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30-01-2011, 21.33.10 | #23 | |
Ospite
Data registrazione: 08-11-2006
Messaggi: 8
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Riferimento: Serve il dolore?
Citazione:
domanda inutile. Il dolore e' un sintomo fisiologico, che serve ad avvertire il corpo e la mente che qualcosa non per il verso giusto, e prendere provvedimenti. Che poi, per risolvere il problema, ci si rivolga al sacerdote, al filosofo, al mago al medico o al bonzo....dipende solamente dal tipo di cutura di cui siamo infarciti. Il dolore c'e', ed e' ineluttabile perche relativo all nostra corporeita'. Chi non prova dolore e' perche' e' gia' morto, e magari non lo sa ancora. |
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30-01-2011, 23.39.31 | #24 |
Ospite abituale
Data registrazione: 30-01-2011
Messaggi: 747
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Riferimento: Serve il dolore?
Il dolore serve solo a partire dal momento in cui si riesce a trasformarlo in energia.
Ciò avviene quando si riesce ad attribuire un significato alla sofferenza, cosa imprescindibile, in quanto l'uomo può sopravvivere in assenza di soddisfazione ma non può tollerare un'esistenza senza significato. Quando l'uomo trova significato e quindi consolazione alla propria sofferenza, non c'è praticamente limite al dolore che può sopportare. Da quel momento in poi il dolore si trasforma in spirito, dallo spirito nasce la volontà e spirito e volontà insieme costituiscono un meccanismo in cui si alimentano e sostengono a vicenda. Se la coscienza è ciò ci permette di orientare noi stessi nel tempo e nello spazio, se la presa di coscienza nasce dal disadattamento, se esiste una sorta di equazione per cui disadattamento è sofferenza e la sofferenza è disadattamento, allora si potrebbe presumere che sia proprio il dolore ciò che serve a tenere vivi spirito e volontà ed a orientare il nostro ragionamento nell'esistenza che, altrimenti, sarebbe un qualcosa di estraneo all'adattamento. L'uomo s'impegna quotidianamente nella lotta per l'adattamento e l'adattamento può essere solo una conquista momentanea e mai definitiva. Questo è il mio modo di spiegare l'adattamento nell'esistenza: il dolore tramite il significato diventa spirito, lo spirito alimenta la volontà, quindi spirito e volontà si sostengono a vicenda fino ad arrivare all'adattamento, quindi ancora dolore=disadattamento, quindi altra ricerca di significato e così via. |
31-01-2011, 14.07.43 | #25 | ||
Ospite abituale
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Riferimento: Serve il dolore?
Citazione:
Mi sono dilungato sull'argomento nei post precedenti perchè mi è parso che piu' che una capacità o carattere fisiologico di cui il processo evolutivo ci ha dotati per la sopravvivenza...il dolore venga considerato come una entità a sè (analogamente al male o al bene...che non sono affatto entità autonome) di cui il Padreterno ci avrebbe caricato e a cui ci avrebbe condannati. Per chi persegue o dubita su idee di questo genere la domanda non appare inutile. Citazione:
Chi avesse un difetto del genere, che gli inibisce la sensibilità al dolore, dovrebbe essere protetto da tutto. |
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31-01-2011, 20.43.27 | #26 |
Ospite abituale
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Riferimento: Serve il dolore?
SENSO DELLA VITA
Stralcio dalla intervista ad Enrico Cheli, del gennaio 2011 - https://www.riflessioni.it/senso-dell...rico-cheli.htm 3) Come spiega l’esistenza della sofferenza in ogni sua forma? <<Molti credono che la sofferenza ce l’abbia inviata il Padreterno per punirci della nostra disobbedienza nei giardini dell'Eden, ma in realtà essa non è affatto una punizione, ma semmai un dono, la cui funzione è di avvertirci che qualcosa non va e consentirci di fare qualcosa prima che le cose peggiorino. Se metto inavvertitamente un dito su una pentola bollente, avvertirò dolore, che mi farà immediatamente ritirare la mano salvandola così da danni ben più gravi. Analogamente, se avverto una sofferenza emozionale, come ad esempio quella di ricevere una offesa da qualcuno, posso evitare di frequentare oltre quella persona oppure chiedermi se per caso qualcosa che ho detto o ho fatto abbia causato la sua reazione. Se poi il dolore è di tipo esistenziale – una insoddisfazione o amarezza per il tipo di vita o di lavoro che si conduce – esso mi permette di correre ai ripari e dare una svolta alla mia vita prima che sia troppo tardi. Così come una spia rossa che si accende sul cruscotto della nostra autovettura ci invita a portare quanto prima l’auto da un meccanico che possa capire il guasto e ripararlo, la sofferenza – fisica, emozionale o esistenziale - ci invita a fare un esame interiore per capire che cos'è che non va, magari anche chiedendo aiuto a un amico, a un counselor, o a una guida spirituale. Se ci fermiamo subito i guai saranno contenuti, mentre se aspettiamo troppo sarà poi più difficile e doloroso risolvere il problema. Il punto problematico a mio avviso non è dunque la sofferenza, ma la sofferenza protratta, la sofferenza che non avvertiamo in tempo o di cui non comprendiamo il messaggio. Il protrarsi della sofferenza può dipendere da vari fattori, ad esempio ce ne rendiamo contro troppo tardi perché il nostro sentire non è abbastanza aperto. Altre volte non comprendiamo il segnale a causa della nostra ignoranza o dell'interferenza prodotta da credenze erronee: è il caso di quelle persone che, pur vivendo una relazione sentimentale ormai finita o irrimediabilmente conflittuale, evitano di separarsi per non contravvenire alle loro credenze religiose o per l’idea che prima o poi le cose si aggiustino da sole come per magia. Così come il dolore ha lo scopo di segnalare che stiamo sbagliando qualcosa, che la strada intrapresa non è positiva per noi, il piacere ha - o dovrebbe avere - la funzione inversa, cioè di confermare e rinforzare determinati comportamenti, scelte, pensieri che vanno bene per noi. Purtroppo, anche il piacere è stato fortemente travisato, e si è persa la sua preziosa valenza di orientamento, tant’è che le persone raramente sanno seguirne le benefiche indicazioni, e anzi in molti casi le rifuggono come malvage. Tra i responsabili di tale travisamento vi sono senz’altro le religioni, sia quella cristiana sia anche molte altre, che hanno molto stigmatizzato e colpevolizzato il piacere, per motivi vari che sarebbe troppo lungo elencare. È indubbio che per senso etico dovremmo sempre chiederci se ciò che facciamo (o omettiamo di fare) può essere dannoso per qualcuno, ma se così non è, ritengo sia nostro diritto sacrosanto goderci il piacere e seguirne le preziose indicazioni.>> NOTA: Con riferimento alla intervista di gennaio sul senso della vita, mi stupisce un pò, ed anche mi fa piacere, che i concetti che Enrico Cheli ha espresso circa il dolore e la sofferenza, sia in chiaro che nelle intenzioni, siano pressochè coincidenti con quanto ho io stesso cercato di esprimere e sostenere nei miei precedenti post. Ma, certo, non solo io. Naturalmente Enrico Cheli si è espresso in una lingua piu' coordinata...e più evoluta... di quanto io non possa fare! Ognuno poi è legittimamente libero di perseguire, a suo rischio e pericolo, riferimenti di interpretazione per sè più congeniali: infatti si è abbastansza usata nel dibattito l'espressione...per me è così.... oppure... sento in questo modo, ecc... In realtà io credo non sia questione di "sentire", ma di sapere...quasi fosse argomento di scienza. Infatti, per quanto mi riguarda, ho cercato e mi sforzo, come sempre del resto, di dedurre ed esprimere i miei intendimenti da quanto si evince dalla teoria della evoluzione, ora sviluppata in neodarwinismo, EVO-DEVO, ecc... La qual teoria, che mi pare oramai largamente accetttata o sottintesa, racconta ed esplica quali siano stati nei millenni, e siano tutt'ora, i riferimenti di strutturazione del nostro essere psicofisico ed anche spiega, in qualche modo, come mai oggi siamo come siamo dai vari punti di vista del nostro essere: pensieri, visioni, sensazioni, emozioni, comportamenti, ecc.... Mi piacebbe anche avvertire gli eventuali reprobi (SIC!) che affidarsi ad altre modalità di interpretazione potrebbe farci allontanare dalle esplicazioni e dalle risultanze che mi paiono più probabili...ma me ne astengo. |
01-02-2011, 19.18.20 | #27 |
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Riferimento: Serve il dolore?
E' sempre piacevole leggere Enrico Cheli, e sarebbe ancora più interessante capire la differenza che passa tra una spia rossa ed il dolore.
La spia rossa non fa male, perché l'ha inventata l'uomo che ha capito che non è necessario collegarsi un elettrodo alla tempia e spararsi un scarica di 220v per capire che la benzina sta finendo o le pastiglie dei freni si sono consumate. Il dolore è qualcosa di più, è qualcosa che viene dal profondo, perché è qualcosa che vivi soggettivamente, mai oggettivamente. Non basta dire che ha un'utilità, perché basterebbe molto meno dolore per capire. E quando non è più utile capire, perché ormai è troppo tardi, il dolore non serve più, non è giustificabile. |
02-02-2011, 11.05.16 | #28 |
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Riferimento: Serve il dolore?
Un commento alla riflessione di Enrico Cheli sul dolore.
Che il dolore e il piacere siano espressione di processi biologici essenziali risultanti dall’evoluzione sono d’accordo. Sono altrettanto d’accordo che siano determinanti nei nostri processi decisionali. Mi sembra però sbagliato ritenere che basti seguire le loro indicazioni , i loro segnali per migliorare la nostra vita. Infatti seguire un piacere può portare ad un grande dolore e viceversa sostenere un dolore può portare ad un grande piacere. Insomma le cose non sono affatto così semplici. |
02-02-2011, 12.40.59 | #29 |
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Riferimento: Serve il dolore?
Il dolore in senso stretto è una esperienza soggettiva ed è ovvio in quanto col termine dolore si vuole significare una sensazione (che riduce il benessere).
C’è anche una situazione fisica oggettiva, che corrisponde al dolore che è soggettivo solo nella sua percezione. Dal punto di vista fisiologico il dolore origina dall’eccessiva stimolazione dei diversi recettori situati sia a livello della superficie esterna sia a livello dei tessuti interni e da qui trasmessa per via nervosa ai centri superiori della corteccia cerebrale. E questo è oggettivo. La più bassa intensità di uno stimolo con cui si percepisce il dolore si chiama soglia del dolore, come tutti sanno, che varia da soggetto a soggetto ed anche in un stesso soggetto in tempi diversi. Si può affermare senza tema di smentite che il dolore è percepito tanto più intensamente quanto più l’individuo animale è evoluto. per la maggior complessificazione e sviluppo del sistema nervoso. La dimensione più interessante del dolore è a mio avviso quella psicologico-culturale. Nella riflessione sul dolore Wittgenstein sostiene che l’essere umano contiene e confina il dolore attraverso il linguaggio. Prima della parola, infatti, il dolore ci possiede come sensazione sorda e muta. Esprimendolo collochiamo l’evento doloroso in un luogo e gli assegniamo un significato. Per Natoli la storia del genere umano occidentale conosce due fondamentali elaborazioni dell’esperienza del dolore: la concezione greca per la quale il dolore è inscindibile dalla vita ( dico io, inscindibile e necessario alla vita), per cui l’essere umano diventa eroe proprio nel dominio della sofferenza. L’altra è quella ebraico-cristiana dove il dolore è in relazione alla colpa e la salvezza è concepita come come vita senza dolore. Nel presente il dolore viene separato dal quotidiano e relegato in luoghi delegati come l’ospedale, dove il dolore diventa malattia. Foucault trae da questa sua constatazione la conseguenza che l’individuo risulta privato della comprensione della propria sofferenza perché il dolore essendo iscritto nel linguaggio che lo descrive e lo interpreta è ormai affidato alla visione organicistica propria della clinica che conosce il male e ignora, per le caratteristiche oggettivanti del suo metodo, quel vissuto soggettivo che è il dolore. L’accento sulla dimensione soggettiva del dolore è stato posto dalla fenomenologia per la quale il dolore è la rottura della coincidenza tra corpo ed esistenza per cui non è l’organo che soffre ma l’esistenza che si contrae, alterando il rapporto col mondo che non è più cadenzato dalle intenzioni della vita ma dal ritmo del dolore. Restando ferma sia la oggettività del dolore che la sua soggettività ancora una volta è l’interpretazione che ognuno opera sulla base della sua visione del mondo della sua cultura e della sua esperienza. Il dolore lo si può sopportare stoicamente (l’ideale greco) lo si può accettare con rassegnazione, lo si può detestare e considerarlo una tragica realtà imposta da un cosmo crudele e invano “rifiutarlo”. Infine si può accoglierlo e valorizzarlo, pur senza superarne la valenza negativa oggettiva. A suo modo anche Schopenhauer valorizza il dolore. Per lui la vita è un continuo flusso di dolore, e l’essere umano non può non patirlo ed il piacere non è altro che una momentanea cessazione del dolore. Ne consegue, secondo lui, che la felicità, il piacere, la gioia, non potranno sussistere senza il dolore. Stante la realtà presente, con puro spirito pragmatico, mi sembra meglio scegliere di valorizzare il dolore non potendolo certo eliminare. Ciò che è più buono è forse più vicino alla verità. Ultima modifica di Giorgiosan : 03-02-2011 alle ore 08.06.30. |
02-02-2011, 20.02.02 | #30 | |||
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Riferimento: Serve il dolore?
Citazione:
Questo fa sì che la cosa si complichi e che il veterinario debba un pò indovinare o prescrivere esami clinici di vario genere per arrivare alla diagnosi. Solo dopo si puo' trovare il bandolo per un miglioramento o una guarigione. Un eventuale placebo sarebbe un assurdo. Quando vado io dal medico, all'opposto, complico un pò le cose col profluvio di informazioni, circa le mie sofferenze, che gli rovescio addosso, ma offro in tal modo al sanitario un vasto campo di scelte, fra le quali optare...vantaggio negato al veterinario. Comunque, dopo un iniziale e duro aprendistato, sulle mie modalità comunicative...il medico potrà piu' celermente migliorarmi la vita...magari anche prescrivendomi un placebo. Già questo, differenziandomi dalla gatta, mi fa felice...almeno fino alla prossima crisi. Citazione:
La spia accesa è solo il segnale localizzato di guasto o insufficienza...poi spetta a noi o all'eventuale esperto, fare la diagnosi e riparare il guasto...solo allora la vita è migliorata..quella della macchina intendo...ma anche la mia, dato che mi lascia il timore che mi lasci...che mi lasci a piedi intendo. Comunque e oviamente, nel caso degli umani (o dei gatti) c'è qualcosa di più complesso che non nel meccanicismo della macchina: si tratta che la probabilità di raggiungere un risultato positivo è sempre aleatoria, piu' aleatoria che non nella macchina. Sempre comunque il segnale, sia esso meccanico o biologico, costituisce solo l'avvio della procedura, non la diagnosi o la cura. Per quanto sempre piu' essenziale sia la sua tempestività e capacità predittiva. Citazione:
A complicare la cosa non è tanto il segnale quanto la sua interpretazione. Infatti se scambio il segnale di vuoto di serbatoio con quello di batteria scarica sbaglio diagnosi e non ne potrà consegure un gran bene... E' come scambiare il dolore dell'appendice con quello di ernia inguinale...sarebbe veramente malasanità: non è quindi solo dal segnale che consegue il miglioramento della vita, ma anche dalla sua corretta interpretazione e diagnosi e quindi dall'intervento riparatorio. D'altra parte anche i sommovimenti sociali seguono questa stessa legge ove alla eventuale mala interpretazione dei segnali conseguono risultanze deleterie...ma non è argomento del nostro tema. In definitiva è vero.... puo' essere, a volte, che la strada dell'inferno sia lastricata di opere di bene (o buone intenzioni) e viceversa, che dal male possa derivare il bene, ecc... ma li intendiamo casi limite che non possono distogliere l'umanità dal perseguire cio' che è ritenuto fautore di bene... Se poi ne esce male...pazienza ...abbiamo sbagliato, nessuno è infallibile! Non siamo comunque mai esentati, dall'avviare una procedura indagante sul perchè dell'errore o della inversione di interpretazione e risultanze. |
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