quale è nota essere, entro piccoli errori sperimentali, "piatta" o euclidea. Tale constatazione non dovrebbe essere, alla luce di quanto detto, più straordinaria del fatto che un padre ed un figlio si possano comprendere ovvero la famosa frase di Einstein sul fatto che è straordinario che la natura sia intelligibile simboleggia solo una "vecchia" ed inconscia immagine della conoscenza umana del "mondo", in cui uomo e mondo siano entità separate ed aliene e l'uno sia stato gettato per caso nell'altro e non conoscenza umana come evento, atto in cui ciò che percepiamo come "uomo" e ciò che percepiamo come "natura" sono fusi in un rapporto inscindibile, questo sì in gran parte indecifrabile e misterioso. Saluti |
14-01-2009, 03.55.44 | #77 | |||
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precisazioni
Citazione:
°°° Tutti i metodi che si vorrebbero pretenziosamente calare dall'alto per guidare la pratica dello scienziato sarebbero proprio uguali a quelli per disciplinare l'attività creativa di un artista: lo scienziato opera tranquillamente bene senza un rigido regolamento che lo guidi a monte; sa bene di poter arrivare ad un'ipotesi, ad un'idea in qualsiasi modo voglia, anzi è bene si esplorino territori considerati “irrazionali” o “assurdi” (quello che faceva proprio Bohr, ad esempio) poiché potrebbero non esserlo e sa pure bene che dovrà descrivere procedure per sottoporre a prova sperimentale le sue idee... e poi ancora sa che dovrà lottare con i colleghi per difendere i suoi modelli, sa che disobbedirà a Popper nel fare ipotesi ad hoc per non rivoluzionare lo status quo teorico finché reggerà, etc... etc...! In effetti, so che il dibattito contemporaneo si è spostato da trite questioni di metodologia ad analizzare, invece, le affermazioni, i fatti scientifici, un po' come si sta facendo qui. Trovo affascinante l'idea che l'impresa scientifica, come altre imprese conoscitive, possa considerarsi processo creativo di rappresentazioni ipotetiche di realtà e non il migliore in assoluto dei metodi per "aderire" alla realtà o giungere alla “verità” naturale; magari alla "natura" sono più vicini gli artisti o Henry David Thoreau quando affermava: "Andai nei boschi per vivere con saggezza, vivere con profondità e succhiare tutto il midollo della vita, per sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire, in punto di morte, di non aver mai vissuto". Con questa consapevolezza, che è coscienza del proprio ruolo nella società, i processi storico-sociali, i vari dogmatismi e atteggiamenti “umani” presenti naturalmente nella comunità scientifica, come riportato nella precedente citazione in piccolo, trovano la loro ragion d'essere in quanto colui che crea conoscenza è l'uomo, con tutte le sue caratteristiche, non un automa razionale astorico, come vorrebbero Popper et similia. Queste considerazioni di cui i dogmatisti hanno profonda paura, così come il papa è orripilato dal relativismo culturale, non sminuiscono di una virgola la scienza, ma anzi permettono di considerarla in modo più realistico e libero da “imposture intellettuali”, che considero essere proprio quelle degli scientisti, che fanno gran danno alla scienza! Citazione:
Tuttavia fisica e metafisica sono, per definizione, distinte; l'una attiene al dominio del fenomeno e dell'ipotetico, l'altra al dominio della filosofia personale ovvero di come interpretare le mutevoli esperienze sensibili alla luce di credenze “più elevate”, per definizione non ipotetiche e dunque non fisiche. Non intendevo metafisica come dominio di cose generalmente “inconoscibili”, ovvero che un giorno, chissà, potrebbero rientrare nel dominio della fisica; e non intendevo, e non credo si debba intendere, metafisica nemmeno come contenitore che definisce esclusivamente cose che paiono, o i più credono che esistano, ma non sono rilevate dalle “mappe” scientifiche. Anche le mie emozioni non sono rilevate attualmente da molte di queste mappe (da altre sì, anche se non vengono considerate “scientifiche”), però non dubito abbiano una loro esistenza e non le considero metafisica . Un certo dio, concepito in un certo modo non mistico, ma alla maniera dei credenti monoteisti, quella sì è metafisica e non potrà mai rientrare nel dominio della fisica, se non come qualcosa di comprensibile a noi, dunque fenomenico e dunque non divino, non metafisico per definizione: ecco perché molti credono nella incarnazione. Nonostante i filosofi pensino (e lo penso pure io) che sia bene tenere presente questa sana distinzione, ciò che intendevo era che fisica e metafisica sono profondamente unite di fatto, poiché lo sono nella mente dell'uomo di scienza, così come di quello della strada. Uno scienziato qualsiasi, che ne sia cosciente o no, adotta o meno una certa credenza meta-fisica e con quella svolge il suo lavoro, finanche arrivando ad influenzarlo nella pratica (con le dovute precisazioni svolte in precedenza, es. post #61). Citazione:
Saluti a tutti... |
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15-01-2009, 01.00.13 | #78 |
like nonsoche in rain...
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Riferimento: Sui fondamenti della scienza
Noi siamo figli del nostro tempo e di tutti i pensieri che ci hanno preceduto. Da quanto so, pur se non sono filosofo di professione, l'idea che la scienza si occupi solo ed esclusivamente del “fenomeno” distinto e separato dalla realtà in sé delle cose, questo fantasma non ben definibile, proviene secondo me principalmente dall'antichità (Parmenide con le sue considerazioni sull'essere) e da Kant con la sua riproposizione del dualismo fenomeno-noumeno. Tutto ciò, unito alla “crisi” d'identità delle scienze di fine ottocento, che abbandonano le pretese positivistiche di un progresso oggettivo ed infinito, fa sì che per la maggior parte oggi si adotti questo paradigma interpretativo della scienza come limitata strettamente a quanto possiamo percepire e nulla possa affermare sui legami con l'ontologia delle cose. Nonostante ciò, ho affermato e credo che tutti gli scienziati, e non solo, chi coscientemente e chi inconsciamente (ed i secondi, con Heisenberg, finiscono per adottare una visione “scadente”), adottino una personale filosofia meta-fisica e lo è d'altronde anche l'idea di scienza precedente che, per sua natura, ad un accessibile fenomeno oppone di necessità un non ben definito “noumeno” o realtà in sé, su cui si ha da essere al più agnostici. Questa è al pari una filosofia dell'essere ovvero che presuppone una modalità superiore di “essere”, oltre il fenomeno! Comunque se ne possiede l'idea, il concetto, dopo millenni di filosofia, il concetto di due sostanze separate, di cui la scienza può solo aspirare ad una, il fenomeno. In questo modo si lascia aperto il campo alle visioni “scadenti” e confuse o a quelle inconsce. Cosa vorrebbero dire, infatti, espressioni di alcuni “realisti” come “progresso verso la verità”, “verità approssimata”, “convergenza verso la realtà” se non un confuso modo di proporre affermazioni meta-fisiche, filosofie dell'essere, facendo finta di non farlo, visto la scienza aspirerebbe solo al “fenomeno”?
°°° L'effettivo proliferare delle teorie, infatti, rischia di rappresentare il mondo fenomenico come plurale e molteplice, con tante realtà quante sono le descrizioni umane! Da un monismo (una singola base fenomenica lì pronta da studiare) ad un pluralismo! La posizione in cui scivola Popper per salvare la scienza da queste derive idealistiche, è il tentativo di costruire l'ipotesi dei suoi tre mondi (delle cose fisiche, della coscienza, dei contenuti dei pensieri), criticato per un effettivo “idealismo” ovvero per allontanarsi proprio da quanto vorrebbe l'autore. Cioè neanche Popper riesce ad opporsi alle estreme conseguenze della rivoluzione critica, all'interno della scienza, da lui stesso iniziata. Ci penseranno i suoi discepoli a portarla a compimento. Il dibattito è aperto da millenni: realismo, idealismo o che altro? I modelli scientifici si riferiscono in un qualche senso oggettivo alla realtà delle cose, alla realtà in sé delle cose, in gran parte indipendenti dal fatto di essere osservate? Oppure sono esclusivamente concetti creati dall'uomo così da ridursi (i modelli) a meri strumenti formali di calcolo e previsione senza che possano dire null'altro sulla realtà del mondo? Oppure è l'idea stessa di una contrapposizione convenzionale tra fenomeno e noumeno, tra ciò che possiamo percepire e proprietà in sé delle cose che può essere superata? E non potrebbe proprio essere superata constatando che, in realtà, quella convenzione nasconde un'altra credenza più profonda ovvero la separazione netta tra soggetto ed oggetto, riguardo cui fisica e altre discipline hanno mostrato la fallacia? Non si potrebbe, dunque, pensare che 1) l'esistenza di un mondo là fuori da cui estraiamo informazioni (realismo) e che 2) le teorie non possano in alcun modo rispecchiare la struttura del mondo (idealisti) siano entrambe posizioni che portino a vicoli ciechi ovvero sia l'uno che l'altro non tengono in conto differenti aspetti della conoscenza non solo scientifica? L'alternativa? Potrebbe essere un qualcosa che attinge da entrambi (ispirato da una mia vecchia lettura - “La logica aperta della mente” Ignazio Licata): la conoscenza umana come un continuo e non definitivo processo di creazione -soggettiva- di rappresentazioni, non di un già dato a priori, né di mere forme umane (anch'esse già da date); un processo analogo a quello del collasso della funzione d'onda in meccanica quantistica ovvero conoscenza come evento, atto creativo che produce la separazione tra soggetto ed oggetto ed in cui si esplica, si “realizza” continuamente (la rappresentazione di) un mondo che, nonostante l'atto conoscitivo sia inevitabilmente soggettivo, noi vediamo possedere strutture, regolarità senza le quali non sarebbe possibile rappresentazione condivisa, in cui l'uomo è però intimamente immerso. Il mistero si sposta, dunque, dall'intelligibilità della natura al carattere della necessaria unione uomo-natura. Newton ed Einstein, dunque, visti come rappresentazioni o mappe per orizzontarci in un certo mondo, quella di Newton sviluppata ai primordi della scienza moderna ed influenzata da certe idee metafisiche, quella di Einstein creata dalla sua mente, in quel preciso periodo storico, che sembra ampliarne la visione, ma forse perché ci illudiamo di poter confrontarne tra loro i concetti. Ed, invece, come argomentato in precedenza, possono essere eccome confrontate queste due mappe del mondo, non tra loro (accettando l'incommensurabilità di Feyerabend), ma in relazione a ciò che siamo ora nel presente, a ciò di cui abbiamo bisogno (tecnicamente ed umanamente). Anche se non avrebbe senso in assoluto credere ad un Einstein meglio di un Newton, un criterio per discuterli criticamente esiste ed è il qui ed ora, socio-tecnico-culturale (per precisazioni post #40 e post#61) °°° Non ho pensato approfonditamente questi concetti quali conseguenze diciamo “ontologiche” abbiano, o se non siano solo un modo per mascherare l'una o l'altra concezione (realismo o idealismo); comunque mi fa piacere condividerli proprio in virtù di uno dei caratteri principali della scienza, almeno secondo Feynman qui sotto. Per completare i miei sproloqui, infatti, vi lascio con queste citazioni su ciò che è (o dovrebbe essere) la scienza secondo Feynman, un tipo di fisico che non amava certo i filosofi (da QUI [in pdf] -> leggetelo!): <<Il sistema consiste nel dubitare che ciò che viene tramandato sia vero; nel cercare di scoprire ab initio, di nuovo partendo dall'esperienza, quali siano i fatti piuttosto che prendere per oro colato l'esperienza di chi ci ha preceduto. Ecco che cosa è la scienza: il risultato della scoperta che vale la pena verificare di nuovo tramite nuovi esperimenti diretti, senza necessariamente fare affidamento alle conoscenze della specie. Io la vedo così. Questa è la migliore definizione di «scienza» che io sappia dare. [...] un'altra definizione di scienza potrebbe essere: la scienza è la fede nell'ignoranza degli esperti. Chi dice che la scienza insegna questo e quello usa la parola «scienza» in modo scorretto. A insegnare è l'esperienza. Se vi dicono che la scienza ha mostrato una certa cosa, potreste chiedere: «E come lo ha dimostrato, in che modo lo scienziato lo ha scoperto – come, dove e quando?». Non è stata la scienza, ma questo esperimento, questo fenomeno. [...] È necessario insegnare ad accettare e insieme a rifiutare il passato, esercitando un gioco di equilibrio che richiede molta abilità. Di tutte le discipline la scienza è l'unica che racchiude in sé stessa il monito sul pericolo costituito dalla fede nell'infallibilità dei più grandi maestri della generazione precedente.>> Un saluto. |
15-01-2009, 21.58.55 | #79 |
like nonsoche in rain...
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Riferimento: Sui fondamenti della scienza
Ah, quanta sana anarchia nelle parole di Feynman, non me ne ero reso conto prima: <<cercare di scoprire ab initio, di nuovo partendo dall'esperienza, quali siano i fatti piuttosto che prendere per oro colato l'esperienza di chi ci ha preceduto. Ecco che cosa è la scienza: il risultato della scoperta che vale la pena verificare di nuovo tramite nuovi esperimenti diretti, senza necessariamente fare affidamento alle conoscenze della specie. Io la vedo così. Questa è la migliore definizione di «scienza» che io sappia dare.>>
Unita ad un paio di altri concetti, è anche la miglior definizione di “anarchia”, come ideale di organizzazione umano. Ho sempre trovato grandi affinità tra questa concezione ed il sapore della vera scienza, del nucleo che la muove intendo, non quella dei dogmatici e degli autoritari (comuni, purtroppo), ma quella dei grandi e piccoli insoddisfatti che a loro modo l'hanno rivoluzionata e con essa l'immagine del mondo in cui viviamo. Ecco che, come diceva il buon Protagora, <l'uomo è misura di tutte le cose> e non possono che esistere, mia credenza, solo dei criteri, per quanto condivisi e condivisibili, soggettivi poiché scaturiscono dal singolo (come è anche questo) per definire le “verità” e per paragonare giudizi e credenze. Come ormai è consapevolezza comune che non abbia senso affermare che una teoria scientifica sia vera e le altre false, così non ha senso, senza concordare su dei criteri cioè in base a supposti ed assoluti principi razionali, dire che una teoria sia meglio di un'altra. E' proprio un certo esercizio della ragione e dell'evidenza pratica che mi spinge a non affermare ciò. Quanto detto non esclude il fatto che ci siano e possano stabilirsi dei criteri, che saranno per la maggior parte discutibili, mobili e non imponibili in base al principio di autorità, per formulare dei giudizi. Constato semplicemente che non valgono in assoluto, ovvero svincolati dal contesto; tuttavia, visto la fonte dei criteri è l'uomo, e credo che l'umanità tutta abbia delle profonde caratteristiche in comune, alcuni di questi criteri, osservo, sono meno mobili e discutibili della gran parte degli altri. Questa, in breve, la mia opinione. |
15-01-2009, 22.22.09 | #80 | ||||||||||
Ospite abituale
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Riferimento: Sui fondamenti della scienza
Citazione:
Non buttarla sulla difensiva, è un concetto che ti ripeto dall’inizio. Venendo meno la premessa principale vengono meno una serie di problematiche, non tutte ovviamente. Citazione:
a. Non sei autorizzato a dire qualcosa su ciò che è stato il mio percorso di approfondimento. Non puoi sapere infatti se ciò che sostengo è, come è, il risultato di un approfondimento della materia o altro. Lo scrivi semplicemente perché le mie conclusioni divergono dalle tue e dunque, siccome questo per te è irricevibile visto che hai una tesi precostituita da difendere, allora la butti sulla superficialità altrui, ti informo che in un certo senso hai dato del superficiale a Quine a Giorello a Pievani e anche ad una nutrita schiera di fisici. Io potrei sostenere invece che sia tu a non aver ben compreso le teorie che ritieni di analizzare ai fini epistemologici. E così commetti l’errore di coloro che vogliono parlare di scienza senza utilizzarne correttamente le teorie. b. Ho invece molto approfondito gli aspetti epistemologici del moderno dibattito. Ti reinvito al leggere imposture intellettuali di Sokal. Citazione:
Tu lo ripeti, lo riscrivi, lo ribadisci ma poi non comprendi la portata epistemologica della limitatezza della teoria di Newton ! Citazione:
Ti ho già scritto, ma vedo che non ti soffermi sul significato e sulle implicazioni di ciò che ti rispondo, che se per filosofia intendi il ragionamento stesso con tutta la sua logica allora ovviamente tutto ciò che è impresa umana è anche filosofia. Ma a me non piace parlare di filosofia perché oggi con questo termine si intende altro ed è fuorviante perché sembra che la fisica debba sottostare ai filosofi e non è così. I fisici ci sono arrivati da soli a “dedurre” che la scienza è un’impresa destinata ad approssimare sempre meglio. Come hanno fatto ? ti svelerò un segreto: i fisici pensano ! Popper sostenne, ed io condivido, che non sono gli epistemologi a dover dire ai fisici come fare scienza, ma è l’esatto contrario. Gli epistemologi si devono limitare a descrivere l’impresa e non invece porsi come giudici o come insegnanti della corretta metodologia scientifica ne devono interferire in alcun modo con essa. Se vogliono farlo, cambino professione e diventino scienziati. Citazione:
Quindi la tua prima idea è che la scienza non sia qualcosa che si perfeziona ma altro. Ci vuoi spiegare, possibilmente sinteticamente, cosa esattamente è dunque ? Citazione:
No. E’ una constatazione derivata dall’analisi della sua efficacia nella storia dell’uomo. Ripeto comunque che anche i fisici pensano. Citazione:
Tra l’altro a me parlare di metafisica fa venire l’orticaria, perché la metafisica per me è quella tradizionale. Parliamo almeno di filosofia grazie. Il pensiero è qualcosa di fisico, esso è, fino a prova contraria, il risultato dell’interazione tra le nostre cellule del cervello, e per ora non ci è stata data alcuna evidenza di enti metafisici, quindi rimaniamo nel fisico. Citazione:
Stai dicendo che sono fallibili unicamente se si riferiscono al reale ? Ma questo a me va bene, ma, ribadisco, cosa importa al fisico ? In che termini il fisico preparerà esperimenti diversi o formulerà teorie diverse se fosse un anti-realista ? non hai ancora risposto a questa domanda. Citazione:
Qui Hesienberg fa un’affermazione apparentemente da filosofo e, come già dissi, ognuno è libero di “filosofeggiare” come gli pare. Non perché si chiama Heisenberg deve aver ragione su ogni cosa. Tuttavia ciò che sostiene è in realtà qualcosa di diverso dalla filosofia, giacchè lui sta parlando dell’antica diatriba sulla causalità e questa diatriba non la risolveranno i filosofi ma i fisici. Be, comunque, Heisenberg in questo caso, aveva torto per due motivi: a. pare proprio invece che avesse ragione Democrito in alcuni ambiti b. il fisico non può porsi a priori un asserto filosofico perché altrimenti commeettere l’errore che fu anche di Einstein il quale fino alla fine si incaponì a combattere l’indeterminismo a causa del suo attaccamento “filosofico” al determinismo. Il fisico deve valutare i fatti tentando di farlo in maniera non vincolata ad un certo asserto filosofico di partenza. E per asserto intendo un concetto come, appunto, caso, causalità, determinismo o indeterminismo. La scelta tra questi concetti non deve essere “filosofica” ma fisica ! Citazione:
Io sono d’accordo con Poincarè ovviamente. L’esperienza è l’unica sorgente di verità, non la filosofia astratta ! Quando dice che non fanno “scienza” intende che il fatto in se che la particella passi contemporaneamente tra due fenditure non veicola un'ampia conoscenza se non viene relazionato con tutti gli altri fatti conosciuti. Una volta relazionati si ha la scienza ovvero la conoscenza. Tu confondi il ragionamento logico con la filosofia, o meglio usi il termine filosofia per il ragionamento logico rigoroso del fisico che ovviamente mi guardo bene dal negare ! Ciò che nego, e lo ripeto ancora, è che il fisico debba partire per la sua analisi da basi concettuali “filosofiche” cioè da acquisizioni della filosofia dei filosofi. Questi ultimi, tra l’altro, per “filosofeggiare” da cosa partono quasi sempre se non dal dato reale ? E chi fornisce loro il dato reale più preciso se non la scienza sperimentale ? Un bel circolo vizioso. E quindi siamo da capo a dodici: l’esperienza è l’unica sorgente di verità per il fisico e per tutti. Saluti Andrea |
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