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30-09-2007, 22.20.48 | #52 | |
Utente bannato
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Riferimento: Gesù si riconoscerebbe nella chiesa di oggi?
Citazione:
Rileggi la misura di Lebesgue, dove constaterai che per logica persino i TUTTO sono anche/CONTEMPORANEAMENTE il contrario di se stessi, cioè il NULLA .. Spero troveremo l'accordo prima o poi, anche se apparentemente sembra che facciamo discorsi differenti; come tu stesso auspichi nella tua firma informatizzata. L'"IO SONO", Nome di Dio, è rispetto a noi, quindi per la nostra Logica; ergo tu abbia certamente ragione in quanto asserisci e dimostri secondo criterio logico... ma quella che oggi è la Logica, un domani potrebbe, per come la vedo io, in tutti i miei studi, essere superata con la Logica dello Spirito, superiore alle Leggi della Materia .. Ciao |
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01-10-2007, 11.52.41 | #53 | ||
Ospite abituale
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Riferimento: Gesù si riconoscerebbe nella chiesa di oggi?
Citazione:
No, credimi. Proprio non aspiro ad essere annoverato fra le fila degli “atei devoti”, anche se riconosco che la definizione affascina. Difficilmente potrò mai essere un “devoto”, se non nella misura in cui ritengo la teologia una “materia” affascinante che ben fa da corollario all’immagine di Gesù tramandataci dai 4 vangeli canonici… la mia devozione, forse, è omofona al rispetto, quello che nutro nei confronti di una storia affascinante il cui significato mi sfugge per enormi tratti e che cerco di prendere per la sulfurea coda sempre più sfuggevole e rarefatta. Citazione:
Mi devo essere espresso malissimo, visto che sia tu che spiritolibero avete interpretato il mio intervento nel senso della negazione della innegabile contiguità e prossimità del messaggio di Gesù, così come emerge dai 4 canonici, all’essenismo, così come sempre più si delinea dalla decrittazione dei rotoli di Qumran. Non v’è dubbio, ed io non mi sono sognata di negarla, che vi sia una forte assonanza fra il Gesù evangelico e il canone di comportamento morale (quacchero) di Qumran. Infatti, se noti, ho scritto << molto prossimo e per certi versi e aspetti contiguo al pensiero che emerge dai documenti di Qumran>>. Entrambi rassegnano un panorama implicante una morale rigida, che non cede ai compromessi e non si lascia irretire fra le spire del conveniente e dell’opportuno e i cui punti di contatto sono molteplici. Entrambi si dissetano ad una fonte ultraterrena attingendo da essa le ragioni della loro testimonianza devozionale. E’ riconosciuto ormai quasi unanimemente che Il Battista con ogni probabilità provenisse da quella setta e che Gesù stesso dovette avere non pochi contatti con le comunità di Qumran: troppi sono i punti di convergenza. Ma ciò non implica che Gesù dovette e volesse diffonderne l’insegnamento fra il popolo, o ne fosse un seguace o addirittura un messaggero. Si è trattato quasi certamente di due magisteri paralleli ma distinti, convergenti in parecchi punti e divergenti in altri, i quali ultimi non consentono di inferire che ne facesse parte. Anzi, tutt’altro. La “regola” degli esseni, al di là del contenuto moralistico in essa insita, era quanto di più lontano dai propositi di Gesù. E’ noto che la comunità essena, per ragioni legate alla situazione politica e sociale del tempo, rappresentasse una comunità chiusa, quasi un’enclave di purezza assediata dal mondo giudaico di allora. Le descrizioni di Filone e di Giuseppe Flavio, forse le uniche autonome e non dipendenti l’una dall’altra, sono concordi nel rappresentarci una setta iniziatica per la cui ammissione era obbligo sottostare a precise e stringenti norme. Il postulante doveva sottostare ad esami e verifiche che prevedevano un “periodo di prova” della durata di circa tre anni. Ogni step, con cadenza annuale, comportava la sottomissione ad esami e verifiche di idoneità morale molto particolareggiati, il cui superamento conseguiva una progressiva e graduale immissione nella comunità, fino alla sua totale e completa accettazione. Coloro che non superavano le verifiche non ottenevano gli accrediti necessari per essere inseriti all’interno della comunità ed erano senza meno posti ai suoi margini. Tutto ciò collide fortemente con l’intero insegnamento di Gesù, perlomeno con il Gesù descritto dai 4 evangelisti, con l’idea d’universalismo che da questi ricaviamo, con il suo professare e professarsi anche a favore dei pubblicani e degli empi. Laddove Gesù propone un modello aperto e privo di rigide norme d’accettazione, la comunità essena, al contrario, privilegiava – forse in ciò costretta dalla situazione politico-sociale complessiva del tempo – l’ascetismo (cosa completamente estranea al Gesù canonico) e soprattutto l’esoterismo (cioè la chiusura in se stessa). Ma v’è un altro e ben più importante elemento che distingue il Gesù canonico dal Gesù esseno. La comunità di Qumran era fermamente e rigidamente rispettosa del riposo sabbatico, mentre è nota, convergente in tutti i vangeli canonici, la sua scarsa propensione a farsi stringere all’interno della norma scritturale e ancor meno di quella del sabato. Ciò, inevitabilmente, lo avrebbe messo fuori dall’essenismo, senza alcuna possibilità di dubbio. Per questo motivo l’ipotesi di un Gesù esseno non è vista con troppo favore dai principali studiosi. Nel mio precedente intervento ho tenuto a specificare che fossero il comportamento e l’atteggiamento complessivi, e non il contenuto morale del suo messaggio, a distinguere nettamente Gesù dagli esseni. Il suo essere e voler essere un personaggio pubblico rivolto al pubblico, lo sottrae alla comunità di Qumran. Ora, per rispondere anche a spiritolibero (ci tornerò dopo), in tal senso i vangeli canonici o sono sostanzialmente veritieri o completamente falsi, non potendosi salvare di essi alcuna loro parte se non forse alcuni aneddoti che però non raccontano con sufficiente chiarezza di un Gesù storico che si muove nello spazio (Palestina) e agisce nel tempo, un tempo storico. La formula adottata a Nicea nel 325 (il simbolo niceno), successivamente integrata nel primo concilio di Costantinopoli (simbolo niceno-costantinopolitano), non è affatto casuale, è ponderata in ogni sua frase: <<Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture>>. Questa formula colloca Gesù nel tempo e nello spazio: lo fa morire sotto Ponzio Pilato, quindi lo fa vivere e agire nella Palestina posta sotto il governatorato di Ponzio Pilato; lo fa morire per croce, quindi sotto la giurisdizione romana, giacché la morte per croce era inflitta ai sovvertitori dell’ordine costituito; e lo fa dunque risorgere. |
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01-10-2007, 11.58.43 | #54 |
Ospite abituale
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Riferimento: Gesù si riconoscerebbe nella chiesa di oggi?
Per quanto attiene al Libro di Enoch, come ben mi segnali tu, è appunto il Libro che ci racconta della caduta degli angeli ribelli e dal quale ha attinto a piene mani la tradizione dottrinale della Chiesa ufficiale. Ma non si tratta di una novità in senso assoluto. Per qualche arcana ragione, la tradizione, anche e soprattutto quella iconografica, pur rigettando determinati testi (gli apocrifi, per esempio), non ha avuto remore ad attingere notizie e immagini dalla letteratura eretica: il nostro presepe è tratto proprio da un testo apocrifo (ora non ricordo più quale).
I quattro vangeli canonici, pur discostandosi in alcuni punti l’uno dall’altro, sebbene contengano delle contraddizioni, quantunque siano incrostati da interpolazioni e manomissioni (forse anche omissioni), seppure a prima vista paiano restituire un’immagine di Gesù volta per volta diversa, hanno un tratto che li accomuna tutti: Gesù è raccontato nella sua storicità, agisce in uno spazio ed in un tempo ben delineati, non altrimenti rilevabili da altri scritti; Gesù si rivolge agli ultimi, ne rappresenta il paladino (non ai pneumatici); Gesù, pur essendo giudeo e pensando da giudeo e sottostando ai precetti religiosi del suo popolo (il Tempio, la purificazione, la lettura della Torah, ma non il sabato), si oppone con tenacia all’ordine religioso fondato sulla Scrittura e sulla gerarchia, ne sconvolge e scompagina il dettato, dando in più di un’occasione prova di potersi muovere con un’autorità superiore – assolutamente inusitata per la mentalità di allora - che non lo costringe entro il modello standardizzato nel corso degli anni. Gesù, in buona misura, rompe gli schemi sociali e religiosi dell’ambiente entro cui è calato. I Quattro evangelisti narrano il Gesù che hanno visto (forse Giovanni), o di cui hanno sentito parlare da testimoni oculari o dagli apostoli stessi, e ciascuno di essi lo racconta secondo il proprio angolo di visuale, lasciando emergere nel racconto che ne fa il tratto di Gesù che maggiormente ha eccitato i suoi sentimenti. Le contraddizioni e gli errori, piuttosto che attestare l’inautenticità dei testi e delle testimonianze, vertendo però tutti nella medesima direzione di un Gesù storico, pubblico, per certi versi rivoluzionario, ultimo per gli ultimi, appaiono agli studiosi come una testimonianza di genuinità, poiché, senza ombra di dubbio, qualora si fosse voluto dar vita in teca ad un conducator prodotto in laboratorio, i quattro evangelisti – di poco successivi all’epoca di cui narrano la storia - avrebbero sicuramente curato con maggior attenzione la redazione dei propri testi, evitando confusioni, contraddizioni ed omissioni; avrebbero, presumibilmente, raccontato la stessa storia infarcita dei medesimi particolari ed aneddoti… ci avrebbero parlato tutti dello stesso Gesù ed in maniera molto più chiara ed intelligibile di quanto è rilevabile nei testi a noi noti; sarebbero stati, con molta probabilità, dei testi contigui e perfettamente sovrapponibili nella cronistoria, rassegnandoci le idee che al tempo li impregnavano, alla stregua dei testi gnostici, ove è chiarissimo l’intento degli estensori di rappresentare un Gesù paladino della loro causa. Questo è uno dei motivi per cui i testi gnostici non sono ritenuti attendibili, oltre al fatto che da questi non è ricavabile un Gesù storico, cioè che agisce nello spazio e nel tempo – spazio e tempo ben definiti -. D’altra parte, chiunque volesse raccontare le gesta di un proprio eroe, la prima cosa che cura è l’inserimento del proprio eroe nella storia, rendendo il più coerentemente possibile la propria narrazione con quella altrui (la fonte parrebbe sia unica – fonte Q) ed evitando le glosse, le sviste e le contraddizioni, solo dopo indugerà nell’interpretazione del pensiero e delle gesta. Il problema di Gesù credo sia un altro e di ben diversa portata. All’ateo s’impone una scelta, una decisione. L’ateo o ricusa in toto la narrazione tacciandola come frutto di fantasia devozionale, ipotizzando un certo grado d’esaltazione in Gesù e/o negli evangelisti, rifiutando il nucleo storico dei racconti, immaginando una buona dosa d’apologetica e partigianeria tendente ad affermare in maniera irrelata la propria faziosità. Mi pare di capire sia il leit motiv seguito e proposto da Odiffreddi e Dawkins. In ciò sarebbero però smentiti dai maggiori studiosi del Nuovo Testamento, poiché sarebbe stata un’impresa davvero troppo ardua e vocata al fallimento, posto che i 4 Vangeli ci consegnano comunque un Gesù ebreo che si sarebbe dovuto incuneare in un’orbita già saldamente consolidata e non facilmente destrutturabile. Oppure, presupponendo, anche solo per comodità di ragionamento, la veridicità dei testi canonici – cioè che quei testi raccontano una storia vera o creduta vera, ovverosia non mettendo in dubbio la buona fede degli autori -, accettando anche come avvenuta e dichiarata la testimonianza di Gesù circa la propria divinità, per un ateo, purché sia onesto con se stesso, si apre un’altra strada. Immaginare da una parte il periodo e il pensiero di allora, la cultura che impregnava l’ambiente, l’attesa messianica annunciata dalle Scritture, il desiderio di uscire da un giogo che costringeva spiriti liberi e devoti sotto la sferza dell’occupante; mentre dall’altra, l’urgenza di una religiosità più conforme al sentimento e meno compressa dal ferreo maglio della Legge per la Legge, doveva spingere in direzione di un certo affrancamento dal dettato delle Sinagoghe che si affermasse anche in abito sociale. Da qui l’evento ed avvento che traduceva l’attesa, sempre solo annunciata dai profeti, in realtà coagulatasi intorno alla figura di un uomo di una levatura morale, carattere e carisma tali da renderlo conforme alla promessa. Gesù, impregnato di una morale che anteponeva la caritas alla norma, non poteva non entrare in rotta di collisioni con coloro che a quel tempo rappresentavano i riconosciuti e rispettati, oltre che temuti, custodi della legge; Gesù non poteva evitare la collisione anche con il governatorato romano, poiché, ponendosi al di fuori dell’ordine farisaico, di fatto si contrapponeva all’ordine costituito che vedeva come caposaldo il tacito accordo fra Tempio e protettorato romano. Gesù, d’altra parte, può essere stato benissimo fagocitato dalla bramosia dei suoi seguaci di trovarsi fra le mani l’avveramento della promessa messianica, fino al punto di sentirsi egli stesso la promessa e la fonte della promessa, che annunciava, conformemente alla sua morale, non più il Regno d’Israele per gli israeliti, quindi un regno mondano che avrebbe dovuto fare i conti con l’occupante e sfociare in una probabile ribellione, bensì il Regno di Dio per gli uomini, quindi sottrasse il Regno alla signoria degli uomini, pensando così di premunirlo dalla contrapposizione scontata con l’occupante.Gesù, per un ateo, è o dovrebbe essere un fraintendimento, un’illusione, una speranza sovradimensionata, un avvento sperato tradottosi in realtà illusoria. Dovrebbe essere così se non ci fosse la minuziosa descrizione d’eventi ed atti che hanno sicuramente del soprannaturale: i miracoli e la risurrezione.Entrambi, se la narrazione di questi eventi è opportunamente inserita all’interno di quest’ambito di buona fede fraintendente, non si assoggettano facilmente alla possibilità di essere equivocati, non può trattarsi di un’immagine onirica, fra l’altro fortemente confliggente con la razionalità, l’esperienza diretta e il pensiero religioso di un qualsiasi popolo. La passione, la morte per croce e la resurrezione di Gesù non possono essere inserite nel medesimo orizzonte di speranza che presumibilmente dovette permeare il seguito di Gesù, poiché si tratta di tre eventi dirompenti, che – perlomeno i primi due - espongono la divinità alla corruzione e al dileggio. Non può che trattarsi, almeno per le due tipologie (passione e morte), di eventi reali: un uomo flagellato che viene crocifisso dai suoi aguzzini. Niente di nuovo o trascendentale, dunque. Ma la risurrezione? Una sorta di rivalsa? Si tratta d’eventi riducibili alla stregua di un’illusione o di eventi concreti? Se la divinità di Gesù, i cui segni esteriori sarebbero rappresentati dai miracoli e la risurrezione, se non se non sono eventi immaginari, espongono la figura del figlio dell’uomo a ben altre considerazioni. Un ateo serio, se non oppone un netto rifiuto alla narrazione dei vangeli, ben difficilmente può alzare le spalle e sorridere dell’ingenuità altrui; un ateo serio, non può essere né serio né ateo, al cospetto dei miracoli e della possibilità che Gesù sia veramente risorto, può opporre un degnissimo scetticismo, o un forte dubbio che lasci se non altro la porta aperta alla possibilità che quel qualcosa narrato nei vangeli sia realmente accaduto. Un ateo serio non può che essere agnostico, poiché non può spiegarsi con la ragione quel che la ragione rifiuta a priori. Un ateo serio non può che opporre alla possibilità – l’unica vera possibilità – di credere per fede, la propria incapacità di aver fede e la propria unica forza, quella di non poter indagare con le sole forze della mente e della scienza ciò che si sottrae alla regola, alla norma e all’idoneità ed attitudine d’analisi della mente e della scienza. La negazione Odifreddiana è sterile perché, presupponendo il dolo, nega aprioristicamente; lo scetticismo agnostico, non presumendo mala fede, riconosce le ragioni avverse al suo scetticismo, ed è forse il miglior punto di partenza per tentare di capirle, purché si abbandonino le avulse velleità di analisi scientifica. La matrice per negare la fattualità degli eventi inerenti a Gesù, sono contenute nei Vangeli stessi, così come le ragioni sufficienti per ricusare il Dio solo misericordioso e traboccante d’amore, sono contenute nell’Antico Testamento. Da lì si deve partire. Ciao |
02-10-2007, 09.44.22 | #55 | |||
stella danzante
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Riferimento: Gesù si riconoscerebbe nella chiesa di oggi?
L’impressione che ho leggendoti V. è che ti manchi una visuale completa di quello che è la moderna ricerca e i metodi ermeneutici di cui ci si serve da qualche decennio a questa parte.
Nemmeno io sono proprio un’esperta, c’è davvero tantissimo da approfondire, anzi direi che in materia di cristianesimo a un certo punto bisogna scegliere di smettere (come il fumo, da pure dipendenza) di studiare perché la ricerca è infinita e potrebbe portar via una intera vita. Quindi senza alcuna pretesa di essere esaustiva mi limito ad aggiungere qualche elemento a complemento di qualcosa di parziale che offri come spunto. Perché aggiungendo qualche elemento qui e lì vedrai come si limitano le pretese di guardare al Cristo come personaggio straordinario o rivoluzionario o comunque imparentato in qualche modo cion quello della tradizione. Citazione:
Tu dici Citazione:
Le comunità gnostiche furono molto accreditate al periodo, i testi gnostici, soprattutto Tomaso, hanno grandissimo rilievo nella Third Quest, la ricerca moderna per comprendere il cristianesimo ai suoi esordi. Elain Pagels è una storica del cristianesimo che tiene molto conto del cristianesimo gnostico. La sua posizione è che il cristianesimo cattolico si impose sugli altri nel periodo delle persecuzioni, nelle quali i martiri col loro eroismo erano una delle principali cause di sempre nuove conversioni a questa “fazione” del cristianesimo, e per questo lo gnosticismo scomparve. Ma prima di questo la faziosità gnostica non fu affatto di ostacolo a fare proseliti. I testi gnostici sono ritenuti molto importanti per le origini del cristianesimo, forse meno per la figura storica di Gesù ma non molto meno di come appare nei canonici, anche questi vittima di visioni ermeneutiche personali degli evangelisti. Citazione:
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02-10-2007, 09.45.41 | #56 | |||
stella danzante
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Riferimento: Gesù si riconoscerebbe nella chiesa di oggi?
Citazione:
Voglio dire, non è detto che se in una cosa si crede anche con tutti se stessi gli altri debbano credere in noi e in quello che noi crediamo sia vero. Ma andiamo nel particolare e svisceriamo i perché di un legittimissimo scetticismo Citazione:
Citazione:
C’è un altro modo di guardare alla cosa e cioè spero di non citare proprio male, ma per Pesce, e lui parla con cognizione di causa più di me, Gesù è il personaggio che in quel periodo fece il minor numero di miracoli e, anche ammettendo una qualche soprannaturalità (che io ovviamente non accredito, non più di quella che do ai placebo somministrati nelle sperimentazione dei farmaci) proprio questa non può essere la motivazione principale per la quale Gesù ebbe il suo seguito. Tanto più che una delle sue espressioni dovrebbe essere stata “nessun segno le sarà dato .. Solo una generazione perversa si aspetta dei segni” (se trovate la citazione esatta correggete pure, proprio non mi va di andare ad aprire la bibbia oggi.. Ho altre letture in programma). Per ora mi fermo, ma torno nelle prossime puntate sulla resurrezione |
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02-10-2007, 10.34.29 | #57 |
stella danzante
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Riferimento: Gesù si riconoscerebbe nella chiesa di oggi?
Dovrei aggiungere qualcosina a corredo dei post precedenti.
In primo luogo che tanto Dawkins quanto Odifreddi non sono degli storici del cristianesimo e quindi non pretendo da questi che sappiano a menadito tutto quello che c’è da sapere né li chiamo in causa in qualità di esperti. Solo che molto di quello che riportano non è loro ma è parte di una ricerca che si inserisce nella varie interpretazioni del resoconto evangelico. Il ritenere Gesù un mito è sostenuto da una parte, anche se minoritaria, ma di studiosi seri, tra i quali, il più citato è G.A. Wells. Qui se ne può leggere qualcosa http://digilander.libero.it/ingeberg...gesuesist.html Poi mi son persa per strada quello che volevo dire a proposito del segreto messianico e della figura “pubblica” di Gesù. Sull’episodio della trasfigurazione si dice che Gesù con se portò solo tre dei suoi, NON TUTTI, ma solo un ristrettissimo numero (3) dei suoi già ristretti seguaci ai quali già dava diverse chiavi di interpretazione della sua predicazione. Quando i discepoli gli chiesero infatti del perché parlasse in parabole, lui spiega che a loro è dato di sapere, ma gli altri anche udendolo, non avrebbero dovuto capire, né convertirsi ed essere salvati. Queste due particolarità devono per forza far ammettere la possibilità che qualcosa di settario, iniziatico/esoterico, ci fosse. Non sono elementi trascurabili, e ad ora le spiegazioni che ho sentito non mi convincono della impossibilità che dietro al messaggio gesuano, quello più autentico non ci fossero altre chiavi di interpretazione riservate a pochi. |
03-10-2007, 11.04.23 | #58 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Gesù si riconoscerebbe nella chiesa di oggi?
Citazione:
Beh, non è poi così tanto pacifico se ancora oggi la discussione è aperta, soprattutto per quella che è definita “questione giovannea”. Non vi sono prove inconfutabili che l’evangelista non fosse uno dei discepoli di Gesù, ancor meno ce ne sono per negare con eccessiva sicurezza che fosse proprio il discepolo preferito, quello ai piedi della croce descritto in uno dei quattro vangeli (non ricordo quale dei quattro). Ma sinceramente a me poco interessa sapere se si sia trattato o meno di testimoni oculari, non so proprio in qual modo sia possibile averne certezza. La comunità cristiana si rifaceva ad un insegnamento; questa dottrina, il cui nome sarebbe derivato da un epiteto attribuito a Gesù: il Cristo, a torto o a ragione, passando attraverso possibili e non escludibili a priori rimaneggiamenti, o che fosse anche confessata nuda e cruda tale e quale il maestro l’aveva impartita, assumeva come fonte originante la figura di Gesù, personaggio ben calato nella realtà sociale a lui contemporanea. Vi sono almeno due filoni principali che inzuppano la propria fede negli insegnamenti dell’uomo di Nazaret (anche se pare che la cittadina di Nazareth a quei tempi ancora non esistesse) e che, con innegabili riadattamenti, mutazioni e interpolazioni, si sono mantenuti vivi fino a giungere ai nostri tempi: lo gnosticismo cristiano e il cristianesimo paolino. Gli scritti sia gnostici che paolini, oltre che i vangeli canonici e gli Atti di Luca, sono fondamentali per giungere ad avere una qualche cognizione dell’ispiratore di entrambi. Diversamente non si avrebbe alcuna fonte. La polla sorgiva cui attingere è, purtroppo, principalmente ed inevitabilmente interna, piaccia o non piaccia ad Odifreddi. Da qui si deve partire, pena la totale impossibilità di parlare di Gesù. Senza voler parteggiare per l’uno o l’altro versante, cercando di mantenere un’equidistanza atarassia (posso anche permettermelo, non sono credente), immagino dunque che solo dall’attenta lettura di questi documenti sia possibile dedurre quale fosse il vero insegnamento di Cristo. I testi gnostici (alludo ai principali, quelli fondamentali rinvenuti a Nag Hammadi nella prima metà del secolo scorso, più il Pistis Sophia e il recentissimo Vangelo di Giuda) hanno un valore inestimabile, poiché permettono di aver contezza in maniera diretta e non mediata di molti aspetti del cristianesimo delle origini e del livello di devozione nei confronti di Gesù che sempre più andava espandendosi a non troppi decenni di distanza dalla sua morte. Soprattutto assumono notevole rilevanza per lo studio della storia e della struttura delle stesse sette e del differente modo di relazionarsi con la grandiosità del magistero dell’ultimo fra gli ultimi. Lo studio dei testi gnostici, non ultimo per importanza il Vangelo di Giuda, ha introdotto all’analisi diretta del pensiero gnostico. Per comprendere appieno l’enorme valore contenutistico di questi testi – tutti i testi - non va sottaciuto quanto i tempi di allora non agevolassero la divulgazione delle idee, la cui trasmissione e diffusione avveniva principalmente per via orale. Ai nostri tempi ciò implicherebbe un apprezzabile livello d’approssimazione che metta nel conto un conseguente depauperamento del messaggio originale. Parrebbe che quasi tutte le culture che si affidavano alla fonetica avessero sviluppato un metodo abbastanza valido per conservare inalterato, al massimo grado consentito dal metodo stesso, il nucleo originario ed essenziale del messaggio da trasmettere. Dawkins sviluppa nel suo libro una corretta analisi dei meccanismi mnemonici che sottendono questo particolarissimo (almeno per noi) sistema di trasmissione, evidente che quando discetta su argomenti che fanno parte della sua scienza è in condizioni di proporsi in maniera meno sterile e vacua di quanto appaia quando tratta altri e ben più delicati temi; temo che non si sia ben reso conto della portata delle sue affermazioni a favore della genuinità delle narrazioni contenute nei testi da lui criticati. Il cervello, sicuramente in virtù d’adattamenti culturali evolutivi, è in condizione di porre in essere accorgimenti tali da automatizzare la trasmissione di complesse informazioni trasmesse per via orale. Non si tratta, come ovvio, di una sua scoperta, la psicologia che studia i meccanismi dediti all’apprendimento ha da tempo congetturato che in una società o in un ambiente culturale ove sia privilegiata la dizione piuttosto che la grafia, il cervello, in forza della sua plasticità adattativa, in una certa misura, stimata anche a livelli piuttosto elevati, è in grado di rendere statico il contenuto dinamico dell’informazione. Viceversa, una comunità che si affidasse quasi esclusivamente alla trasmissione grafica dell’informazione, tende a fare deperire le capacità mnemoniche e di stabilizzazione del cervello. Il decadimento dell’informazione è tanto più elevato quanto maggiori sono i passaggi, il decorrere del tempo dall’avvenuta stabilizzazione rispetto al momento in cui si sono verificati i fatti narrati è un altro fattore che mina fortemente la stabilità dei valori elementari dell’informazione, fino al suo totale ed irredimibile deterioramento. In assenza di altri elementi è assunto come momento di stabilizzazione il primo testo scritto che reca la narrazione degli eventi cui l’informazione si riferisce. Questa situazione depone a favore della genuinità dei testi sia gnostici che canonici. Quel che riportato in grafia è, con una buona approssimazione e fatte salve alcune inevitabili imprecisioni, sviste ed inesattezze, quanto in quel tempo circolava in forma orale, ne rappresenta quantomeno il nucleo essenziale. Lo studio interdisciplinare dei manoscritti c’informa sulle interpolazioni e sulla datazione di ciascun testo. Detto studio, se ben corroborato e coadiuvato da una corretta analisi dell’antropologia culturale, è in grado di suggerirci anche che una narrazione, soprattutto se permeante la società in cui prende vita e si propaga, non è mai avulsa da eventi e accadimenti concreti. Quindi si può con buonissime ragioni sostenere che si tratti di narrazioni di fatti realmente accaduti. Resta, come facilmente intuibile, da stabilire quanto queste narrazioni siano coerenti con i fatti: ciò è principalmente compito degli storici. Una narrazione mitica, un mitologema, quali possono essere i miti dell’Antica Grecia o il racconto del Genesi che, anche se in diverse forme e con differenti prospettive – teofanico il primo, protologico il secondo - utilizzano proprio la tipologia di linguaggio mitologico che fa larghissimo uso di metafore, iperbole e simbolismi. Il mito è la narrazione fantastica (non fantasiosa) che traduce il sentimento di una comunità. In tal senso il mito, pur non essendo del tutto fattuale, sebbene conservi sempre nel suo nucleo stille di concretezza e di realtà, è veritiero… è verità! Ciò, come ben intuirai, non ci dice molto sulla realtà di Gesù, anche se ci suggerisce che qualcosa dovette accadere, in ogni caso ci avvicina non poco alla comprensione dei testi, anche se non decide e non può decidersi pro o contro o gnosticismo o il cristianesimo paolino. Qui, per compiere questo passo, non potendo che affidarci esclusivamente a quanto troviamo di scritto, dobbiamo affidarci alla paleografia. Una testimonianza è tanto più coerente alla realtà di cui si fa testimone quanto più è prossima ai fatti e agli accadimenti che racconta. Lo scorrere del tempo comporta una progressiva ed inevitabile compromissione dell’informazione, fino al suo totale decadimento. La datazione paleografica dei testi sia gnostici che canonici deporrebbe, senza meno, a favore dei quattro vangeli, degli Atti di Luca e delle lettere paoline (anche se per quest’ultime v’è tutto un discorso a parte, essendo esse un chiarissimo sforzo editoriale apologetico). Pur permanendo il dubbio o il sospetto che i testi in nostro possesso non siano quelli originari, potendosi trattare di successive elaborazioni e/o traduzioni, ciò è valido sia per il corpus gnostico che per quello cristiano paolino. Diciamo che i testi del Nuovo Testamento, anche volendo attribuire loro un intento esclusivamente apologetico, stessa caratteristica ascrivibile ai testi gnostici, hanno un’alta probabilità d’essere più coerenti rispetto a quelli gnostici. |
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03-10-2007, 11.15.06 | #59 |
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Riferimento: Gesù si riconoscerebbe nella chiesa di oggi?
Altro argomento non di poco conto è quello che rileva nei testi di Nag Hammadi la quasi totale assenza di narrazione storica. Gesù non appare come un personaggio storico, non agisce, non cammina per le strade della Palestina, non ha emozioni, non soffre, non gioisce, non respira, non mangia…. Appare come un automa che non vive; è poco realistico. Il Pistis Sophia è un complesso trattato filosofico e cosmologico, che ha ben poco a che vedere con l’immagine di un uomo che vive. Il Vangelo di Tommaso, il più accreditato, è solo un catalogo di detti o presunti detti di Gesù, in parecchi punti coincidenti con gli aforismi riportati dai quattro canonici. Il Vangelo di Verità, quello di Filippo e di Maria sono anch’essi smaccatamente apologetici. Il Vangelo di Giuda, al momento l’ultimo grano della variopinta collana gnostica, è un trattato cosmologico, quasi astrologico che poco ha da spartire con un uomo che cammini e che incontri i suoi simili, che li ammaestri ai suoi insegnamenti. Ben altro sapore si ricava dai testi canonici.
Al di là ed oltre l’arciabusato argomento della datazione dei testi, proporrei un’altra e forse più importante ragione che verte a favore della genuinità del messaggio tramandato dai testi canonici che – a detta mia - svigorisce la pretesa gnostica. Un’analisi dal sapore proto-psicologico, cioè la comparazione del messaggio dell’uno e dell’altro versante con l’immagine di Gesù che ciascuno dei due contrapposti schieramenti propone (anche se è sempre un azzardo procedere in questa direzione). Sia il Nuovo Testamento che il corpus gnostico in nostro possesso ostentano la divinità di Gesù. Addirittura i testi gnostici con maggior vigore di quanto faccia l’Antico Testamento, fino a negare del tutto la natura teandrica di Gesù. Per entrambi è il figlio di Dio, il Dio creatore del cielo e della terra e di tutte le cose visibili ed invisibili. I docetisti, una setta gnostica a cavallo fra il secondo e il terzo secolo, negavano la natura umana di Gesù, affermando che le narrazioni inerenti alla sua storia umana riguardavano una dimensione spettrale del Cristo, tanto che non fu possibile, per loro, che Egli potesse essere morto in croce, colui che fu inchiodato ai legni era un phantasma. Gli ebioniti, viceversa, propendevano per l’umanità di Gesù, negandone totalmente la natura divina. Questi esaltavano gli aspetti della predicazione che più si prestavano ad un’interpretazione in chiave rivoluzionaria (il loro Vangelo è andato smarrito). Ricusavano Paolo e si rifacevano alla scrittura di Matteo, senza che sia possibile comprendere però se si tratti dell’evangelista. Il mondo gnostico è quanto di più multiforme e variegato si possa immaginare, molto più complesso, contorto e contraddittorio di quello paolino. In ogni caso, sia quel che sia, se per entrambi – per quanto riguarda gli gnostici almeno le sette più importanti - Gesù era il Figlio di Dio, il vero Dio che poteva anche non corrispondere con Jhwh dell’Antico Testamento (che inserisce un’ulteriore complicazione, non più la fede su un unico Dio da credere reale, ma addirittura su due in disputa fra loro), è immaginabile che la predicazione di Gesù, il suo messaggio e la sua dottrina possano essere rivolti solo ad una ristretta cerchia di umani (i pneumatici) a scapito della moltitudine (gli ilici)? A me, credessi in Gesù ed alla sua divinità, verrebbe davvero molto difficile pensarlo ed immedesimarmi in un rifiuto della Creazione oppure in un’elité. Anch’io ancora oggi credo a certe cose, alla superiorità morale di un pensiero rispetto a tanti altri; ho smesso però di confrontarmi con le malversazioni interessate che troppi fanno di quel pensiero molto prossimo all’insegnamento di Cristo. Ciò non significa che il pensiero o l’idea siano privi di valore in sé e per sé. Ritornando a Gesù. Sembra oramai assodato che nel crogiuolo tempestoso della spiritualità giudaica del tempo qualcosa d’importante sia realmente accaduto. Si parla con insistenza di un certo Gesù di Nazareth. Dal suo insegnamento è stata ricavata una religione, la quale ostenta se stessa e il suo potere con l’opulenza e il lusso di Santa Romana Chiesa. Quest’ultima radica le sue pretese d’egemonia dottrinale (cattolica) sugli scritti contenuti nella Bibbia, precipuamente sulla raccolta di testi denominata Nuovo Testamento, quindi sulla figura di un Gesù storico. Il Nuovo Testamento è la traduzione e stabilizzazione d’idee e narrazioni che permeavano il tempo e il luogo, ancorché sia una raccolta infarcita di manomissioni. La Chiesa si definisce custode e divulgatrice privilegiata di questa complessissima storia. Senza voler entrare nel merito delle reali intenzioni di Cristo in ordine alla sua fondazione – credo che sia arduo aver certezza della sua reale volontà -, la Chiesa, in questa funzione, in questo compito, avrebbe, a parer mio, più plausibilità di quanto ne possano avere i movimenti gnostici. Certo che non le riconosco alcuna superiorità morale, così come non le riconosco alcun titolo per interferire così impunemente nelle questioni sociali e politiche di uno stato sovrano. Il suo unico e fondamentale compito dovrebbe limitarsi alla custodia, trasmissione e sequela di Cristo, senza con ciò assurgere a paladina di se stessa a scapito di chicchessia. Solo in quest’ottica l’istituzione vaticana ha una sua intrinseca ragione d’esistere. P.S.: sto’ leggendo con interesse il testo da te linkato. Ciao |
04-10-2007, 16.36.11 | #60 |
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Riferimento: Gesù si riconoscerebbe nella chiesa di oggi?
Ho letto con estremo interesse il lungo articolo di Zindler da te linkato. Non nascondo il mio fastidio per una lettura che ha il sapore del già noto, del già visto. Mi sorge lo sconsolante dubbio che certi pseudo esperti non siano in grado di scovare argomentazioni più solide per perorare le loro tesi. A molti di loro suggerirei un’attenta lettura di Feuerbach, ne trarrebbero giovamento. Fra le altre cose che di seguito miseramente proverò a commentare, rilevo una forte assonanza, quasi un’omofonia, fra Dawkins, Odifreddi e Zindler, soprattutto in quest’ultimi, perlomeno quando affrontano tematiche che, si nota immediatamente, non appartengono alla branca di studi di loro pertinenza, mentre, invece, non ho remore a ritenere più che interessanti gli argomenti esposti da Dawkins quando tratta materie più attinenti e consone alla sua formazione culturale e scientifica. Alcune trattazioni sono affrontate con vero e proprio dilettantismo. Odifreddi, per esempio, indugia per un discreto numero di pagine sull’argomento Elhoim, non sapendo, evidentemente, che detta apparente contraddizione ha una sua logica spiegazione (non gli suggerisce nulla il fatto che ogni soggetto declinato nella forma plurale sia sostenuto o sostenga un verbo coniugato alla prima persona del singolare?). Spiegazione logica, naturalmente, se e quando si rinuncia alla negazione preconcetta. Entrambi – Dawkins, Odifreddi e Zindler -, solo per citare una delle tante sconcertanti negazioni di cui sono infarciti i loro scritti, potrebbero impiegare una residua parte del loro prezioso tempo immersi nella lettura più che interessante del Mosé di Martin Buber, penso sarebbero stimolati a scovare qualche spunto più intelligente con cui imbastire una sagace replica.
Entrando nel vivo dell’argomento che mi sono proposto di trattare, prendo atto di quanto mi duri fatica immaginare di poter rintracciare qualche prova sull’esistenza di Gesù fra le pagine dell’Antico Testamento, se per prova intendiamo quel che solitamente deve essere inteso. Una prova è una dimostrazione a posteriori che si esplica attraverso deduzioni logiche e/o per via diretta in virtù di un’esperienza fattuale circa l’oggetto della prova. Si tratta quindi, con tutta evidenza, dell’attestazione dimostrativa di un evento o di un ragionamento che non può che avvenire in un momento successivo o contemporaneo al dato sottoposto ad indagine. Stupisce che Zindler, o chiunque altro, possa pretendere di attingere prove sull’esistenza di Gesù dall’Antico Testamento, poiché questa raccolta di scritti precede la nascita del soggetto dell’indagine. Piuttosto, nell’AT è possibile rinvenire non pochi passaggi che, alla luce degli eventi successivi, possono essere collegati all’avvento e al ministero di Gesù. Son ben cosciente quanto tale metodo epistematico possa prestarsi a qualche forzatura, e non è detto che non ce ne siano state, poiché, nella fattispecie, l’esegesi si sviluppa in dipendenza d’eventi che risentono di una notevole sfasatura temporale, a prima vista scollegati l’uno dall’altro e che non appaiono immediatamente assimilabili dalla legge che prescrive che ogni effetto sia generato da una causa… la sua causa. La vena letteraria profetica si offre alla possibilità, affatto peregrina, visto che l’argomento attiene alla trascendenza, che le profezie relative alla venuta del Messia siano ricollegabili alle narrazioni dei quattro evangelisti. Per onestà, non posso sorvolare sull’evidenza che a posteriori è abbastanza agevole piegare e modulare gli eventi affinché si prestino all’interpretazione cercata perché voluta. Questa è una delle critiche più razionali e sensate che siano state prodotte in relazione alle innegabili congruenze riscontrabili fra profezie dell’AT e narrazioni contenute nel NT. In ogni caso, uno studioso serio non dovrebbe liquidare con tanta faciloneria l’intera letteratura veterotestamentaria così come fa Zindler, ma enucleare dall’uno e dall’altro testo quegli elementi che potrebbero essere indice e marcatori dell’avvenuta manipolazione. Il suo non è certamente un metodo scientifico, ma una sterile negazione aprioristica. In tale operazione è stato certamente più serio Odifreddi. Si hanno più che buoni e ragionevoli motivi per ritenere arbitraria l’attribuzione a Marco, Matteo, Luca e Giovanni dei quattro Vangeli canonici. In effetti, si tratterebbe di opere composte d’autori anonimi redatte in data postuma alla morte di Gesù, anche se permangono non poche riserve sull’autore del quarto Vangelo. Essendo anonimi gli autori, è plausibile, ma non certo, che non fossero testimoni oculari dei fatti narrati. Almeno per Luca ne abbiamo la certezza, poiché il prologo è una dichiarazione esplicita in tal senso: <<[1]Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, [2]come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola, [3]così ho deciso anch'io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo, [4]perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.>>. Come a dire <<Ora ragazzi prestate attenzione a me, ve la racconto io la vera storia di Gesù!>>. Stupisce che Zindler non abbia tenuto conto di tale pronunciamento e lo pretenda proprio da Luca come attestazione di testimonianza diretta. Mentre questa auto certificazione è ben chiara e presente nella seconda conclusione del vangelo di Giovanni – interpolazione? Vedremo di seguito -, ed in una certa misura anche nella prima: << [24]Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. [25]Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere>>. Insomma, quando è presente la si pretende, quando invece c’è la si ricusa sdegnosamente. In ogni caso, il problema dell’anonimato dei testi antichi si offre alle più disparate congetture. E’, infatti, un argomento affrontato con dovizia di particolari da più di uno studioso e riguarda non solo l’AT o il NT, bensì una moltitudine di testi antichi: celeberrime, a tal proposito, sono la “questione omerica” e quella “esioidea”. La spiegazione più logica e razionale è fornita dall’ipotesi che non fosse uso, non ritenendola degna di menzione, la celebrazione dell’autore o degli autori, nei casi di redazioni a più mani, dei testi, volendo questi concentrare l’attenzione del lettore esclusivamente sull’argomento trattato, che rappresentava l’unica giustificazione e ragione inducente la redazione. Insomma non s’avvertiva alcuna necessità o urgenza di porre il marchio di fabbrica sulla propria opera, poiché non rivestiva alcuna importanza chi avesse scritto cosa, ma aveva ben maggiore importanza cosa era stato scritto, il cui unico fine rispondeva a due esigenze: l’una di carattere divulgativa, l’altra conservativa. Tutto ciò è risaputo e noto; stupisce che Zindler o chiunque altro si pongano ancora questo problema. Resta il fatto che l’anonimato non ci dice se gli autori dei testi in parola fossero testimoni oculari, ma non può escluderlo a priori. Per quel che mi riguarda, adeguandomi senza troppe remore al pronunciamento dei maggiori studiosi in materia, credo che almeno tre degli evangelisti non fossero testimoni diretti dei fatti narrati. Per quanto riguarda Giovanni, non essendo io un esperto, assumo come mie le riserve formulate a più riprese dalla maggioranza dei ricercatori. L’argomento dell’attribuzione arbitraria dei Vangeli, ancorché sensato, non mi pare di per sé sufficiente a dichiararli inattendibili. Non credo che né Zindler né Odifreddi possano negare l’esistenza di questi scritti o la loro vetustà, fortunatamente non lo fanno, di tale evidenza dovrebbero tenere conto. |