Ospite abituale
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La sconfitta del SUPERUOMO
Vecchio divertimento... pubblicato su un sito Internet
"Delitto e castigo"
Una teoria che per certi versi sembra anticipare o preannunciare quella del SUPERUOMO di Nietzche; le velleità di un giovane studente universitario; un tessuto sociale estremamente depresso; il peccato e la presa di coscienza di esserci finiti dentro; il successivo riscatto dalla depravazione; l’amore che riscatta e che induce al pentimento, che rappresenta un aspetto, quello preponderante e trionfante, della natura umana; un personaggio che, nell’esprimere l’indifferente volontà di disfacimento morale da cui non può o non vuole riscattarsi, rappresenta l’altro lato, quello oscuro e ambiguo, dell’umana esistenza.
Sono questi gli ingredienti del brodo colturale in cui nasce, cresce e vive lo straordinario romanzo di Dostoevskij. Delitto e castigo, scritto nel 1866 – successivo quindi alla drammatica esperienza siberiana - è considerato, insieme a Guerra e Pace di Tolstoj, il più elevato esempio della letteratura russa del diciannovesimo secolo, se non addirittura una delle più alte espressioni di quella mondiale di tutti i tempi.
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Il giovane Raskolnikov, studente universitario, vive una vita di stenti e miseria nella Pietroburgo zarista del diciannovesimo secolo. Unico puntello per un prossimo riscatto è la certezza di appartenere alla categoria degli uomini superiori che, in virtù di tale superiorità, sono affrancati dall’obbligo di rispettare le leggi; “sovvertitori” di natura, il loro agire rappresenta il motore del progresso umano. Ovvio, dunque, che costoro rivendichino il diritto di godere di una certa libertà morale ed etica, tanto che anche in presenza di un eventuale delitto, se finalizzato a generare il bene o a far progredir la società, l’esecutore, esonerato dalla censura, deve sentirsi libero di ergersi al disopra del comune sentimento del “Bene e del male”, al di là di ogni morale, ingrediente, viceversa, indispensabile agli uomini comuni, tenuti all’ossequioso rispetto delle leggi.
“…Ma se bisogna che uno di essi, per attuare la propria idea, passi, magari, oltre un cadavere, oltre il sangue, egli può, a parer mio, nell’animo suo, in coscienza, dare a se stesso l’autorizzazione di passare oltre il sangue…”.
Coerentemente a questo suo sentire, Raskolnikov, essere superiore in momentaneo stato di disagio economico, al fine di liberarsi da questo greve fardello, compie un duplice omicidio: uccide una vecchia usuraia e la sorella per sottrar loro i soldi accumulati sfruttando le necessità e la povertà del prossimo.
Ben presto, le cose si rivelano diverse da quanto lui avesse teorizzato; piuttosto che un senso di libertà, Raskolnikov, vive tutto lo sgomento e la paura di essere scoperto. Mostra un eccessivo interessamento per le indagini condotte dal solerte Porfirij con il quale, spinto da un indomito senso di colpa, ingaggia una sorta di sfida tesa, più che altro, ad attirare su di sé i sospetti. Più volte, nel corso dei loro lunghi colloqui, R. sembra sul punto di rivelare al poliziotto la verità sull’intera vicenda; rivelazione che sarà riservata a Sonja, colei che, prostituta per necessità, pur conducendo una vita disperata e ai margini della società, conserva intatto il proprio animo puro e induce R. a costituirsi e confessare il delitto. Sonja rappresenta il riscatto dalla turpitudine attraverso l’amore.
Amore con l’”A” maiuscola, il sentimento che si dona puro, che arricchisce tanto colui che riceve quanto colei che s’offre. Non quello sterile, passionale che assorbe, prende e svuota impoverendo l’oggetto d’amore.
Attraverso l’amore che, come già detto, rappresenta nel romanzo l’aspetto preponderante dell’animo umano, quello oltretutto trionfante, R., archetipo dell’intera umanità, giunge al pentimento, alla confessione e all’espiazione della colpa.
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Il romanzo si chiude, quindi, con un messaggio di speranza che, guarda caso nasce, prospera e si nutre in un contesto culturale e sociale in cui normalmente sarebbe quantomeno ottimistico attendersi perle di simile levatura morale; evidente indicazione dell’assenza di limiti all’imperscrutabile volontà salvifica divina.
L’amore di Sonjia non cede alle lusinghe, non vacilla, tetragono, si dimostra più forte anche della visione teoretica dell’Uomo Superiore. La contrapposizione fra le due visioni filosofiche, l’una che conduce alla distruzione morale, l’altra al recupero e all’esaltazione delle caratteristiche salienti della personalità umana, è fortemente accentuata dalla presenza dell’altro personaggio: Svidrigajlov. Altro fondamentale rappresentante delle caratteristiche umane: la pervicace volontà di distruzione e dissacrazione (la tentazione ed attrazione verso la morte e ciò che non è vivo). Violentatore di fanciulle, si compiace della sua perfida voluttà; S. insidia Dunja, sorella di R., non per amore ma solo per un’incontenibile tendenza all’empietà. Schiacciato sotto il peso del proprio animo profondamente malvagio, S., sconfitto, morirà suicida.
Di elevato contenuto psicologico sono le pagine in cui R. s’intrattiene in lunghi, estenuanti confronti con Porfirij, l’acuto indagatore che altri non è che la coscienza, la porzione dell’animo umano che assolve il compito di “confutare” e che interagendo, in un continuo rapporto dialettico, con la razionalità, rende possibile l’emersione delle contraddizioni che condurranno il protagonista alla ravveduta confessione.
L’intera vicenda si svolge entro un contesto ambientale che appare sbiadito, non pregnante, Pietroburgo si presenta come un palcoscenico sfumato; probabilmente, così doveva essere per consentire di rappresentare nel modo migliore il palcoscenico dell’intera umanità, non localizzato entro i ristretti confini di una ben determinata città. Solito, per l’autore, invece, lo sfondo di miseria e di tetra desolazione in cui si muovono i personaggi.
Un libro che ci offre un autore al culmine della propria creatività e, fra i primi in assoluto, che, dopo la discesa nel sottosuolo dell’inconscio (“Memorie del sottosuolo”), continua a stupirci con la sua impareggiabile capacità di leggere e descrivere con inimitabile maestria l’animo umano: i pregi e i difetti, il macerante arrovellarsi dietro sentimenti contradditori che lacerano senza mai decidersi per una sintesi; le inconfessabili, voluttuose, istintive passioni.
La grande capacità artistica di D. ha, in quest’opera, raggiunto la perfetta maturazione; d’ora in poi, la sua carriera letteraria sarà costellata da un susseguirsi di capolavori: Il giocatore (1866), L’idiota (1869), I demoni (1870), L’adolescente (1875), I fratelli Karamazov (1875), in cui sono esaltate le sue indiscusse doti di fine narratore che sa racchiudere in sé l’indiscussa, fondamentale abilità di descrivere, empaticamente, il mondo che lo circonda.
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