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28-05-2015, 23.27.34 | #93 |
Nuovo ospite
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Riferimento: Perdono.
Si placa il maestrale
Sale il grecale tiepido Torno a un minuto prima del taglio, quand'era bello, era pace Il mio tormento ha un senso banale Lo dirò al vento notturno, e al levante domani Ultima modifica di Aeroplano Italiano : 29-05-2015 alle ore 14.31.36. |
29-05-2015, 22.23.25 | #94 |
Nuovo ospite
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Riferimento: Perdono.
Perché ho scritto questi versi?
Per dire che l'inspiegabile può essere semplice. Se c'è un torto, bisogna capire due persone. A meno che l'altro non faccia male di proposito, si comporta per come gli viene, inglobando i suoi tratti tipici e i suoi difetti nell' azione che compie. La sua percezione di quel che fa è del tutto naturale. Anche se può far male, c'è sempre una certa innocenza e può non accorgersi. In fondo è semplice. Io posso arrivare all'esasperazione, rispetto a un dato comportamento tipico, ma ho il mio errore tipico: non riesco a dire quel che non mi va. Sia chiaro, si deve intendere l'esporre pacatamente con chiarezza e se possibile con umiltà quello che non va. Si tratta di disinnescare man mano un conflitto, prima che diventi esplosivo. Quando arrivo ad arrabbiarmi, sia pure con delle buone ragioni, mi accorgo dopo che ho detto le cose più diverse, meno le mie ragioni. Come può l'altro capirmi , se non mi sono spiegato? In fondo è semplice. Perdonare settanta volte sette, sembra tanto, ma in realtà ogni giorno già perdoniamo tante cose. Ma serve parlar chiaro, nel rispetto dell'interlocutore, anche se è nel torto. |
27-10-2015, 20.56.24 | #95 |
prof
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Riferimento: Perdono.
Nel cercare, con un motore di ricerca in internet, la frase “Settanta volte sette”, che è in Mt. 18,21-35, mi sono imbattuto in un sito in cui appariva una serie di considerazioni di un sacerdote, certo Don Virgilio Covi, che non conosco, il quale, citando Luca 6.37, rifletteva sul significato del perdonare affermando, fra l’altro, che “Solo chi ha in sé lo Spirito di Dio Padre può perdonare” ed ancora: “Solo un Dio che sia Padre può perdonare”. Queste frasi hanno attratto la mia attenzione perché talvolta è capitato anche a me di riflettere, come Don Virgilio, sui significati che possono essere dati alle parole “perdono” e “perdonare”, non trascurando, in queste riflessioni, ciò che i Vangeli comunicano (o sottintendono) col loro linguaggio notoriamente asciutto e, per questo, un po’ spiazzante.
Nel comune intendimento il verbo “perdonare” significa non dar luogo ad atti di vendetta o, comunque, di rivalsa nei confronti di chi ci abbia arrecato danno od offesa di qualche gravità. Questo stesso concetto potrebbe essere esteso, non ad un’offesa, ma, per esempio, ad un credito reale a cui il perdonante vi rinunci in assoluta gratuità per debitore. Per brevità lasciamo da parte quest’ultima importante accezione e fermiamoci alla prima, quella relativa del perdono di un’offesa. Cerchiamo di andare a qualche episodio di perdono che abbiamo effettivamente sperimentato. Immaginiamo il caso di una offesa, non molto grave, che riteniamo di aver ricevuto da un conoscente o un amico; se non intendessimo perdonarlo potremmo scegliere di redarguirlo, di mostrargli il nostro disappunto togliendogli la consueta amicizia, oppure possiamo fingere di niente ma decidendo, anche se non dichiaratamente, di chiudere ogni rapporto con lo stesso. L’offesa potrebbe essere anche molto più grave di quanto appena detto sicché, proporzionalmente, anche il nostro desiderio e le modalità di rivalsa vi s’adeguerebbero. Fatta questa puntualizzazione sulle possibili situazioni immaginiamo di voler, invece, perdonare chi ci ha offeso. Nel caso di offesa non molto grave ma comunque significativa, il nostro perdono potrebbe risolversi nel non dar luogo a nessuna, seppure lieve, forma di contro-offesa, mantenendo, sì, immutati i rapporti apparenti, ma conservando in animo un certo rancore, per esempio, perdendo la primitiva simpatia o la stima nei confronti dell’offensore. Questo tipo di perdono imperfetto è, perché lascia in animo una traccia del rancore. Va ancora considerato il fatto che un perdono, pur senza rancori residui, come si auspicherebbe, perde pur sempre ogni valore morale o, se si preferisce, di sacralità evangelica che lo renderebbe prezioso, infatti, per un vero perdono è necessario tener presente queste possibilità: * L’offesa è troppo piccola o è trascorso del tempo sicché il senso di gravità dell’offesa, anche se originariamente importante, si è estinto o grandemente attenuato al punto da non giustificare più i costi morali e/o materiali connessi al mantenimento o alla gestione di una qualsiasi situazione di tensione e, soprattutto, del persistere l’idea di un’azione di rivalsa. E’ evidente che, in tali casi, nessun merito può essere riconosciuto a chi ha, diciamo così, perdonato senza alcun vero sacrificio grazie agli effetti del tempo ed alla esiguità dell’offesa, specie se si tiene conto che questo perdono avrebbe potuto essere dato quando ancora il bruciore dell’offesa era ancora vivo, ma ciò non fu fatto per ragioni che è facile comprendere. * L’offesa è più importante di quella del caso precedente sicché la spinta verso un’azione di rivalsa potrebbe essere effettivamente forte; tuttavia l’eventuale azione di rivalsa si presenterebbe problematica sia per pavidità dell’offeso, sia per la mancanza di mezzi atti allo scopo e per tema di pericolose contro-reazioni e, infine, anche per il “costo” che richiederebbe il mantenimento di uno stato conflittuale. Per quest’insieme di cose l’offeso decide allora che conviene perdonare (diciamo così) l’offensore. E’ appena il caso di ribadire che un tale perdono, forzato da queste circostanze, non vale molto anche in assenza di qualsiasi tangibile rivalsa ai danni della controparte, e non vale neppure se, nel tempo, sbiadendosi significativamente il rancore, si desse finalmente luogo ad una completa riconciliazione. Vorrei ancora una volta sottolineare che il “raffreddamento” del peso dell’offesa, dovuto al trascorrere del tempo, raffredda pure l’essenza dell’eventuale perdono annullandone il valore; nessun merito allora rimane a chi avrebbe dovuto già da prima perdonare, ma mancò di farlo. Vorrei altresì sottolineare il fatto notevole che il valore sacrale del perdono cresce col diminuire dei rischi, fatiche ed altri “costi” per una qualsiasi forma di rivalsa nei confronti dell’offensore; infatti, il perdono varrebbe moltissimo se il perdonante, pur potendo, senza rischi e senza costi, vendicarsi con un semplice atto di volontà, ciò non ostante vi rinunci in totale gratuità. Da ciò si evince immediatamente che il perdono di Dio non può che avere una valenza infinita proprio perché l’infinità di quella potenza rende infinitamente piccolo –cioè nullo- il sacrificio divino e, conseguentemente infinitamente grande il valore del Suo perdono. Dopo questa rassegna sul “bilancio” tra costi e benefici, è il momento di un cauto avvicinamento al senso cristiano e teologico del perdono. Il perdono divino è solo il modello limite verso cui tendere per cercare di dare qualche granello di merito al nostro atto di perdonare che, come abbiamo visto, spesso potrebbe esserne privo. Ma il perdono umano, per la sua ideale riuscita, che lo renderebbe un po’ simile a quello divino, dovrebbe, per quanto detto, lasciare pulita la memoria del perdonante come se l’offesa ricevuta non fosse stata neppure percepita, quindi, senza che veruna traccia vi resti nel ricordo del perdonante salva, però, la coscienza del perdono dato. Un bel dire! E’ così che dovremmo pensare al vero perdono? No, perché un tale perdono -abbiamo detto- non costerebbe sacrifici al perdonante, quindi, non avrebbe valore. Ma soprattutto peserebbe quella totale ed assoluta dimenticanza dell’offesa che annullerebbe il valore del perdono anche per il solo fatto che ogni perdita di informazione, in qualunque circostanza, anche lontana da questo argomento di riflessione, ci allontana dall’aspirazione di tendere ad imitare Dio, proprio perché Dio, in quanto Conoscenza assoluta, è privo della debolezza della dimenticanza, quindi, non può perdere alcuna informazione in questo ed in qualsiasi altro senso. Ma se è così scoraggiante la nostra condizione come dovremmo o potremmo comportarci per seguire al meglio il comando evangelico del perdonare? Abbiamo visto come qualunque risposta alla domanda inciamperebbe in palesi contraddizioni o sarebbe così complessa da farci smarrire fra le innumerevoli ramificazioni delle possibili argomentazioni, dunque è difficile affrontarla di petto, ma forse è possibile aggirarla fidando nella buona fede. Questa buona fede, applicata all’atto del perdono, fa sì che l’atto stesso, al di là delle scoraggianti considerazioni fatte, che comunque non ne pregiudicano l’utilità sociale, anche se non si carica di valore sacrale, non di meno si scarica di parte delle insufficienze connesse a qualunque azione umana. In fondo la fiducia nella buona fede non è altro che un aspetto della Fede, cioè l’unico strumento che potrebbe condurci all’imboccatura di un provvidenziale tunnel che, quando inaspettatamente lo si trovasse, si aprirebbe una fantastica scorciatoia capace collocarci, se divinamente graziati, niente meno che nella giusta direzione verso la Conoscenza assoluta. Questo tunnel-scorciatoia sarebbe ciò che per taluni mistici è l’esperienza del rapimento estatico, per qualcun altro è la percezione di una grazia ricevuta, per un uomo di scienza o un matematico è la fortunosa ed improvvisa intuizione che, gratuitamente e di colpo, lo coglie aprendo loro inaspettatamente la via per la soluzione dei annosi problemi di ricerca, per un artista, infine, è la grande ispirazione artistica che lo renderà più che pienamente soddisfatto. |
03-12-2015, 14.39.38 | #96 | |
Nuovo ospite
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Riferimento: Perdono.
Citazione:
Secondo me il perdono verso gli altri non è un sentimento, ma un atto di repressione dei naturali sentimenti che si generano quando si ritiene di aver subito un torto ed è più facile farlo se chi ci ha fatto torto lo riconosce; nel caso contrario è estremamente arduo. Io ritengo che perdonare sia la cosa più giusta da fare in qualsiasi circostanza, ma credo di capire chi non vuole farlo. Perdonare se stessi invece è forse anche troppo facile perché lo si fa solo riconoscendo i propri errori e pentendosi, ma è anche molto pericoloso: se non si ha la forza d’animo per evitare di ripeterli si può entrare in un ipocrita circolo vizioso. |
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03-12-2015, 18.51.30 | #97 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Perdono.
Citazione:
"Chi sa di sè non trova errore negli altri" ha in calce il buon Galvan. E penso sia una considerazione da tenere sempre presente. Trovo che saper perdonare sia una qualità superiore, significa, per certi versi, saper padroneggiare se stessi e le circostanze, così come dimostrare praticamente che l'errore è umano e quindi tutti possono sbagliare.Certo c'è errore ed errore. Ma ho sempre notato che chi riesce ad avere un atteggiamento verso il perdono deve essere buono di fondo, avere un'ottima empatia, una capacità di lettura emotiva e razionale al tempo stesso delle persone e quindi una capacità di ascolto. D'altronde il sacramento della Confessione è misericordia. |
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03-12-2015, 22.01.53 | #98 | |||
Ospite abituale
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Riferimento: Perdono.
** scritto da mariano:
Citazione:
Premessa: la tua logica personale, fosse anche condivisa soltanto da te stesso, risente di una morale religiosa (messa al mondo dalla tua fede irrazionale). Il perdono, invocato o concesso, non è un sentimento, è una presa di posizione, soggetta anch'essa, inevitabilmente, alla fede irrazionale. Infatti, come tu ben dici, è arduo perdonare chi ci ha causato un torto o una sofferenza e nemmeno lo riconosce, ma non è impossibile. Citazione:
E' contraddittorio, e molto agnostico (vedi come affiora la morale religiosa?!), sostenere che il perdono sia da accordare sempre, ma, allo stesso tempo, è comprensibile chi non lo accorda e quindi genera rivalsa, rancore, se non ripicca. Poiché il non perdonare è un castigo e un tormento per entrambi. Citazione:
E in nome di Cosa o di Chi è valido e definitivo auto-perdonarsi?! Chi decide la cauzione!? Forse è facile fin quando si tratta di essere passati col rosso o di essersi appropriati di qualche bustina dello zucchero al bar, mentre il barista era di spalle, ma è impossibile, senza perdere la dignità, zittire la coscienza, visto che il circolo vizioso è quotidiano e sempre più aggiornato (e inesorabile, almeno che non ci si chiami Miriam di Nazareth). Pace&Bene |
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04-12-2015, 11.41.53 | #99 |
Nuovo ospite
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Riferimento: Perdono.
mi accorgo di aver trascurato una considerazione : quando il torto subito non è causato da una singola persona, ma da un sistema è giusto perdonare?
ritengo ancora di si, ma perdonare non significa accettare e quindi si deve anche lottare nel tentativo di modificare il sistema. nasce però un'altra risposta alla quale non so dare risposta: con quali mezzi e secondo quale morale? |
04-12-2015, 12.40.34 | #100 |
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Riferimento: Perdono.
x Duc in altum
"E' contraddittorio, e molto agnostico (vedi come affiora la morale religiosa?!), sostenere che il perdono sia da accordare sempre, ma, allo stesso tempo, è comprensibile chi non lo accorda e quindi genera rivalsa, rancore, se non ripicca. Poiché il non perdonare è un castigo e un tormento per entrambi." -ritengo che comprendere sia il primo passo per perdonare "E in nome di Cosa o di Chi è valido e definitivo auto-perdonarsi?! Chi decide la cauzione!? Forse è facile fin quando si tratta di essere passati col rosso o di essersi appropriati di qualche bustina dello zucchero al bar, mentre il barista era di spalle, ma è impossibile, senza perdere la dignità, zittire la coscienza, visto che il circolo vizioso è quotidiano e sempre più aggiornato (e inesorabile, almeno che non ci si chiami Miriam di Nazareth)." -non ho parlato di auto-perdonazione, ma confessare ad un sacerdote continuamente lo stesso peccato non è una presa in giro? non penso che a settanta volte sette si debba dare il significato di infinito. |