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24-01-2013, 21.43.01 | #14 |
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Riferimento: Kant: chi sei?
@ Giorgiosan
Perdonami ma questo nostro discutere mi sa molto di "leziosità". Che l'interpretazione dominante nei licei (ma direi anche nelle università) italiani sia quella che tu riporti è cosa risaputa: semplicemente non è la mia interpretazione (non è ciò che io "penso" di Kant; un "io penso" inteso come unità originaria dell'appercezione). In fondo, io non ti sto dicendo che Kant fosse un "mangiapreti"; ma che era una persona profondamente immersa nella problematica religiosa. Se poi tu "risolvi" nella Fede tale problematicità, io non so che farci. Personalmente, sono arrivato a questa interpretazione di Kant ANCHE esaminando posizioni filosofiche come si ritrovano in Dostoevskij, in Tolstoj, in Weber e persino, seppur con accenti diversi, in Camus; che mi sembra in qualche modo possano ricollegarsi, esistenzialmente, a quella di Kant. A questi grandi nomi, vorrei mi sia permesso umilmente di accostare anche la mia esperienza, visto che anch'io "spero" in Dio senza "credervi". Io penso che lo sperare non equivalga a credere (se domattina io giocassi al superenalotto potrei sperare di vincere, ma non potrei dire "io penso -o credo- di vincere"). Un saluto |
24-01-2013, 22.57.03 | #15 |
Ospite abituale
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Riferimento: Kant: chi sei?
@ Giulio
No, questa tua spiegazione fa acqua da tutte le parti (possiamo parlarci così, no? In fondo siamo ormai come due vecchi amici - e davvero non mi spiego, oltre che ne sono dispiaciuto, le parole che aggiungi ai saluti finali: ma che dici?). E tu sei persona troppo intelligente per non accorgertene (solo che il tuo "retroterra" culturale non ti consente di prendere in considerazione un qualcosa che non ha spiegazione: l'"imponderabile"). Gli esempi che fai (fame, istinto sessuale, fatica, musica - anche se quest'ultima è interessante, e meriterebbe un approfondimento) sono un qualcosa di comune a tutti gli uomini. Ma la moralità no, essa non ha questa caratteristica. Non nego che attraverso il DNA vengano trasmesse determinate caratteristiche comportamentali, come non nego l'importanza di quella che Jung definiva "sedimentazione archetipica"; ma, nel caso dell'uomo, queste non sono che tracce debolissime. Proprio ieri, qui vicino a dove abito, un marito marocchino ha tentato di uccidere la moglie (italiana) perchè si era messa una gonna che lui giudicava troppo corta. Allora: quale dei due è il comportamento rivolto alla sopravvivenza ed alla riproduzione? Ah certo, è molto facile dire: "quello della moglie", perchè veniamo da un retroterra che ha abbondantemente "digerito" certe cose. Ma resta il fatto che il marito rivendica (a mio avviso giustamente - oltre che "scandalosamente") la giustezza del suo comportamento, e di conseguenza l'immoralità della moglie. Naturalmente, questo è il classico caso-limite (frequentissimo però, e di grande rilevanza teorica, oltre che "pratica" per quanto riguarda un mondo ormai globale). Vi sono altresì altri e numerosissimi esempi che riguardano la medesima cultura (il medesimo insieme segnico). Prendi, che so, dibattiti come quelli che riguardano il fine-vita, l'embrione, i matrimoni gay etc. Insomma, per adesso non scrivo altro, in attesa di tue considerazioni. Anzi, una cosa veloce voglio ancora dirla, ma non su quest'argomento. Io credo sia un errore attribuire a delle parole scritte un significato particolare (a meno che, naturalmente, queste parole non siano esplicite). Voglio dire: non vedendo la faccia di chi ci sta davanti; la sua espressione; il suo tono di voce o tutti quei piccoli "segni" che ci danno indicazioni circa l'atteggiamento dell'interlocutore nei nostri confronti, risulta spesso molto difficile interpretare questo atteggiamento, e alto diventa il rischio di fraintendere. Insomma Giulio, credimi: io ho solo simpatia e stima per una persona come te, e sono felicissimo di averti incontrato di nuovo. mauro |
25-01-2013, 08.29.33 | #16 |
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Riferimento: Kant: chi sei?
Oxdeadbeef:
Gli esempi che fai (fame, istinto sessuale, fatica, musica - anche se quest'ultima è interessante, e meriterebbe un approfondimento) sono un qualcosa di comune a tutti gli uomini. Ma la moralità no, essa non ha questa caratteristica. Sgiombo: Io invece penso che tendenza a comportarsi (e a ritenere buona cosa il farlo, male il non farlo) verso gli altri come vorremmo che gli altri si comportassero verso di noi, ad aiutare chi ne ha bisogno, a non esercitare violenza fisica o mentale (inganno) sugli altri per costringerli a fare qualcosa contro la loro volontà siano innate e abbiano la stessa (molto solida; certamente più della speranza nell’ esistenza di dio, nell’ immortalità dell’ anima e in una giustizia ultraterrena, peraltro non necessaria alla moralità) origine e spiegazione degli istinti all’ alimentazione, alla riproduzione, a ripararsi dagli eccessi climatici: sono tutti comportamenti necessari alla nostra sopravvivenza. La tendenza a godere della musica, a parte il fatto di essere generalizzata, è più simile alla tendenza alla monogamia o alla poligamia, all’ accettazione o meno dell’ omosessualità o alla considerazione paritaria oppure “gerarchica" (patriarcato ma anche matriarcato) dei sessi (malamente detti “generi”, secondo la moda corrente), essendo più “gratuite”, non indispensabili alla perpetuazione e diffusione della specie umana (basta e avanza un’ eterosessualità non universalmente generalizzata); questi ultimi tipi di comportamento sono condizionati dalle mutevoli circostanze storiche e geografiche, sociali, culturali e dunque non universalmente umani e mutevoli nel tempo). Oxdeadbeef: Non nego che attraverso il DNA vengano trasmesse determinate caratteristiche comportamentali, come non nego l'importanza di quella che Jung definiva "sedimentazione archetipica"; ma, nel caso dell'uomo, queste non sono che tracce debolissime. Proprio ieri, qui vicino a dove abito, un marito marocchino ha tentato di uccidere la moglie (italiana) perché si era messa una gonna che lui giudicava troppo corta. Allora: quale dei due è il comportamento rivolto alla sopravvivenza ed alla riproduzione? Ah certo, è molto facile dire: "quello della moglie", perchè veniamo da un retroterra che ha abbondantemente "digerito" certe cose. Ma resta il fatto che il marito rivendica (a mio avviso giustamente - oltre che "scandalosamente") la giustezza del suo comportamento, e di conseguenza l'immoralità della moglie. Naturalmente, questo è il classico caso-limite (frequentissimo però, e di grande rilevanza teorica, oltre che "pratica" per quanto riguarda un mondo ormai globale). Sgiombo: Non voglio apparire cinico, ma mi sembra un caso tipico di quella parte della morale che è socialmente e storicamente condizionata, variabile e transeunte (il comportamento umano fa un "salto di qualità" quanto a variabilità e creatività rispetto a quello di ogni altra specie animale; di qui la storia, che é propriamente ed esclusivamente umana): pur essendo relativamente “in controtendenza”, per così dire, ai fini della diffusione della specie umana, non è certo tale da impedirla (esattamente come le corna dei cervi e le code dei pavoni, nonostante favoriscano con tutta evidenza i rispettivi predatori). Ma quell’ uomo, come ogni uomo, mentre cercava di uccidere la moglie, sentiva dentro di sé che se sua sorella o sua figlia si comportassero come sua moglie, allora i rispettivi mariti dovrebbero fare loro la stessa cosa che lui stava facendo al proprio coniuge. Oxdeadbeef: Io credo sia un errore attribuire a delle parole scritte un significato particolare (a meno che, naturalmente, queste parole non siano esplicite). Voglio dire: non vedendo la faccia di chi ci sta davanti; la sua espressione; il suo tono di voce o tutti quei piccoli "segni" che ci danno indicazioni circa l'atteggiamento dell'interlocutore nei nostri confronti, risulta spesso molto difficile interpretare questo atteggiamento, e alto diventa il rischio di fraintendere. Insomma Giulio, credimi: io ho solo simpatia e stima per una persona come te, e sono felicissimo di averti incontrato di nuovo. mauro Sgiombo: Sono perfettamente d’ accordo con queste considerazioni. Proprio perché anch’ io ho grande considerazione di te e mi preme di essere ricambiato mi era venuto qualche dubbio per la relativa (rispetto ad altre occasioni), apparente freddezza dei “saluti” alla fine dei tuoi interventi e ho sentito il bisogno di fugarli (sarà un inizio di Alzheimer?). Ma non facciamo troppo i sentimentali (...solo un' inizio, spero!) e consideriamo questi chiarimenti come definitivi: non coltiverò più simili dubbi. A presto! |
25-01-2013, 15.28.31 | #17 | |||||
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Riferimento: Kant: chi sei?
Citazione:
Dio è rivelato, dalla legge morale. La legge morale per Kant equivale alla legge di Dio. Ovviamente Kant aveva una concezione teologica di Cristo consona a quella luterano-pietista: “Maestro divinamente ispirato, ma totalmente e autenticamente umano” dice ne La religione entro i limiti della semplice ragione , “potrebbe nondimeno parlare di sé, con piena verità, come di una manifestazione in carne e ossa (nell’insegnamento e nella condotta) dell’ideale del Bene” con le quali parole esprime filosoficamente l’incarnazione del Logos. Prosegue con una parafrasi filosofica di Genesi: “Per i suoi insegnamenti e il suo esempio, costui si presentava come un vero uomo, e tuttavia si annunziava come un inviato che, per lignaggio e innocenza originaria, non rientrava nel patto che il resto del genere umano, mediante il suo rappresentante (il primo uomo), aveva stipulato con il principio cattivo.” Non occorre fare notare a te espressioni come inviato, innocenza originaria, patto, primo uomo ma lo sottolineo ad uso di chi dovesse leggere eventualmente questo post e fosse poco avvezzo a cogliere i riferimenti biblici. Kant riconosce che non potendo l’essere umano con le sue sole forze eliminare il male radicale, è stato necessario l’intervento diretto di Dio mediante la venuta sulla terra di Gesù Cristo. Kant ha una fede razionale e da par suo riesce come mai non era riuscito nessuno a tradurre in termini razionali il suo profondo e convintissimo cristianesimo. Egli estrae e difende quello che considera il nucleo razionale della sua fede religiosa cristiana. Kant afferma che la religione cristiana è l’unica vera religione naturale e rivelata e che è quella religione che possiede “ il grande carattere richiesto per la vera chiesa, cioè la qualificazione all’universalità”. Citazione:
Citazione:
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E’ leziosa la difesa della tua tesi “Kant non crede in Dio”, un Kant veramente improponibile. E’ leziosa nel senso di ricercata e aggiungo cervellotica la distinzione che fai fra fede speranza e credenza … ma anche questa è una tua opinione non condivisa da alcuno. Kant non era un mangiapreti affermi, forse per captatio benevolentiae nei miei confronti, ignorando che sono un teologo laico che non può certo dirsi filo-clericale. (Ti informo comunque che Kant ha espressioni di un certo disprezzo nei confronti dei preti.) Riguardo alle ineguale possibilità della esistenza e dell’inesistenza di Dio dal punto di vista teoretico come è possibile che la ragione possa indagare un problema di ordine metafisico quando nella critica della ragion pura Kant teorizza proprio questo come limite della ragione? Citazione:
Al di la di quello che uno potrebbe dire mi sembra senza senso che uno giochi senza avere alcuna speranza di vincere o senza aver alcuna fede nella possibilità di vincere o senza pensare di poter vincere o senza credere di poter cogliere quella unica probabilità su 600 milioni. Le differenze fra credere sperare e aver fede non riguardano il significato ma solo la preferenza nell’uso. Nella lingua italiana sono sinonimi cioè uguali per il loro significato denotativo, vale a dire quello primario, che prescinde dai significati aggiuntivi, storici, culturali o emotivi, presenti nell'uso …. ma la tua attitudine, mi permetto di dire, è più quella letteraria che filosofica. P.S Se vorrai esplicare la tua affermazione - non è ciò che io "penso" di Kant; un "io penso" inteso come unità originaria dell'appercezione- potrò commentarla ... N.B. La sottolineatura dei post di 0xdeadbeef è mia. Ultima modifica di Giorgiosan : 25-01-2013 alle ore 18.11.27. |
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25-01-2013, 17.24.46 | #18 |
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Riferimento: Kant: chi sei?
@ Oxdeadbeef (Mauro)
Ripensandoci mi accorgo di aver fatto un po' di confusione. Kant pensava di fondare la morale sulla ragion pratica, cioé, credo, di dimostrare che ci sono imperativi etici cui ottemperare, mentre quello che propongo io é una spiegazione;cioé per parte mia non pretendo di dimostrare che si deve agire moralmente (cosa che non credo necessaria, in quanto con gli stoici sono convinto che "la virtù é premio a se stessa", per l' uomo "virtuoso" quale cerco di essere: lo si sente, come tutto ciò che é fine e non c' é bisogno di dimostrarlo, né é possibile, contrariamente ai mezzi per conseguire determinati scopi in determinate circostanze); con la teoria scientifica dell' evoluzione biologica ne do semplicemente una spiegazione: ecco perché sentiamo imperativi morali! E non: ecco dimostrato che si devono seguire i seguenti imperativi morali (cosa che ritengo da una parte impossibile, dall' altra non necessaria). Ciao! |
25-01-2013, 20.46.59 | #19 |
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Riferimento: Kant: chi sei?
@ Giorgiosan
Prima di tutto, che quella interpretazione di Kant sia solo mia e non condivisa da nessun altro è una cosa di cui mi preoccupo assai poco (visto che non sono un politico in cerca di "consenso"). Secondariamente, mi risulta che ci siano alcuni che la condividono (ad esempio Max Weber, da sempre conosciuto nei licei come "storicista", ma del quale A.Giddens traccia un ritratto in cui lo definisce "kantiano radicale"). Noto piuttosto che possiedi, come dire, una certa vena inutilmente polemica, dal momento che "estrapoli" una parola ("mangiapreti") che io ho usato per dire, ed era evidente, di non aver certo sostenuto che Kant potesse dirsi ateo, materialista o comunque estraneo alla problematica posta dalla religione. Certamente, avessi saputo che sei un teologo, laico e non filo-clericale (io invece ti confesso, da non credente, di avere una certa simpatia per i preti) avrei cercato di "captare" la tua benevolenza in altro modo... Riguardo all'esistenza o all'inesistenza di Dio, mi sembra che Kant affermi molto chiaramente che l'esistenza di Dio non può essere esclusa (come io non posso escludere di poter vincere al superenalotto - cioè: lo posso escludere, visto che non sono uso a giocare a nessun gioco, ma non ci interessa). Se nella lingua italiana "sperare" e "credere" sono sinonimi, vorrà dire che mi toccherà esprimermi in un'altra lingua. Ma non ce n'è bisogno, visto che sinonimi non sono (lo saranno -anzi lo sono- semmai per la teologia). Devo, anzi, dirti che il tuo indistinguere fede e speranza mi sembra un grave errore di prospettiva (che c'entrerà poi l'attitudine letteraria o filosofica...). Comunque sta bene: se tu mi dimostri di aver ragione, d'ora in poi mi dichiarerò "credente" (oltre che, cosa ben più importante, reputerò credente anche Kant) Riguardo all'"io penso": l'"io penso", sappiamo bene, è per Kant l'unità originaria dell'appercezione. L'"io penso" kantiano, questa è la mia interpretazione (sarà bene che io cominci a specificarti che "per me" non si parla mai di "fatti", o di "oggetti", ma solo e sempre di interpretazioni), è la premessa necessaria di ogni conoscenza. Perchè ogni conoscenza null'altro è se non interpretazione (alla medesima conclusione mi pare giunga Kant, soprattutto nell'"Opus Postumum"). un saluto |
25-01-2013, 22.14.39 | #20 |
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Riferimento: Kant: chi sei?
@ Giulio
A mio avviso, è improponibile parlare di "innatismo" in riferimento alla morale. Se non, come dicevo, nelle forme debolissime che possiamo rilevare nella trasmissione genetica e nella sedimentazione archetipica (che poi sono probabilmente la stessa cosa). Un mio amico allevatore di cani, sostiene che è possibile "selezionare" non solo le caratteristiche fisiche tipiche di una qualche razza, ma anche le caratteristiche comportamentali. Come? Appunto "selezionando" gli esemplari che presentano più spiccatamente quelle caratteristiche, e facendoli poi accoppiare fra loro. Dai due esemplari selezionati nascerà una cucciolata sulla quale si ripeterà l'operazione, e così via. Insomma Giulio: questo esempio spiega, credo, la trasmissione genetica, ma la vogliamo estendere dai cani agli esseri umani? Voglio dire: se anche è pensabile una "tendenda" del tipo che illustri (che la religione cristiana sintetizza in: "ama il prossimo tuo come te stesso"), essa non è certamente comune a tutti gli esseri umani. Anzi, direi proprio che non è affatto comune... Se vi fosse una caratteristica innata come quella che dici, non avremmo assistito a quello che è stato forse il secolo più crudele di tutta la storia dell'uomo: il 900. Non avremmo assistito ad "Auschwitz" (un Auschwitz inteso nel senso, filosofico, che gli diede Adorno, e che significa il luogo "nel" quale la cultura muore; il luogo "oltre" il quale l'unica parola possibile diventa: "mai più"). Ho citato solo un esempio (ma che esempio...), ma tanti altri se ne potrebbero fare. Quindi no, io non credo ad un istinto innato che va nella direzione che dici: la storia fa letteralmente a pezzi una simile tesi. Credo, anzi, vi sia un istinto innato, ma esso è rintracciabile nella "volontà di potenza" (stupendamente interpretata in senso psicologico da A.Adler); in quel "gene egoista" che forse muove anche gli spiriti più nobili; nella morale intesa alla maniera dell'empirismo anglosassone, ovvero come quel "movente" che spinge alla ricerca di un "bene" che è inteso in maniera soggettiva (il "bene" è ciò che io ritengo sia bene per me). Perchè il punto è tutto in queste ultime righe: cosa si intende con la parola "morale"? Si intende forse, con "morale", quell'agire in vista di un fine che: "è ciò che è e non può essere altrimenti"? Cioè un fine che rappresenta una realtà perfetta? Oppure con "morale" si intende l'agire in vista di un qualcosa che è oggetto del desiderio soggettivo? Tu affermi che la "morale" è l'agire verso gli altri come vorremmo che gli altri agissero verso di noi. Ma così non delinei altro che una "realtà perfetta", perchè non consideri che il desiderio di molti potrebbe essere (è) quello di sopraffare gli altri, di usarli allo scopo di soddisfare la propria volontà di potenza. E allora che facciamo? "Selezioniamo" quelli che la pensano come te (come noi) allo scopo di poter affermare una presunta scientificità insita nell'innatismo della trasmissione genetica? O piuttosto riconosciamo il "dramma" esistenziale di un uomo costretto ad operare una SCELTA di valore senza poter dare a questa scelta nessun fondamento razionale? Max Weber, un pensatore da me ammiratissimo, diceva splendide parole su questo dramma (se le ritrovo te le posto), sottolineando che esso deve essere sopportato "virilmente" (chi è incapace di sopportarlo, è meglio che si rifugi fra le braccia compassionevoli della religione, dice Weber). Concludo esprimendoti la mia soddisfazione per l'ultima tua frase (no, non è Alzheimer, ma forse è l'atteggiamento di un uomo molto sensibile). Il fatto che non coltiverai più simili dubbi è, per me, molto più importante di qualsiasi disaccordo filosofico. Ciao caro Giulio, io ti ritengo un amico. |