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30-11-2005, 12.15.48 | #54 |
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Il mio analista non so che scuola sia, ma è del filone iceberg + silenzi inquietanti + 50 minuti e non si sgarra.
Di certo non si può dire che sia una relazione basata sull'affetto... ma non penso che gli psicoanalisti o gli psichiatri debbano essere paterni\materni? Voi che dite? |
30-11-2005, 12.32.04 | #55 |
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Alcune scuole pensano proprio che debbano esserlo. Altre no.
Rimane però quanto ho detto più sopra, cioè che quello che si percepisce della relazione con il proprio terapeuta è spesso il frutto di proiezioni che il soggetto fa sul terapeuta. Uso il termine "proiezione" in senso junghiano, perchè i freudiani non parlano di proiezioni nello stesso modo. Quello che intendo l'ho spiegato qualche post più su. |
30-11-2005, 12.58.33 | #57 | |
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Citazione:
Ma no, cath. E' certamente molto più sfumato di così. Sparo una ipotesi ma non mi prendere sul serio, non è riferita a te perchè non ti conosco. La sparo solo per fare un esempio. Supponiamo che tu abbia emozioni molto negative verso .... boh, mettiano verso tuo padre. Potrebbe essere che la freddezza derivi dal fatto di non permettersi di sentirle. Guarda che è solo un esempio per spiegare! Non mi permetterei mai di fare intepretazioni su di te nemmeno se fossi già psicanalista! Non ti conosco nemmeno!!!!! |
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30-11-2005, 19.18.46 | #58 |
Ospite
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E' la prima volta che scrivo su questo sito. E sono davvero contenta di averne trovato uno di psicologia.
Riguardo l'argomento trasfert, questo è un "affetto" che si ha tra il terapeuta e il paziente, è proprio attraverso questo affetto che il paziente riesce a guarire. Questo investe tutte le sue pulsioni sull'analista, e in una terapia si va a fondo quanto più l'analista è andato a fondo durante la sua analisi personale. In una terapia si attua poi il controtransfert da parte dell'analista, il quale, magari anche deriso come qualcuno ha fatto, è tassativo con i 45 min, non deve accettare compensi, non ci si guarda negli occhi, deve assumere sempre una certa freddezza nei confronti del paziente. In un certo senso dominarlo. Cosi' facendo evita di creare dipendenza al paziente, e quindi la quasi totale guarigione alla fine della terapia. Io ho avuto un legame con un medico, mio medico, non analista. E per quanto possa sembrare amore, è solo dipendenza. In teoria : il paziente si sente dipendente da chi " gli ha salvato la vita", l'analista si sente colui che " ha salvato la vita". |
30-11-2005, 21.51.30 | #59 |
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Ciao a tutti,
avrei una domanda da fare sull'argomento: può capitare che il transfert non scatti?E nel caso, ciò rappresenta un problema per l'analisi? Esempio personale: con il mio expsi eccome se era scattato: un transfert negativo, fatto di ostilità, timori di abbandoni, controllo incredibile da parte mia. Era una relazione che mi lasciava molta insicurezza addosso, sia perchè non avevo mai la certezza di quando sarei tornata, sia perchè aveva un atteggiamento un po' particolare,lui, che a volte mi sembrava proprio che mi sfottesse. Poi lui ha interrotto la terapia e le mie emozioni collegate alla relazione non è stato oggetto di elaborazione, con grande mio rammarico perchè immagino che un bel po' di materiale sia andato perduto. Però era impallante al massimo quella centralità che aveva assunto la persona del terapeuta: non era uno strumento con cui lavorare su di me, era diventato l'oggetto quasi di un pensiero fisso, di un'inquietudine costante che ingombrava lo spazio per altro sia in seduta che fuori...e,purtroppo, credo che lui gradisse questo suo "potere" e lo recuperasse ogni volta che diventavo più indipendente. Ora, recentemente, ho fatto un colloquio con una psicologa che non ha avuto un'immediata presa su di me. E io sto valutando questo fatto nei suoi aspetti positivi , perchè,al di là del fatto che non è detta l'ultima e che con un colloquio solo è difficile giudicare,il fatto che non la percepisca come un modello e che senta che le mie proiezioni su di lei sono contenute,tutto questo potrebbe forse avere il vantaggio che , invece di inchiodarmi nella relazione, io prenda a coltivare in me stessa ciò che prima andavo ammirando in giro, che io possa raccontare liberamente cose che , se c'è una tensione positiva o negativa con una persona, rimarrebbero bloccate nella dinamica della relazione.... E' un mio dubbio perchè non so se questa anestesia emotiva che il colloquio con questa psi mi ha lasciato, a parte l'impressione di buona professionalità, possa al contrario essere un risvolto negativo, poichè non "sento" la persona. Insomma dev'essere "transfert - tosto" perchè la terapia funzioni,perchè ci sia roba su cui lavorare, o possiamo accontentarci di una relazione soft che lascia più liberi di spaziare all'esterno? Ultima modifica di ellea : 30-11-2005 alle ore 21.55.29. |
30-11-2005, 21.58.15 | #60 |
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Per quanto mi riguarda mi da l'idea che agiscano a gradi. Prima ti fanno parlare, parlare, parlare; poi ti iniziano ad agganciare con qualche domanda o interpretazione ; poi una volta che t'afferrano non ti mollano fino a che non superi il blocco! Sono subdoli....hehehe...
Litigare con un'analista è la cosa più ovvia che possa succedere a meno che non ci si renda conto che è una sofferenza a fin di bene, per superare angosce e paure. O almeno spero. |