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28-11-2005, 12.09.18 | #55 | |
Utente assente
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Citazione:
VanLag... guarda che il messaggio più sconvolgente su questa terra ce l'ha dato proprio Gesù stesso... colui che io ammiro tanto... Perché dico così? Perché per Gesù... ..."Dio è morto"... è morto sulla croce... (mi fa venire i brividi a sentire queste parole...) Tu in confronto sei allegro e gentile quando scrivi e ci riporti i tuoi pensieri... ... per questo continuerò a leggere volentieri ciò che riporti... Ciao, Elia |
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29-11-2005, 21.31.09 | #56 |
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Let me go on- Stato e Chiesa (parte seconda).
Nel 494 papa Gelasio scrive all’imperatore Anastasio: - Due sono i poteri capitali dai quali è retto il mondo: la sacra autorità dei pontefici e la potestà dei rè, Ma il compito dei pontefici è tanto più grave in quanto essi dovranno rendere ragione , al giudizio finale, anche del comportamento dei re. – Perciò egli chiede di – sottomettere docile il collo a coloro che presiedono alle cose divine. –
Alcuni anni prima nel “De civitate Dei” Agostino aveva elaborato la teoria – valida poi per tutto il medio evo – che, essendo vera patria del cristiano solo l’atteso “regno dei cieli” la vita attuale ne è preparazione e condizione, quindi ha da essere completamente subordinata alla chiesa. Il trionfo di questo ideale avrà inizio la notte di Natale dell’800 con l’incoronazione di Carlo Magno da parte del papa. Per preparare la cerimonia si era addirittura prodotto un falso documento, il “Constitutum Constantini”, secondo cui, Costantino, per essere stato guarito miracolosamente da lebbra, avrebbe donato a papa Silvestro ed aai suoi successori piena giurisdizione e pieno possesso su “omnes occidentalium regionum provincia, loca et civitate”! Da quel momento qualunque nomina di imperatori in occidente avverrà per investitura papale ed il pontefice avrà diritto di elezione, di deposizione e naturalmente di controllo sull’operato del sovrano. Il cesaro-papismo si è rovesciato in teocrazia. L’ingerenza della chiesa sull’impero ebbe nel medioevo periodi di luce ed ombra, secondo l’acquiescenza degli imperatori stessi e l’energia dei pontefici, ma la pretesa teocratica della chiesa fu più volte ribadita. Essa ha successivamente subito gravi colpi con la formazione, in età rinascimentale, delle grandi monarchie europee e con la separazione del mondo protestante, poi con la politica laica dei Principi riformisti, nel settecento, con la rivoluzione francese, ed infine col movimento liberale dell’ottocento. Ma la concezione medioevale non è stata fino ad oggi modificata. L’enciclica “Quas primas” di pio XI, (dicembre 1925), istituendo la festa del Cristo Re, dichiara esplicitamente che sarebbe un grave errore voler eliminare la signoria di Cristo dalle cose della vita pubblica e che le autorità terrene si devono convincere che esse governano non sul fondamento del proprio diritto, bensì per ordine di Cristo. Concetti analoghi, sebbene temperati da una generica esortazione alla fratellanza universale, sono ribaditi dalla “Pacem in terris” di Giovanni XXIII (11 aprile 1963). Le teorie circa i rapporti tra chiesa e stato si sono adeguati ai tempi solo nel senso che la chiesa ha rinunciato all’affermazione di Tommaso d’Aquino che soltanto l’impero è la costituzione giusta, data da Dio e derivante dal diritto naturale: essa accetta anche le monarchie e persino le repubbliche, quando non si può farne a meno. (da - la Vita di Gesù - di Marcello Craveri) |
03-12-2005, 14.06.29 | #57 |
Ospite abituale
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E’ indubitabile che la fede in Cristo abbia prodotto numerosi autentici campioni di virtù e di operosità nel bene, esempi mirabili di abnegazione altruistica e di eroismo, che anche il non credente è costretto ad ammirare e rispettare. Ma molte volte la fantasia degli agiografi e la cieca devozione popolare hanno ecceduto nell’attribuire ai santi doti ed imprese che li rendono incredibili, o addirittura nel santificare personaggi che tali non erano assolutamente.
Il pantheon cristiano si è popolato rapidamente di un numero straordinario di santi subito dopo il riconoscimento ufficiale della religione, da parte di Costantino, per un’ovvia necessità di adattamento alle tradizioni dei pagani. Costoro, infatti, veneravano uno stuolo considerevole di dèi, semidei, eroi, ninfe, ecc. i quali proteggevano città, boschi, fontane, crocicchi di strade, tutelavano la salute, assistevano nei matrimoni, nei parti, negli affari: si può dire in ogni momento della vita quotidiana. Perciò si verificò un doppio fenomeno di santificazione: i neoconvertiti tendevano ad attribuire all’uno e all’altro martire i poteri che erano avvezzi a riconoscere a singole divinità pagane, e la chiesa stessa operò la sostituzione di eroi locali con suoi santi o, in mancanza di questi, permise la cristianizzazione di divinità pagane. Si danno casi davvero stupefacenti. Venere Afrodisia, ad esempio, continuò ad essere adorata dalle masse, ma sotto il nome di Santa Fredisia; Apollo Efebo divenne Sant’Efebo; Cesare Flava si mutò in Santa Flavia; Bacco, che i pagani chiamavano anche Soter (“salvatore”) fu trasformati in San Sotero, e così via. Nel calendario alla festa in onore di Dionisio seguiva immediatamente quella di Demtrio: alle medesime date vennero a cadere, nel calendario cristiano, San Dionisio e San Demetrio. I giochi Apollinari suggerirono la ricorrenza di Sant’Apollinare. Le Idi del mese si impersonarono in Santa Ida. La formula di augurio usata dai romani: “perpetua felicitas” si sdoppio in Santa Perpetua e Santa Felicita. Naturalmente per tutti questi falsi santi si inventarono vite esemplari, piene di particolari edificanti e si celebrarono i martiri che essi avrebbero subito. Da - La vita di Gesù - di Marcello Craveri. |
04-12-2005, 21.46.30 | #58 |
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L'ultima cena
L’ultima cena
Dopo avere descritto molto bene l’origine della Pasqua ebraica ed avere tratteggiato, in base alle conoscenze storiche, luoghi e modalità con cui poteva essere avvenuta l’ultima cena, (fino a descrivere con precisione visiva come doveva essere “la camera alta” cioè il luogo nel quale secondo i vangeli avvenne quell’evento evangelico), Marcello Craveri, con la sua solita precisione e competenza storica, passa a fare una interessante analisi sull’influenza paolina rispetto al modo con il quale quell’evento è arrivato a noi. Continuo a trovare estremamente interessanti e stimolanti queste conoscenze che danno una visione realistica ad un qualche cosa che volenti o nolenti è così presente nelle nostre vite e paradossalmente direi che se fossimo veramente civili sarebbero queste le informazioni che daremmo nelle scuole ai bambini, cioè da dove nasce la nostra storia, come si è formata, quali le influenze che l’hanno forgiata. Purtroppo si continua a ritenere che un bel sogno è preferibile alla realtà e si preferisce insegnare nelle scuole il mito invece della verità Non saranno i miei patetici sforzi a incidere sul mondo e sulla verità storica, il libro stesso di questo grande autore, (che fu anche tradotto in più lingue), ai tempi che usci, (nel 1966) suscitò un certo scalpore ma poi venne riassorbito nel silenzio…. Ma la verità in qualche modo sopravvive e si muove in mezzo a noi e speriamo che dilaghi sempre più. Bah….. buona lettura a chi ancora stà seguendo…… Il codice D (o codice Beza, di Cambridge) ci dà il testo primitivo, nel Vangelo di Luca, che doveva essere anche quello degli altri evangelisti: XXII, 14. Quando l’ora fu venuta, egli si mise a tavola e gli apostoli con lui. 15. Ed Egli disse: - Vivamente ho desiderato di mangiare questa Pasqua con voi; 16. poiché vi dico che non ne mangerò più fino a che venga il regno dei cieli. 17. E avendo preso una coppa disse: - Prendete e dividetelo tra voi. 18. Vi dico infatti che di questo succo della vite non ne berrò più fino a che venga il regno dei cieli 19. Prese allora il pane, lo ruppe e disse: - Fatelo anche voi in mia memoria – Nelle intenzioni di Gesù vi era soltanto il desiderio di fare della cena pasquale, oltre che un rito di ringraziamento a Jahve per i “beni” fino allora largiti, secondo l’antico patto, un ringraziamento per la promessa del regno (nuovo patto) in cui quei beni sarebbero stati eterni e sovrabbondanti. La cena voleva essere, perciò, una speranza e un augurio della concordia e della felicità che si sarebbero godute nel regno di Dio. La radicale trasformazione dell’eucaristia, da rito commemorativo di Gesù e di ringraziamento a Jahve, in rito misterico è avvenuta in seguito all’affermarsi della cristologia paolina. La fortuita incidenza della morte di Gesù, vittima innocente dei timori politici dei romani e della classe dirigente giudaica, in prossimità dell’ultima cena, in cui erano consumate le carni di un animale sacro (l’agnello), immolato a Jahve come offerta propiziatoria ed espiatoria, ha suggerito a Paolo l’idea di fondere i due avvenimenti e di costruire un parallelo tra Gesù e l’agnello pasquale. Su questo piano di semplice confronto simbolico tra due vittime innocenti, sacrificate per l’interesse degli offerenti, l’idea di Paolo non avrebbe nulla di straordinario. Come a molte altre religioni anche a quella giudaica non ripugnava la concezione del sacrificio vicario. Abbiamo già avuto occasione di ricordare la credenza ebraica nel capro espiatorio che, come in analoghi riti babilonesi, hittiti ed egiziani, era una vittima passiva su cui, nel giorno del Kippur, il Sommo Sacerdote trasferiva, per virtù magica, tutte le colpe del popolo e la cui morte perciò significava la cancellazione delle colpe stesse. Ne era estranea ai giudei l’idea che si potessero scegliere vittime innocenti anche tra gli esseri umani (la figlia di Ieptè, Isacco, ecc), come non era estranea alla religione greca, (Ifigenia, Alcesti, ecc…) Ma nella cristologia Paolina non vi è soltanto l’intenzione di considerare Gesù una vittima espiatoria. Con ben altra ricchezza di fantasia, Paolo, per suggestione dei culti misterici, molto diffusi nell’ambiente greco-orientale in cui egli visse, accomuna Gesù alle divinità esoteriche (Orfeo, Dionisio, Attis ecc..), adorate da tali religioni. La funzione di queste divinità era stata di soffrire e morire per dare agli uomini la possibilità di accedere, spiritualmente alla beatitudine divina. I fedeli dovevano essere “iniziati” al culto segreto (mystérion) tramite la catechesi (conoscenza del significato del rito), il digiuno e la purificazione. Erano allora introdotti tra i membri della comunità religiosa che godeva della protezione del dio e potevano attuare l’unione mistica o comunione col dio stesso, mediante il pasto di un animale sacro che lo simboleggiava. La carne e il sangue dell’animale trasferivano in coloro che li avevano ingeriti le virtù della divinità. Anche Paolo pensa ad un potere magico insito nel pane dell’eucaristia, come i pagani negli idolotiti (le carni sacrificate ai loro dei). Non occorre grande sforzo per riconoscere l’affinità tra i gradi dell’iniziazione orfica (catechesi, digiuno, purificazione) e quelli cristiani: preparazione al “mistero” dell’eucaristia, digiuno, confessione e assoluzione dei peccati. Ma la sostituzione dell’animale sacro colla persona stessa di Gesù fa diventare macabra e orripilante la cerimonia: se Gesù è da considerare essere umano essa assume le caratteristiche di un rito cannibalesco; se Gesù è da considerare figlio di Dio, diventa inconcepibile come l’immagine pura ed elevata che Gesù stesso aveva di Dio abbia potuto degenerare nell’opinione di un dio spietato che pretende il cruento sacrificio, sempre rinnovatesi, del suo figlio diletto. Una volta accettata l’innovazione di Paolo, anche l’agàpe degli apostoli perse il suo significato eucaristico (ringraziamento alla divinità) e commemorativo (ricordo di Gesù) per divenire parte del “mistero” della comunione. Il pane ed il vino vennero assunti a simbolo della persona di Gesù e precisamente del suo corpo e del suo sangue. Il resto dei vangeli si completò allora con le aggiunte fatte da Paolo, il quale, violando la realtà storica per un’esigenza teologica, ed asserendo con molta impudenza, che tutto ciò gli era stato direttamente riferito da Gesù stesso, gli faceva dire, dopo la fractio panis: - Questo è il mio corpo, che è dato per voi” e al momento della libagione del vino: - Questo è il mio sangue del nuovo patto, che si versa in favore di molti. – L’agàpe apostolica, come anticipazione della beatitudine del regno promessa da Gesù, aveva un carattere festoso. Paolo invece, ha posto l’accento sulla sua relazione colla morte di Gesù: l’ultima cena è per lui “l’annuncio della morte del Signore”, e il lieto banchetto fraterno si è mutato in un sacramento, circondato da un alone di terrificante mistero. Infatti analogamente ai riti soteriologici greco-orientali, anche nella “comunione” cristiana Paolo introduce il concetto della punizione divina (fino alla morte) per chi osi accostarsi al pasto, senza l’opportuna iniziazione: - Chiunque mangerà il pane e berrà il calice del signore senza esserne degno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore…. Per questa cagione molti fra voi sono infermi e malati e parecchi muoiono. – |
08-12-2005, 16.51.51 | #59 |
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La resurrezione
Siamo alla “resurrezione di Gesù” e visto che il libro è cronologico, siamo quasi alla fine. Ho saltato delle parti, più che altro perché il contenuto era diluito in pagine e pagine e, confesso che, mi ha preso la pigrizia di trascrivere tutto.
Le parti invece, sul processo a Gesù e sulla trasfigurazione della figura di Pilato operata quando il cristianesimo stava diffondendosi in occidente, le avevo già poste all’inizio. Ancorché questa riproduzione sia fatta con passaggi veloci, se qualcuno mi ha seguito, avrà senz’altro colto quale e quanta è stata l’influenza del mondo greco-pagano o ellenico sul messaggio originale di Gesù e come, in realtà, quello che ci viene insegnato oggi, come dottrina e come istruzione, sia il frutto di pesanti metamorfosi del messaggio originale contenuto nei vangeli. Conoscere la storia è una cosa importante perché ci evita di rimuovere e di manipolare parti del nostro passato. Oggi si tenta di rimuovere persino l’olocausto dicendo che non c’è stato. Io credo, invece che sia più salutare affrontare le nostre ombre, invece di nascondere l’immondizia sotto il tappeto. La storia dovrebbe essere come una madre tenera ma determinata che, quando il bambino le chiede – ma è vero che il nonno ha fatto quelle cose? – invece di dire: - Non è vero sono i cattivi del paese che dicono le cattiverie su di noi – sapesse dire: - si figlio mio, il nonno, la tua famiglia, la famiglia dalla quale provieni le ha fatte. Ma tu puoi andare a testa alta, perché il papà e la mamma hanno capito che erano sbagliate e quegli errori, quelle atrocità non succederanno più, almeno non da parte della tua famiglia. - Non so se è chiaro il senso della metafora della buona madre, al posto, della storia. Nel caso cercherò di spiegarmi meglio. Ma torno a Marcello Craveri e la sua - vita di Gesù - Con il dogma della resurrezione comincia il vero cristianesimo: Non il cherigma predicato da Gesù, che, in fondo, non era altro che un approfondimento e un perfezionamento della tradizionale religione giudaica, ma il culto della persona di Gesù, sempre più simile al culto di un dio soterico sul tipo di quelli adorato nei misteri greco-orientali: un dio che si è incarnato, ha sofferto per l’umanità, poi è tornato all’Olimpo. Forse un po’ paradossalmente, ma non senza un fondamento di vero, è stato detto che il vero creatore del cristianesimo non è Gesù, ma Paolo. Il culto del “Cristo” comincia proprio con la risurrezione perciò il racconto di questo straordinario evento si è tosto arricchito di altri particolari, utili a rendere Gesù sempre più simile ai vari dei soterici. Tale, ad esempio la tradizione che egli sia risuscitato il terzo giorno dopo il suo seppellimento. Infatti anche nel culto di Orfeo, di Osiride, di Attis, ecc… il ciclo rituale comprendeva un uguale spazio di tempo. Tale anche la credenza di una discesa di Gesù all’inferno onde permettere la salvezza ai “giusti” dell’antico patto, come le religioni pagane avevano favoleggiato di Dionisio che si era calato all’Averno per riprendere la madre Semele, di Orfeo che vi era penetrato per strappare la perduta Euridice, di Teseo e Piritoo che ci erano recati per riportare tra i vivi Persefone. Della discesa di Gesù all’inferno si cominciò a parlare solo nel quarto secolo, allorché fu formulata (col simbolo niceno) una precisa dottrina sulla Trinità. Come si poteva spiegare l’inazione del Logos divino durante il tempo in cui la carne alla quale era stato unito riposava nella tomba ed egli non era ancora salito alla gloria del Padre? La definizione dei regni ultraterreni, avvenuta pure in quell’epoca offriva un opportuno pretesto per colmare il vuoto. Per dare maggior credibilità alla leggenda fu divulgata una lettera apocrifa, attribuita a Simone-Pietro che si faceva garante della veridicità del fatto. La scelta della domenica come giorno della resurrezione corrisponde invece ad un adattamento al culto del dio Sole, che, come si sa quando il cristianesimo cominciò a diffondersi era praticamente la religione ufficiale dell’Impero Romano. Al dio Sole, detto per eccellenza Cùrios o Dominus era dedicato un giorno particolare, “il giorno del Signore” (dies domenica) che i cristiani assunsero come festa del loro dio. Fu infatti da essi subito scorta e spontaneamente accettata l’analogia tra il Cristo gloriosamente risuscitato e il sole nascente, e gli attributi dell’astro ricorrono di frequente nei primi scrittori cristiani, riferiti al Cristo. Già fin da quando l’autore del Vangelo secondo Marco aveva intrapreso a dimostrare la resurrezione di Gesù con la circostanza del sepolcro trovato vuoto, aveva posto tale scoperta all’alba del terzo giorno dopo il venerdì della morte: Quindi col sole levante della domenica. Ancora oggi il nome della “domenica” nelle lingue anglosassoni indica la sua origine dal culto solare, come Sunday in inglese o Sonntag in tedesco. |
09-12-2005, 21.09.21 | #60 |
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The End
Nonostante la chiarezza con cui Paolo ha voluto dichiarare l’assoluta arbitrarietà di Dio nel concedere la “grazia” della salvezza, fino al quarto secolo di preferiva attenuare la sua dottrina intendendo che Dio predestinasse e giustificasse, almeno, coloro di cui “aveva preveduto i meriti futuri”. Ma sul finire del secolo stesso, Agostino divulgò la sua rigida interpretazione del pensiero Paolino: - essendo tutta l’umanità senza eccezioni “massa perditionis” da Adamo in poi per il peccato originale, non è possibile che la scelta di Dio possa essere motivata dai nostri meriti; la “grazia” è liberamente concessa da Dio, anche se non ne siamo degni.
La pessimistica opinione di Agostino sollevò scalpore. Molti protestarono, e soprattutto il monaco bretone Pelagio, il quale in un commento alle Lettere di Paolo, sostenne che il peccato di Adamo può avere nociuto a lui solo, non a tutti i suoi discendenti, che l’uomo, quindi, non ha perduto il libero arbitrio di scegliere tra il bene ed il male e perciò di salvarsi o di dannarsi con le sue forze naturali. La “grazia” serve soltanto a “nos adiuvare ad non peccandum”. La dottrina pelagiana fu condannata dal Concilio di Caratgine, dei 412. Ma ormai la polemica tra agostiniani, sostenitori della “grazia”, e pelagiani, sostenitori del “libero arbitrio” era avviata. Sul finire del Medio Evo, Tommaso d’Aquino tentò di nuovo di smussare le asperità della dottrina agostiniana con una conciliazione tra “grazia” e “libero arbitrio” che la chiesa ha accettato. Invece fu proprio riferendosi ad Agostino che nel secolo XVI Martin Lutero iniziò il movimento della Riforma. L’uomo – egli disse – decaduto col peccato originale è irrimediabilmente corrotto sicché da esso non può procedere che il male: ogni sua opera è necessariamente peccato. Solo chi è predestinato avrà vita eterna, e in tal caso “etiam volens non potest perdere salutem suam, quantiscumque peccatis”. L’affermazione di Paolo, “l’uomo è giustificato solo dalla fede” diventa paradossalmente, per Lutero, “Pecca fortiter, sed crede fortius!” Sulle orme di Lutero l’altro grande riformatore, Calvino, giunge ad un predestinazionismo ancora più radicale: l’uomo è predestinato ab aeterno alla salvezza o alla dannazione, quindi anche colui che pecca lo fa perché così è prestabilito; ma la sua caduta nel peccato è la prova che Dio non l’ha eletto, è la certezza terribile della propria condanna! Sconfessate dal Concilio di Trento, le dottrine di Lutero e di Calvino hanno subito invece un approfondimento sempre maggiore da parte protestante. Attualmente, percorsa dalle crisi mistiche dei primi riformati e poi di spiriti inquieti come Giansegno, Biagio Pascal, Giacomo Spener, la teologia protestante più avanzata, specie di indirizzo esistenzialista, ha ridotto il fatto religioso all’ossessionante incertezza del nostro destino futuro. Per Sòren Kierkegaard Kierkegaard il timore del peccato (che sarebbe la prova sicura della nostra non elezione da parte di Dio) ci condanna alla via “paradossale” della negazione del mondo, della solitudine e della disperazione. Heidegger Heidegger ed i suoi seguaci considerano la vita umana come provvisorietà, coscienza della nostra limitatezza e della nullità dei nostri mezzi. L”esserci” di Heidegger, cioè la nostra presenza nel mondo, è “pura, angoscia continua, sospensione, insoddisfazione, esistenza in autentica”. Tuttavia – dice Karl Barth – proprio questa “angoscia”, questa sensazione di smarrimento e consapevolezza di peccaminosità è il segno positivo del nostro bisogno di Dio, sentito precisamente come netta antitesi di tale nostra insufficienza. Si arriva pertanto alla conclusione, davvero madornale, che è bene che l’uomo sia peccatore, altrimenti non avrebbe sete di Dio. Così la “lieta novella” predicata da Gesù che conteneva una speranza di felicità, di pace e di giustizia per tutti gli uomini, in questa vita, si è mutata, attraverso i secoli, nella perversione di una fede che non serve più per la vita, perché anzi la rifiuta, la maledice, la condanna ad una tormentosa inquietudine. ------------------------------------------> The End Qui finisce il mio “sforzo” che spero qualcuno abbia seguito. Vi lascio con le tristi parole con cui Marcello Craveri chiude il suo libro, (quelle sopra in neretto), che ovviamente condivido in toto. Laddove l’amore ci avrebbe condotto alla gioia di vivere, una assurda “pretesa di perfezione” ha prodotto una dottrina cristallizzata e dogmatica, tesa più a preservare la forma che la sostanza del messaggio di Gesù, che ha finito per soffocare l'uomo chiedendogli di essere un qualche cosa che non è e che non potrà mai essere. |