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Vecchio 04-05-2007, 12.08.26   #1
spirito!libero
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Vita di un biblista, da fondamentalista a professore

Vorrei condividere con voi l’introduzione del lavoro del Prof. Bart D. Ehrman, in cui quest’ultimo fa un breve riassunto della sua vita e del suo approccio allo studio biblico. (Bart D. Ehrman è professore e capo del dipartimento di studi religiosi all'università del Nord Carolina a Chapel hill, dove insegna da 15 anni. Ha completato i suoi studi al college di Wheaton ed ha ricevuto il master e dottorato al seminario teologico di Princeton. Prima di entrare alla UNC, il Professor Ehrman ha insegnato all'università di Rutgers. E' stato allievo del compianto e famosissimo Prof. Metzger nonché presidente della società della letteratura biblica, editore del giornale della letteratura biblica, editore della serie monagrafica del nuovo testamento nei padri Greci).

PARTE 1/4
Mi piacerebbe molto che i sostenitori dell’infallibilità biblica nonché i “letteralisti del libro” di qualsiasi religione essi siano, leggano con molta attenzione e con “mente aperta” la storia umana e di ricerca di questo studioso, il quale fu proprio educato all’inerranza biblica e alla lettura fondamentalista della stessa. La storia del Prof. Ehrman dovrebbe essere letta da tutti gli “estremisti” del libro perché è davvero emblematica di come lo studio serio possa rischiarare le menti.

"Sono trascorsi ormai trent'anni da quando, verso la fine dell' adolescenza, iniziai a studiare il Nuovo Testamento. È da allora che il tema trattato in questo libro mi assilla, forse più di qualsiasi altro argomento su cui abbia scritto. Proprio per tale ragione ho pensato che dovrei cominciare con lo spiegare il motivo per cui esso è stato, ed è tuttora, così importante per me.
Quest' opera ha per oggetto gli antichi manoscritti del Nuovo Testamento e le differenze che presentano, nonché gli scribi che copiarono le Sacre Scritture, talvolta modificandole: non sembra una chiave di volta molto promettente per la propria autobiografia, ma così stanno le cose, né mi è possibile cambiarie.
Prima di spiegare come e perché, sotto il profilo emotivo e intellettuale, quei manoscritti siano stati così decisivi per me, per la comprensione di me stesso e del mondo in cui vivo e per la mia concezione di Dio e della Bibbia, è necessario che io spenda due parole sulla mia formazione.
Sono nato e cresciuto in un luogo e in un periodo conservatori e tradizionalisti, ossia nel Midwest verso la metà degli anni Cinquanta. La mia educazione non ebbe nulla di straordinario. Eravamo una famiglia abbastanza tipica, formata da cinque persone, osservante ma non particolarmente religiosa. All' epoca in cui frequentavo il quinto anno di scuola entrammo a far parte della Chiesa episcopale di Lawrence, nel Kansas, retta da un pastore saggio e gentile che, guarda caso, era anche un vicino di casa e il padre di uno dei miei amici (con il quale in seguito, alle medie, mi misi nei guai per una faccenda che riguardava dei sigari). Come molte Chiese episcopali, anche questa era impegnata nel sociale e godeva di una buona reputazione. La liturgia veniva presa sul serio e le Sacre Scritture ne erano parte. Tuttavia, la Bibbia non aveva un ruolo di eccessivo rilievo: era uno degli elementi di guida alla fede e alla prassi, insieme alla tradizione della Chiesa e al buonsenso. A dire il vero non se ne parlava spesso né la leggevamo assiduamente, neppure nelle lezioni della scuola domenicale, incentrate più che altro su questioni pratiche e sociali legate al vivere quotidiano.
In casa nostra, però, alla Bibbia era riservato un posto d'onore, soprattutto per opera di mia madre, che di tanto in tanto ne leggeva un passo e si assicurava che ne comprendessimo il senso e gli insegnamenti etici (più che la «dottrina»). Fino alle superiori suppongo di averla considerata un libro misterioso, di una certa importanza per la religione, ma sicuramente non qualcosa da studiare e conoscere a fondo. Aveva un che di antico ed era, in qualche modo, inestricabilmente legata a Dio, alla Chiesa e al culto. Malgrado ciò, non vedevo motivo di leggerla per conto mio o di studiarla.
Al secondo anno delle superiori la mia situazione subì un drastico cambiamento. Fu allora che ebbi un'esperienza di «rinascita» in un ambiente molto diverso da quello della mia Chiesa di appartenenza. Ero il tipico ragazzo «medio»: bravo studente, interessato e attivo negli sport dell'istituto senza eccellere, coinvolto nella vita sociale benché non appartenente alla cerchia più considerata della scuola. Ricordo che, dentro di me, sentivo una sorta di vuoto che nulla sembrava riempire, né gli amici (alle feste ci davamo già a grandi bevute in compagnia) né le ragazze (ero ai primi passi nel mysterium tremendum del mondo del sesso) né la scuola (lavoravo sodo e andavo bene, ma non ero eccezionale) o il lavoro (facevo il venditore porta a porta per una società che distribuiva prodotti per ciechi) e neanche la Chiesa (ero un chierichetto abbastanza devoto: bisognava esserlo la domenica mattina, considerato tutto ciò che capitava il sabato sera). Provavo una sorta di malinconia legata al fatto di essere un adolescente, ma non mi rendevo certo conto che era una componente naturale dell' età: pensavo che mi mancasse qualcosa.
Fu allora che cominciai a frequentare gli incontri di un'associazione chiamata Campus Life Youth for Christ; si svolgevano in casa di vari ragazzi e quando andai al primo scoprii che si trattava di una festa in cortile nell' abitazione di un tipo molto simpatico, il che mi persuase che l'ambiente non dovesse essere male.
Il capo del gruppo era un giovane sulla ventina di nome Bruce, che per vivere organizzava i club Youth for Christ a livello locale, tentava di convertire studenti delle superiori alla «rinascita» e poi di coinvolgerli in seri studi biblici, incontri di preghiera e cose simili. Bruce era una personalitàmolto accattivante (più giovane dei nostri genitori, ma piùvecchio e più esperto di noi), con un messaggio convincente: il vuoto che sentivamo dentro (eravamo adolescenti, sentivamo tutti un vuoto!) dipendeva dal fatto di non avere Cristo nei nostri cuori. Se solo lo avessimo invitato, Cristo vi sarebbe entrato e ci avrebbe colmati della gioia e della felicità che soltanto i «salvati» potevano conoscere.
Bruce sapeva citare le Scritture a suo piacimento e in modo straordinario. Considerato il mio profondo rispetto per la Bibbia (ma anche la mia ignoranza al riguardo), suonava tutto molto persuasivo. Ed era ben diverso da ciò che accadeva in chiesa, dove imperava un vecchio cerimoniale ufficiale, in apparenza più adatto a adulti tranquilli che non a ragazzi inquieti in cerca di divertimento e avventura, ma con il vuoto dentro.
Per farla breve, finì che conobbi Bruce, accettai il suo messaggio di salvezza, invitai Gesù a entrare nel mio cuore e vissi un' esperienza di autentica rinascita. La mia vera nascita risaliva a quindici anni prima, ma quella che sperimentai fu per me una sensazione nuova ed eccitante. Mi portò a imboccare un cammino di fede lungo una vita, segnato da grandi svolte e sviluppi imprevisti, terminato in un vicolo cieco, che in realtà si rivelò un nuovo sentiero su cui mi sono avviato da allora, più di trent'anni or sono.
Chi di noi visse quella rinascita si considerava un «vero» cristiano, al contrario di coloro che si limitavano ad andare in chiesa in modo automatico, ma non avevano davvero Cristo nel cuore e dunque finivano per ridurre tutto a pura esteriorità. Uno degli aspetti che ci distingueva da costoro era il nostro zelo nello studio della Bibbia e nella preghiera. Soprattutto nello studio della Bibbia, nel quale Bruce infondeva un impegno particolare: aveva frequentato il Moody Bible Institute di Chicago (Rinomato istituto cristiano di educazione superiore. (NdT)) e sapeva rispondere con una citazione biblica a qualunque domanda potessimo formulare (e a molte cui non avremmo mai pensato). Presto divenni invidioso di questa abilità e mi dedicai in prima persona a studiare le Scritture, imparando alcuni testi, comprendendone l'importanza e addirittura memorizzandone i versetti principali.
Bruce mi convinse che avrei dovuto prendere in considerazione l'idea di diventare un cristiano «serio» e dedicarmi senza riserve alla fede. Ciò significava studiare a tempo pieno le Sacre Scritture presso il Moody Bible Institute, il che avrebbe implicato, fra le altre cose, un drastico cambiamento del mio stile di vita. Al Moody esisteva un «codice» etico cui gli studenti si dovevano attenere: niente alcol, niente fumo, niente balli, niente carte, niente cinema. E tanta Bibbia. Come dicevamo sempre: «Moody Bible Institute, dove Bibbia è il tuo secondo nome». Credo di averlo considerato una sorta di spartano centro di addestramento cristiano. In ogni caso, decisi di non avere mezze misure nella fede: feci domanda al Moody, fui accettato e vi entrai nell'autunno del 1973.
L'esperienza al Moody fu intensa. Optai per specializzarmi in teologia biblica, che voleva dire frequentare molti corsi di studio sulle Sacre Scritture e di teologia generale. Le lezioni prevedevano un'unica prospettiva, cui aderivano tutti i professori (dovevano firmare una dichiarazione in tal senso) e tutti gli studenti (lo stesso valeva per noi): la Bibbia è la parola certa di Dio. Non contiene errori. È ispirata da cima a fondo, in ogni sua singola parola: «ispirazione verbale assoluta». Tutti i corsi che seguivo presupponevano e insegnavano questa prospettiva, qualunque altra veniva considerata inadeguata o perfino eretica. Alcuni, immagino, lo chiamerebbero lavaggio del cervello. Per me era un enorme «progresso» rispetto alla concezione incerta del testo sacro che avevo ricevuto nella prima giovinezza nell'ambito della Chiesa episcopale. Era cristianesimo intransigente, per persone disposte a un impegno assoluto.


fine prima parte
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Vecchio 04-05-2007, 13.13.59   #2
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PARTE 2/4

Sostenere che la Bibbia fosse un testo ispirato in ogni sua singola parola comportava, tuttavia, un ovvio problema. Come apprendevamo al Moody in uno dei primi corsi del programma, gli scritti originali del Nuovo Testamento non sono in nostro possesso. Ciò che abbiamo sono delle copie di queste opere eseguite anni dopo; nella maggior parte dei casi, molti anni dopo. Per giunta, nessuna di esse è del tutto precisa, perché in alcuni punti gli scribi che le avevano prodotte le avevano modificate, per caso e/o di proposito. L'avevano fatto tutti ~ copisti. Così, invece di disporre delle parole ispirate dei manoscritti autografi (cioè degli originali), quello che abbiamo sono le copie piene di errori di quei manoscritti. Uno dei compiti più urgenti, pertanto, era accertare quello che dicevano gli originali della Bibbia, considerando che: 1) erano ispirati e 2) non sono in nostro possesso.

Devo dire che molti dei miei amici al Moody non ritenevano il compito così importante o interessante. Si accontentavano dell'affermazione che i manoscritti autografi erano stati ispirati e prendevano più o meno alla leggera il problema che non si fossero conservati. Per me, invece, si trattava di una questione avvincente. Dio ha ispirato le parole stesse delle Sacre Scritture. Dobbiamo conoscere queste parole se vogliamo sapere che cosa ci ha comunicato: le parole testuali sono le Sue e averne altre (quelle trasmesseci per caso o di proposito dai copisti) non ci è di grande aiuto.
Ecco ciò che, a partire dai diciotto anni, suscitò il mio interesse per i manoscritti del Nuovo Testamento. Al Mood y appresi i fondamenti della «critica testuale», un
termine tecnico per indicare la scienza che cerca di recuperare le parole «originali» di un testo, partendo da manoscritti in cui esse sono modificate. Ma non ero ancora pronto ad affrontare un simile studio: prima dovevo imparare il greco, la lingua originale del Nuovo Testamento, e anche lingue antiche come l'ebraico (la lingua dell' Antico Testamento cristiano) e il latino, oltre a lingue europee moderne come il tedesco e il francese, per conoscere ciò che altri studiosi avevano detto sull'argomento. Avevo davanti un lungo cammino.
Completai i miei tre anni al Moody (si trattava di un diploma triennale) con un buon profitto e più che mai deciso a diventare uno studioso del cristianesimo. All' epoca ero del parere che gli studiosi di livello universitario abbondassero fra i cristiani evangelici, ma che non vi fossero molti evangelici negli ambienti universitari (laici), dunque desideravo diventare una «voce» evangelica in ambito laico laureandomi in materie che mi consentissero di in segnarvi, mantenendo al contempo i miei impegni religiosi. Per prima cosa, tuttavia, dovevo diplomarmi e così decisi di frequentare un college evangelico di alto livello. Scelsi il Wheaton College, situato in un sobborgo di Chicago.
Al Moody mi avvisarono che a Wheaton avrei avuto difficoltà a trovare dei veri cristiani, il che dimostra quanto il Moody fosse fondamentalista: Wheaton è solo per cristiani evangelici e, tanto per fare un esempio, è l'alma mater di Billy Graham. (• Noto predicatore protestante statunitense, è stato una sorta di guida spirituale per i presidenti Eisenhower, Nixon, Fard, Reagan, Bush sr e jr, quest'ultimo affiancato ora dal figlio di BilJy, Franklin Graham. (Nd1))
Da principio, in effetti, trovai l'ambiente un po' troppo liberale per i miei gusti. Gli studenti parlavano di letteratura, storia e filosofia più che dell'ispirazione letterale delle Sacre Scritture. Lo facevano partendo da un' ottica cristiana, è vero, ma non si rendevano conto di che cosa fosse davvero importante?
A Wheaton decisi di specializzarmi in letteratura inglese, perché la lettura era da tempo una delle mie passioni e sapevo che per entrare nei circoli culturali sarei dovuto diventare esperto in un settore di studi che non fosse la Bibbia. Inoltre, decisi di impegnarmi nell'apprendimento del greco. Fu così che, durante il mio primo semestre a Wheaton, incontrai il professor Gerald Hawthorne, mio insegnante in quel corso, una persona che avrebbe influito molto sulla mia vita come studioso, come insegnante e, infine, come amico. Hawthorne era un devoto cristiano evangelico, come la maggioranza dei miei professori a Wheaton. Tuttavia non esitava a interrogarsi sulla sua fede. All' epoca, considerai il suo atteggiamento un segno di debolezza (a dire il vero pensavo di avere quasi tutte le risposte alle sue domande); in seguito, però, mi resi conto che si trattava di un autentico impegno a favore della verità, e della volontà di aprire se stessi alla possibilità di rivedere le proprie opinioni alla luce di nuove conoscenze ed esperienze di vita.
Imparare il greco fu entusiasmante. Nel complesso, me la cavavo bene con le conoscenze di base ed ero ansioso di saperne di più. A un livello più profondo, però, quell'apprendimento creò delle difficoltà a me e alla mia concezione delle Sacre Scritture. Ben presto mi accorsi che il pieno significato e la sottigliezza del testo greco del Nuovo Testamento potevano essere compresi solo leggendolo e studiandolo nella versione originale (lo stesso vale per l'Antico Testamento, come imparai poi studiando l'ebraico). Ragione di più, pensavo, per imparare la lingua alla perfezione. Tuttavia, ciò mi indusse a cominciare a mettere in dubbio il mio modo di intendere le Sacre Scritture come letteralmente ispirate da Dio. Se il pieno significato delle loro parole può essere compreso solo studiandole in greco (e in ebraico), questo non significa forse che la maggioranza dei cristiani, che non legge le lingue antiche, non avràmai completo accesso a ciò che Dio vuole che sappiamo? E ciò non rende forse la dottrina dell'ispirazione una dottrina elitaria, riservata agli studiosi che dispongono delle capacità intellettuali e del tempo per imparare le lingue e studiare i testi leggendo li nella versione originale? Cosa significa affermare che le parole sono ispirate da Dio se la maggior parte delle persone non ha alcun accesso a tali parole, ma solo a interpretazioni più o meno goffe in una lingua, come per esempio l'inglese, che non ha nulla a che spartire con il testo originale?l
A mano a mano che approfondivo la riflessione sui manoscritti che tramandavano quelle parole, le mie domande diventavano sempre più complicate. Più studiavo il greco, più mi interessavano i manoscritti che conservavano il Nuovo Testamento, e la critica testuale che, si presume, possa aiutare a ricostruire quali fossero le parole originali. Continuavo a tornare al mio interrogativo di fondo: come può essere di aiuto affermare che la Bibbia è la parola infallibile di Dio quando in realtà non abbiamo le parole che Dio ispirò in modo infallibile, bensì solo quelle copiate dagli scribi, talvolta in modo corretto, talaltra (spesso!) in modo errato? A che serve dire che i manoscritti autografi (cioè gli originali) furono ispirati? Noi non abbiamo gli originali! Abbiamo solo delle copie piene di errori, in grande maggioranza distanti secoli dai primi scritti, da cui si discostano in maniera evidente in migliaia di modi.
Questi dubbi mi tormentavano e al tempo stesso mi spingevano a scavare sempre più a fondo per comprendere che cosa fosse veramente la Bibbia. Mi diplomai a Wheaton in due anni e decisi, sotto la guida del professor Hawthorne, di dedicarmi alla critica testuale del Nuovo Testamento andando a studiare con il principale esperto mondiale del settore, Bruce M. Metzger, che insegnava al seminario di teologia di Princeton.
Di nuovo i miei amici evangelici mi consigliarono di non andare al seminario di Princeton, perché, mi dissero, laggiù avrei avuto difficoltà a trovare anche un solo «autentico» cristiano. Dopo tutto, era un seminario presbiteriano, non esattamente un terreno di coltura per cristiani rinati. Tuttavia, gli studi di letteratura inglese, filosofia e storia (per non parlare del greco) avevano molto ampliato i miei orizzonti e la mia era ora una passione per la conoscenza in genere, sacra e profana. Se apprendere la «verità» significava non essere più in grado di identificarsi con i cristiani rinati che conoscevo ai tempi delle superiori, che così fosse. Ero risoluto a perseguire la mia ricerca ovunque potesse condurmi, confidando che qualsiasi verità avessi appreso non sarebbe stata meno vera per il fatto di essere inattesa o difficile da inserire nelle categorie offerte dal mio bagaglio culturale evangelico.

fine parte seconda
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Vecchio 04-05-2007, 13.15.24   #3
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PERT 3/4

Appena giunto al seminario di teologia di Princeton, mi iscrissi subito alle lezioni del primo anno di esegesi ebraica e greca e infarcii quanto più potei il mio programma con corsi di questo tipo. Scoprii che le lezioni erano una sfida, sia dal punto di vista accademico sia da quello personale.
La sfida accademica era assolutamente bene accetta, ma sotto il profilo emotivo le difficoltà personali che mi trovavo ad affrontare erano una dura prova. Come ho accennato, già a Wheaton avevo cominciato a mettere in dubbio alcuni degli aspetti fondanti della mia dedizione alla Bibbia in quanto parola certa di Dio. Durante i miei studi approfonditi a Princeton tale dedizione subì un aspro attacco. Resistetti a qualsiasi tentazione di modificare le mie opinioni e trovai alcuni amici che, come me, provenivano da scuole evangeliche conservatrici e stavano tentando di «conservare la fede» (un buffo modo di esprimersi, a ripensarci, se si considera che, dopo tutto, seguivamo un programma di teologia cristiana). Ma i miei studi cominciarono a crearmi dei seri problemi.
Nel secondo semestre, mentre frequentavo un corso con un professore molto riverito e pio di nome Cullen Story, giunsi a una svolta. Il corso riguardava l'esegesi del Vangelo di Marco, all'epoca (e tuttora) il mio vangelo preferito. Per il corso dovevamo essere in grado di leggere in greco quel vangelo da cima a fondo (ne memorizzai l'intero lessico greco la settimana prima dell'inizio del semestre) e tenere un taccuino di appunti sulle nostre riflessioni riguardo all'interpretazione di brani importanti. Discutevamo i problemi relativi e dovevamo scrivere un saggio finale su una difficoltà esegetica di nostra scelta.
Optai per un passo in Marco 2, dove Gesù viene apostrofato dai farisei perché i suoi discepoli, affamati, di sabato avevano attraversato un campo di grano, raccogliendone le spighe. Gesù vuole mostrare agli interlocutori che «il sabato è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato» e così ricorda loro come si era comportato il grande re Davide quando lui e i suoi uomini avevano avuto fame: come fossero cioè entrati nel tempio «al tempo del sommo sacerdote Abiatar» e avessero consumato i pani sacri, che solo ai sacerdoti era lecito mangiare. Uno dei ben noti problemi di questo brano è che, se si consulta il passo dell' Antico Testamento citato da Gesù (1 Sam 21,1-6), si scopre che l'episodio di Davide era avvenuto non quando era sommo sacerdote Abiatar, ma quando lo era Achimelec, suo padre. In altre parole, quello in questione è uno dei passi che sono stati segnalati per dimostrare che la Bibbia non è affatto infallibile, anzi, contiene degli errori.
Nel mio saggio per il professor Story sviluppai un lungo e complicato ragionamento per dimostrare che, sebbene Marco collochi il fatto «al tempo del sommo sacerdote Abiatar», ciò non significa in realtà che Abiatar fosse il sommo sacerdote, ma che l'evento aveva avuto luogo nella parte del testo delle Sacre Scritture che annovera Abiatar fra i suoi personaggi principali. Il mio ragionamento era basato sul significato delle rispettive parole greche ed era piuttosto contorto. Ero però convinto che il professor Story l'avrebbe apprezzato, poiché lo sapevo buon studioso cristiano: come me, non avrebbe certo mai pensato che nella Bibbia potesse esistere nulla di simile a un autentico errore. In fondo al mio saggio, tuttavia, il professore annotò un semplice commento di una riga, che mi colpì nel profondo. Scrisse: «Forse Marco ha soltanto commesso un errore». Cominciai a riflettere sulla cosa, considerando tutto il lavoro che avevo profuso nel saggio, rendendomi conto che ero stato costretto a compiere delle bizzarre acrobazie esegetiche per aggirare il problema e che la mia soluzione era di fatto un po' forzata. E alla fine conclusi: «Be'... forse Marco ha commesso un errore».
Ammetterlo fu come aprire una diga. Infatti, se poteva esistere un piccolo, insignificante errore in Marco 2, forse potevano esistere errori anche altrove. Forse, quando più avanti, in Marco 4, Gesù dice che il granello di senapa è «il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra», non era necessario che io trovassi una spiegazione fantasiosa per tale affermazione, che sapevo benissimo non corrispondere alla realtà.
E forse gli «errori» riguardavano anche questioni più importanti. Quando Marco dice che Gesù fu crocifisso il giorno dopo il pranzo della Pasqua ebraica (Me 14,12; 15,25) e Giovanni dice che morì il giorno prima che esso fosse consumato (Gv 19,14), forse si tratta di un'autentica discrepanza. Oppure quando nel suo resoconto della nascita di GesùLuca rivela che Giuseppe e Maria tornarono a Nazareth poco più di un mese dopo che erano venuti a Betlemme (e avevano eseguito i riti di purificazione, Le 2,39), mentre Matteo afferma invece che fuggirono in Egitto (Mt 2,14-22), forse questa è una differenza. O quando Paolo dice che dopo la propria conversione sulla via di Damasco non andò a Gerusalemme per vedere coloro che erano stati apostoli prima di lui (GaI 1,16-17), mentre gli Atti dicono che fu la prima cosa che fece dopo avere lasciato Damasco (At 9,26), anche questa forse è una differenza.
A tale consapevolezza si aggiunsero i problemi che incontravo a mano a mano che studiavo più da vicino i manoscritti greci superstiti del Nuovo Testamento. Dire che gli originali furono ispirati va bene, ma la realtà è che noi non ne siamo in possesso, e dunque quell'affermazione non è di grande aiuto, a meno che non si sia in grado di ricostruirli. Inoltre, in tutta la storia della Chiesa la maggioranza dei cristiani non ha avuto accesso agli originali, fatto che ne rende l'ispirazione una questione un po' controversa. Non soltanto non abbiamo gli originali, ma non siamo neppure in possesso delle loro prime copie. Anzi, non abbiamo nemmeno le copie delle copie, e neppure le copie delle copie delle copie. Quello che possediamo sono copie eseguite più tardi, molto più tardi. Nella maggior parte dei casi, diversi secoli dopo. E le copie sono tutte differenti una dall' altra, in migliaia di punti.
Come vedremo più avanti, i passi divergenti sono così tanti che non sappiamo neppure quante siano le differenze. La cosa più semplice è forse esprimersi in termini comparativi: fra i tanti manoscritti in nostro possesso esiste un numero di differenze superiore a quello delle parole del Nuovo Testamento.
La gran parte di esse è, però, del tutto irrilevante. In genere dimostra solo che gli antichi scribi non conoscevano l'ortografia meglio della maggioranza di noi (oltre a non disporre di dizionari né, tantomeno, del controllo ortografico automatico). In ogni caso, che cosa bisogna dedurre da tutte queste differenze? Che senso ha sostenere che Dio ha ispirato ogni singola parola delle Sacre Scritture dal momento che noi non le abbiamo? In alcuni punti, come vedremo, non possiamo affatto essere sicuri di avere ricostruito il testo originale con precisione. È un po' difficile conoscere il significato delle parole della Bibbia se non sappiamo neppure quali esse siano!
Questo, per la mia concezione dell'ispirazione, diventò un problema; infatti, mi rendevo conto che, per Dio, salvaguardare le parole delle Sacre Scritture non sarebbe stato più difficile che averle ispirate. Se avesse voluto che il popolo avesse le sue parole, senza dubbio gliele avrebbe date (e magari anche in una lingua che tutti potessero comprendere, invece che in greco o in ebraico). Il fatto che non ne siamo in possesso doveva senz'altro significare,
pensavo, che non le aveva conservate per noi. E se non aveva compiuto tale miracolo, sembrava non esservi motivo di pensare che prima avesse compiuto il miracolo di ispirarle.
In breve, lo studio del Nuovo Testamento in greco e le mie ricerche sui manoscritti che lo contengono mi condussero a un ripensa mento radicale della mia interpretazione di che cosa sia la Bibbia. Fu un cambiamento rivoluzionario per me. Prima di allora, a partire dall' esperienza di rinascita alle superiori, fino ai giorni del fondamentalismo al Moody e al periodo evangelico a Wheaton, la mia fede si era basata su una certa visione della Bibbia in quanto parola infallibile e pienamente ispirata di Dio.
Ora non la vedevo più in questo modo; essa cominciava ad apparirmi come un libro molto umano. Proprio come degli scribi umani avevano copiato e modificato i testi delle Sacre Scritture, così, in origine, autori umani li avevano scritti. Si trattava di un libro umano dall'inizio alla fine. Era stato scritto da diversi autori in diverse epoche e in diversi luoghi per rispondere a esigenze diverse.
Molti di tali autori sentivano senza dubbio di essere ispirati da Dio a dire ciò che dicevano, ma avevano le proprie prospettive, le proprie convinzioni e opinioni, le proprie esigenze, i propri desideri, le proprie interpretazioni e le proprie teologie. E tali prospettive, convinzioni, opinioni, esigenze, desideri, interpretazioni e teologie permeavano tutto ciò che essi dicevano. Ecco perché erano uno diverso dall' altro. E ciò significava anche che Marco non diceva la stessa cosa che diceva Luca perché non intendeva la stessa cosa di Luca. Giovanni è diverso da Matteo, non è la stessa cosa. Paolo si differenzia dal Luca degli Atti degli apostoli. E Giacomo è diverso da Paolo. Ciascun autore è un autore umano e deve essere letto per ciò che egli (supponendo che fossero tutti uomini) ha da dire, e non partendo dal presupposto che quello che dice sia la stessa cosa o qualcosa di simile o di coerente con ciò che qualunque altro autore ha da dire. La Bibbia, in definitiva, è un libro molto umano.
Questa era per me una prospettiva nuova, diversa da quella che avevo quando ero un cristiano evangelico e da quella della maggioranza degli evangelici di oggi.

fine parte terza
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PARTE 4/4

Faccio un esempio della differenza che la mia mutata prospettiva poteva comportare nell'interpretazione della Bibbia. Quando ero al Moody Bible Institute, uno dei testi più popolari al campus era l'apocalittico programma di HaI Lindsey, Addio Terra, ultimo pianeta. L'opera di Lindsey non era popolare solo al Moody: di fatto, è stato il libro di saggistica in lingua inglese più venduto degli anni Settanta (a eccezione della Bibbia e usando il termine saggistica con un ,certo grado di approssimazione). Lindsey, come noi al Moody, era convinto che la Bibbia fosse assolutamente infallibile in ogni sua singola parola, tanto che era possibile leggere il Nuovo Testamento e sapere non solo come Dio voleva che si vivesse e cosa voleva che si credesse, ma anche ciò che Dio stesso programmava di fare nel futuro e come l'avrebbe fatto. Il mondo stava procedendo verso una crisi apocalittica di proporzioni catastrofiche e si potevano leggere le parole delle Sacre Scritture per mostrare che cosa sarebbe accaduto, come e quando.
Ero colpito soprattutto dal «quando». Lindsey faceva riferimento alla parabola di Gesù sull'albero di fico per trarre indicazioni su quando c'era da aspettarsi la futura battaglia finale tra il bene e il male. I discepoli di Gesù vogliono sapere quando arriverà la «fine» e Gesù risponde:
Dal fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. Così anche voi, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che il Figlio dell'uomo è proprio alle porte. In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo accada.
Cosa significa la parabola? Lindsey, ritenendo che si tratti della parola certa di Dio, decifra il messaggio osservando che nella Bibbia l' «albero di fico» è spesso usato come immagine della nazione d'Israele. Che cosa vorrebbe dire per Israele mettere le foglie? Significherebbe che la
nazione, dopo essere rimasta in letargo per una stagione
(l'inverno), sarebbe tornata a vivere. E quando tornò alla vita Israele? Nel 1948, quando ridivenne una nazione sovrana. Gesù dichiara che la fine sarebbe giunta entro la stessa generazione in cui ciò fosse accaduto. E quanto tempo dura una generazione della Bibbia? Quarant'anni. Ecco dunque l'insegnamento di ispirazione divina, direttamente dalle labbra di Gesù: la fine del mondo arriverà in un momento che precede il 1988, quarant'anni dopo la ricomparsa di Israele.
Tale messaggio era per noi assolutamente irrefutabile. Adesso può sembrare strano (considerato che il 1988 è venuto e se n'è andato senza che il mondo finisse); d'altra parte, però, esistono milioni di cristiani che ancora credono che la Bibbia possa essere consultata letteralmente, come profezia ispirata di ciò che presto dovrà verificarsi per porre termine alla storia così come la conosciamo. Testimonianza ne sia l'attuale mania per la serie romanzesca di Tim LaHaye e Jerry B. Jenkins Gli esclusi, un'altra visione apocalittica del nostro futuro basata su un'interpretazione
letterale della Bibbia, serie che ha venduto più di sessanta milioni di copie. Dal leggere la Bibbia come un programma infallibile per la nostra fede, la nostra vita e jJ nostro futuro al considerarla un libro umanissimo, con punti di vista molto personali, assai diversi uno dall' altro e nessuno in grado di fornire la guida sicura di come dovremmo vivere, il cambiamento è radicale. Questa è la svolta subita dalle mie convinzioni e nella quale sono ormai impegnato anima e corpo. Naturalmente, molti cristiani non hanno mai creduto in una tale concezione letterale della Bibbia e ai loro occhi essa potrebbe apparire parziale e priva di sfumature (per non dire bizzarra e senza alcun rapporto con le questioni di fede). Eppure esistono molte persone che vedono ancora la Bibbia in questo modo. Ogni tanto noto sui paraurti dei veicoli un adesivo che recita: «L'ha detto Dio, io ci credo e questo è quanto». La mia reazione è sempre: e se Dio non l'avesse detto? E se il libro che si ritiene riveli le parole di Dio contenesse invece le parole di altri esseri umani? E se la Bibbia non desse una risposta sicura agli interrogativi dell'era moderna come aborto, diritti delle donne, diritti degli omosessuali, supremazia religiosa, democrazia all'occidentale e affini? E se dovessimo riuscire a capire come vivere e cosa credere per conto nostro, senza erigere le Sacre Scritture a falso idolo o a oracolo che offre una linea diretta di comunicazione con l'Onnipotente? Esistono fondati motivi per pensare che essa non sia questa sorta di guida infallibile per le nostre vite: fra l'altro, come ho già accennato, in molti punti noi (in qualità di studiosi o solo di normali lettori) non sappiamo neppure quali fossero le parole della versione originale.
La mia teologia personale mutò in maniera radicale a seguito di questa consapevolezza, che mi condusse su strade
molto diverse da quelle che avevo percorso alla fine della mia adolescenza e intorno ai vent'anni. Continuo a riconoscere il valore della Bibbia e i molti e diversi messaggi che essa contiene, così come sono giunto ad apprezzare gli altri scritti dei primi cristiani risalenti pressappoco alla stessa epoca o di poco posteriori, le opere di personaggi meno noti come Ignazio di Antiochia, Clemente di Roma e Barnaba di Alessandria, gli scritti di persone di altre fedi più o meno di quell'epoca, le opere di Flavio Giuseppe, Luciano di Samosata e Plutarco. Tutti questi autori tentano di comprendere il mondo e quale sia il loro posto in esso. Tutti hanno preziosi insegnamenti da offrirci. È importante sapere quali furono le loro parole per capire che cosa avevano da dirci e poi giudicare da soli che cosa pensare e come vivere alla luce di tali insegnamenti.
Questo mi riporta al mio interesse per i manoscritti del Nuovo Testamento e allo studio di quei manoscritti nell'ambito della critica testuale. Sono convinto che si tratti di un lavoro avvincente e affascinante, importante non solo per gli studiosi, ma per chiunque nutra interesse per la Bibbia (sia che si attenga a un'interpretazione letterale, sia che se ne stia allontanando o che la rifiuti decisamente, o anche solo per chiunque nutra un remoto interesse per quel testo come fenomeno storico e culturale).
Ciò che colpisce, tuttavia, è che la maggioranza dei lettori (anche quelli interessati al cristianesimo, alle Scritture, agli studi biblici, convinti o no che la Bibbia sia infallibile) non sappia quasi nulla di critica testuale. E non è difficile capire perché. Infatti, sebbene il tema sia stato materia per
eruditi da più di tre secoli ormai, non esiste in pratica un libro che ne tratti e sia rivolto a un pubblico di profani, vale a dire a coloro che non sanno nulla sull' argomento, non
conoscono il greco né le altre lingue necessarie a un tale studio approfondito e non sono neppure consapevoli che esista una «questione» in relazione al testo, ma che, tuttavia, sarebbero interessati ad apprendere quali sono i problemi e come gli studiosi abbiano tentato di risolverli.
Questo è proprio quel tipo di libro: per quanto ne so, esso è il primo nel suo genere. È scritto per coloro che sono digiuni di critica testuale, ma che potrebbero essere interessati a sapere come gli scribi modificarono le Sacre Scritture e come ora sia possibile capire dove lo hanno fatto. È scritto sulla base dei miei trent'anni di riflessioni sull'argomento e dalla mia prospettiva attuale, successiva ai radicali mutamenti verificatisi nel mio modo di intendere la Bibbia. È scritto per chiunque sia interessato a conoscere come il Nuovo Testamento sia giunto fino a noi; ad apprendere come, in alcuni casi, non sappiamo neppure quali fossero le parole autentiche; a scoprire in quali modi interessanti tali parole furono di quando in quando modificate e come potremmo, applicando alcuni rigorosi metodi di analisi, ricostruire il testo originale.
Per diversi aspetti, dunque, è un libro molto personale, il risultato finale di un lungo cammino. Anche per i lettori, forse, potrà essere parte di un cammino personale."

(Mondadori - "Gesù non l’ha mai detto" – Introduzione)

FINE.

Gesù non l'ha mai detto. Millecinquecento anni di errori e manipolazioni nella traduzione dei Vangeli di Bart D. Ehrman
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Vecchio 04-05-2007, 16.18.26   #5
hetman
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Ciao Spirito

Mi sembra che avevamo gia trattato l'argomento nel 3d "La Bibbia è attendibile?".

Mi sembra che alla fin fine il discorso sulle diversità, difformità, incongruenze e quantaltro fossero chiare.

Capisco pure che Tu intenda contestare la tendenza di alcuni credenti nel cadere nel fondamentalismo, aggiungerei fanatismo, ma ciò è dificile da cancellare Ti troveresti in ogni caso contro un muro non demolibile.
Citazione:
Ora non la vedevo più in questo modo; essa cominciava ad apparirmi come un libro molto umano. Proprio come degli scribi umani avevano copiato e modificato i testi delle Sacre Scritture, così, in origine, autori umani li avevano scritti. Si trattava di un libro umano dall'inizio alla fine. Era stato scritto da diversi autori in diverse epoche e in diversi luoghi per rispondere a esigenze diverse.
Molti di tali autori sentivano senza dubbio di essere ispirati da Dio a dire ciò che dicevano, ma avevano le proprie prospettive, le proprie convinzioni e opinioni, le proprie esigenze, i propri desideri, le proprie interpretazioni e le proprie teologie. E tali prospettive, convinzioni, opinioni, esigenze, desideri, interpretazioni e teologie permeavano tutto ciò che essi dicevano. Ecco perché erano uno diverso dall' altro. E ciò significava anche che Marco non diceva la stessa cosa che diceva Luca perché non intendeva la stessa cosa di Luca. Giovanni è diverso da Matteo, non è la stessa cosa. Paolo si differenzia dal Luca degli Atti degli apostoli. E Giacomo è diverso da Paolo. Ciascun autore è un autore umano e deve essere letto per ciò che egli (supponendo che fossero tutti uomini) ha da dire, e non partendo dal presupposto che quello che dice sia la stessa cosa o qualcosa di simile o di coerente con ciò che qualunque altro autore ha da dire. La Bibbia, in definitiva, è un libro molto umano.

Ho riproposto un passo che poi è la fotocopia di quanto postai in merito:
Per ogni alunno il professore è diverso, lo vedono e lo ascoltano in modo diverso e lo descrivono in modo diverso ma il professore è uno solo.

La base di lettura della Bibbia è l'apertura mentale e spirituale, se Ti fa piacere potremmo verificare passi e versetti specifici, io non sono fondamentalista.

Una domanda iniziale però e di doverte: Dio esiste o no?
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Vecchio 04-05-2007, 18.47.05   #6
Strega
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Mi servo del mondo greco per rispondere al quesito circa l'infallibilità della Bibbia, perchè analogamente nelle opere Omeriche (dapprima liquidate come fantasie) si è cercato e trovato anche un riscontro storico.
Sono detti Testi Sacri i libri ispirati da Dio.
Ma cos'è l'ispirazione?
Nel sapere greco i poeti sono esseri sacri in quanto ispirati da un dio.
Non si creda che il paragone tra profeti e poeti sia frivolo in quanto il poeta era inteso come il sapiente e la sapienza come la capacità di ricevere la verità.
Democrito afferma infatti che le poesie migliori sono quelle composte "grazie all'ispirazione e all'afflatto sacro", e che il vero poeta è quello in delirio. Nello Ione Platone afferma anche che il dio priva i poeti, i vati, i divinatori, dell'intelletto e li usa come suoi tramiti, e che non sono essi a parlare ma è un dio che parla attraverso loro.
Eppure questa "intromissione" divina non è una perdita di sè totale del poeta, in quanto esso conserva la propria personalità e la propria abilità.
Infatti è giusto dire che gli uomini non sono infallibili e che la Bibbia è stata scritta tramite degli uomini, e dunque sono possibili errori ad esempio di collocazione storica, cosa alquanto probabile del resto quando si tratta di fatti per lo più trasmessi oralmente.
Interrogarsi sul perchè Dio non abbia ispirato i profeti in una lingua comprensibile all'intero genere umano, è utile quanto il domandarsi il perchè non abbia reso loquaci anche i sassi!
Ogni profeta infatti ha una propria indole e vi sono differenze di intendimento ed esplicazione del Messaggio.
Mosè vede e ascolta Dio attarverso i suoi limiti e le sue virtù, Giovanni intende il messaggio cristiano attraverso la sua indole ironica e metafisica, gli altri evangelisti ce lo rivelano attraverso metafore semplici e terrene.
Il rapporto tra Dio ed il suo servo non può essere totale, inquanto la perfezione è solo in Esso.
Sindacare sui miracoli offrendosi come migliori artefici rispetto a Dio è alquanto ridicolo....
Ciò che rende intoccabile la Bibbia è l'essenza di questo testo, che va al di là della nascita di Gesù in una stalla o in una casa e altre simili discordanze.
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Vecchio 04-05-2007, 21.48.10   #7
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Cara Strega,

l'ispirazione divina del testo biblico, intesa come la intendi tu, che è la tesi cattolica odierna, ovvero la Bibbia sarebbe parola d'uomo al 100% e parola di Dio al 100%, è una tesi infalsificabile e come tale puro soggettivismo.

Io posso dire che A = non-A (che è l'espressione simbolica del 100% uomo e 100% Dio) è contraddittorio in logica, tuttavia ognuno poi può credere irrazionalmente a ciò che gli pare.

Ho postato questa introduzione non per contestare l'ispirazione intesa come l'hai descritta tu, anche perchè, come ho detto, è confutata in partenza ma per falsificare l'inerranza così come la intendono i fondamentalisti del libro, come i tdg e molte falangi protestanti che leggono letteralmente ogni passaggio anche il più assurdo.

Saluti
Andrea
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Vecchio 04-05-2007, 21.50.47   #8
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Citazione:
Originalmente inviato da hetman
Una domanda iniziale però e di doverte: Dio esiste o no?

Se vuoi una risposta razionale mi devo astenere dal prendere posizione, perchè razionalmente è impossibile dimostrarne l'esistenza tanto quanto dimostrarne l'inesistenza.

Dal punto di vista "viscerale" o chiamalo spirituale, sono alquanto combattuto, tuttavia "sento" che qualcosa che va oltre la materialità possa esistere, ma di certo non sono un cultore di un Dio antropomorfo e interventista alla maniera delle religioni monoteistiche.

Saluti
Andrea
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Vecchio 04-05-2007, 22.42.14   #9
Elijah
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Hola...

Che esistano fedeli cristiani che sono passati dal fondamentalismo ad una "fede scettica" non mi pare un mistero, o dire qualcosa di nuovo, o non risaputo. (Certo, non si sa mai nella vita, su cosa il prossimo sa e cosa non sa).

Per chi fosse interessato a riguardo, qua c'è un'altra testimonianza che potrebbe interessare (in inglese), di un cristiano che dal fondamentalismo è passato allo scetticismo, ma pur sempre restando un credente cristiano.

From Fundamentalism to Skeptical Faith

E si potrebbero fare altri esempi di questo tipo. Come è anche vero però che diverse persone atee, che hanno iniziato lo studio del Cristianesimo, da uno scetticismo iniziale persino sull'esistenza di Dio, sono passate e sono diventate alla fine dei fondamentalisti cristiani. Il perché non è a volte chiaro nemmeno a me.

Ma il mondo è bello perché è vario, e misteriosi sono i motivi per cui una persona passa da una sponda all'altra.
E cercare di spingere a tutti i costi qualcuno dalla propria parte del fiume - o volere che tutti stiano dalla stessa parte - mi pare quasi una gioco infantile, alla fin dei conti.
Come Ehrman si crede in un certo senso superiore ai fondamentalisti, in quanto magari lui conosce il greco, l'ebraico (cosa essenziale per capire la Bibbia - dice), conosce poi anche tutti i problemi legati alla trasmissione del testo Sacro, e alle eventuali modifiche che ha subìto, mentre i fondamentalisti forse no, perché conoscono la Bibbia solo in inglese, o tedesco, italiano, spagnolo, cinese, et cetera; ecco che anche i fondamentalisti si credono superiori, perché non si sono fatti incantare da certi teologi cristiani liberali che sostengono che la Bibbia non sia ispirata da Dio, usw.

È da sempre che esistono divergenze... e onestamente credo che per sempre resteranno. Volerle eliminare mi pare un'utopia.

Ma a parte quanto detto fin qui, volevo fare ancora le seguenti osservazioni:

Una cosa bisogna capire: È palese come il fondamentalismo venga avvantaggiato al giorno d'oggi dal fatto che le lingue antiche stiano perdendo a scuola sempre più colpi, e sono destinate a scomparire (o se va bene diventare materie facoltative). Perché? Perché le si considera dalla società inutili e vecchie, superate...
Eppure così sono molte le cose che vanno perse, una di queste è una sensata e sana critica al testo biblico, al testo Sacro in sé.

E gli americani da questo punto di vista sono maestri. Perché dico così? Perché nelle loro scuole UNA è la lingua obbligatoria che bisogna imparare - cioè l'inglese - mentre tutte le altre sono facoltative e si possono lasciar via. (Vabbè che voi italiani non siete tanto meglio... ). Il che è a dir poco scandaloso, in quanto si pretende che siano sempre gli altri ad adattarsi e ad iniziare a parlare in inglese.

E la stessa cosa vale per gli studi universitari... Martin Luther King ad esempio studiò teologia, ma non le lingue antiche, perché non obbligatorie e non incluse nello studio base. E cosa assai triste in molte università dove si insegna teologia al giorno d'oggi non vengono più richieste delle conoscenze base sulle lingue antiche come latino, greco ed ebraico (più eventualmente aramaico, ecc.). Perché questo? Perché considerate dall'uomo medio della società capitalistica moderna un'inutile spreco di tempo (l'impararsi codeste lingue morte), e quindi vengono tagliate, e messe là come facoltative, se non eliminate del tutto...

Per non dire poi, che essendoci un chiaro calo sul numero di iscritti nelle facoltà di teologia, ecco che si cerca di attirare la gente, i giovani, eliminando quanto c'è di noioso e pesante... cioè le lingue antiche, o no?

Risultato: Abbiamo alla fin fine teologi che conoscono magari assai bene la Bibbia, il contenuto di essa, ma non le lingue antiche, e tutte le questioni/i problemi che si devono affrontare studiandosi la Bibbia in ebraico/aramaico/greco...

E questo chiaramente aiuta al fondamentalismo...

Non è infatti un caso se nelle facoltà universitarie di teologia protestante liberale la prima cosa che viene richiesta è la conoscenza delle lingue antiche e quindi la capacità di leggersi il Sacro Testo nella sua forma "originale", e non una qualche traduzione "fuorviante" o già interpretata, e conoscere anche tutte le questioni sulla trasmissione della Sacra Bibbia, come si è creato il canone, sapere utilizzare l'apparato critico del testo in greco/ebraico della Bibbia, ecc.

Ma vabbè...

Altra questione è poi capire se - d'altra parte - non siano anche i teologi liberali ad esagerare un pochino con questo loro modo di fare e questo loro attaccamento al metodo critico-storico lasciando da parte alla fine persino la fede, per abbracciare gli studi e la amata scienza... e dedicare magari persino una intera vita solo ed esclusivamente ad essa - alla scienza.

Restare soli a tu per tu con il Nuovo Testamento

Quante discussioni inutili... questa compresa... quando l'essenziale spesso ci sta sotto gli occhi, ma non lo vogliamo prendere in considerazione:
Fintanto che il mio prossimo soffre, perché non ha abbastanza cibo, o perché non ha accesso all'acqua potabile, o perché è affetto da una malattia curabile con degli antibiotici però troppo cari per lui e che quindi non si può permettere di comprare, o per mille motivi ancora... ecco che soffermarsi su certe questioni prettamente mentali e legate al pensiero umano, al come la si pensa, sarà ed è un'inutile perdita di tempo:

Non amiamo a parole o con la lingua, ma con i fatti e in verità.
(1 Giovanni 3:18)

Tu sei fondamentalista e io no? Tu sei ateo e io no? Tu sei scettico e io no?
E allora? Anche se crediamo in cose differenti, possiamo agire lo stesso assieme ADESSO per il bene di tutti - indipendentemente dalle divergenze intellettuali.

Ma...?
Ma la base del Sistema economico capitalistico moderno si basa ahimè sull'Egoismo dell'essere umano. E questo non lo dico io, ma già il padre dell'economia moderna lo diceva, cioè Adam Smith, il quale credeva e sosteneva che se ogni singolo pensa a sé stesso, allora tutti ne avranno giovamento. Perché? Perché è pensando a sé stessi e ai propri interessi che si compie l'interesse di tutti, e si fa in modo che il livello di vita migliori per tutti... (Così considerano il mercato i neo-classici al giorno d'oggi, cioè sostengono che lasciandolo a ruota libera ne esce il meglio... per tutti. Quindi abbasso alle restrizioni e alle regole che possono bloccarlo in un qualche modo, o difendere i più deboli...).

Stanno le cose veramente così?

Anche se la risposta forse è no, tale idea cresce assieme dentro tutti noi, e la si accetta quasi in modo a-critico, facendo parte del sistema.

Ma il sacrificare sé stessi per gli altri è veramente così nocivo o da evitare... pensiamo piuttosto a noi stessi che è meglio?

Facciamo fuori un'altra scienza per risolvere l'enigma? Tanto per continuare a ignorare i problemi - quelli veri - che ci stanno sotto gli occhi, e quello che noi potremmo fare per marginare questi problemi, occupandoci per l'ennesima volta di altro...?



P.S.:
Quando io personalmente parlo con i "fondamentalisti", anche se magari non condivido il loro approccio, trovo più sensato rispettare questo loro modo di vedere le cose e discutere partendo dai loro presupposti, che pretendere che loro la vedano come la vedo io, e cercare di farli cambiare idea...
Perché questo?
Il rispetto... e il capire che comunque sono poche le persone che hanno la possibilità e il tempo di impararsi il greco, l'ebraico, ecc., e che quello che li serve è ben altro rispetto ad un discorso intellettuale e razionale di un qualche teologo accademico che dice "x, y e z" sulla Bibbia.
Ciò di cui di solito la gente necessita è di fede in un futuro migliore, la speranza che le cose si possano migliorare e l'amore, ma la cosa più importante di queste è l'amore.

E molte delle informazioni che arrivano dalla teologia liberale... non è che vanno molto in questa direzione - parere personale.

P.P.S.:
Interessante è anche notare - tornando all'ispirazione del Testo Sacro - come già in passato ci siano state persone che davano più o meno importanza al prendere la Bibbia in modo letterale o meno.
Pensando ad esempio agli Spiritualisti (non è mai stato un movimento collettivo vero e proprio, ma un insieme di singoli individui, anche mistici, ecc.), è interessante notare come essi abbiamo messo lo Spirito al di sopra della Sacra Scrittura (Spirito > Bibbia). La Bibbia non era per loro parola infallibile, ma poteva contenere errori (più o meno importanti), ma alla fin fine è lo Spirito ciò che "conduce" il cristiano per la retta via.

Insomma, è partendo dalla Bibbia stessa (ad esempio Giovanni 14:15-31) che si può notare come Gesù non diede alcuno scritto ai suoi apostoli, ma li promise lo Spirito Santo, il Consolatore (che non è Muhammad, il glorioso... In greco infatti non troviamo scritto "periklytos" [che significa il glorioso, che ci rimanda al significato del nome di Muhammad], ma "parakletos" [il Consolatore, cioè lo Spirito Santo]), che li avrebbe detto cosa fare...

Detto in altro modo ancora: È in sé già paradossale il fatto che Gesù non abbia lasciato nulla di scritto, se la Scrittura fosse davvero così importante come si sente dire da qualcuno...

Ma questa è un'altra questione ancora... Il motivo per cui Gesù non ha scritto nulla.
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Vecchio 04-05-2007, 22.44.18   #10
Sandro.
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Riferimento: Vita di un biblista, da fondamentalista a professore

x Spirito

la prefazione del libro che hai postato non solo è avvincente ma soprattutto è davvero istruttiva. Naturalmente comprerò subito il libro e forse sparirò dal forum per dedicarmi alla lettura. In pratica io concordo pienamente con tutti i suoi ragionamenti, nel mio piccolo mi sono posto le stesse domande, mi sembra di leggere un eco dei miei pensieri. E ritengo ammirevole la sua tenacia di studioso, come ha voluto apprendere le lingue dei testi originali. Perchè anche questo ho sempre immaginato, come può essere facile sfumare i significati nelle traduzioni. Mi ha fatto davvero piacere leggere questa storia.

x Hetman

apprezzo le tue idee, e vorrei scriverti cosa mi ha suggerito la lettura del tuo post ed anche dei post nel 3d della stesura dei vangeli. Il senso dei miei ragionamenti su Bibbia e Vangeli è nel considerarli come interessanti oggetti di studio, prodotti culturali. Senza prefiggersi altri scopi "esistenziali". Non so se sei d'accordo, ma io le più intense esperienze religiose o spirituali le ho provate contemplando un immenso cielo stellato, una magnifica distesa di alte montagne. E' in quei momenti che rifletti su Dio. Leggere di capretti sacrificati, osservare i sabati o di odi a Salomone non mi suscita particolari emozioni. Per questo la domanda che poni a Spirito mi sembra poco attinente con il resto del discorso (oltre che ovviamente insidiosissima, perchè la domanda successiva di solito è quale, e lì iniziano i veri problemi).

x Strega

Hai scritto "...ciò che rende intoccabile la Bibbia è l'essenza di questo testo..." perfetto. Ottimo esempio del parlare per metafore, piacevole, brillante quanto inutile. Va bene la Bibbia è intoccabile e la Bibbia ha una sua essenza. Il problema è che spesso ognuno estrae la sua personale essenza e magari la sua visione del mondo un pò troppo rigida (penso alle sette). Altra bellissima "...sindacare sui miracoli è ridicolo...". Anch'io penso sia ridicolo, ma probabilmente per il motivo opposto al tuo infatti ho già scritto in un altro post che " l'unico miracolo è che non esistono i miracoli " (Poincarè).
Sandro. is offline  

 



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