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16-01-2007, 15.19.16 | #4 |
Ospite pianeta Terra
Data registrazione: 17-03-2003
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che cos'è l'Illuminazione
Nel tentare di descrivere cosa è l’illuminazione mi riporto alla parola realtà che muta da soggetto a soggetto a seconda del grado di evoluzione ed alla parola Verità, che racchiude il fondamento comune di disillusione, fino all’Unione con lo Spirito o se vogliamo la nostra Venerabile Natura.
L’illuminazione non è nient'altro che un processo interiore che matura più realtà fino alla trasformazione dell’individuo, disidentificato dalla costruzione della mentalità collettiva tramandata.. Questa nuova facoltà o visione percettiva è l’Esperienza che permette innanzitutto di trasformare una nuova capacità di concepire le nostre emozioni che sempre ci controllano, separandoci dal peso del possesso, del desiderio istintuale e dal senso di credere di essere qualcosa. Questa nuova visione dona Libertà. Mi rendo presto conto così che le realtà precedenti fatte di esperienze sono un semplice gioco d’illusioni e che il vero Protagonista di questa esperienza è un Testimone invariabile e fermo. Questa Presenza immateriale mi apre ad ancora una nuova Realtà che posso definire Spirito o Essenza e che può essere sperimentata da ogni soggetto mano a mano che la corrosione di questo strato d’identificazione (ego) si assotiglia fino a dissolversi... Ciò non significa perdersi assolutamente, semmai ritrovarsi.. riallacciare una relazione con quella parte sopita in noi NON originata dal pensiero.. e in tutti i tempi è stata chiamata la Via dell'ILLUMINAZIONE. Si potrebbe sintetizzare ancora come quell’Esperienza Alta dove cade ogni identificazione e cessa ogni identità.. ma la stessa spiegazione spaventa la mente equilibrista ed a dimostrazione di questo, spesso nega l'ipotesi stessa! Questa condizione Spirituale non è un fatto comune, però da sempre è presente in ogni cultura sia occidentale che orientale, un significato questo che per i più scettici dovrebbe avere... L’Illuminazione è costituita da una sequenza di passaggi che conducono alla visione di una Verità Unificata che va ad esaurire quel senso di “solitudine esistenziale” che accompagna ogni individuo dalla nascita, fino a consolidare un passaggio dall’esterno all’interno per fondersi nel viceversa, e che corrisponde a ciò che hanno da sempre chiamato rinascita (o nascita eterna). Tutti noi siamo avviati a questo percorso anche se al momento non lo percepiamo.. cioè a ricercare il riflesso della nostra Anima .. Questo passaggio si può condividere sempre più, mano a mano che lo strato impalpabile delle nostre illusioni si frammenta... |
16-01-2007, 15.36.36 | #5 |
stella danzante
Data registrazione: 05-08-2004
Messaggi: 1,751
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Riferimento: Illuminazione religiosa
Mi unisco alla richiesta di Visechi di riformulare meglio l’intento del thread, perché se è come credo di aver capito una richiesta di confronto tra credenti e non credenti lo trovo stimolante.
Un po’ perché per hobby ho accumulato nozionismi che al momento mi appaiono sterile onanismo, ma che mi hanno gratificata per il tempo necessario, ossia finché hanno assolto alla funzione di stimolare la produzione di dopamina.. Al momento dicevo sento il bisogno di confrontarmi con la pragmatica di quello che fino ad ora ho imparato, e all’atto pratico, in fondo alla strada della gnosi c’e’ … un bel nulla. Certo è bello sapere che un certo Valentino asserisse all’epoca che oltre YHWH c’e’ un altro Padre, che si rivela nel figlio e solo nel figlio, ma solo il figlio potrà decidere a chi altro presentare il padre, è bello che nel corso delle farneticazioni cabalistiche si raggiunga l’en sof e che la trasmissione avviene se e solo quando Egli ritiene meritevole il cabalista, è bello pensare ad una trasmutazione alchemica che avviene solo se Ruah Elohim decide di soffiare proprio verso questo adepto, ed è altrettanto carino pensare che Krshna decide (sempre per amore) di creare gli Asura, le condizioni demoniache nell’uomo che per tutto il corso delle reincarnazioni impediranno al malcapitato di poter conoscere la persona suprema, finchè per amore, sempre per amore, lo annienta, lo uccide, per porre fine alla sua penosa esistenza. E at last but not least, che ne è della bellezza del dono della fede cristiana? Che Dio dà al suo adorante fedele, così ne potrà vantare la superbia rispetto a chi non ne è stato beneficiato e al quale aspetta nientepopòdimenoche’ … la dannazione eterna? ….. Ma poi alla fine quando ci si illumina … non ci rompe un po’ le b… non è più bello restare a sapere di non sapere e continuare ad aggiungere sempre un pezzettino in più di conoscenza, (non quella assoluta, ma quella molto più pragmatica, quella.. Relativa al mondo delle cose terrene) sapendo che c’e’ ancora tanto, tanto altro da sapere che non ci si potrà annoiare vita natural durante? Be’ ecco perché io non accetto, discutiamone, convincimi del contrario … illuminami |
16-01-2007, 18.28.48 | #6 | |
Ospite abituale
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Riferimento: che cos'è l'Illuminazione
Citazione:
È sempre un gran piacere leggerti. Un abbraccio. SalvatoreR. "La verità era uno specchio che cadendo dal cielo si ruppe. Ciascuno ne prese un pezzo e vedendo riflessa in esso la propria immagine, credette di possedere l'intera verità." (Mevlana Rumi, Sec. XVI) |
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16-01-2007, 21.19.09 | #7 |
Utente bannato
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Messaggi: 237
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Riferimento: Illuminazione religiosa
se posso esprimere un pensiero stupido, direi che la luce bianca accecante è formata da tutte le frequenze, quindi essere illuminati significa abbracciare tutto quello che c'è da abbracciare. Se uno si illumina solo in un certo senso allora farà una luce rossa, verde o blu ma non sarà mai una luce completa.
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17-01-2007, 06.37.23 | #8 |
Ospite abituale
Data registrazione: 12-09-2005
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Riferimento: che cos'è l'Illuminazione
Geniale, Atisha!
Non mi serve quotare segmenti del tuo post, tanto lo condivido tutto! Il mio primo desiderio è quello di conoscere come sia sorto il tuo nome, che è altrettanto geniale. Sei donna?: SHA = utero. La mia condivisione è anche una conferma del fatto che tu hai già ben quotato il tuo post sul mio e su di me. Brava! Lo scrivo di getto e senza riserve. Non credevo utile trasmettere una riflessione così profonda tanto è insolito per me trovare condivisione (otto anni di solitudine). L'ho fatto solo incuriosito dalla frequenza degli accessi. -Brava (o bravo)- ti ripeto convinto. |
17-01-2007, 07.33.51 | #9 | ||
Ospite pianeta Terra
Data registrazione: 17-03-2003
Messaggi: 3,020
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Riferimento: Illuminazione religiosa
Citazione:
direi che tanto "stupido" non è questo pensiero.. anzi.. ------------------------------------------------------ Citazione:
ti ringrazio per l'apprezzamento e, sinceramente, non mi dispiace quando ogni tanto qualcuno condivide ciò che scrivo.. contraccambio... un saluto |
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17-01-2007, 08.56.18 | #10 |
Ospite abituale
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Messaggi: 1,150
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Riferimento: Illuminazione religiosa
Non mi stupisco affatto! Quando, tempo fa, lessi l’Asino d’oro di Apuleio, lo lessi appunto in chiave gnostica. Tra l’altro, gli ultimi capitoli descrivono un percorso iniziatico, e non mi sembra possano essere interpretati in modo diverso.
Non ho letto l’intero articolo da te consigliato, ma in quel poco o molto che il tempo mi ha concesso di leggere, rilevo che la tua è quasi una crociata condotta, lancia in resta, sul versante della polemica, ben sorretta dalla ricerca filologica, contro il ‘canone’, ovverosia la ‘misura’- il bastone che segna la distanza, di cui però ti appropri per brandirlo contro te stesso (poi ti spiego) – che, nel suo essere tale, componendola e dichiarandola, de-finisce e de-limita qualsiasi ‘forma pensiero’. Ma, e qui sta tutta la mia stupefazione per l’arditezza del compito che ti proponi, nell’incrociar le lame della facondia con il ‘conforme’, nell’erigere i baluardi della polisemia avversi ‘all’adeguatezza’ e al ‘catalogo’, nell’impeto gnoseologico del ‘verbo’ da contrapporre ‘all’usuale’ e al ‘conforme’, nella bramosia destrutturale che nulla destruttura, troppo preso nel e dal vortice della disputa, così infervorato (la faccio un po’ lunga per la suspance), non t’avvedi ‘minima-mente’ che tu stesso sei ‘massima-mente’ nel ‘canone’: ci sei dentro anima e corpo, passione ed intelletto; non t’avvedi che, attraverso lo strumento della speleologia etimologica, ti offri preda e strumento, piedi e calzari, al ‘canone’: lo costruisci, lo strutturi, lo edifichi, normatizzi, normalizzi e obliteri pur’anche. Anche se lo travesti e lo trasformi, rendendogli disponibile una diversa e più ampia gamma di ‘vesti significanti’. La polisemia – prodotto della tua operazione – non destruttura, non decostruisce, estende solo la gamma semantica della parola; amplia l’offerta del senso e del significato estendendo l’orizzonte fabulatorio… null’altro. In pratica, operi in maniera tale da conficcare più addentro le sue radici (del canone, della parola) – fin lì giungi -, rendendo il ‘canone’ più saldo e forte, virile e volgare (pardon); le preservi e ramifichi (le radici) nel terreno ascoso della polisemia, senza però con ciò destrutturare e decostruire il senso che, sebbene disteso su un più ampio orizzonte semantico o lessicale, mantiene inalterato il proprio vigore conchiudente. La filologia, così utilizzata, si offre – prona –, in guisa di efficace strumento, per la celebrazione dei fastigi, della gloria e degli onori da tributare al ‘canone’ – che però dileggi -; diviene così scaturigine della norma, sebbene in una certa misura la rimoduli attraverso la polivalenza, che però non è ancora e mai sarà ambivalenza. Se, infatti, per un verso può essere dichiarato ‘canone’ – ed è giusto farlo – il pensiero evocato dalla parola inappropriata, inadatta, o il cui etimo, la radice, si è perso nello svaporio dell’uso e per via dello scorrere del tempo; è anche vero, ed a maggior ragione, che il recupero archeologico che tu compi, quasi una speleologia che si tuffa nella protostoria del vocabolo, nell’aurora del logos, nelle sue lallazioni, esso rappresenta il ‘gene’ primordiale del methados, ne rappresenta il decalogo, la norma, la regola che tu dichiari di aborrire. Ciò, m’insegni, perché, comunque sia, la parola è identificativa, distintiva e decisoria, e ciò accade sempre anche quando è polisemia, cioè polivalente, perché scorda e disdegna l’ambivalenza. Utile ed interessante sarebbe sviluppare una discussione dedicata alla genesi ed all’evoluzione del linguaggio…. Ma sarebbe tutt’altro discorso che esula dal problema spirituale dell’Illuminazione, a cui giungerò al termine del mio vaniloquio. Non ricordo con esattezza chi, forse Derrida, affermava che nelle coppie di opposti, la risposta a cosa è vero, cosa è buono e cosa male, sta nell’intervallo, nello spazio che separa i due termini opposti; diceva, folle, che la verità e l’essenza sono da ricercare – senza poterle però mai trovare compiutamente – nella barra obliqua che separa gli opposti. La sua fu una voce che si ergeva solitaria nello spazio occupato dalla ricerca scientifica, troppo positiva, troppo decisoria, troppo retorica… una posizione apofatica – non nichilista - che caracollava fra le indefettibili certezze del pensiero scientista… tanta acqua ha però solcato quegli spazi ove il dubbio non trovava dimora. La risposta e nel non detto, nell’indicibile e nell’indecidibile fra poli opposti, non nella polivalenza di valori semantici, ma nell’ambiguità che trova dimora all’interno dello spazio vuoto, privo, quindi, di loquela che de-cide e de-finisce. E’ quindi in un orizzonte aperto, nel Caos della parola. Che assonanza con l’apofasia delle lezioni eckhartiane: <<ignorare d’ignorare>>, o quelle dell’altro mistico del medioevo, le lezioni di Nicolò da Cusa che glorificavano la ‘Dotta ignoranza’ (anche il titolo dell’opera è ambiguità, è ambivalenza non polisemia): <<ciò che desideriamo, è sapere di non sapere>>. Come siamo lontani dalla gnosi cabalistica o ermetica o astrologica dei vari signorotti iniziati alla vanagloria di se stessi: che suono definire Dio non ente, Ni-ente, che viaggio reperire le sue tracce ben radicate nel Nulla metafisico… e non c’è gnosi che tenga rispetto alla mistica che nega la via della conoscenza per stadi iniziatici. Il tuo methados – altro non è – non destruttura alcunché, né scompone né smonta la ferrea dorata gabbia della parola che declina il pensiero; tu attraverso la polivalenza etimologica la coccoli avvolgendola in caldi nuovi sicuri multicromatici screziati variegati abiti sgargianti; attraverso la polisemia, che recuperi là ove ti rechi, ai piedi della radice della parola, costruisci un nuovo smagliante methados, che, pur tracciando nuove direttrici di senso al phenoma, confluisce sempre nel ‘canone’: meno angusto, più esteso – e questo non rappresenta in sé un’opera meritoria tesa al fine che dichiari di esserti prefissato -. Così facendo spingi sempre più addentro al molle terreno dell’afasia fabulatoria l’apparato radicale della parola, che è già ‘canone’ in sé, pur’anche fosse ancora solo in uno stadio embrionale. Nell’accogliere la polivalenza del verbo, ne rifiuti o disdegni l’ambivalenza, rinneghi lo sguardo ambiguo ed aporetico che la Vita lancia; distogli il tuo udito dal richiamo umbratile e crepuscolare che l’esistere nel mondo t’indirizza. Sguardo e voce che non si dispiegano nel verbo ‘de-cisorio’, sempre comunque presente e vivo nell’etimo – qualunque questo sia - che la parola stessa contiene, la quale, formulandosi in dizione o grafia, dischiude un solo unico orizzonte, quello portato dal significato, anche polisemantico, della dizione; la vita e l’esistere nel mondo si formulano in un trasparire, o echeggiano nell’ulteriorità della de-finizione che la parola, per suoi limiti congeniti, non è capacitata a cogliere. Il Volto della Vita non si coniuga in grammatica, non attiene alla semantica, non è branca della metafisica della presenza – ben viva nella parola, che in sé è appunto presenza -, ma si dichiara nell’oltre, nell’ultramondano delle cose che le parole, per eccesso decisorio, non colgono e non svelano neppure se si traducono in polisemia. Differire – ora son certo, si tratta di Derrida – significa ‘dissomigliare’, essere diverso, non essere uguale; assume anche il significato di rinviare ad un oltre. E’ nella differenza che si apre come squarcio fra de-cisione e de-finizione del phonema e quanto dell’essere è inattingibile, che si coglie quell’assenza (differenza) e quell’ulteriorità (differire) che appunto la speleologia etimologica e filologica non sono capacitate a recuperare. Ma è sempre un trans-parire, un baluginare, un guizzare, un scintillare dell’essere, non certo la folgorazione di un’improbabile promessa d’ILLUMINAZIONE. La parola crea cultura; la cultura ordina; l’ordine è norma e regola; la norma è ‘canone’… la parola è così essenza, strumento, nutrimento, gene e radice del ‘canone’. Ciao |