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17-11-2008, 19.36.00 | #12 |
Ospite abituale
Data registrazione: 11-10-2007
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Riferimento: Achille e la Tartaruga e altri paradossi
Allora, per Dubbio ed Anakreon, cercherò di essere più chiaro con un esempio numerico.
Supponiamo che Achille vada ad una velocità costante di 1m/s, mentre la trataruga va a 0.1m/s (veloce, in realtà!), e che la tartaruga abbia un vantaggio di 1m. Trascuriamo le accelerazioni. Achille impiegherà 1s per percorrere il primo metro; nel frattempo la tartaruga avrà percorso 0.1 metri. Achille impiegherà 0.1 secondi per percorrere successivi 0.1m. Nel frattempo la tartaruga avrà percorso altri 0.01 metri. Achille per percorrere i 0.01 metri successivi impiegherà 0.01 secondi. Nel frattempo la tartaruga avrà percorso 0.001 metri. Ora però ci fermiamo perchè il calcolo è semplice, anche continuando l'operazione all'infinito. Per sapere a quale distanza Achille raggiungerà la tartaruga dovremo sommare tutte le distanze, ottenendo: L = 1 + 0.1 + 0.01 + 0.001 + ... = 1 + 1/10 + 1/100 + 1/1000 + = 1,11111..... = 1 + 1/9 Se vogliamo sapere dopo quanto tempo Achille raggiunge la tartaruga dobbiamo sommare i tempi: T = 1 + 0.1 + 0.01 + 0.001 + ... = 1,111111.... = 1 + 1/9 Quindi la convergenza delle 2 serie (composte da infiniti termini !) ci assicura che Achille raggiungerà la tartaruga in un determinato spazio e in un tempo finito. Quindi l'esperienza è in perfetta armonia con quanto ci dice la matematica e la fisica. E' chiaro che tale paradosso rimase tale fintantochè non fù scoperta la convergenza di una serie infinita. Ora, chiedo, cosa non soddisfa in questa semplice dimostrazione ? |
18-11-2008, 13.21.00 | #13 |
Ospite abituale
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Messaggi: 297
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Verità e rappresentazioni.
Caro Eretico,
il trattamento eguale del tempo e dello spazio mi pare sia già stata la soluzione del paradosso di Zenone, proposta dallo Stagirita: se dividiamo all'infinito lo spazio percorso, del pari infinitamente dobbiamo dividere il tempo trascorso e vice versa; quindi, se la somma dello spazio infinitamente diviso è finita, del pari finita è la somma del tempo infinitamente diviso e vice versa. Tuttavia rimane qualche cosa d'insodisfazione: perché la scienza della matematica mi permette di congetturare una divisione infinita, la quale poi nella verità delle cose non è possibile ?. E che non sia possibile veramente tale divisione, me lo conferma la matematica stessa, la quale approssima la somma delle parti infinite della divisione, non solo affinché l'esito sia finito, ma anche affinché sia noto in un tempo finito: e veramente, pur esaminando la cosa matematicamente, una divisione infinita posso solo congetturare, ma non anche eseguire, essendo il genere umano quanto a luogo e tempo, finito. C'è in somma, qualche cosa che non quadra perfettamente tra la rappresentazione matematica delle cose naturali e le cose naturali vere e proprie: è un difetto della nostra ragione che produce la scienza matematica o dei nostri sensi che producono l'esperienza ?; o forse d'ambedue ?. Anakreon. |
18-11-2008, 17.27.23 | #14 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 03-12-2007
Messaggi: 1,706
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Riferimento: Achille e la Tartaruga e altri paradossi
Citazione:
Forse il mio ragionamento è errato (quello fatto prima della tua risposta), ma non ne sono ancora sicuro. Hai detto anche tu che lo spazio-tempo è qualcosa di non assoluto. Su questo verte la mia insoddisfazione Faccio una domanda (così che io possa chiarirmi le idee): Possiamo dire che un segmento ( lunghezza 1 km) lo percorreranno (o lo vedranno percorrere) tutti gli osservatori nello stesso periodo di tempo "assoluto" (per esempio un'ora) essendo la loro velocità uguale (per esempio 100 km l'ora)? Era l'esempio dell'astronauta in caduta in un buco nero. Il fatto che io abbia un segmento di lunghezza X, poi una velocità Y, mi mette a riparo, in ogni occasione, e non osserverò mai che il tempo trascorso è diverso per i diversi osservatori? In base a questo ragionamento (che può essere errato chiaramente) la matematica mi dice che il segmento da me preso in considerazione è si finito (se avessi un metro "assoluto"), ma non posso essere sicuro che il tempo che ci vuole per percorrerlo sarà uguale per tutti gli osservatori, al limite (in alcune circostanze) può essere anche infinito, proprio come la suddivisione del tempo e dello spazio in infiniti frammenti sempre piu piccoli. Chiaramente ci sarà un osservatore che non si accorgerà di nulla, e un'ora sarà sempre un'ora e un km sempre un km, la cosa che differirà è il tempo, ma anche in questo caso ci sarà sempre un osservatore che vedrà accadere in modo finito il tragitto, mentre per altri osservatori il tempo si sarà allargato. Questo allargamento può essere, e qui sta il concetto base, anche "infinito"... quindi in altri termini il tempo sarà infinito. Puoi continuare a dire che si, ma due serie infinite convergono. Quello che mi domando io è:"quando"? La risposta sarebbe: dipende dall'osservatore. Matematicamente convergeranno, ma potrebbero convergere all'infinito. |
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19-11-2008, 15.38.32 | #15 |
Ospite abituale
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Spazii, tempi e percezioni.
Caro Dubbio,
osservi: "In base a questo ragionamento (che può essere errato chiaramente) la matematica mi dice che il segmento da me preso in considerazione è si finito (se avessi un metro "assoluto"), ma non posso essere sicuro che il tempo che ci vuole per percorrerlo sarà uguale per tutti gli osservatori, al limite (in alcune circostanze) può essere anche infinito." Seguendo l’argomento d’Aristotele, penso si possa rispondere che, se per alcun osservatore il tempo, necessario per percorrere un segmento, appaia infinito, per colui quel segmento non potrà non apparire parimenti infinito. Senza dubbio si potrebbe opporre che né apparire vale necessariamente essere né essere vale necessariamente apparire; ma è pur vero che, se percepiamo colla mente o coi sensi qualche cosa di finito apparire nello spazio, come possiamo poi, colla medesima mente o coi medesimi sensi, percepire il tempo, applicato a quello spazio finito, essere infinito ?. Non altrimenti, mi pare difficile concedere che, se percepiamo infinito il tempo applicato ad uno spazio, possiamo poi percepire finito quello spazio, su cui pure percepiamo applicarsi un tempo infinito, posto pur che possiamo, essendo finiti, percepire qualche cosa d’infinito. Anakreon. |
21-11-2008, 13.07.35 | #16 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Spazii, tempi e percezioni.
Citazione:
Prima che chiudesse il forum, in area scienze si è lungamente parlato di relatività, di osservatori inerziali, moto relativo, tempo che si dilata, allungamenti di treni effettivi, apparenti ecc. ecc.; devo dirti che io non c'ho capito un gran che, nel senso che, credo, tutto ciò non sia molto intuitivo. Eretiko diceva un pò piu dietro: "Tale divisibilità è un'operazione che concettualmente possiamo sempre fare, mentre fisicamente non possiamo." Alberto da una risposta (nel suo articolo) richiamando la meccanica quantistica. Al che io ho detto: lo spazio-tempo non è quantizzabile o comunque non lo è ancora. Se fosse quantizzabile (qui mi sbilancio) dovremmo prevedere una non-località anche per lo spazio tempo? Nel mio intervento però ho "tentato" solo di tener presente quello che il concetto di spazio-tempo mi viene suggerito dalla relatività, che poi sia un infinito potenziale o infinito attuale non credo fosse importante per mio ragionamento; in effetti la relatività rapportata alla "singolarità" perde di significato, per cui bisogna per forza di cose richiamarsi alla m.q. Questo per il momento,credo però, sia lo scoglio da superare. Che significato può avere uno spazio-tempo quantizzato? Alberto ha ripreso il concetto quantistico della misurazione. Quello comunque secondo me è un problema ancora aperto anche senza includere lo spazio-tempo. P.s. purtroppo devo assentarmi nuovamente e non mi è possibile affrontare il problema nei dettagli, quindi per il momento vi auguro solo buona continuazione. A presto |
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22-11-2008, 04.14.39 | #17 | ||
like nonsoche in rain...
Data registrazione: 22-09-2005
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Riferimento: Spazii, tempi e percezioni.
Da quanto "tempo", è proprio il caso di dirlo...
Citazione:
Così, penso, potrai chiarirti un po’ le idee... es. dici “lunghezza di 1 Km”... ma un km misurato/sperimentato in quale sistema di riferimento? E’ questa la prima domanda da porsi sempre. E poi: cos’è un sistema di riferimento? E poi l’inerzialità, i tempi propri, le lunghezze proprie, il fattore di Lorentz, etc... etc... A questo livello i buchi neri possono fare confusione, poichè si aggiungono molti concetti in più... qui stiamo semplicemente parlando di spaziotempo senza gravità (relatività ristretta). Il tuo segmento o “righello”, poniamo pure di 1 km –come misurato da un sistema di riferimento a riposo (non in moto) rispetto ad esso (e tralasciando gli effetti della gravità)-, avrà lunghezze minori rispetto a quella a riposo se misurato da sistemi di riferimento in moto relativo rispetto al primo (non è banale domandarsi come faccia un osservatore in moto rispetto ad un righello a misurare la sua lunghezza...). Come fa...? Nel tuo caso, tutti gli osservatori viaggiano alla stessa velocità dunque sperimentano la stessa lunghezza del chilometro, che misureranno lievissimamente contratto (un’inezia non misurabile, minore di un raggio atomico per i 100 km/h considerati). Tuttavia non è che il righello fisicamente si contrae, che so... le molecole di cui è formato si impacchettano di più o di meno a seconda degli osservatori (orrido sarebbe ciò!), ma l’effetto di “contrazione delle lunghezze” descrive solo il rapporto tra le misurazioni relative -reali- compiute da differenti osservatori in moto l’uno rispetto all’altro. Potremmo dire che si tratta di un effetto di prospettiva. Rifletti su questo, è molto importante (e molto tosto da comprendere). Particelle che provengono dal Sole ed attraversano l'atmosfera viaggiano a velocità relativistiche e noi le vediamo vivere per molto più tempo (rispetto a quando -le stesse- stanno ferme in laboratorio), mentre per loro la vita è sempre quella, non avvertono uno scorrere del tempo differente, ma sono le distanze che si contraggono e dunque percorrono "più spazio" di quello che dovrebbero. Noi sperimentiamo la dilatazione degli intervalli temporali, le particelle sperimentano la contrazione degli intervalli spaziali. Ecco il senso della parola "prospettiva", in questo caso. Gli intervalli temporali (lo scorrere del tempo), così come gli intervalli spaziali non sono più un'arena distante sconnessa dagli attori (gli osservatori) ovvero non sono più assoluti, ma solo un'opportuna "mescolanza" tra di essi assumerà un carattere di assolutezza, come indipendenza dagli osservatori (in Relatività non tutto è "relativo", anzi). Qui ti rimando ai libri o altrove, visto che qui non c'è il forum di Scienze, anche se questo potrebbe essere tranquillamente argomento di Filosofia ed ho visto or ora che la sezione è aperta. Posso dirlo comunque ancora così. Lo spazio ed il tempo sono propri dell'osservatore ed ognuno li sperimenterà in modo generalmente differente, a seconda del suo stato di moto relativo: per le particelle velocissimamente in moto rispetto a noi sono gli intervalli spaziali percorsi che sono contratti (rispetto ai nostri), mentre per noi sono gli intervalli temporali (di vita della particella) che sono dilatati (rispetto ai suoi propri). Gli effetti della relatività ristretta, ampiamente sperimentati ogni giorno anche negli acceleratori di particelle o nel funzionamento del sistema GPS per esempio (cose più tangibili, diciamo, dei buchi neri), derivano essenzialmente dal fatto che in natura pare esista una velocità limite per i segnali fisici (massa e/o energia), quella della luce nel vuoto. Il tutto si può anche derivare, così è stato storicamente, in modo equivalente dal fatto che la velocità della luce è la stessa in ogni sistema di riferimento ovvero i fotoni non possono fare altro che viaggiare con velocità c, qualunque sia il sistema che li osserva. Einstein questo lo assunse per principio, lo postulò con la sua grande intuizione fisica e da lì partì tutto... Per quanto ciò possa apparire fumoso a parole, e lo è, basta ricavarsi matematicamente le trasformazioni di Lorentz, che descrivono come “guardano la Fisica” due sistemi di riferimento -inerziali- in moto relativo. No, intuitivo tutto ciò non lo è affatto, tant’è che molti scienziati contemporanei di Einstein, prima di prove concrete, considerarono la sua teoria alla stregua di un elegante esercizio matematico, senza comprendere la profonda rivoluzione fisica e concettuale che portava con sé. Per venire alla discussione, personalmente tenderei a lasciare fuori la quantistica finché questa può starsene fuori ovvero non necessita (e mi pare proprio questo il caso), poiché quando la consideriamo i dubbi inquietanti e le irritazioni sono molto maggiori delle cose che risolve. I paradossi di Zenone sono stati molto elegantemente risolti dal calcolo infinitesimale due millenni (-?-) dopo il suo autore... e qualche secolo prima del novecento... ovvero ora non sono più tali, non sono più propriamente “paradossi”. Insomma prima di dire che un qualcosa non esista, dobbiamo pur renderlo esistente... sennò non sapremmo nemmeno che è, per poi negarlo. Lasciando stare la discretizzazione dello spaziotempo, è sufficiente considerare che le mie dita sulla tastiera stanno in questo momento attraversando uno spazio -che posso pensare con la matematica- infinitamente divisibile per poter dire che non si muovono...? Sta di fatto che posso percorrere (sia matematicamente che fisicamente) questi infiniti intervalli, naturalmente fatti in un certo modo ovvero infinitesimi in un certo modo, in un tempo finito... e dunque vado a letto tranquillo, eh... sennò non dormo. Citazione:
No, nessuna approssimazione e nessuna impossibilità... l’esito è finito e noto in un tempo finito, seppur somma di infinite parti. Il numero pi greco, per esempio, ha infinite cifre a casaccio “dopo la virgola”, ma basta dico che è il rapporto tra la misura di una qualsiasi circonferenza ed il suo diametro per comprenderle tutte in poche parole ed in pochi secondi... ogni approssimazione (di pi greco, in questo caso) è solo un errore abissale ovvero non è pi greco, è... qualcos’altro... (Un saluto a tutti...) Come sono apparso, così scompaio... ... puff... |
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22-11-2008, 15.01.47 | #18 |
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Finiti ed infiniti.
Caro Nesso,
alla mia insodisfazione: "Tuttavia rimane qualche cosa d'insodisfazione: perché la scienza della matematica ci permette di congetturare una divisione infinita, la quale poi nella verità delle cose non è possibile ?. E che non sia possibile veramente tale divisione, me lo conferma la matematica stessa, la quale approssima la somma delle parti infinite della divisione, non solo affinché l'esito sia finito, ma anche affinché sia noto in un tempo finito: e veramente, pur esaminando la cosa matematicamente, una divisione infinita posso solo congetturare, ma non anche eseguire, essendo il genere umano quanto a luogo e tempo, finito.", opponi: "No, nessuna approssimazione e nessuna impossibilità... l’esito è finito e noto in un tempo finito, seppur somma di infinite parti. Il numero pi greco, per esempio, ha infinite cifre a casaccio “dopo la virgola”, ma basta dico che è il rapporto tra la misura di una qualsiasi circonferenza ed il suo diametro per comprenderle tutte in poche parole ed in pochi secondi... ogni approssimazione (di pi greco, in questo caso) è solo un errore abissale ovvero non è pi greco, è... qualcos’altro... ". Ciò che voglio notare non è questo, che la matematica non possa considerare l'infinito; ma quest'altro che, quando ne usa, altro non può fare, che usarne approssimandolo al finito. Tu proponi l'esempio delle note infinite del numero detto "pi greco": ma è evidente che, quando ne usi, ne usi in modo finito né potresti altrimenti usarne, che finitamente, ché, se volessi usarne infinitamente, perché infinito si suppone sia propriamente quel numero, in primo luogo dovresti reperire tutte le sue infinite parti, in secondo luogo, dovresti portarle Teco tutte infinite; ma ciò non è possibile, essendo difficile negare che, perciò che noi siamo finiti per tempo e per luogo, non potremo mai né reperire note infinite né usarne in un tempo ed in un luogo finito. D'altronde, l'uso stesso del segno della lettera "pi" dell'alfabeto Greco rivela la necessità ineluttabile di porre un segno finito ad un numero congetturato infinito, affinché possiamo usarne: puoi forse indicarmi, posto che Tu le conosca, tutte le infinite note che compongono tale numero infinito ?; non puoi. Dunque che altro fai, quando vuoi usare della relazione infinita tra diametro e perimetro del cerchio o tra diametro e lato del quadrato se non approssimare, per utilità, al finito un numero infinito, rappresentandolo con un segno finito ?. Osservi: “Lasciando stare la discretizzazione dello spaziotempo, è sufficiente considerare che le mie dita sulla tastiera stanno in questo momento attraversando uno spazio -che posso pensare con la matematica- infinitamente divisibile per poter dire che non si muovono...? Sta di fatto che posso percorrere (sia matematicamente che fisicamente) questi infiniti intervalli, naturalmente fatti in un certo modo ovvero infinitesimi in un certo modo, in un tempo finito... e dunque vado a letto tranquillo, eh... sennò non dormo.” Codesta Tua è la medesima risposta arguta che diede Antistene, se ricordo bene, al paradosso di Zenone, il quale voleva così negare la verità del moto delle cose: semplicemente s’alzò e tacito si mosse, movendosi dianzi a lui. Ma rimane l’insodisfazione per una ragione che produce infiniti che non possono essere veramente né infiniti né finiti; rimane l’insodisfazione per una scienza che ci permette congetturare una divisione infinita del tempo o dello spazio, che nella verità delle cose non è possibile o, meglio, non è possibile per la nostra esperienza finita, e che per altro quella scienza stessa, se vuole usarne, deve rimuovere, approssimandola al finito. In somma, che è di conoscenza vera, in questa nostra mente, la quale produce concetti che essa stessa non può contenere ?. Anakreon. |
24-11-2008, 09.35.31 | #19 | ||
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Riferimento: Achille e la Tartaruga e altri paradossi
Citazione:
Conoscevo l’aneddoto, ma pensavo fosse stato Diogene a “confutare” così il paradosso Citazione:
La tua opinione è perfettamente ragionevole ma (ovviamente) non sono d’accordo . Stiamo parlando del significato fisico di intervalli infinitamente piccoli, e quindi non si può prescindere dalla meccanica quantistica. La domanda posta dal paradosso è: come è possibile che un evento accada dopo una serie infinita di momenti? Una risposta è quella matematica: la somma di infiniti intervalli converge. Ma possiamo anche dire, dal punto di vista fisico, che non ha senso considerare intervalli più piccoli di una determinata dimensione |
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25-11-2008, 15.30.06 | #20 |
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Riferimento: Achille e la Tartaruga e altri paradossi
Comunque Albert,
secondo me c'entra poco il discorso della quantizzazione con il paradosso della tartaruga. L'ho già detto che noi partiamo da un'idea di spazio e tempo alle quali abbiamo poi assegnato determinate proprietà, compresa la infinita divisibilità. Anche facendo un discorso puramente matematico potrei arrestare la serie infinita ad un qualsiasi livello finito di termini ed ottenere un risultato approssimato entro un determinato errore, come faceva Archimede per calcolare l'area del segmento parabolico. Oltretutto la quantizzazione di spazio e tempo è un concetto oscuro, ben diverso da quello della quantizzazione dell'energia che un chiaro significato fisico. Cioè il fatto che non posso, in pratica, fisicamente, procedere alla suddivisione all'infinito di un segmento non ha nulla a che vedere con il fatto che l'energia possa essere assorbita e/o emessa solo in pacchetti. La prima operazione è teoricamente possibile (vedere Cantor), invece ad esempio l'assorbimento continuo di energia no, nemmeno in teoria. |