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22-09-2014, 12.11.51 | #62 | |||
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E' autocontraddittorio secondo un senso fenomenologico stretto: affinché qualcosa appaia come fenomeno è necessario che qualcosa non appaia come tale. Se tutto apparisse nulla apparirebbe e questo che continuo a ripetere e che ti risulta così difficile da accettare è che qualcosa non deve apparire affinché quello che appare appaia e dunque il non apparire di questo qualcosa che non appare deve apparire. E questa è quella contraddizione che continua necessariamente a ripetersi nell'esperienza. fenomenologica. Lo sfondo è questo qualcosa di indefinito che non appare nella specificità di ciò che è costituito, ma appare appunto come sfondo, come orizzonte, come insieme indivisibile e pure se il termine ha un significato visivo va inteso anche in ambito concettuale. L'ente non appare rispetto al nulla (solo quel particolarissimo e astrattissimo ente che è l'Essere appare rispetto al nulla), l'ente emerge sempre rispetto a uno sfondo che gli dà il significato originario che viene via via chiarendosi con l'emergere da questo sfondo di altri enti con esso in continua relazione significante. Proprio perché non tutta la realtà appare in luce affinché qualcosa per contrasto significante appaia in luce non può essere tutto rappresentazione fenomenica e questo qualcosa è appunto il reale in sé che continuamente vuole apparire. Citazione:
Il linguaggio nell'essere umano non è un di più, proprio come non è un di più il volo per un uccello che vola. L'uomo è un animale che parla e pensa parlando. Tutte le esperienze fenomeniche consistono in un apparire alla coscienza, ma è proprio questo che implica che vi sia qualcosa che non appare, ossia che appaia alla coscienza che vi è qualcosa che non appare e le parole noumeno, cosa in sé ecc. indicano appunto questo qualcosa che appare alla coscienza come ciò che non appare. |
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22-09-2014, 12.50.53 | #63 | ||||||
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22-09-2014, 21.57.15 | #64 |
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Maral:
Il farsi reciproco segno tra gli enti non è qui una "metafora del significare", ma a mio avviso il senso proprio del significare (e l'ho detto fin dal principio) Sgiombo: Non per fare il pignolo, ma “farsi segno” è il significato letterale del verbo “segnalare”. “Significare” letteralmente significa (per l’ appunto!) “avere un significato”, e non si applica gli enti in generale ma solo a parole, discorsi, raffigurazioni, ecc. Inoltre il segnalare (farsi segno) reciprocamente (letteralmente; il verbo può usarsi in senso metaforico, quindi in realtà con un diverso significato, per esempio quando si dice che certe piante, con i fiori, “segnalano” alle api che è ora di succhiare il nettare impollinandole) non è proprio di tutti gli enti ma solo di quelli viventi, attivi e dotati di intenzioni coscienti (soprattutto gli uomini). Maral: [il pensare che la realtà in toto si esaurisca negli enti ed eventi fenomenici] E' autocontraddittorio secondo un senso fenomenologico stretto: affinché qualcosa appaia come fenomeno è necessario che qualcosa non appaia come tale. Se tutto apparisse nulla apparirebbe e questo che continuo a ripetere e che ti risulta così difficile da accettare è che qualcosa non deve apparire affinché quello che appare appaia e dunque il non apparire di questo qualcosa che non appare deve apparire. Sgiombo: No, non mi risulta difficile, bensì del tutto impossibile da accettare: ma chi l’ ha detto mai? Se appare solo qualcosa ovviamente qualcos’ altro non appare (per definizione di “qualcosa”; che è diversa dalla definizione di “tutto”), ma non necessariamente, solo di fatto, contingentemente. E comunque lo trovo decisamente banale: che importanza ha mai questo fatto del tutto ovvio? Maral: E questa è quella contraddizione che continua necessariamente a ripetersi nell'esperienza. fenomenologica. Lo sfondo è questo qualcosa di indefinito che non appare nella specificità di ciò che è costituito, ma appare appunto come sfondo, come orizzonte, come insieme indivisibile e pure se il termine ha un significato visivo va inteso anche in ambito concettuale. L'ente non appare rispetto al nulla (solo quel particolarissimo e astrattissimo ente che è l'Essere appare rispetto al nulla), l'ente emerge sempre rispetto a uno sfondo che gli dà il significato originario che viene via via chiarendosi con l'emergere da questo sfondo di altri enti con esso in continua relazione significante. Proprio perché non tutta la realtà appare in luce affinché qualcosa per contrasto significante appaia in luce non può essere tutto rappresentazione fenomenica e questo qualcosa è appunto il reale in sé che continuamente vuole apparire. Sgiombo: L’ unico significato (sensato) che mi riesce di attribuire a queste parole (che trovo alquanto retoriche, enfatiche, "barocche” in senso metaforico) è che non tutto ciò che fenomenologicamente appare si può prendere in considerazione (fare oggetto di attenzione), ma solo una parte, solo qualcosa. Ma trovo del tutto banale privo di importanza anche questa considerazione. Maral: [l' apparire fenomenico degli enti in ambito umano è soprattutto attuata dal linguaggio dunque nell’umano l’ente appare principalmente come espressione linguistica inscindibile dall’ente stesso] Significa che per gli esseri umani la dimensione linguistica è quella fondamentale, come per un uccello che vola è il volare. Anche gli uccelli nascono senza saper volare, ma pur tuttavia il volo è la dimensione essenziale del loro esistere, sono fatti per il volo e così l'essere umano è fatto per parlare, ossia per rappresentare simbolicamente la realtà in cui vive a mezzo di segni verbalmente significanti. Il linguaggio nell'essere umano non è un di più, proprio come non è un di più il volo per un uccello che vola. L'uomo è un animale che parla e pensa parlando. Sgiombo: Mangiare, respirare, avere le pusazioni cardiache e tantissime altre funzioni fisiologiche sono altrettanto e più indispensabili nell’ uomo e negli uccelli. L’ attribuzione del concetto di “dimensione fondamentale” al linguaggio nell’ uomo e al volo nei volatili mi sembra del tutto soggettivo ed arbitrario. Fra l' altro nel caso dell' uomo il realizzare opere d' arte e macchine, congegni tecnici e l' onorare i defunti é non meno peculiare (esclusivo) che la facoltà del linguaggio. Maral: Tutte le esperienze fenomeniche consistono in un apparire alla coscienza, ma è proprio questo che implica che vi sia qualcosa che non appare, ossia che appaia alla coscienza che vi è qualcosa che non appare e le parole noumeno, cosa in sé ecc. indicano appunto questo qualcosa che appare alla coscienza come ciò che non appare. Sgiombo: Non vedo come si possa sostenere questa pretesa implicazione. Inoltre la frase finale evidenziata in grassetto poi mi sembra autocontraddittoria: ciò che non appare alla coscienza non appare proprio, non appare “e basta”; si può casomai considerare, pensare (ma non può apparire) come “ciò che non appare”. Ultima modifica di sgiombo : 23-09-2014 alle ore 08.48.19. |
22-09-2014, 22.08.46 | #65 |
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Maral:
L’ombrello ha per sfondo tutto ciò che non è ombrello e che, mentre appare questo ombrello appare come sfondo per questo ombrello. Sgiombo: Appunto, come ho appena rilevato (alla fine della prima parte di questa risposta) e in contraddizione con quanto appena più sopra da te affermato (“affinché qualcosa appaia qualcos’altro non appare, entrando nello sfondo in modo tale da fissare dei contorni a ciò che appare in primo piano”; evidenziazione col grassetto mia). Maral: Ma appare il suo non apparire. Sgiombo: Ripeto che si tratta di una frase autocontraddittoria. Fra l’ altro mi sembra che allo stesso modo si potrebbe pretendere di dire che ciò che non è è il suo non essere, quindi anche il nulla è (non credo che Severino sarebbe d’ accordo…). Maral: Di ciò che percepisci non essendo cosciente effettivamente non puoi dire nulla se non che è sfondo. Solo quando emerge dallo sfondo, richiamato da ciò che percepisci coscientemente che ti accorgi che è un bastone e a quel punto non è più sfondo, ma figura. Sgiombo: Anche il “percepire qualcosa non essendo cosciente” mi sembra un (preteso) concetto autocontraddittorio. Ripeto ancora una volta che vi è una differenza importante fra il percepire e il prendere in considerazione qualcosa di percepito (ovvero prestarvi attenzione, eventualmente pensarne, predicarne qualcosa, per esempio l’ accadere realmente) Sgiombo: A queste parole riesco ad attribuire l' unico significato sensato, comprensibile (ma banalmente tautologico; o convenzionalmente definitorio): che sfondo e primo piano sono parti diversi della visione. Maral: Sono parti diverse in costante rapporto di determinazione, sempre l'una rispetto all'altra. Sgiombo: Su questo sono perfettamente d’ accordo. Sgiombo: Anche Spinoza sosteneva che “omnis determinatio est negatio” e concordo (se é questo che intendi con Hegel) che la conoscenza di qualsiasi oggetto é tanto più completa quanto più comprende le sue relazioni con tutti gli altri oggetti. Maral: Che sono fondamentalmente sia per Hegel che per Spinoza relazioni di negazione del tipo A non è NON A. La determinazione di A implica allora la completa determinazione di NON A che finché è espresso solo in questi termini logici del tutto generici resta indeterminato, resta sfondo. Sgiombo: Ma non è che per sapere cos’ è, per esempio, un ombrello devo essere onniscente, altrimenti non ne so nulla (anche se è ovvio -e non vedo che interesse ciò possa avere- che se fossi onnisciente conoscerei qualcosa di più anche dell’ ombrello, per quanto non qualcosa di intrinseco ad esso: saprei infinite relazioni fra l’ ombrello e altri infiniti enti ed eventi). Sgiombo: Ma scusa, proprio perché distinguo l' ombrello in primo piano da tutti gli altri oggetti sullo sfondo, bisogna che veda anche questi ultimi, che essi non restino nascosti (altrimenti vedrei solo l' ombrello e non potrei collocarlo in relazione a nient' altro, in particolare distinguerlo da nient' altro). Maral: Infatti li vedi come sfondo, non li vedi nei termini specifici che li differenziano, non li vedi nella loro concreta peculiarità. Li puoi vedere in termini specifici solo una volta che essi emergono come figura in virtù dei significati che esprime ciò che appare. Sgiombo: “Vedere come sfondo (in senso metaforico)”, “non vedere qualcosa nei termini specifici che la differenziano”, “vedere qualcosa nella sua concreta peculiarità” in quanto “emerge come figura in virtù dei significati che esprime ciò che appare”: Buio pesto (ovviamente metaforico)! Capisco solo che vedo qualcosa letteralmente in primo piano o sullo sfondo del mio campo visivo; e che prendo in considerazione (che faccio oggetto di attenzione) qualcosa di quel che vedo, e qualcos’ altro no. Maral: Vera essenza delle cose significa solo quello che ogni cosa è veramente, ossia la sua realtà intrinseca e totale (che non lascia fuori niente). Questa realtà intrinseca e totale non può non esistere (a meno di non pretendere, come ho già detto mille volte che ogni cosa è falsa e quindi falso anche dire che ogni cosa è falsa). La vera essenza (totalità vera) dunque c'è, è assolutamente necessaria e se è assolutamente necessaria è pure necessario che appaia, ma dire "la vera essenza è necessario che appaia" anche se è vero esprime una contraddizione, perché per quanto abbiamo detto prima la totalità non può apparire (se qualcosa di specifico di una cosa appare qualcos'altro per forza non appare e resta di sfondo) ed è per questo che la conoscenza è sempre limitata e parziale, ma tende continuamente alla totalità (vera essenza) necessaria senza poterla mai raggiungere (e quindi ogni volta che pretende di averla raggiunta mente a se stessa). Sgiombo: Dire che la realtà intrinseca e totale delle cose non può non esistere è esattamente come dire che ciò che esiste (qualsiasi cosa sia) non può non esistere (in toto): una tautologia che non dice nulla (mi ricorda molto la cosiddetta “prova ontologica dell’ esistenza di Dio). Ma non è affatto detto che la totalità delle cose necessariamente appaia: quanti crateri della luna non appaiono a chi non abbia mai usato un telescopio, ma non per questo la luna non esiste nella sua totalità (in toto). Ma come può una frase vera essere contraddittoria? Se è contraddittoria non ha senso, in realtà non è nemmeno una frase ma solo una serie di scarabocchi o di vocalizzi insensati! Dunque non può essere né vera né falsa! Che la conoscenza delle cose sia sempre limitata e parziale ovviamente sono d’ accordo, ma non affatto come conseguenza del tuo argomentare su “specificità” e “sfondo”, che non comprendo proprio. Ultima modifica di sgiombo : 23-09-2014 alle ore 08.51.37. |
23-09-2014, 11.24.54 | #66 | |||||||||
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Sgiombo, chiariamo un punto: fare filosofia significa innanzitutto mostrare che quello che nel discorso comune appare banale non lo è per niente, anzi proprio ciò che sembra più banale è altamente problematico. Non solo, ma mostrare la base tautologica di un discorso è, parlando in senso strettamente logico, il solo modo per dimostrarne l'assoluta coerenza. Quindi se vogliamo confrontarci filosoficamente evitiamo di considerare qualcosa come banale o tautologico in senso sminuente, altrimenti polemizziamo su gusti, fedi e propensioni personali, tutte cose lecitissime ma che hanno ben poco per non dire nulla di filosofico.
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Scusa Sgiombo, ma tu stesso riporti la frase di Spinoza: "Omnis determinatio est negatio": ciò che determina è la negazione, la differenza in relazione di negazione. Anche l'apparire è quindi determinato dalla sua negazione, dal non apparire. Non ci può essere nessun apparire se non vi fosse a suo fondamento un non apparire (e per meglio dire se non apparisse un non apparire non apparirebbe proprio nulla) L'apparire del (non apparire) non è contraddizione, ma necessità logica e fenomenologica. E' proprio in "non apparire" che costantemente appare facendo apparire ciò che appare. forse può essere di aiuto un'altra immagine metaforica (dunque limitata nel suo significare, come tutte le metafore). Considera la nebbia. Nascoste dalla nebbia ci sono delle cose che non vedi (alberi, case, persone, animali ecc.), restanono indistinguibili, ma non c'è il nulla sotto la nebbia, queste cose che senti che ci sono anche se non appaiono assolutamente, tutto ciò che ti appare è solo la nebbia che ti dice del loro non apparire, ti mostra il loro non apparire. Tra l'altro è proprio Severino che mostra il senso dello stesso innegabile apparire del nulla: il nulla è la necessità irrinunciabile dell'Essere è l'apparire dell'insignificanza assoluta della contraddizione. Il nulla significa l'assoluta assenza di significato. e in quanto tale non è contraddizione, ma tautologia (che è l'esatto opposto): il nulla è proprio nulla. Citazione:
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Certamente poi per l'uomo realizzare opere tecniche e onorare i defunti è peculiare, ma io penso che queste attività peculiari siano riconducibili a una presa di coscienza linguistica del mondo. Su questo tema però scusa se non mi dilungo a giustificare questa mia asserzione, qui esula dallo specifico di cui trattiamo. Citazione:
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24-09-2014, 19.16.43 | #67 | |
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Naturalmente la banalità di certe tue affermazioni è solo una mia convinzione soggettiva. E’ come dire che non trovo problematiche né particolarmente interessanti certe osservazioni sulla realtà che invece ho capito, dopo grossi sforzi di comprensione da parte mia a e di spiegazione da parte tua, per te sono di grande importanza (dopo tanto sforzo per intenderci, speravo di imbattermi in teorie che -per me soggettivamente- compensassero molto di più l’ attenzione prestata e l’ impegno profuso da parte di entrambi). Ma suppongo che a te a ad altri faccia la stessa impressione molto di quanto a mia volta scrivo io nel forum. E’ evidente che abbiamo interessi comunque filosofici, ma molto, molto diversi (e d’ altra parte non è un caso che Severino abbia sempre suscitato ben poco entusiasmo -per parlare eufemisticamente- da parte mia). E’ del tutto evidente e abbastanza ovvio che ci sono molti e molto diversi modi di intendere la filosofia. Non so se a questo punto valga la pena di continuare in questo confronto di opinioni. Probabilmente è preferibile prendere atto di questa radicale differenza di orientamenti onde evitare di finire per “polemizzare su gusti, fedi e propensioni personali, tutte cose lecitissime ma che hanno ben poco per non dire nulla di filosofico”, cosa sulla quale concordo perfettamente. Evitando di prendere in considerazione affermazioni come “la totalità di ogni cosa non appare pur dovendo per necessità apparire” (per me del tutto incomprensibile perché non trovo sensato dire che qualcosa che non accade di fatto debba necessariamente accadere), mi limiterò pertanto a cercare di sintetizzare i punti sui quali i dissensi fra noi mi sembrano evidenti e chiari (almeno per ora; in futuro non si può mai dire: qualche tua affermazione potrà probabilmente suscitare ancora qualche osservazione più o meno critica da parte mia e viceversa, cosa che auspicabilmente, malgrado i profondi dissensi reciproci, potrà forse avere un certo interesse per ciascuno di noi e magari aiutarci a meglio chiarire a noi stessi e per quel che può importare agli altri le nostre rispettive convinzioni). E’ mia impressione che tu attribuisca, se non a tutti gli enti ed eventi reali (nei diversi sensi nei quali può essere intesa la realtà delle “cose”) e alla realtà in generale (ma forse anche a tutto ciò), comunque per lo meno agli oggetti di esperienza fenomenica una sorta di “intrinseca” e probabilmente “oggettiva interpretabilità” (per così dire), una loro propria “sensatezza” (“il suo modo di significare, di porsi in relazione con gli altri enti e dunque di rappresentarsi reciprocamente”, a proposito di un ombrello come esempio di qualcosa che vale per ogni e qualsiasi oggetto di esperienza fenomenica); cosa che invece per parte mia ritengo propria unicamente di ciò che è oggetto della soggettiva e arbitraria intenzionalità umana, e solo in quanto tale (in quanto oggetto della soggettiva e arbitraria intenzionalità umana: interesse, considerazione, assunzione come scopo e/o mezzo del pensare e dell’ agire, o comunque messa in relazione a scopi e/o mezzi del vivere). Il tuo parlare di “farsi segno reciprocamente da parte di tutti gli enti” mi fa l’ impressione di una sorta di pampsichismo (indimostrato e secondo me indimostrabile; e a me del tutto estraneo). Inoltre tu parli di “apparire fenomenico” -che si può considerare oggettivo, o per lo meno intersoggetivo, sia pure a certe condizioni indinostrabili- intendendo (mi par di capire) ciò che io intendo per “considerare circa l’ apparire fenomenico” -necessariamente soggettivo-. Infatti per me “apparire del non apparire” è una contraddizione in termini, e non si può parlare che di “considerare o non considerare ciò che (comunque) appare”; o anche di considerare il (pensare al) non apparire di qualcosa in qualche circostanza particolare (o anche di tutto in generale, come mera ipotesi evidentemente falsa; che se per assurdo –tanto per intenderci- accadesse realmente sarebbe il non apparire di alcunché; il non apparire di nulla, per come si dice in italiano corrente, con ciò non intendendosi affatto l’ apparire di qualcosa ma invece l' apparire di niente). Le stesse considerazioni faccio circa il non essere coscienti di qualcosa. Non so se ho chiarito bene -se non altro; e ovviamente dal mio metaforico punto di vista- ciò su cui dissentiamo. Ultima modifica di sgiombo : 25-09-2014 alle ore 09.47.21. |
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26-09-2014, 19.24.47 | #68 |
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Sì mi pare che tu abbia chiarito bene le rispettive posizioni che ovviamente sono molto difficili da mettere in discussione, soprattutto secondo una modalità virtuale come questa e tenendo conto che i modi di pensare hanno la loro ragione d'essere nel lungo vissuto di ciascuno.
Lo scoglio maggiore sta forse in quell'apparire del non apparire che tu senti come contraddizione mentre per me è una semplice evidenza non contraddittoria e ho tentato con esempi e metafore mal riuscite di spiegarne il motivo. Se non sono cosciente di qualcosa resto pur tuttavia cosciente del mio non essere cosciente di qualcosa. Di cosa? Non lo so, non ne sono cosciente, ma so di non essere cosciente e quindi sono cosciente del mio non essere cosciente. Allo stesso modo mi appare (so) che non tutto mi appare, qualcosa che c'è non mi appare mentre vivo nel mondo. Cos'è? Non lo so, non mi appare, ma tuttavia questo non apparire di qualcosa mi appare ed è lo sfondo su cui ciò che appare può apparire. Capisco che sia un discorso che susciti molte obiezioni in chi afferma la primarietà percettiva dell'essere a cui in un certo qual modo si ricollega poi tutto il discorso soggettivistico che peraltro in buona parte condivido, suona assurdo che vi sia una coscienza del non percepito, se è proprio la percezione è alla base di qualsiasi fenomeno cosciente, eppure penso che chiunque abbia questa consapevolezza di un non percepito e forse si può intuire che senza questo non percepito e non concepito nulla potrebbe essere percepito e concepito, in un certo senso è proprio questo lo zoccolo duro della realtà, il non rappresentato sullo sfondo del quale ha luogo ogni rappresentazione. Questo ha anche un'altra conseguenza a mio avviso di estrema importanza. Da un lato è vero che se c'è sempre qualcosa che non appare nessuna rappresentazione (nulla di ciò che diciamo su qualsiasi cosa) potrà mai essere esaustiva, dunque nulla potrà mai corrispondere alla realtà fino in fondo, ma proprio perché siamo consapevoli di questo la totalità di ciò che è reale pur non potendo essere specificata e pretesa viene indicata, ciò che manca al completo apparire appare infatti come apparire del non apparire che peraltro si dovrà via via svelare senza che il processo abbia mai fine. Ogni discorso filosofico che facciamo (ogni discorso che persegue la verità come corrispondenza alla realtà) è quindi sempre un discorso aperto che non raggiunge mai la conclusione se è veritiero, può solo alludere a una conclusione. E spero lo sia anche il nostro. Un saluto |
19-03-2015, 19.52.27 | #69 | ||
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Ciao Maral, ti sarei infinitamente grato se mi spiegassi perchè lo stesso esserci degli enti non può escludere il loro apparire. Citazione:
Questa penna però oltre ad essere segno (significare) è anche presenza fisica, la fisicità che sento quando la stringo in mano è anch' essa segno, significato ? Mi risulta difficile mettere sullo stesso piano la fisicità di un ente ed i significati che esso evoca, la presenza fisica di questa penna e l' immagine di Dante che scrive la Divina Commedia. |
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19-03-2015, 22.52.55 | #70 | |||
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Difatti, il secondo post di questo thread (di nikelise) secondo me chiude la questione. La possibilità del "buco sulla mappa", semmai esiste, credo purtroppo che non sia realizzabile/trovabile col solo uso del pensiero, o col filosofare. Citazione:
In questo senso, il cervello a cui quest'anima è associata, può pure essere un ragazzino di 14 anni. Non è infatti il suo cervello/mente/anima che inventa l'universo, ciò è un tipo di concezione solipsistica che a mio avviso non sta in piedi. Un'altra (migliore) concezione solipsistica è invece quella che ammette che l'Universo esiste come essere rappresentabile, e un'anima s'impadrona di un cervello tra i tanti (preso a caso) per fare esperienza effettiva di questa rappresentazione, facendo vera esperienza (non solo teorizzabile) dei qualia. Il problema è capire se ci sono altre anime che possono fare effettiva esperienza dei qualia impadronendosi di altri cervelli. A me è sempre parso paradossalmente più logico di no, perché l'esistenza di più anime è come dire che esistono più "materie", più "spazio-tempi", etc. Siccome io vedo l'anima come entità. Ma il nostro quotidiano ci invita a dire che invece non è così. Dove ho usato la parola anima sarebbe da intendere coscienza, ma siccome si dà per scontato che anche gli altri hanno una coscienza - cosa che in realtà è tutt'altro che scontata - mi accorgo che in effetti è meglio usare il termine anima oppure coscienza della coscienza, per far intendere che si vuol prendere in esame quel tipo di coscienza che non è quella degli zombie di David Chalmers ma è "la coscienza vera che io (il solipsista) "sente" ed "è", in altre parole l'unica cosa di cui si ha esperienza certa; tutto il resto potrebbe pure essere Matrix. Ed è proprio con Matrix e questa concezione solipsistica che mi ricollego al primissimo post del thread e alla prima cosa che ho quotato: vivendo dentro il sistema, è impossibile capire in toto l'essenza del sistema. Il problema non è risolvibile dal di dentro del sistema. L'unica inopinabile, certa esperienza, è l'esperienza solipsistica. Potrebbe esistere Matrix (metaforicamente) o altre anime che fanno effettiva esperienza di qualia, ma non lo possiamo sapere perché siamo bloccati nell'esperienza solipsistica che è un'esperienza interna al sistema completo (ovvero il tutto). Il linguaggio è un costrutto fatto di astrazione, e come qualcuno in questo thread correttamente diceva, più si aggiungono concatenazioni più ci si allontana dall'essenza del reale. Quest'astrazione perciò si cerca di smantellarla, ad esempio filosofando, cercando di rompere le concatenazioni non necessarie o errate per giungere all'origine. Ma per smantellare davvero, bisogna smantellare TUTTO il linguaggio, finendo per rimuovere la ragione e vivendo come animali: allora lì resta solo l'esperienza solipsistica dei qualia, e null'altro: il resto è solamente la rappresentazione che, in quanto tale, non ci interessa, perché noi volevamo l'origine, la verità. Il linguaggio stesso È la rappresentazione. O meglio, l'esperienza del linguaggio è la rappresentazione. Meglio ancora, l'anima (o coscienza della coscienza) è l'unica rappresentazione, dalla quale non si può uscire. Non si può quindi risolvere la questione, non si può trovare la Verità. Concludo citando Leopardi. Citazione:
Ovviamente tutto IMHO. |
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