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08-12-2008, 09.10.50 | #32 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Achille e la Tartaruga e altri paradossi
Citazione:
Ciao Albert, non se la tua domanda sia volutamente provocatoria, comunque proverò a risponderti, per quello che è il mio pensiero. Prendiamo ad esempio la funzione d'onda. E' ben differente considerarla una effettiva realtà fisica piuttosto che una mera funzione astratta di probabilità, non credi ? Nel primo caso io posso sempre pensare che l'esito di un esperimento sia in qualche modo determinato da una qualche natura fisica, nel secondo caso posso pensare che esso sia determinato dalla presenza dell'osservatore cosciente, e al limite posso anche pensare che non esiste realtà fisica se non al momento dell'osservazione. Certo, io non posso vedere l'elettrone, tu mi dirai... posso vedere solo una sua traccia o su una lastra fotografica o sullo schermo di un tubo catodico... ma questo forse mi autorizza a pensare che esso esista solo al momento dell'interazione con lo strumento ? O mi autorizza a pensare che è inutile chiedersi cosa facesse prima di interagire con lo strumento ? (che è poi la storia legata al famoso gatto). E ora ti pongo invece io una questione: non è forse vero che le teorie che hanno segnato la storia della fisica sono nate da pure speculazioni teoriche al di là della semplice osservazione ? |
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08-12-2008, 09.43.54 | #33 |
Ospite abituale
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Riferimento: Achille e la Tartaruga e altri paradossi
Ciao Dubbio,
la meccanica classica si è sempre basata su 3 principi fondamentali: Realismo (gli enti esistono indipendentemente dalla nostra osservazione), Localismo (un'informazone non può superare la velocità della luce), Separabilità (in 2 sistemi sufficientemente lontani non esiste causalità tra i fenomeni). I teoremi di Bell dimostrarono che assumere quei 3 principi ERA IN CONTRASTO CON L'ESPERIENZA. Secondo me quindi (ma anche secondo molti fisici) Bell non ha dimostrato che non esistono le famose variabili nascoste, ha invece dimostrato inequivocabilmente che Einstein aveva torto nell'assumere veri i 3 pricipi di cui sopra (forse la diferenza ti sembrerà sottile, ma non è così). Sorvolo sui ricami più o meno metafisici che molti divulgatori ed anche alcuni fisici hanno fatto sugli aspetti non classici della m.q. La differenza tra il rinunciare al LOCALISMO e il rinunciare alla SEPARABILITA' è fondamentale: infatti rinunciare alla prima significa rigettare completamente una delle teorie meglio verificate della fisica (la RG). Molti fisici parlano ad esempio degli effetti non-locali di alcuni fenomeni sub-atomici, ma non intendono certo con questo che vi siano interazioni che si trasmettano istantaneamente; di fatto si è rinunciato appunto alla separabilità (e non è stato comunque indolore), e l'universo microscopico appare fondamentalmente interconesso in modo misterioso. Sulla non esistenza del tempo la fantasia di molti secondo me è volata... di fatto la m.q. ha integrato perfettamente la relatività ristretta, quindi assume che le particelle non possano superare la velocità c. Quando si dice che per un fotone il tempo non passa è una metafora, essendo c la max. velocità essa goca in effetti il ruolo di velocità infinità per tutti i fenomeni. Diciamo invece che nel mondo sub-atomico sembra non esserci una direzione preferenziale nel tempo, come accade invece nel mondo macroscopico: le particelle sembra possano andare a spasso tranquillamente nelle 2 direzioni del tempo. In effetti questo accadeva anche nell'elettromagnetismo: le soluzioni delle equazioni di Maxwell sono 2 onde, una che si propaga nel senso del T crescente (dal presente al futuro), una che si propaga nel senso del T opposto (dal futuro al presente). Fisicamente la prima onda ha un senso: una corrente nel presente causa un'onda nel futuro; la seconda soluzone invece può essere rimossa senza problemi, perchè nessuno ha mai sperimentato una corrente nel presente causata da un'onda che viene dal futuro... Invece nel mondo sub-atomico nessuno mi vieta di pensare che i 2 elettroni che vedo in un certo stato ad un certo istante siano in realtà un solo elettrone che se ne è andato avanti e indietro nel tempo. |
09-12-2008, 15.30.02 | #34 | ||
Ospite abituale
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Riferimento: Achille e la Tartaruga e altri paradossi
Citazione:
è sostanzialmente questa: se due sistemi sono sufficientemente distanti e nulla può viaggiare alla velocità della luce (e quindi non possono comunicare tra loro) i sistemi non possono essere "correlati". Invece nella realtà (degli esperimenti) sono correlati! Come lo spieghiamo? Secondo me (ma è una mia valutazione del problema) è insufficiente dire che questi due sistemi sono "inseparabili". Se sono inseparabili significa che tra loro comunicano anche quando sono distanti. Ma se "realmente" (in questa parola aggiungiamo <<per noi>>) i due sistemi sono distanti, come fanno a essere correlati? E' logico (o ci viene piu logico) pensare che se due sistemi distanti si comportano in modo correlato comunicano tra loro. Oppure dovremmo gettare nella pattumiera il nostro concetto di separabilità. Se infatti distanzio sufficientemente due oggetti, essi non si comporteranno ne in modo correlato e ne potranno comunicare. Dire che, invece, potremmo "rinunciare" al solo concetto di non separabilità ammettendo invece il concetto di di località, mi sembra insufficiente, perchè mi sembrano invece l'uno correlato all'altro. Una risposta adeguata forse sarebbe possibile se riuscissimo a separare (questa volta sarebbe una separazione dolorosa ) la realtà delle cose dalla nostra esperienza sensoriale. Questa sarebbe la mia risposta a Albert: effettivamente esistono dei sistemi (quelli quantistici, entanglement es.) che si comportano non in modo corretto per le nostre conoscenze attuali. Si comportano infatti in modo correlato pur essendo distanti. Come lo spieghiamo? Albert chiedeva: che differenza c’è tra una “descrizione dell'esperienza che noi facciamo del mondo” e una “descrizione del mondo” Prima di ogni cosa dovremmo comprendere i fenomeni. Spesso, come in questo caso, facciamo esperienze e ci dotiamo di descrizioni che però non spiegano i fenomeni (non tutti almeno). Qualcuno potrebbe non essere interessato perchè crede che non serva conoscerli, per altri invece sono importanti. La difficoltà ben inteso è notevole perchè siamo al limite tra la realtà sensoriale e un'altra realtà sotterranea. Il bello è che vi sono picchi in cui questa realtà sotteranea esce allo scoperto. Non avere idea di cosa c'è sotto forse ci spaventa, però fenomeni tipo l'entanglement non sono da sottovalutare e potrebbero rappresentare il famoso collegamento tra la realtà sensoriale e quella sotteranea. Citazione:
No, le variabili nascoste non le ha eliminate, infatti non si esclude variabili nascoste non-locali. Ciò che si può dire, forse, che per noi, per la nostra esperienza, per il nostro senso del tempo ecc. due sistemi correlati non nascono con "caratteristiche" (uso questo termine anche se non appropriato) determinate. Saranno (i sistemi) correlati sicuramente, ma alla partenza, per noi e per il nostro senso del tempo, nell'istante in cui facciamo l'esperimento non hanno nulla di determinato. Per questo è "necessario" riuscire a dividere la nostra esperienza sensoriale e l'esperienza(si può chiamarla così?) che quei sistemi provano sulla loro "testa". Sembrano, o lo sono, due "realtà" differenti. Nasce spontaneo il quesito: Come si dividono (queste due realtà) e se si dividono quando succede? Come fare esperienza di una realtà di cui non sappiamo nulla (almeno no in modo diretto)? Forse sono queste le preoccupazioni di Albert e di altri fisici. Bisogna però dire anche, e ricordarlo, che le disuguaglianze di Bell e gli esperimenti di Aspect non guardano dentro la realtà, la osservano dall'esterno, e nonostante tutto siamo certi del risultato. Quindi non è detto che ci sia bisogno di guardare sempre nello scatolo per vedere se è vuoto, esiste sempre (o quasi ) un piano B |
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10-12-2008, 15.57.21 | #35 | ||||||
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Riferimento: Achille e la Tartaruga e altri paradossi
Citazione:
Beh, ammetto che possa essere un po’ provocatoria, ma per me questa domanda è importantissima. Secondo me non ha senso interrogarsi sul mondo al di là dell’esperienza che ne possiamo fare, e questa considerazione può rendere molto più semplice la nostra concezione della realtà. Spero di riuscire a convincere qualche partecipante al forum!! Citazione:
Secondo me è differente solo se, negli esperimenti, ci porta a risultati diversi. Prova a considerare ogni interazione che abbiamo con la realtà come un “esperimento”. Se portano in ogni condizione agli stessi risultati, le due soluzioni sono equivalenti, farci un’imagine mentale piuttosto che un’altra è solo una questione estetica. Citazione:
Di nuovo, prova a considerare ogni interazione che abbiamo con la realtà come un “esperimento”. E non ci può essere esperimento senza osservatore Citazione:
Beh, questo per me è indifferente. Vederlo su una lastra fotografica o ad occhio nudo concettualmente è la stessa cosa. Anche vedere qualcosa ad occhio nudo è un “esperimento”, ci sono dei fotoni che interagiscono con l’oggetto e poi con la mia retina. Citazione:
Sì, è proprio quello che penso Citazione:
Senz’altro. Ma hanno valore scientifico solo se permettono di prevedere correttamente il risultato degli esperimenti. Poi ognuno è libero di arrivarci nel modo che preferisce |
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13-02-2009, 20.20.40 | #36 | |
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Comunque, personalmente, non concordo con l'immagine puramente strumentalista che sembri avere delle teorie. Non sarebbe semplice questione estetica, secondo me, se la funzione d'onda avesse realtà fisica e non fosse mero strumento matematico. Le teorie non sono solo strumenti di calcolo e previsione, sono (anche) rappresentazioni del mondo, questa la mia visione. In alcune interpretazioni della MQ, in effetti, la f. d'onda è ipotizzata avere realtà fisica e l'immagine della quantistica che ne deriva è molto differente, seppur l'apparato matematico sia sempre lui, naturalmente. Pensa solo all'esperimento delle due fenditure con una funzione d'onda “guida” fisica. A me, in effetti, gli esperimenti di interferenza con singole particelle mi hanno sempre turbato, molto più di altri, tant'è che mi sono fatto l'idea che parliamo un linguaggio totalmente differente da quello parlato da certa realtà microscopica, cioè non ci capiamo proprio e non sembra ci sia possibilità di traduzione, se non per il momento attraverso la matematica. I paradossi della quantistica, in fondo, sembrano derivare proprio da questo ovvero dalla fede mal riposta che il “nostro” interlocutore parli una lingua traducibile nelle nostre lingue macroscopiche. Una sedia “parla” a noi in modo piuttosto chiaro, un elettrone proprio no! E' inevitabile, comunque, chiedersi l'interpretazione dei concetti matematici ed è proprio qui che entrano le nostre concezioni sulla realtà. Non mi ha mai particolarmente convinto Bohr e la sua filosofia dei non-sensi per principio. Io me lo chiedo eccome ciò che succede “in mezzo” e non trovo affatto sia inutile, anche se parlo con un “interlocutore” che non sono in grado, per ora, di comprendere. A mio parere quelli che non lo fanno per il diktat neopositivista di Bohr, non fanno altro che assumere, non rendendosene conto per lo più, una certa filosofia scambiandola per scientifica, cioè da associarsi necessariamente al formalismo teorico. Ciao. |
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17-02-2009, 21.36.52 | #37 | |||||||
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Ci provo con piacere! Citazione:
Per me l’esperienza è l’insieme delle mie percezioni sensoriali. Citazione:
Mi pare che concordiamo con il fatto che in questo modo si semplifica la visione della realtà, perché si adotta una concezione semplificante. Citazione:
Beh, qua c’è il concetto di “realtà fisica” che dovremmo chiarire e forse demistificare. Per me una entità ha “realtà fisica” se può essere misurata. Si può discutere se la funzione d’onda, che non ci dice dov’è la particella, ma solo la probabilità che si trovi in un punto, abbia “realtà fisica” o meno. Secondo me però è solo una questione di nomenclatura, lo scopo della funzione d’onda (darci delle informazioni sulla particella, anche se in forma probabilistica) è chiaro. Le teorie sono rappresentazioni del mondo? Sì, ma non sempre in modo intuitivo. Si può pensare alla funzione d’onda come ad una rappresentazione del mondo, anche se ci è difficile accettarla come tale. Citazione:
Secondo me non è strettamente necessario che ci “parli”. Se lo può fare meglio, la visione è migliore, più intuitiva, stratificata da generazioni nella coscienza umana. Ma ci siamo spinti ad un punto tale che spesso questo non è possibile. Citazione:
No, non la assocerei necessariamente al formalismo teorico. Ciò che è “in mezzo”, se non può influenzare le nostre percezioni, secondo me non ci dovrebbe interessare (perché non ne sapremo mai nulla). |
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19-02-2009, 23.05.12 | #38 | ||||
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Sarebbe anche potuto essere differente, cioè, ad esempio, la nostra parola/concetto “particella” avrebbe anche potuto ben adattarsi a descrivere le entità microscopiche che chiamiamo “particelle”, ma che tali non sono. Per dirla a là Bohr, possiamo accedere solo a descrizioni della natura. Questa “tragica” presa di coscienza delle scienze del novecento non implica, però, che tutto ciò che si dice sulla natura al di fuori del formalismo matematico sia insensato. Che poi “non ci debba interessare” non mi sembra una posizione filosofica, ma solo un desiderio. -In mezzo-, per il fatto stesso che possiamo pensarlo, la nostra mente può e deve entrarvi; fermarci alla constatazione sulle difficoltà di “traduzione” sarebbe come incontrare un'intelligenza aliena e, subito dopo aver notato che ha molte percezioni e categorie differenti dalle nostre, disinteressarcene. Poiché, credo, siamo anche noi che contribuiamo a costruirla quella "intelligenza aliena". Certo osservando oltre alla meccanica quantistica, anche altre teorie che derivano da essa (che spesso per la loro maggiore assurdità non vengono neanche troppo divulgate), elettrodinamica quantistica in primis, il desiderio di non parlarne, di non chiedersi cosa “significhino” è parecchio forte, tant'è che da un lato comprendo l'opportunità di considerare le teorie di punta della fisica solo come meri strumenti matematici. E' significativo come i filosofi si siano in sostanza fermati alla fisica di ottant'anni fa, relatività e meccanica quantistica “classica”; le teorie successive sono sicuramente più assurde, filosoficamente più assurde anche per il fatto che... funzionano! D'accordo, dunque, che ci siamo spinti in territori in cui non sono possibili visioni intuitive di “ciò che accade”; nonostante ciò, le teorie, seppur le considerassimo solo strumenti, sono in divenire e non è affatto da escludersi che la sostanziale “intraducibilità” odierna non si possa tramutare domani in qualcos'altro e così “ciò che capita in mezzo” tornare ad avere un'immagine meno paradossale ai nostri occhi. Non mi disinteresserei di un alieno così facilmente. Saluti. |
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20-02-2009, 20.12.55 | #39 | |||
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(Ri)leggendo...
Questa la tua premessa:
Citazione:
h = 6,6*10^-34 Js Δx= 1 fermi = 10^-15 m = 0,000000000000001 m (assurdamente bassa per una misurazione reale, ripeto) massa = 80Kg (ma anche 50 o 100 poco conta). Velocità media del Pelide = 10m/s (corrispondenti a 36 km/h, ma potrebbe anche correre a 10 o 50 km/h) ΔxΔp≥h/4π Δp = (6,6*10^-34)/(4π*10^-15) Kg m/s = 0,5*10^-19 Kg m/s = 0,00000000000000000005 Kg m/s Questa incertezza (minima!) sulla quantità di moto è assurdamente piccola, soprattutto considerando il valore (macroscopico!) di p = m*v = 80*10 = 800 kg m/s. Solo considerando corpi massivi microscopici il tuo ragionamento avrebbe un senso ed è per questo che gli effetti quantistici si osservano solo con particelle microscopiche (almeno delle dimensioni di molecole, le quali possono presentare effetti ondulatori in certi casi); qui il punto è invece che la distanza tra Achille e la tartaruga potrebbe essere misurata con una precisione assurdamente alta (1 fm!) ed il momento di Achille continuare ad essere perfettamente determinato in senso classico, poiché la sua indeterminazione quantistica sarebbe ben al di sotto di ogni misura sperimentale possibile su di esso (sulla velocità e sulla massa del nostro eroe). Dunque, contrariamente a quanto hai detto, ha senso in ogni istante effettuare una ipotetica (e fantasmagorica) misura della distanza, pur continuando l'indeterminazione, dovuta al principio di Heisenberg, ad essere infinitamente piccola rispetto agli errori sperimentali. Detto ancora altrimenti: nell'istante poco prima del congiungimento tra il nostro eroe e la tartaruga non è che il primo (o entrambi) assumano strani comportamenti quantistici, tipo interferenze o diffrazioni, solo in virtù del fatto che la loro distanza è molto piccola, poiché, riuscendo pure per assurdo a misurare 1 fm di distanza (**), non sarebbe sperimentabile nessun effetto quantistico. (*) = distanza che possiamo considerare come la coordinata posizione x di Achille rispetto al sistema di riferimento della tartaruga che si muove più o meno regolarmente del suo passo. (**) = ovvero localizzando spazialmente Achille rispetto alla tartaruga in modo estremamente preciso, molto più di qualunque misura fisicamente fattibile. Citazione:
Questo non ce lo dice la meccanica quantistica, ma la banale osservazione che ogni strumento di misura, anche un semplice righello, ha sempre una minima risoluzione che porta alla corrispondente imprecisione nella misura. Il punto è che solo se la dinamica del sistema è fatta in un certo modo potremmo sperimentare effetti quantistici dovuti alle nostre misure. Nel caso del paradosso si può tranquillamente fare a meno della quantistica; è stato risolto in modo brillante dall'analisi matematica che ha compreso quale fosse l'assunzione "errata" di Zenone: una somma infinita di intervalli temporali non dà necessariamente un risultato infinito. Poi la risoluzione del paradosso si può vedere molto intuitivamente anche con la meccanica classica, quella di tutti i giorni: entro un tempo finito la distanza tra i due si annulla (ma non è che si compenetrino, eh ... basta considerare che viaggino parallelamente). Prosegui: Citazione:
Una cosa è ammettere che da una certa minima distanza in poi non sia possibile in teoria compiere misurazioni (e questo non è comunque il caso in questione), cosa ben differente è affermare che distanze più piccole di essa “non esistano”, per utilizzare le tue parole dell'articolo. In fisica ciò mi sembra proprio si possa escludere, in filosofia si può far di tutto, ma le chiamiamo appunto con due nomi differenti, non per caso. In effetti nel modello standard in fisica delle particelle vengono considerate le cosiddette particelle “virtuali”, non fisicamente rivelabili per principio ovvero in teoria (proprio perché stanno all'interno del limite fissato dall'indeterminazione energia-tempo ΔEΔt<h/4π), ma che purtuttavia sono considerate esplicare l'azione delle forze fondamentali, proprio “propagandosi” da un punto ad un altro “vicinissimo”; “troppo” per essere rivelate, misurate, sperimentate, ma sicuramente la cui distanza (del punto) dal precedente non è inesistente. Preciso che non mi arrischio ora a riflettere sulla realtà (filosofica) di queste “particelle”. Parlando, invece, solo filosoficamente, mi sembra di poter dire che il tuo ragionamento implica che ogni distanza sia inesistente e mi spiego: Achille nel suo percorso attraversa un certo ambiente, non corre nel nulla, c'è almeno aria, strati di aria che il pelide dovrà passare e lasciarsi alle spalle. Secondo il tuo ragionamento l'intervallo che intercorre tra il pelide ed ognuno di questi strati quando diviene troppo piccolo è inesistente; nel giungere vicinissimo ad ognuno di loro, Achille crea le condizioni affinché la distanza con il successivo sia inesistente. Il nostro eroe dovrebbe, dunque, secondo il tuo ragionamento attraversare una serie grandissima di intervalli inesistenti. Somma di "inesistenze"=somma inesistente. Questa potrebbe considerarsi una falsa dimostrazione dell'inesistenza del movimento, falsa poiché in realtà la si dimostra semplicemente chiamando, in virtù della meccanica quantistica, "inesistenti" gli intervalli da percorre. Ma la MQ non dice nulla di tutto ciò. Comunque è piuttosto riduttivo considerare esistenti solo le cose che (in teoria) possiamo misurare. Mi sembra di intravedere sempre lo stesso errore in questi ragionamenti, cioè la confusione tra il livello della fisica e quello della filosofia. Saluti. Ultima modifica di nexus6 : 21-02-2009 alle ore 12.58.26. |
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21-02-2009, 21.52.44 | #40 | |||||||
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Riferimento: Achille e la Tartaruga e altri paradossi
Ho visto solo adesso il tuo post di ieri ... comincio a rispondere al penultimo, per l'ultimo dammi un po' di tempo ...
Citazione:
In linea di massima, assolutamente corretto. Personalmente amo moltissimo la semplicità, ma spesso mi accorgo che in questo modo vado incontro a problemi. Come diceva Einstein “everything should be made simple, but not simpler”. Su questo specifico argomento, però, resto convinto che il mio approccio possa essere valido. Citazione:
Come hai detto, per me non ha senso parlarne. Citazione:
Assolutamente d’accordo, ciò che vedo tramite il microscopio, o anche sul display di uno strumento elettronico in ultima nalisi impatta le mie percezioni sensoriali. Se mi limitassi a ciò che vedo “ad occhio nudo” la mia posizione sarebbe del tutto insostenibile. Ritornando all’esperimento delle due fenditure, “ciò che è in mezzo non ci interessa” nel senso che, se entrambe le fenditure sono aperte, non si può sapere da quale fenditura un elettrone sia passato. Se vuoi saperlo, chiudendone una, cambi tutto. Per questo motivo, secondo me non può interessarci sapere da quale fenditura un elettrone sia passato. Citazione:
Qua però non ti seguo (a parte il fatto che diffido delle cose “autoevidenti”). Citazione:
Certo, si comporta in modo diverso da quello che ci aspettiamo. Secondo me deve portarci a dire che la realtà (cioè, con le mie ipotesi, ciò che percepiamo) a volte si comporta in modo del tutto antiintuitivo. In moltissimi casi fortunati (praticamente tutti quelli in cui ci si poteva imbattere prima della rivoluzione della fisica al’inizio del XX secolo) ci possiamo fidare della nostra intuizione, ma non nella totalità dei casi. Citazione:
No, certo, non al di fuori del formalismo matematico, ma al di fuori di ciò che possiamo – direttamente o indirettamente – percepire. Citazione:
Cioè secondo te questa antiintuitività – o intraducibilità – è in fondo un “incidente di percorso”, e prima o poi troveremo teorie che riporteranno tutto a spiegazioni intuitive. Può essere, ma non ne sono convinto. |
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