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02-02-2013, 02.56.51 | #52 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Kant: chi sei?
Citazione:
Sono perfettamente d'accordo di non perdere ulteriori energie e tempo sulle questioni inerenti all'essere cristiano di Kant. In ultima analisi questo è un fatto privato che riguarda lui e non noi. Anzi, a dirla proprio tutta, io credo che Kant abbia saputo sollevarsi di molto al di sopra di qualsiasi intento evangelico, riuscendo a lasciarci perfettamente liberi nella nostra possibile disponibilità a "credere": fornendoci solo più strumenti razionali, più lucidità per farlo. Satis de hoc. La "cosa in sè" ed il noumenon non sembrano facilmente disgiungibili. Ho il personale sospetto che Kant adoperasse il termine greco soprattutto allo scopo di essere certo del senso che voleva dare alla locuzione tedesca (inevitabile) Ding an sich. Dobbiamo tener conto anche del fatto oggettivo che la lingua tedesca, alla fine del '700, non possedeva ancora una struttura semantica, sintattica e generalmente grammaticale così affidabile. Fino al 1770 lo stesso Kant aveva pubblicato in latino. La Monadologia di Leibnitz, 50 anni prima, era stata scritta in lingua francese. La nazione non esisteva, pullulavano dialetti. Sono gli stessi anni in cui Mozart, che conosceva perfettamente l'italiano, osava utilizzare un libretto tedesco per la Zauberfloete: l'italiano era una lingua colta, oltre che musicale, il tedesco no. Un problema interpretativo sussiste, invece, tra la parola Objekt e la parola Gegenstand che, entrambe, significano "oggetto". Ma io penso che Kant avesse chiarissima la differenza di senso tra l'oggetto come ob jacere e l'oggetto come gegen stehen. In italiano tale sfumatura non esiste, e nel tedesco attuale è travolta dal concetto di "obiettivo" implicito nel lemma Objekt. Ma io penso che Kant l'avesse presente ed intendesse rispettivamente: 1) con Objekt l'oggetto "intenzionato", ossia predisposto dalla sensibilità alla rappresentazione mentale; 2) con Gegenstand l'oggetto non intenzionato, ossia quello che "costringe" il soggetto conoscente alla sua categorizzazione in quanto è "oggettività" prima che oggetto. "Unità sintetica dell'appercezione sensibile" è la soggettività pura soltanto nell'incontrare i Gegenstanden, non gli Objekte. Ora, tanto gli uni come gli altri esitano necessariamente in fenomeni, quando si fanno espressioni di un apparire all'esperienza sensibile. Ma questo "apparire" è, in ogni caso, "rappresentazione mentale " (Phantasie). Questa "rappresentazione mentale" è "oggettiva", ma io penso che per Kant, a questo punto, esprima Objekte, non Gegenstanden. L'oggetto, pur essendo in ogni caso fenomeno, nella sua rappresentazione compiuta è "determinato": quindi è possibile decostruirlo e analiticamente rintracciare in esso le categorie intellettuali mediante cui esso è stato rappresentato. Come Gegenstand, invece, non lo è: come tale esso ci "rivela" principalmente il nostro fronteggiare soggettivamente un' "alterità". A questo punto tu dici: una "traccia logica" deve permetterci di retrocedere oltre, fino al punto di incontrare la "cosa in sè". Questo, purtroppo, non è possibile. L'oggetto, una volta decostruito delle sue determinazioni, non potrebbe che ricondurci a: 1) le categorie; 2) lo spazio ed il tempo. Nient'altro. Ma poichè la Ragione (Estetica trasc. etc.) ci convnce del fatto che 1) e 2) appartengono al soggetto umano conoscente (ente razionale finito), il Gegenstand deve possedere ulteriormente "altro" da ciò. Questo "altro" è il noumeno oppure la "cosa in sè". Essa/esso/esse/essi deve necessariamente travalicare da 1) e 2): quindi dallo spazio-tempo e dalla logica intellettuale che ne costruisce un "senso". Intendo un senso cognitivo, non affettivo-relazionale, ovviamente: quello va bene per l'etologia non per la teoretica. Eppure ciò che tu dici (anche e più esplicitamente in un altro post) è profondamente sensato. Come è possibile che dal noumeno si "realizzi" il fenomeno? Questo "realizzarsi", hegelianamente è il "darsi per la consapevolezza". Provo a dirlo in un altro modo, per quanto gigantesco è questo problema....! Come è mai possibile, cosa mai nel cervello di ogni essere umano ci permette di trovare un accordo generale nel modo in cui diamo "forme" e "senso" al mondo... Perchè queste "Forme e senso" del mondo noi le chiamiamo: Realtà! E' la questione dello schematismo. Come ben sai è il punto più critico, perdona il bisticcio, della intera critica della ragion pura. Sai che K cambiò radicalmente il capitolo nelle edizioni successive. Credo che ciò dipendesse dall'effettiva debolezza delle neuroscienze al suo tempo: mancavano troppi strumenti concettuali. Con grandissima stima, Andrea. |
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02-02-2013, 17.17.54 | #53 | |
Moderatore
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Riferimento: Kant: chi sei?
Citazione:
un saluto |
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02-02-2013, 19.14.01 | #54 |
Ospite abituale
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Riferimento: Kant: chi sei?
Oxeadbeef:
Scusami tanto, ma come ritieni possibile "violare" o "rispettare" quella che dici essere una caratteristica innata (la legge morale)? Sgiombo: Una tendenza comportamentale può benissimo essere superata da altre controtendenze (oppure no, a seconda dei casi): dov’ é mai il problema? Il comportamento umano (ma anche solo quello di altri mammiferi e uccelli, in una qualche misura, molto più limitata) non è rigidamente meccanico, stereotipato, bensì estremamente plastico, “creativo”. Oxdeadbeef: Credo, fra l'altro, che chi va contro la legge morale si renda sì conto del proprio comportamento, ma solo in relazione ad un contesto culturale in cui, presumibilmente, è sempre vissuto. Eppure, questo ipotetico individuo va contro la legge morale; e vi va, a mio parere, perchè è il proprio interesse che lo porta a questo. Il "gene egoista" non va visto nella dimensione politica, o se ne perde il portato eminentemente filosofico. Quello che sto cercando di illustrarti è un concetto della moralità che può essere definito solo ed esclusivamente in due modi (come ti accennavo). Il primo modo è quello che vede nella moralità un qualcosa di "oggettivo" (la moralità come predicato della religione; della tradizione come, se fosse, ma io non credo, di una certa inclinazione biologica innata). Sgiombo: Religioni e tradizioni, contesti culturali cambiano (e con esse cambiano certi aspetti della morale), ma certe tendenze comportamentali innate biologicamente comprensibilissime restano costanti (fra queste i più fondamentali valori etici di fatto universali, anche se non oggettivi, non dimostrabili “more geometrico”: il grande Spinoza ci aveva provato e si era illuso, ma mi sembra che non abbia convinto quasi nessuno). Naturalmente esistono ed agiscono anche controtendenze (variamente immorali), che a volte prevalgono; il che pure è spiegabilissimo dalla biologia (mentre mi sembra che altri tentativi di spiegare il male, per esempio quello del “serpente” delle tre religioni abramitiche siano penosissimi, puerili spostamenti e non affatto soluzioni del problema). Per me quello del “gene egoista” (titolo di un immeritatamente fortunato libro di divulgazione scientifica la cui fortuna mi spiego col fatto che è perfettamente congeniale alla reazionarissima ideologia dominante) non è -non pretende di essere- un concetto (direttamente, immediatamente) politico né filosofico ma biologico; a mio parere decisamente errato. Oxdeadbeef: Il secondo modo, che è proprio dell'empirismo anglosassone, vede nella moralità un agire volto a soddisfare il desiderio soggettivo. A mio parere, insomma, l'individuo di cui si parlava ha fatto un semplice calcolo, ed ha deciso che il suo desiderio fosse più forte delle inibizioni sociali e culturali della società nella quale egli vive. Sgiombo: Semplice calcolo??? A volte si tratta di decisione soffertissime!!! C' é chi si ammala di vari disturbi psicosomatici, chi cade nell' alcoolismo o in altre più gravi tossicodipendente; c' é perfino chi per la disperazione di non riuscire a scegliere si suicida! Fra l'altro il calcolo potrebbe poi rivelarsi sbagliato. Comunque le varie contrastanti tendenze comportamentali si sono confrontate “dentro di lui” ed ha prevalso la più forte (in quell’ occasione): dov’ è il problema? Oxdeadbeef: Sulla base di queste considerazioni, io penso che l'agire umano in relazione alla moralità derivi da un "mix" di queste due basilari visioni. E' chiaro, a mio parere, che culture nelle quali l'individuo è "emerso" in maniera particolarmente netta (penso solo a quelle anglosassoni, ma anche a quelle latine, che mi pare stiano rapidamente recuperando il terreno perduto...) avranno una visione della moralità che più indulge a ritenerla come lo strumento volto ad un "bene" soggettivo (è bene ciò che è bene per me). Anche se, ed è importante sottolinearlo, l'altra visione della moralità non è certo cancellata, ma rimane sullo sfondo, per così dire, pronta ad affiorare con più forza in particolari momenti storici. Allo stesso modo, culture (penso solo alla araba) con una forte componente di tradizionalismo e di religiosità, avranno un concetto della moralità come eminentemente "oggettivo". E poco spazio vi troverà il desiderio soggettivo (che pur non sarà, anche in questo caso, cancellato). Sgiombo: Ritengo (e mi scuso per la ripetizione) che la scienza umana del materialismo storico spieghi perfettamente queste variazioni (più o meno collettivistiche o più o meno individualistiche a seconda dei casi) della morale (in perfetta complementarità con la scienza naturale della biologia, per quanto riguarda ciò che in fatto di tendenze comportamentali e di etica è universalmente umano). Quella che tu chiami “concezione oggettiva” della moralità è in realtà non meno soggettiva di quella che ritieni tale: nessuna delle due è dimostrabile “more geometrico”, né constatabile (anche se i seguaci di Abramo si sono inventati le due “tavole della legge” che sarebbero state scritte da Dio in una storia che fa acqua da tutte le parti, piena di nonsensi e contraddizioni, buona per delle tribù di pastori nomadi, ma che oggi fa -anche; non solo, per fortuna!- molto danno: pensa alle atroci sofferenze inflitte ai credenti malati terminali di dolorosissime patologie incurabili, cui crudelissimamente nega il sollievo dell’ eutanasia!). Cordialissimi saluti Giulio. |
03-02-2013, 02.03.55 | #55 |
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Riferimento: Kant: chi sei?
@MAURO E LEIB
Non ho capito bene quale sia il vostro alterco. provo a riassumere: mauro per ammettere il fenomeno reale (sottratto all'io dell'idealismo) pensa all'oggetto in sè come "altro" dell'atto/potenza dell'io. qualcosa che si dà certo ma pur sempre un oggetto. andrea invece non lo vede come un oggetto ma come un atto della ragione hegeliana (che nega anche l'oggetto). salvo poi domandarsi come avviene che si formino le realtà dell'io. (giusto?) voglio ricordare a mauro che bitbol (non so se hai trovato il tempo di ascoltarlo tutto) però ricorda che le neuroscienza hanno fatto notare una cosa che torna molto utile alla filosofia: il cervello è in grado di replicare qualsiasi sensazione ma non quella del movimento. guarda caso una delle intuizioni formidabili della ontologia fondamentale aristotelica. forse dovresti considerare questa soluzione come più indicata per meglio comprendere il fenomeno- a mio parere la grandezza di kant è quella di aver ragionato sul concetto di limite matematico come lo stavano studiano newton e leibniz applicandolo all'ontologia. se il noumeno è ciò che è intellegibile, la cosa in sè è il limite trascendentale tramite il quale noi la ipotizziamo. ha ragione quindi andrea, non si può tornare indietro ad un oggetto, si rischia di appiattire l'intellegibile ad un reale autentico. per uscire dal'impasse aveva ragione peirce a indicarci la soluzione nella induzione ad infinitum.(e questa è la risposta ad andrea). non l'ho ancora letta, ma dovrebbe esserci una sezione dedicata a questo. l'oggetto in sè è cioè ipotizzato ad infinitum, perchè noi percepiamo ad infinitum. a mio parere kant è l'iniziatore dell'idealismo, una variante del nominalismo aggiornata alla modernità che dura tutt'oggi. a meno di colpi di mano della neuroscienza. [parentesi] anche se per me è più profonda la variante negativa hegeliana. (quella sì definitiva) (il mio problema attuale è capire in che senso l'oggetto è anch'esso fantasmatico) nb per questo motivo (la mia visione di un kant idealista) ti chiedevo andrea di spiegarmi meglio se si può in poche parole il legame kant - schelling (il legame con l'idealismo), temo che passeranno anni prima che lo affronti, a meno che non mi incuriosisci... nb grazie di avermi fatto capire la differenza tra le 2 stesure. penso che il fatto di aver tolto che l'oggetto in sè sia comprensibile solo tramite l'ordine, sia dovuta solo all'uso dei termini. in quanto l'ordinamento potenziale (induttivo secondo peirce) è esattamente il trascendentale. |
03-02-2013, 09.21.14 | #56 | |
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Riferimento: Kant: chi sei?
@ Mauro (Oxdeadbeef)
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Nella risposta che ho inviato ieri sera (e sarà pubblicata credo stamane) non ho seguito questo saggio consiglio e mi sono fatto scappare accenni polemici alle tre religioni "del libro" che era meglio tenessi per me. Mi dispiace; se scrivessi adesso lo eviterei. Anche se mi sembra evidente che tu non sei un credente aderente a nessuna religione in particolare (se ho ben capito ti poni "costruttivamente ma problematicamente", per così dire, verso la fede in Dio in generale; quindi se non sbaglio sei più "vicino al deismo" che teismo, o per lo meno ti collochi "in qualche punto fra questi due estremi"), ti pregherei di ignorare tali mie intemperanze. Mi sembra comunque che le nostre convinzioni e anche i nostri interessi, il modo di porre i problemi forse ancor più di quello di cercare soluzioni siano molto distanti. Potrebbe forse essere il caso, magari dopo qualche ulteriore precisazione, di constatare serenamente le reciproche differenze nel pieno rispetto reciproco (cui non giovano certo intemperanze verbali come le mie di cui sopra...). |
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03-02-2013, 13.11.33 | #57 | |||
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Riferimento: Kant: chi sei?
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03-02-2013, 14.51.33 | #58 | |
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Riferimento: Kant: chi sei?
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Non ci si può certo fermare, come una nave all'ancora, a Kant. Voglio postare un commento sull'epistemologia che tenga conto dell'evoluzione e di quello che sappiamo oggi. Ho però delle difficoltà a comporlo in modo che possa risultare semplice e comprensibile. Credo che ormai la distinzione occidente-oriente vada perdendo la sua ragion d'essere. Gli elementi che un tempo sembravano così dissimili ad un esame più profondo rivelano una stessa radice. C'era anche una differenza storica, nel senso di una sfasatura del tempo culturale. Per esemplificare: quando ho visitato l'India ed i paesi del medio oriente e l'Africa era come viaggiare nel tempo. Molto appariva diverso e lo era, suscitando grande curiosità intellettuale e grande fervore di studio e di riflessione che ha condotto all'esito di una conoscenza migliore di quelle civiltà. Senza soffermarsi su aspetti secondari la mia conclusione, e non solo la mia, è che l'essere umano sia lo stesso sotto tutte le latitudini: le sue angosce, le sue speranze e le sue elaborazioni di questi stati sono declinati allo stesso modo, essenzialmente, sia pure in una grande varietà di forme. D'altra parte, anche di questi popoli, esaminiamo le loro culture storiche e dobbiamo soffermarci su coloro che hanno segnato le varie epoche proprio come facciamo con quelle che ci appartengono. Nel presente vediamo che la loro velocità di avvicinamento al tempo dell'occidente è andata crescendo fino ad annullare per molti la differenza. Se oggi "fotografi" i giovani di ogni parte del mondo, le loro fogge, stile di vita, aspirazioni, linguaggio, gusti artistici, passione per la tecnologia, cibi ed anche mentalità, sono sorprendentemente uniformati e gli orologi del tempo storico sono sincronizzati. Si può inferire, vista la direzione di marcia e la velocità, che l'uniformità culturale, di usi e costumi sarà presto una evidenza universale. Ciao Ultima modifica di Giorgiosan : 04-02-2013 alle ore 14.42.20. |
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03-02-2013, 21.26.05 | #59 |
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Riferimento: Kant: chi sei?
@ Giorgiosan
Ma in cosa può mai consistere la cosidetta "rivoluzione copernicana" operata da Kant, se non nel porre al centro della scena un soggetto del quale, fino ad allora, si era pensato dovesse adattare i propri schemi conoscitivi ad oggetti ritenuti indubitabili nella loro "oggettività"? Perchè il problema è ancora quello del rapporto che intercorre fra soggetto e oggetto, non credi? Come giustamente afferma Severino all'interno del dibattito sul "Nuovo Realismo", la radice del problema, sempre ammesso che non si voglia assumere gli opposti punti di vista del "materialismo" e dell'"idealismo", è ancora e sempre quello, posto da Kant, del "trascendentale". Ovvero del rapporto che lega fra loro un oggetto che "c'è" (che "ex-siste" fuori dal soggetto) ed un soggetto solo attraverso il quale l'oggetto può essere conosciuto. Per questo portavo l'esempio di Levinas e del suo "ronzio cosmico". Evidentemente, a me sembra, Levinas rifiuta lo stesso termine di "oggetto" per delineare una realtà esterna al soggetto (è da notare che per Levinas l'Idealismo apporta "profonde verità"), ed adotta quello criptico di "il y'a", su cui poi fonderà la sua visione dell'"Altro" come esigenza critica verso una filosofia occidentale che, a suo parere (ed a mio), si riduce ad una visione ontologizzante di quel soggetto che egli chiama "medesimo" (è chiara la critica al soggetto "costruttore" dell'Idealismo, che "fagocita" l'oggetto in sè stesso secondo la nota affermazione di Hegel per cui reale e razionale coincidono). Quindi non concordo sulla affermazione per cui le filosofie di Levinas e di Kant sarebbero accostabili solo in relazione ad una riflessione sul male radicale. Io credo invece che le due filosofie abbiano molto in comune; e soprattutto per quello che riguarda il rapporto fra il soggetto e l'oggetto (che Levinas chiama "medesimo" ed "altro"). Ritengo, altresì, che Kant risulti assolutamente incomprensibile se non se ne analizza il pensiero alla luce degli sviluppi successivi che il suo fondamentale pensiero ha avuto per opera di altri pensatori (e mi riferisco in particolare al Neocriticismo, a Weber, a Levinas, a Peirce fino addirittura ad arrivare alla relatività einsteiniana). E questo semplicemente perchè il problema che Kant ha posto per primo, ovvero il problema del rapporto fra il soggetto e l'oggetto, è ben lungi dall'essere "risolto" (prova ne è, appunto, che il recente dibattito sul "Nuovo Realismo" ha veduto "spiaggiarsi" Severino ancora una volta sul "trascendentale" kantiano). D'altronde, io credo, il nostro compito (qui su questo forum) non è tanto di preparare una relazione SU Kant, quanto quello di analizzare Kant in relazione all'eterno problema della "verità". Ma mi chiedi in che modo il "noumeno" (preferirei, come dicevo, il termine "cosa in sè") modifica i nostri sensi, o come provoca il "fenomeno". Beh, io credo che la cosa in sè provochi il fenomeno nel momento in cui entra in una relazione qualsiasi con il soggetto dell'appercezione. Naturalmente, se l'oggetto (termine che io reputo equivalente a quello di cosa in sè) non entra in relazione con il soggetto non possiamo parlare di "fenomeno", né averne conoscenza. Faccio un esempio pratico. L'archeologia ci ha, recentemente, detto che nell'attuale Siria è esistita una civiltà antichissima (la "civiltà di Ebla"). L'oggetto rappresentato da questa antica civiltà è divenuto fenomeno nel momento stesso della scoperta. Perchè nel momento stesso della scoperta esso (l'oggetto) è stato conosciuto, e quindi nominato "antica civiltà". Spero, con ciò, di aver compreso bene quello che intendi con la domanda... con stima mauro |
04-02-2013, 09.02.49 | #60 | ||
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Riferimento: Kant: chi sei?
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