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26-09-2003, 23.04.10 | #74 | |||||||
Ospite abituale
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Messaggi: 855
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Cara Ygramul
A me pare che tu prendi il discorso troppo personale. Io sto criticando la psichiatria, non te. La prima frase del mio precedente intervento, (Non potrebbe darsi che...) era una domanda. Purtroppo mancava il punto interogativo. (Ho inviato un email a Ivo per correggere lo sbaglio, ma era troppo tardi). Citazione:
Stai scherzando? La verità è che i farmaci sono sostanze "grossolane". Effettivamente non si sa niente come influensano il sistema nervoso a lungo andare. E soprattutto non cambiano niente nella mente dell´individuo. Bloccano oppure stimolano le attività cerebrali, nient´altro. Cioè bloccano tanto i pensieri "sani" quanto quelli "malati". Che succede nel cervello e nel corpo di tutti gli individui che prendono neurolettica depositoria? Citazione:
Vuoi spiegarmi che cosa intendi con: "Vuoi dimostrare a tutti i costi una cosa che non esiste"? L´"antipsichiatria" non conosco, (anche se a me piace la denominazione) Citazione:
Citazione:
Tu dice che il giovane: "Sa cos'ha perchè io son sempre stata molto onesta con lui..." Io rispondo: Tu non sai che cos´ha, ma devi chiederlo di raccontarte come è la sua vita. Sta di fatto che è solo lui stesso che sa "che cos´ha". E l´unica via per aiutarlo ad ucire dallo stato mentale in cui lui si trova, è avere il corraggio di incontrarlo li dove è, cioè essere aperto per essere invitato allo psicosi ed aiutarlo a farlo comprensibile e "comunicabile". Tu dici: Citazione:
Un´individuo può diventare uomo solo se trattato come "uomo". Citazione:
Citazione:
Io parlo di un metodo che aiuta tutta la famiglia, ma tu parli ancora di "alleggerire piuttosto che appesantire il peso di queste famiglie". Da dove viene questa tua idea? In primo luogo il peso resta sul "malato" e invece di "alleggerire" è importante aiutrli a liberarsi dal peso loro stessi. Un tale lavoro può essere inizialmente molto pesante per tutti ma può anche cambiare la vita per tutti. Non voglio sottovalutare il lavoro che fai, ma voglio sentirmi libero di esprimere i miei pensieri. Salve |
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27-09-2003, 14.10.53 | #75 | |
Anima Antica
Data registrazione: 22-07-2002
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Vedi, Ronaldo,
Citazione:
Io SONO psichiatra, e il discorso diventa personale per forza. Rispetto alla domanda, le cose non cambiano, perchè lungo tutto il tuo intervento continui a mettere in dubbio che le cose che vivo con le persone che chiedono aiuto siano effettivamente come le descrivo. I genitori del paziente solo ora, a distanza di 10 anni, cominciano a capire che questo giovane ha una malattia. E' un percorso lungo e doloroso, e loro lo stanno affrontando tutto. Ripeto, la differenza nel modo di affrontare gli argomenti fra me e te, è che io non parto da presupposti ideologici, ma dall'esperienza pragmatica. Ho lavorato per un anno in una ASL dove molti miei colleghi erano contrari per principio all'uso di farmaci. Era il mio 1° incarico come psichiatra, e ero assolutamente "vergine" da questo punto di vista. Avevo fatto una formazione di psicoterapia e conoscevo molto meglio gli approcci psicoterapici in quanto la scuola di specializzazione in psichiatria non ci formava dal punto di vista farmacologico. Per cui, a rigor di logica, avrei dovuto propendere spontaneamente molto più per l'approccio non farmacologico. Ho constatato i disastri che avvengono nelle persone con problemi mentali di un certo tipo, ho visto giovani intelligenti preda della malattia, con questi psichiatri che avevano una formazione di tipo sistemico (proprio l'impostazione che ha come bersaglio la famiglia) e che rifiutavano a priori l'uso di farmaci in patologie come la schizofrenia e il disturbo bipolare. Ho visto persone con la vita devastata, mentre con una terapia a volte anche minima si sarebbero potuti evitare l'emarginazione e l'ostracismo che i comportamenti indotti dalla malattia inevitabilmente portano. Per arrivare, sconfitti, a ricoverare il paziente in ospedale quando ormai il disastro era compiuto. Da allora ho cominciato a guardare le cose in modo diverso. E ho cominciato a fare dei "distinguo". Ho visto anche il suo contrario: ho visto persone agli stadi iniziali di queste malattie, in cui le terapie farmacologiche sono riusciti a rendere meno maligna l'evoluzione della malattia, e nel caso dei disturbi bipolari, ho visto persone devastate dalle crisi riprendere una vita assolutamente normale usando un solo farmaco, uno stabilizzante (neanche il litio, fra l'altro) col quale non hanno più avuto crisi. E d'altro canto ho visto persone con disturbi che chiaramente potevano rispondere solo con un lavoro su se stessi, i quali rifiutavano decisamente questo lavoro, preferendo usare la famigerata "pillola" per far sparire i sintomi (che in questo caso non è che spariscano così come queste persone sperano). Una paziente la scorsa settimana mi ha detto: "Io prendo le medicine come scelta di vita". Non sono mai riuscita a levargliele, nonostante non abbia più i problemi per i quali le è stata introdotta la terapia. D'altro canto ho persone alle quali mi sono rifiutata di iniziare terapie farmacologiche, ben sapendo che se avessero iniziato si sarebbero adagiate in situazioni che invece dovevano affrontare nella vita esterna, non all'interno della propria biologia. La vita è estremamente varia. Non esistono dogmi, e il lavoro sulla farmacologia è serissimo, quanto quello sulle psicoterapie. Io ho scelto di combattere i dogmi, ovunque li veda, perchè più di qualunque altra cosa sono i dogmi che possono rovinare l'esistenza umana, sotto qualunque forma essi si presentino: ideologica, sociale, politica, religiosa, filosofica, affettiva, psicologica, medica, esoterica o quant'altro. E io ravviso nel tuo modo di procedere un'animosità nei confronti della psichiatria, che non è legata a magari una esperienza o anche a molte esperienze negative (che ci sono, assolutamente!), ma solo ad un punto di vista che nasce "a priori", e che non è poi vissuto e sofferto nella quotidianità dell'esperienza di questo tipo di disturbi. Sai cosa facevano questi colleghi così ideologizzati quando un paziente "non rispondeva" alle loro meravigliose tecniche di terapia familiare? O accusavano il paziente di non avere "voglia" di lavorare su se stesso, oppure accusavano uno o più familiari di boicottare la terapia. Quando magari la persona era sotto l'effetto di una crisi psicotica... Che delirio di onnipotenza!!! |
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27-09-2003, 15.57.49 | #76 | |||
Ospite abituale
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Ygramul
Citazione:
Va bene, sei psichiatra ma non sei la psichiatria. Citazione:
Il metodo fisico di "aiutare" un uomo, cioè inserendo sostanze fisiche nel cervello dell´uomo, può essere paragonato al tentare di migliorare un programma radiofonico, cambiando un transistor. Anche se può darsi che qualche volta possa essere bene cambiare le parti fisiche della radio, non si può mai migliorare il programma senza attraverso un dialogo con loro che lo stanno facendo, e che non si trovano nella radio. Della mia esperienza concernente il lavoro con uomini che hanno "malattie mentali" penso che non sai niente. Ma posso dire che provo sempre non parlare delle cose che non conosco. Citazione:
La tua frase finale: "Che delirio di onnipotenza", penso sia molto conveniente per il dogma psichiatrico. Ultima modifica di Rolando : 27-09-2003 alle ore 15.59.51. |
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27-09-2003, 22.16.25 | #77 |
iscrizione annullata
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del buon uso dei farmaci...
Il metodo fisico di "aiutare" un uomo, cioè inserendo sostanze fisiche nel cervello dell´uomo, può essere paragonato al tentare di migliorare un programma radiofonico, cambiando un transistor. Anche se può darsi che qualche volta possa essere bene cambiare le parti fisiche della radio, non si può mai migliorare il programma senza attraverso un dialogo con loro che lo stanno facendo, e che non si trovano nella radio.
[/b][/quote] Tutta la medicina occidentale si basa sull'uso dei farmaci. Sono una persona a cui i farmaci, tutti i tipi di farmaci, non piacciono. Li evito il più possibile. Ma non mi sognerei mai di dire che è meglio lasciar morire una persona per un'infezione piuttosto che dargli degli antibiotici. I farmaci, psico e non psico, sono degli strumenti. Sta al medico (e al paziente, quando è abbastanza consapevole per scegliere) farne buon uso. Voglio raccontarvi un caso. Vero, autentico, visto con i miei occhi. La persona coinvolta è d'accordo che io ne parli qui purchè dal mio racconto non sia possibile identificarla. Si tratta di una donna della mia età. Ha avuto un'infanzia difficile, con una madre che la detestava e un padre assente. Durante l'infanzia e l'adolescenza la madre le ha fatto subire umiliazioni di tutti i tipi. Ha subito, per un certo periodo di tempo, molestie sessuali molto pesanti (autentici stupri) da un maschio adulto della sua famiglia. Appena raggiunta la maggiore età se ne è andata di casa tagliando quasi completamente i rapporti con la famiglia d'origine. Ma non è mai stata bene. Soffriva di frequentissime crisi d'angoscia molto, molto intense. Non attacchi di panico. Le sue crisi potevano durare settimane. Dopo le crisi aveva la sensazione che il mondo, il tempo si fosse spezzato. E aveva altri sintomi soprattutto legati alla sfera affettiva, all’alimentazione, problemi sessuali e una grave forma di insonnia cronica. Non ha mai voluto prendere farmaci anche se, per un breve periodo, quando ancora viveva con la famiglia, è stata costretta a farlo. Ha iniziato prestissimo una psicoterapia che è stata, a suo dire, fallimentare. Secondo me l'analista non era adatto a lei. Era un tipo freddo e la faceva sentire respinta mentre lei aveva bisogno di sperimentare il calore che non aveva mai avuto. Ma questa è la mia interpretazione. Dopo diversi anni ha cambiato analista e le cose sono andate meglio. Ma, anche se con la terapia questa persona ha fatto passi da gigante e molti sintomi si sono sciolti, continuava ad avere crisi d’angoscia. Molto intense e molto frequenti. Ad un certo punto lei stessa ha detto alla sua terapeuta che aveva l'impressione che il dolore fosse diventato a tal punto parte di lei che non riusciva ad immaginarsi senza. Ha chiesto se era possibile provare a prendere dei farmaci per un breve periodo per dimostrare a se stessa che poteva vivere anche senza dolore. La sua terapeuta l'ha mandata da uno psichiatra. Ha preso per alcuni mesi un antidepressivo. Racconta che non è stata una bella esperienza perchè si sentiva meglio ma faceva cose che non avrebbe mai fatto prima e che ora non farebbe. Però racconta anche che è contenta di avere fatto quell'esperienza. Anche mentre prendeva il farmaco aveva crisi d'angoscia, altrattanto forti, ma si riprendeva molto più in fretta. Quando lo ha sospeso tutto è tornato apparentemente come prima. Solo una cosa è cambiata: la sua idea di vita. Lei racconta che prima di prendere il farmaco non riusciva a ricordare un singolo istante della sua vita che non fosse stato doloroso. Sperimentare l'esperienza del non dolore le ha fatto in qualche modo capire che quello stato, che lei non conosceva, esiste. E'passato qualche anno. Ora sta bene. Non è stato facile ma sta bene. Non è che il farmaco sia stato il magico toccasana che ha risolto i suoi problemi ma credo di avere dato un esempio di uso consapevole, non invasivo. Gestito consapevolemnte dalla persona e dalla sua terapeuta. Non si tratta, lo so, di un caso di malattia mentale. La persona in questione forse ne sarebbe venuta fuori lo stesso, magari mettendoci un po' di più. Magari un po' di meno. Ma questo non lo sapremo mai. Mi piacerebbe moltissimo sentire cosa ne pensa Ygramul ciao |
27-09-2003, 22.54.20 | #78 |
ppm
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efficacia psicoterapia
cara fragola,leggo con piacere il tuo ultimo msg dove affermi della tua difficoltà ad accettare che siano i farmaci ad aiutare i ..(malati?o pazienti?) La cultura generale dell'occidente ha affondato profondamentele proprie radici nel terreno della ''pillolina''del ''ricostituente''ecc. quindi siamo costretti ad un lavoro di drenaggio per disintossicare le menti da questa abitudine-necessità:la ragione può essere offuscata dall'ansia e spingere l'ignaro individuo a riutilizzare i sintomatici che il medico,con la sua autorità,gli ha prescritto. Vi sono strade diverse ed efficaci oggi,vi sono possibilità di trattare i sintomi senza effetti indesiderati. E' richiesta però la ''bonifica'' dell'organismo e della mente per poi reattivare la ragione:quello che dico è dimostrabile.Sono un filosofo e studio da anni il fenomeno delle medicine non convenzionale che oggi propone realtà realmente innovative. Mi occupo inoltre di filosofia applicata (approccio non invasivo di aiuto ai medici con cui collaboro). Se vuoi si può affrontare l'argomento,prima però sarebbe utile visitare http://utenti.lycos.it/filosofiapplicata/ ..grazie, cari saluti ppm.
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27-09-2003, 23.29.02 | #79 |
Anima Antica
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Fragola
ho letto varie volte la storia della tua amica. E' difficile, per non dire impossibile, sapere se una strada non intrapresa sarebbe stata migliore di quella intrapresa. L'unica cosa veramente importante sono i risultati, e quelli sembra che ci siano stati.
No, la tua amica non era "malata" se vogliamo usare un termine così ambiguo. Se di malattia si trattava, la sua era sicuramente una malattia dell'anima, sottoposta a mille aggressioni. E il cammino che ha percorso è stato sicuramente un cammino difficile e impegnativo. Sembra che lei abbia fatto un uso molto saggio delle terapie farmacologiche: ha saputo usarle quando ne ha sentito la necessità e non ha avuto paura di abbandonarle quando questa necessità è venuta meno. Non molte persone sanno fare questo. E' molto più facile che nella prima fase prevalga l'orgoglio, e nella seconda la paura di affrontare quanto rimane della vita senza una stampella. L'angoscia di una persona che ha avuto una storia simile alla sua è l'angoscia di chi sente che non sarebbe mai dovuto esistere. Il nulla inghiotte l'anima senza possibilità di sfuggirgli e uscire da questo è faticoso quanto camminare fra le sabbie mobili. Ho un amico, una persona che è presente da vent'anni nella mia vita, la cui infanzia è stata violata e negata in modo analogo. Conosco cosa vuol dire addentrarsi in un tunnel così profondo. Ricordo ancora che una volta lui doveva tornare al suo paese, e io SAPEVO che sarebbe morto. Sapevo che voleva uccidersi. Lo percepivo con una intensità da far paura. Ma non potevo far nulla per impedire questo. Era un fine settimana, e il lunedì successivo lo rividi, vivo e vegeto, e allora gli dissi della mia angoscia. Lui mi parlò allora, e mi disse che solo per un caso totalmente fortuito ed eccezionale non era riuscito a stare da solo... Eppure neanche lui era "malato". Forse neppure a lui avrei dato farmaci. Il suo percorso è stato ed è tuttora bizzarro e fuori dai canoni, ma è vivo! E vuole vivere. E questo rende il suo percorso quello "giusto". |
28-09-2003, 00.20.58 | #80 |
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Ygramul
Certo, un percorso è un percorso. Fatto di passi avanti e passi indietro e di mille cose. Tutte le cose partecipano.
Non sapremo mai come sarebbero andate le cose se... Ci sono momenti in cui mi piacerebbe vedere, come in un film, come sarebbe andata la mia vita se in certi momenti avessi fatto scelte diverse, come un gioco. Ma credo che non saprò mai se a determinare un cambiamento è stata una cosa che mi pare importante o una frase sentita per caso! Ho raccontato questa storia (nel modo più asettico possibile per rispetto per il dolore inesprimibile della mia amica) soprattutto perchè sono un po' stanca di vedere demonizzate le cose in sè. Le cose sono strumenti e molto dipende dall'uso che se ne fa. Io, che sono tendenzialmente contraria all'uso dei farmaci, credo che la mia amica e la sua terapeuta abbiano fatto una scelta giusta perchè in quel caso il farmaco è stato un percorso conoscitivo. Un antidepressivo non avrebbe potuto comunque curarla perchè la mia amica non soffriva di una depressione di origine organica. E' stato solo un modo per spezzare il circolo vizioso. In questa discussione si è parlato molto dell'uso dei farmaci per le persone psicotiche o della dannosità dei farmaci in assoluto. Volevo proporre un punto di vista diverso. Sarebbe molto, molto interessante parlare di cosa il farmaco le ha fatto vivere. Il suo racconto mi ha colpita molto. Non so se saprei esprimerlo io. Ma sarebbe interessante davvero perchè potrebbe insegnare molto a chi dei farmaci, invece, abusa. Lei dice che si è trovata ad avere un carattere diverso. E che è stato durissimo sia adattarsi ad essere quella che era con il farmaco, sia ritornare ad essere se stessa senza. Ora sta bene, meglio di quando prendeva gli antidepressivi, ma non è la persona che era quando li assumeva. Dice anche che era consapevole di questo quando ha preso quella decisione, su cui ha riflettuto a lungo prima di iniziare. Solo che, anche se l'analisi l'aveva portata a un passo, solo un passo, dallo stare bene, lei non riusciva a credere che potesse esistere una vita senza dolore. Si è imposta una dimostrazione, artificiale forse. Riporto le sue riflessioni cercando di interpretarle il meno possibile. tutto questo per diluire un po' quel vedere tutto bianco o tutto nero. ciao e grazie per l'attenzione |