ATTENZIONE Forum in modalità solo lettura Nuovo forum di Riflessioni.it >>> LOGOS |
19-10-2004, 09.38.57 | #52 |
Ospite abituale
Data registrazione: 29-08-2004
Messaggi: 464
|
Non mi pare che le nuove correnti di pensiero riportate, cioè il neodarwinismo e la teoria degli equilibri punteggiati confutino la teoria dell'evoluzione, in quanto esse sono teorie dell'evoluzione che partono da quanto disse Darwin integrandolo con le successive scoperte a lui ignote a proposito di genetica molecolare, statistica delle popolazioni, geologia, ecc.
Inoltre si può dire che la teoria degli equilibri punteggiati non sia altro che una ipotesi supplementare al complesso del neodarwinismo, più che una sua alternativa. Il richiamo "filosofico" serviva a illustrare che il rigore scientifico non è sinonimo di verifica di una teoria, ma di spirito critico verso le affermazioni della teoria. In particolare, il fatto che i mutanti di cui si parla non riescono a sopravvivere nell'ambiente è in accordo con la selezione del meno adatto: se questa non vi fosse, la percentuale di mutanti in circolazione sarebbe molto più alta. Senza considerare che se fosse vero che TUTTE le mutazioni sono mortali, visto che ogni aminoacido umano tende a mutare abbastanza facilmente rispetto alla terza base che lo compone (se non erro il "codone"), la nostra esistenza sarebbe molto più a rischio. |
19-10-2004, 12.25.13 | #53 |
Ospite
Data registrazione: 01-10-2003
Messaggi: 34
|
"Non mi pare che le nuove correnti di pensiero riportate, cioè il neodarwinismo e la teoria degli equilibri punteggiati confutino la teoria dell'evoluzione, in quanto esse sono teorie dell'evoluzione che partono da quanto disse Darwin integrandolo con le successive scoperte a lui ignote a proposito di genetica molecolare, statistica delle popolazioni, geologia, ecc."
Il neodarvinismo e la teoria degli equilibri punteggiati confutano il darvinismo?E chi ha mai detto una cosa del genere? Io ho scritto "Le affermazioni di Darwin sono SUPERATE:.....". "Inoltre si può dire che la teoria degli equilibri punteggiati non sia altro che una ipotesi supplementare al complesso del neodarwinismo, più che una sua alternativa." Dipende dall'autore....(Gould direbbe il contrario ad esempio). Purtroppo non c'è molta chiarezza. "Il richiamo "filosofico" serviva a illustrare che il rigore scientifico non è sinonimo di verifica di una teoria, ma di spirito critico verso le affermazioni della teoria." E come si applicherebbe questo "spirito critico" nei confronti dell'evoluzionismo?Sono curioso. "In particolare, il fatto che i mutanti di cui si parla non riescono a sopravvivere nell'ambiente è in accordo con la selezione del meno adatto: se questa non vi fosse, la percentuale di mutanti in circolazione sarebbe molto più alta." E allora? "Senza considerare che se fosse vero che TUTTE le mutazioni sono mortali, visto che ogni aminoacido umano tende a mutare abbastanza facilmente rispetto alla terza base che lo compone (se non erro il "codone"), la nostra esistenza sarebbe molto più a rischio." Credo che continui a sfuggirti l'argomento del topic. Ovvero se possano esistere delle mutazioni casuali (o una mutazione casuale) che permettano ad un organismo vivente di evolvere in una nuova specie sostanzialmente diversa dalla precedente. |
19-10-2004, 13.54.38 | #54 |
Ospite abituale
Data registrazione: 29-08-2004
Messaggi: 464
|
Secondo me: sì. Ma non grazie al caso, bensì grazie alla selezione naturale, che permette alle "mutazioni" casuali cui capita di dare più fitness di passare necessariamente alle generazioni successive, eliminando le altre.
|
19-10-2004, 17.59.04 | #55 |
Ospite
Data registrazione: 01-10-2003
Messaggi: 34
|
Ci sono alcuni problemi:
1)La selezione naturale risulta essere, ad un'analisi più attenta, una tautologia: "essa dichiara che gli individui più adatti in una popolazione (definiti come quelli che lasciano più discendenti) lasceranno più discendenti". 2)Non esistono mutazioni casuali di questo tipo. 3)Il lento gradualismo nell'evoluzione degli esseri viventi è un processo smentito dai fossili. Avrei piacere (e mi ripeto per l'ennesima volta) che portassi degli esempi concreti. Ultima modifica di Fede56 : 19-10-2004 alle ore 18.06.02. |
20-10-2004, 02.18.44 | #56 |
Ospite abituale
Data registrazione: 06-09-2003
Messaggi: 486
|
In effetti
i problemi che pone Fede sono tutt'altro che peregrini ed è vero che rappresentano, per quanto ne so io, i termini di dibattiti accesi alle "Tavole Alte" della Paleontologia.
Tuttavia, la replica andrebbe mitigata, perchè: 1) la selezione naturale, ancorchè dubbia come modalità determinante la filiazione di nuove specie, è certamente operante in seno a ciascuna, come strumento assai potente di trasformazione delle incidenze di caratteri in una popolazione, di eventuale scomparsa di qualcuno di questi e di formazione di razze e gruppi omogenei. Definirla una "tautologia" mi pare un po' eccessivo: "fitness" è un concetto che ne raccoglie parecchi, ossia l'adattamento ambientale e la capacità di sopravvivenza in esso per la parte maggiore dell'età fertile, il confronto vincente con altri membri della propria specie, la maggiore fertilità, la capacità di garantire, anche direttamente, una più alta percentuale di sopravvissuti ai rischi dell'infanzia tra la progenie. Non possiamo far coincidere "fitness" e rilevanza numerica dei discendenti, perchè quest'ultima è solo una possibile "misura" della prima. 2)Esistono di fatto mutazioni di questo tipo: anche se a definirle "casuali" andrei ancora piano. In effetti, quelle che conosciamo riguardano tratti del genoma che paiono decisamente "suscettibili" a fornirne. Inoltre, non tutte le specie mostrano la stessa mutagenicità: è noto, ad esempio, che specie poco suscettibili agli agenti cancerogeni, come ad es. gli squali e i coccodrilli, mostrano anche un basso coefficiente di trasformazione nel tempo. Le neoplasie sono, in generale, accompagnate da drammatici stravolgimenti nel genoma delle cellule malate. 3) Il lento gradualismo è effettivamente non comprovato da riscontri fossili. I gradi di parentela tra specie affini, tuttavia, come nei casi riportati di speciazione "allopatrica", risultano largamente suffragati dalle analisi dei DNA delle specie in esame. Come si può risolvere il paradosso? In parte, va detto, sottolineando ancora una volta il fatto che le differenze fenotipiche possono essere poco rilevanti allo scopo di distinguere specie diverse. La distinzione tra specie è assicurata dalla barriera riproduttiva, non dalle differenze tra i caratteri individuali e nemmeno, necessariamente, tra il patrimonio genetico. Tra diversi gruppi di afroamericani e di caucasici esistono notevoli differenze fenotipiche ed anche una rilevante differenza genetica (fino allo 0,5 -1% del genoma, il che è molto se si pensa che tra il genoma umano e quello dello scimpanzè la differenza è poco superiore, intorno all'1-1,5%), tuttavia non è infranta la barriera di specie. Altre specie, come ad es. i rampichini australiani mostrano minori differenze nei caratteri e nel genoma rispetto ad altre specie affini, dalle quali, tuttavia, essi sono rigidamente separati. Dunque è possibile che alcuni "gradualismi" non possano essere facilmente identificati, poichè celati dietro la conoscenza solo grossolana dei caratteri secondari complessivi di una specie che ci proviene dai resti fossili. Ma il problema più importante è che noi cominciamo appena a capire la complessità dell'informazione genetica e, quindi, poco possiamo dire ancora sul modo in cui l'evoluzione si sprigioni dalla sua plasticità. Ancora in parte ignoti sono i meccaniosmi mediante cui, all'interno dello stesso tessuto dello stesso individuo, le cellule giungano a specializzarsi in modo tale da "funzionare", pur con lo stesso corredo genetico, "come se" esso fosse operativamente diverso da quello della propria "vicina di stanza". Sappiamo che vi sono gruppi di geni "regolativi" che operano con meccanismi a tipo "feed back" modulando e modificando anche drammaticamente l'espressività dei geni-base. Sappiamo anche che vi sono geni "programmati" ad operare controlli a feed back in tempi o condizioni quasi "prescritte a monte!" su questi gruppi. Sappiamo che, probabilmente, sono mutazioni o inefficienze o imperfezioni sui feed back tra geni e geni che predeterminano i processi di invecchiamento e i tumori. Non occorrono voli pindarici per immaginare che, per processi mutagenici o per una mutagenicità spontanea "alta" di qualcuno di questi "regolatori" o modulatori dei feed back, potrebbero anche crearsi d'emblee specie nuove e non semplici trasformazioni di un carattere minore. Penso che i prossimi vent'anni ci riserveranno parecchie sorprese. |
20-10-2004, 09.30.51 | #57 |
Ospite abituale
Data registrazione: 29-08-2004
Messaggi: 464
|
Dopo Leibnicht, null'altro da aggiungere. Fede, se vuole e crede, aspetti pure prove fossili concrete, anche allora ho il sospetto che resterà dubitabondo (ma in ciò fa tuttosommato bene), però credo che in questo come in altri campi del sapere ove le congetture devono essere soppesate per deduzione da fatti indirettamente correlati, sbattere la testa contro il muro dell'evidenza sarà molto difficile.
Ci risentiamo su qualche altro forum, Ciao, giovanni |
20-10-2004, 13.42.52 | #58 |
Ospite
Data registrazione: 01-10-2003
Messaggi: 34
|
Re: In effetti
I problemi che pone Fede sono tutt'altro che peregrini ed è vero che rappresentano, per quanto ne so io, i termini di dibattiti accesi alle "Tavole Alte" della Paleontologia.
Tuttavia, la replica andrebbe mitigata, perchè: 1)"la selezione naturale, ancorchè dubbia come modalità determinante la filiazione di nuove specie, è certamente operante in seno a ciascuna, come strumento assai potente di trasformazione delle incidenze di caratteri in una popolazione, di eventuale scomparsa di qualcuno di questi e di formazione di razze e gruppi omogenei. Definirla una "tautologia" mi pare un po' eccessivo: "fitness" è un concetto che ne raccoglie parecchi, ossia l'adattamento ambientale e la capacità di sopravvivenza in esso per la parte maggiore dell'età fertile, il confronto vincente con altri membri della propria specie, la maggiore fertilità, la capacità di garantire, anche direttamente, una più alta percentuale di sopravvissuti ai rischi dell'infanzia tra la progenie." Il programma adattazionista fa dell'adattamento un postulato metafisico, non soltanto impossibile da confutare, ma necessariamente confermato da ogni osservazione. E' questa la caricatura immanente dell'intuizione di Darwin dell'evoluzione come prodotto della selezione naturale. La conclusione che la soppravivenza del più adatto è null'altro che una tautologia non è una critica malevola. Essa non comporta nè che la selezione naturale (o soppravivenza differenziale) non agisca in natura, nè che il concetto sia irrilevante. Che il più adatto ha un maggior successo riproduttivo (Mayr) non è però una affermazione di fatto, non è una legge naturale, è la definizione scientifica dell'adattamento, forse anche utile, ma null'altro che una definizione. La scienza richiede sia definizioni di concetti sia affermazioni di fatto. Ciò che è importante è non equivocare fra le due. Che il triangolo abbia tre lati non è una sciocchezza; è una definizione. E perciò nessuno potrà mai scoprire un triangolo con un numero di lati diverso da tre, nè più nè meno di come non potrà trovare un tipo più adatto che soppraviva peggio o, per essere più statistici, che abbia uno scarso successo riproduttivo (fitness inferiore a 1). Quando si compie l'equivoco tra dato di fatto e definizione, allora l'affermazione pretende nello stesso tempo di essere una legge naturale e di essere perentoria e incotraddicibile come una definizione. Ciò è per l'appunto accaduto con il concetto di soppravivenza del più adatto e ciò ha conferito al darvinismo quell'ASSOLUTISMO DOGMATICO che lo ha reso poco appettibile. "2)Esistono di fatto mutazioni di questo tipo: anche se a definirle "casuali" andrei ancora piano. In effetti, quelle che conosciamo riguardano tratti del genoma che paiono decisamente "suscettibili" a fornirne. Inoltre, non tutte le specie mostrano la stessa mutagenicità: è noto, ad esempio, che specie poco suscettibili agli agenti cancerogeni, come ad es. gli squali e i coccodrilli, mostrano anche un basso coefficiente di trasformazione nel tempo. Le neoplasie sono, in generale, accompagnate da drammatici stravolgimenti nel genoma delle cellule malate." Casuale è un termine riportato nei libri inteso come non finalistico. 3) Il lento gradualismo è effettivamente non comprovato da riscontri fossili. I gradi di parentela tra specie affini, tuttavia, come nei casi riportati di speciazione "allopatrica", risultano largamente suffragati dalle analisi dei DNA delle specie in esame. Come si può risolvere il paradosso? In parte, va detto, sottolineando ancora una volta il fatto che le differenze fenotipiche possono essere poco rilevanti allo scopo di distinguere specie diverse. La distinzione tra specie è assicurata dalla barriera riproduttiva, non dalle differenze tra i caratteri individuali e nemmeno, necessariamente, tra il patrimonio genetico. Tra diversi gruppi di afroamericani e di caucasici esistono notevoli differenze fenotipiche ed anche una rilevante differenza genetica (fino allo 0,5 -1% del genoma, il che è molto se si pensa che tra il genoma umano e quello dello scimpanzè la differenza è poco superiore, intorno all'1-1,5%), tuttavia non è infranta la barriera di specie. Altre specie, come ad es. i rampichini australiani mostrano minori differenze nei caratteri e nel genoma rispetto ad altre specie affini, dalle quali, tuttavia, essi sono rigidamente separati. La differenza tra il genoma umano e quella dello scimpanzè non è dell'1,5% (questa notizia è vecchia di alcuni anni). http://cmbi.bjmu.edu.cn/news/0405/118.htm Il resto me lo avevi già indirettamente detto. "Dunque è possibile che alcuni "gradualismi" non possano essere facilmente identificati, poichè celati dietro la conoscenza solo grossolana dei caratteri secondari complessivi di una specie che ci proviene dai resti fossili." Il gradualismo è, ad oggi, una fantasia di alcuni paleontologi. "Ma il problema più importante è che noi cominciamo appena a capire la complessità dell'informazione genetica e, quindi, poco possiamo dire ancora sul modo in cui l'evoluzione si sprigioni dalla sua plasticità. Ancora in parte ignoti sono i meccaniosmi mediante cui, all'interno dello stesso tessuto dello stesso individuo, le cellule giungano a specializzarsi in modo tale da "funzionare", pur con lo stesso corredo genetico, "come se" esso fosse operativamente diverso da quello della propria "vicina di stanza". Sappiamo che vi sono gruppi di geni "regolativi" che operano con meccanismi a tipo "feed back" modulando e modificando anche drammaticamente l'espressività dei geni-base. Sappiamo anche che vi sono geni "programmati" ad operare controlli a feed back in tempi o condizioni quasi "prescritte a monte!" su questi gruppi. Sappiamo che, probabilmente, sono mutazioni o inefficienze o imperfezioni sui feed back tra geni e geni che predeterminano i processi di invecchiamento e i tumori. Non occorrono voli pindarici per immaginare che, per processi mutagenici o per una mutagenicità spontanea "alta" di qualcuno di questi "regolatori" o modulatori dei feed back, potrebbero anche crearsi d'emblee specie nuove e non semplici trasformazioni di un carattere minore. Penso che i prossimi vent'anni ci riserveranno parecchie sorprese." Se rileggi questa parte della tua risposta noterai che l'uso del modo condizionale si spreca. In pratica si brancola nel buio mentre io voglio dei fatti. Bisogna avere sempre fede nel progresso scientifico ma imparando sempre a ragionare con la propria testa. Sul fatto che i prossimi vent'anni ci riserveranno parecchie sorprese ne sono convinto anch'io. Ultima modifica di Fede56 : 20-10-2004 alle ore 13.48.04. |
20-10-2004, 13.50.04 | #59 | |
Ospite
Data registrazione: 01-10-2003
Messaggi: 34
|
Citazione:
|
|
21-10-2004, 02.46.50 | #60 |
Ospite abituale
Data registrazione: 06-09-2003
Messaggi: 486
|
Controrilievi
Con una breve premessa: da studente, tanti anni fa, nutrivo un risentimento profondo nei confronti delle scienze biologiche, le quali mi apparivano viziate da un atteggiamento metodologico spurio e privo di rigore, incapaci di quella limpidezza concettuale che le scienze cosiddette "dure" potevano ostentare grazie alla ricchezza dell'apparato matematico di cui si avvalevano.
Sono felice di aver vissuto quanto basta a vedere il cambiamento in atto in questo ambito cruciale della Ricerca. Detto ciò: 1) l'effettiva generazione di una prole efficiente non esaurisce il concetto di "fitness", sebbene, oggettivamente, ne possa comportare una misura. Che un laccio sia lungo tre metri, e che il metro sia la lunghezza di un laccio lungo un terzo del laccio "campione", non fa del campione una ricorrenza tautologica del primo. In termini classici: la misura è un "modo" della "sostanza" estensione. Ogni valore estensivo ottenuto non è che un "attributo" dell'ente oggetto di misurazione; 2) purtroppo ancora oggi il concetto di "casualità" in biologia non si oppone a quello di "finalismo", bensì a quello di "necessario". Ma è il disporre le tesi in termini oppositivi a denotare il gap tuttora sussistente tra le scienze biologiche e quelle della natura; 3) il terzo punto a domani. Ciao a tutti ! |