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02-06-2005, 14.45.24 | #57 |
iscrizione annullata
Data registrazione: 04-11-2002
Messaggi: 2,110
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Il suicidio penso che si abbia quando il soggetto in questione non riesca a prendere contatto con la realtà circostante. Come una cellula che si stacca che va in apoptosi (concetto molto interessante). E questo contatto si può perdere in vari modi, droghe, fallimenti affettivi, o la morte di chi per noi rappresentava la realtà....
Quando l'alone magico delle nostre illusioni, della nostra visione cristallizzata della vita va in frantumi, quando siamo al centro del nadir, e siamo troppo sensibili, è c'è solo dolore allora a volte si sente quel ronzio, quella vocina nell'orcchio che ti dice di spegnerti definitivamente. |
04-06-2005, 10.45.16 | #58 |
Ospite abituale
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Carissimo nicola
ti comprendo. Io ho subito "atti di libidine", credo si chiamino così. in tenera età che hanno segnato la mia vita. Ne hanno condizionato il percorso fino a toccare quel baratro abissale che è la soglia del suicidio. Mi sono portata quel segreto per decenni fino a quando in psicoterapia non sono riuscita finalmente a riviverlo e raccontarlo. Per molti anni ho camminato lungo quel baratro, in solitudine. Non che adesso sia completamente immune da quel pensiero o desiderio, ma le condizioni sono totalmente diverse. Nei miei stati mentali sapessi quante volte sono stata angosciata dal pensiero di poter fare del male a qualcuno, e se fosse accaduto avrei voluto essere rinchiusa per sempre in una prigione senza serrature. Paradossalmente perdonare gli altri è più facile che perdonare se stessi. Ed i sensi di colpa portano inevitabilmente a sentirsi falliti, inutili, privati del diritto di vivere. Si parla tanto dei diritti degli embrioni ma si dimentica che vi sono diritti di vivere negati a coloro che sono già nati. Chi si avvicina al baratro del suicidio non solo non trova più il senso nella vita, si sente abbandonato e fallito ma si sente privato di quel diritto-dovere di vivere. Il suicidio va contro l'istinto più forte negli esseri viventi: la sopravvivenza. E per abbattere una tale barriera ci vuole sempre il contributo del mondo esterno. Ciao Mary |
04-06-2005, 17.52.15 | #59 |
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Re: Suicidio...perche'?
Perche' la gente preferisce togliersi la vita piuttosto che cercare di affrontarla?
Non sono stata lì a leggere tutte le risposte, ma posso dirti che quando ero piccola pensavo: Se non riesco a far la tal cosa.......m'ammazzo. Come? Mi butto dalla finestra. Poi magari nn ci riuscivo, ma con una scrollata di spalle buttavo via il proposito. Nell'adolescenza, andavo spesso al cimitero e avrei voluto suicidarmi per vedere cosa c'era dopo, per curiosità, per sapere se c'erano o no, i famosi inferno o paradiso. Non ho mai avuto il coraggio, anche perchè avevo saputo di una signora che aveva tentanto il suicidio buttandosi dalla finestra, ma nn era morta e ha sofferto veramente ferma in un letto, costretta a subire l'aiuto di chi la voleva tenere in vita. Oggi, che potrei avere dei motivi validi per farla finita, dico no, vado avanti fino a quando riuscirò ad essere autosufficiente, poi chissà forse andrò a fare l'ultimo viaggio in Olanda e torneranno qui solo le miei ceneri. |
04-06-2005, 22.33.32 | #60 |
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[quote]Messaggio originale inviato da Mary
[b] "Mi sono portata quel segreto per decenni fino a quando in psicoterapia non sono riuscita finalmente a riviverlo e raccontarlo. Per molti anni ho camminato lungo quel baratro, in solitudine. Non che adesso sia completamente immune da quel pensiero o desiderio, ma le condizioni sono totalmente diverse. Paradossalmente perdonare gli altri è più facile che perdonare se stessi. Ed i sensi di colpa portano inevitabilmente a sentirsi falliti, inutili, privati del diritto di vivere. Si parla tanto dei diritti degli embrioni ma si dimentica che vi sono diritti di vivere negati a coloro che sono già nati." Ho letto, dopo aver postato, il tuo bell'intervento e mi permetto di inviarti questa poesia, che ho trovato tempo fa,su non so quale sito. La porto sempre con me perchè mi aiuta nel lavoro che sto facendo con lo psicoterapeuta, penso che l'autrice sia ALDA MERINI Il perdono, la prova... Il perdono, la prova più difficile che la vita ci propone Quando ricevi del male e quando questo male ti lascia ferite così profonde che neppure il tempo riesce a cancellare, il cammino per giungere al perdono è lungo, difficile e doloroso alla stessa stregua del male ricevuto. Per perdonare bisogna affrontare il male guardandolo negli occhi, analizzarlo e liberarsi da quel senso di rabbia profonda che spacca il petto. Ed è un processo molto arduo, faticoso. Non si tratta di concedere " un perdono a buon mercato", si deve riconoscere la colpa di chi ci ha fatto del male e partire da lì per percorrere la strada che ci condurrà al perdono. Qualcuno un giorno mi disse " dimentica". Non ritengo sia giusto dimenticare, è impossibile dimenticare come non è giusto rimuovere le esperienze del dolore. Decisi di intraprendere la strada del perdono senza dimenticare, convinta che alla fine di quella mulattiera polverosa avrei trovato la serenità dell'anima. |