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26-02-2008, 20.14.34 | #62 | |
Ospite abituale
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Riferimento: L'emancipazione femminile.
Citazione:
Riguardo al matriarcato, riporto le parole di uno storico (di cui ora mi sfugge il nome), queste per la precisione: "Le società nascono e fioriscono patriarcali, deperiscono e muoiono matriarcali"... Detto questo, aggiungo dell'altro, riguardo al suddetto matriarcato. Nella seconda metà dell'Ottocento, lo storico svizzero Johann Jakob Bachofen, sostenne che l'umanità delle origini era basata sul matriarcato, vale a dire sulla supremazia della femmina. Si diffuse così la tesi che, prima di giungere all'organizzazione patriarcale, l'umanità avesse attraversato una fase matriarcale, in cui la vita era serena, pacifica ed egualitaria. Le implicazioni di questa teoria non sono di poco conto: essa, infatti, ipotizza una naturalità del predominio femminile, che sarebbe poi stato sconfitto nel corso della storia a prezzo di una dura lotta tra matriarcato e patriarcato. Essa, inoltre,"storicizza" il concetto di organizzazione sociale, dando al modello di famiglia un carattere culturale, determinato dalle condizioni socio-economiche prevalenti e non innato e universale. Molti studiosi, attratti da questa ipotesi, ne hanno ricercato la conferma nei reperti archeologici, nei miti e nei testi antichi, riconoscendole una certa validità. L'ipotesi matriarcale assegna alla femmina delle origini un ruolo di potere mai più riscontrabile nella storia, salvo in alcune piccole comunità cosiddette "primitive", nelle quali si possono trovare ancora oggi, forme di "predominio" femminile. (Si narra pure che nella metà dell'Ottocento, esistesse in Africa centrale, una tribù di guerriere femmine che venne successivamente sconfitta e massacrata in una feroce battaglia, da dei guerrieri maschi. Le vittime sarebbero state oltre 2000.) La società matriarcale si sarebbe precisata in epoca Neolitica - all'incirca dal 12.000 al 3000 a.C., a seconda delle diverse aree geografiche. Mentre gli uomini si dedicavano alla caccia, le donne, che raccoglievano le erbe e i frutti commestibili, avevano modo di osservarne i cicli di crescita. Iniziarono così a conservare i semi e a tentarne la semina, sorvegliando lo sviluppo delle piante. Man mano che la produzione aumentava, diventò possibile utilizzare i cereali come alternativa-integrazione alla carne, passando a un controllo consapevole delle risorse naturali attraverso l'agricoltura, che si andò sempre più perfezionando. Le società nomadi dei cacciatori-raccoglitori si sono così progressivamente trasformate in società agricole stanziali, grazie anche all'introduzione dell'allevamento, attività, anch'essa inizialmente femminile, che garantiva alla comunità una sicura riserva di proteine. Il procacciamento del cibo cessava quindi di essere un'attività basata soprattutto sulla forza - come nella caccia - e diventava di pertinenza delle femmine, che ora erano in grado di sfamare tutta la comunità, acquistando tra l'altro competenze che gli uomini non avevano. Il monopolio delle riserve alimentari conferiva alla donna un nuovo potere all'interno della famiglia, che, come ipotizzano alcuni storici, si sarebbe dotata di un'organizzazione matrilineare, riconoscendo giuridicamente la discendenza materna, vale a dire il diritto di successione femminile. Di conseguenza, le donne godevano di un enorme potere all'interno della società, al punto che si parla di una fase di predominio decisionale e politico femminile, detta ginecocrazia, dal greco "guné", donna e "kratos" potere o matriarcato, il "potere delle madri". Secondo gli storici, le società matriarcali sarebbero state caratterizzate da un regime comunitario ed egualitario, basato cioè sulla messa in comune delle risorse economiche e sulla mancanza di gerarchie di potere e di distinzione dei ruoli. L'idea di un'associazione tra potere femminile e regime comunitario deve essersi conservata a lungo nella memoria collettiva, come testimonia, tra l'altro, la commedia di Aristofane "Le donne dell'assemblea" rappresentata ad Atene nel 391 a.C., vale a dire molti secoli dopo la scomparsa del potere matriarcale nell'antica Grecia. Nella commedia, le donne ateniesi, stanche delle continue guerre, decidono di prendere il potere e di cambiare le regole del gioco, come spiega la protagonista, Prassagora:"...farò che la terra appartenga in comune a tutti, e il denaro, e tutto ciò che ciascuno possiede. Poi, da questi beni comuni noi vi nutriremo, e metteremo tutta la nostra abilità ad amministrarli senza sprechi". [L'idea che la visione femminile del potere sia di tipo egualitario, non competitivo e pacifista e quindi non aggressivo, è emersa ripetutamente nel corso della storia, come dimostrano alcuni grandi movimenti ereticali del Medioevo, in cui l'orientamento comunitario si univa a una forte influenza delle donne. Le femministe degli anni Settanta hanno fatto proprio questo presupposto, sostenendo che l'identità ancestrale femminile ha un carattere ricettivo e protettivo, legato alla maternità e al bisogno di garantire sicurezza alla prole; da qui deriverebbe la maggiore disponibilità alla ricerca di soluzioni pacifiche nei rapporti interpersonali. In questa prospettiva (dicono le femministe), le manifestazioni irragionevoli e conflittuali, al limite dell'isterismo, espresse così spesso dalle donne sotto forma di litigi, sfuriate, attacchi di rabbia e di ira irrazionale, sarebbero da ricondurre a una condizione di frustrazione indotta, a un'esasperazione dovuta all'emarginazione imposta dall'ordine dominante maschile. Si tratterebbe dunque (dicono sempre le femministe) di una forma di compensazione reattiva, una pratica di adattamento a condizioni vissute come avvilenti e paralizzanti. Del resto (aggiungono le solite femministe), la mancanza di autocontrollo, così ripetutamente rimproverata alle donne, non può certo essere considerata un carattere esclusivamente femminile, come dimostrano le tante guerre che da sempre affliggono l'umanità, guerre decise e condotte dagli uomini. Dunque (concludono) l'irrazionalità femminile sarebbe soltanto una costruzione ideologica appiccicata alla femmina nel corso del tempo e non ascrivibile a una natura originaria.] L'aumentato potere decisionale conquistato dalle femmine con il controllo delle risorse alimentari si manifestò anche all'interno delle strutture religiose, che cominciavano a delinearsi proprio in quella fase. Sembra proprio che in molte aree del mondo le forme di religiosità più antiche fossero basate sui culti della Madre Terra o della Grande Madre e accompagnate da riti di propiziazione della fertilità monopolizzati dalle femmine. Tali riti sono testimoniati dalle statuette votive neolitiche, tra cui spiccano le Veneri steatopigie (dai grandi glutei) o le divinità dalle molte mammelle, che simboleggiano la fecondità femminile. Le donne diventavano così le uniche detentrici del rapporto con il soprannaturale, le esclusive depositarie dei misteri che legano Cielo e Terra. Il potere femminile venne sancito da istituzioni politiche e sociali in modi diversi e in epoche diverse, secondo le differenti aree geografiche. In particolare nel Mediterraneo esso sarebbe continuato fino all'età del bronzo e avrebbe caratterizzato anche la civiltà minoica, sviluppatasi a Creta dal III millennio e terminata attorno al 1500 a.C. Al centro della religione minoica vi era una donna potentissima, Potnia, simbolo della forza generatrice femminile. Il suo sposo, il "paredro", svolgeva un ruolo puramente strumentale, in quanto aveva solo il compito di soddisfare sessualmente la Grande Madre, la vera tutrice della riproduzione della specie. Il fatto che la principale figura religiosa della Grecia minoica fosse una donna assume un significato importante, poiché la struttura religiosa di una società plasma in larga misura il suo sistema di valori; per conoscere il ruolo della femmina all'interno di una determinata civiltà è importante capire come venga definito dalle credenze religiose in essa prevalenti. E infatti, nella cultura cretese le femmine godevano di una posizione sociale privilegiata rispetto a quella loro riservata nelle altre civiltà coeve. Le donne minoiche fruivano di una certa libertà di movimento, avevano il ruolo privilegiato di sacerdotesse, potevano amministrare il proprio patrimonio anche dopo essersi sposate, potevano ereditare da un congiunto e divorziare dal marito conservando la dote. Non vi sono però tracce di una successione matrilineare, se non sporadiche. Col passaggio dalla civiltà minoica a quella micenea, sviluppatasi a Micene attorno al 1450 a.C. e con il conseguente emergere della figura del guerriero, i caratteri culturali del mondo greco vanno via via modificandosi, trasformando radicalmente lo statuto sociale femminile. Per concludere questa breve analisi su una supposta età dell'oro della femmina, nell'ambito della civiltà occidentale, bisogna ricordare che sulla sua effettiva consistenza esistono molti ma molti dubbi... Recentemente, infatti, gli storici si stanno orientando verso un ridimensionamento dell'ipotesi matriarcale (perché sono ipotesi...), ritenendo più corretto parlare di comunità matrilineari, basate cioè sulla discendenza materna e non paterna. |
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26-02-2008, 20.17.29 | #63 |
Ospite abituale
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Riferimento: L'emancipazione femminile.
Molti antropologi, poi, parlano del matriarcato in termini di "mito", vale a dire di un'elaborazione fantastica, che rappresenterebbe proprio l'opposto della realtà, il suo inverso, una forma di appagamento immaginario, come quello espresso dalle favole.
L'idea di una società dominata dalle femmine sarebbe quindi, in questa prospettiva, un'inversione mitologica, un "mondo alla rovescia" generato dal bisogno di compensare una realtà brutale e frustrante. Le donne, insomma, avrebbero elaborato una narrazione fantastica capace di ripagare, nell'immaginazione, le sofferenze subìte. Non è quindi facile stabilire se il matriarcato sia una leggenda o una realtà. Se è vero che in molte culture mediterranee si è a lungo mantenuta la memoria di un'ancestrale fase di predominio femminile che ritorna alla luce in occasione di alcuni riti misterici greci e romani riservati alle donne, è altrettanto vero che neanche nella società cretese vi sono sufficienti elementi per parlare di matriarcato; si può parlare, semmai, di condizioni che assegnavano alla femmina una considerevole libertà e dignità sociale. Lo stesso mito delle Amazzoni, da molti considerato una prova a favore di un'età d'oro matriarcale, deve essere attentamente riconsiderato. Il nome di queste femmine guerriere, che vivevano in comunità rigorosamente femminili, deriva da "a-mazos", senza seno. Il mito, infatti, narra che esse tagliavano una mammella alle figlie affinché potessero maneggiare meglio la lancia e l'arco. Per generare figli, si univano a uomini stranieri, che erano ammessi nella comunità come schiavi. Se il neonato era maschio, veniva ucciso. Le Amazzoni erano considerate crudeli e prive di qualsiasi sentimento di umanità: la loro linfa vitale era l'odio verso l'uomo, che conferiva loro la rabbia necessaria per essere invincibili in battaglia. Recentemente, anche questo mito è stato letto come un racconto catartico, elaborato per esorcizzare il potere femminile e per impedire che la tensione tra i sessi si trasformasse in conflitto insanabile; è inoltre molto probabile che questa narrazione servisse a rappresentare un mondo selvaggio e barbaro - come quello formato da sole femmine -, contrapposto a quello armonioso della civiltà, fondato sulla coesistenza pacifica tra i sessi. Più che un residuo dell'era matriarcale, quindi, il mito delle Amazzoni attesterebbe una situazione esattamente opposta: la volontà di una società dominata dall'uomo di dimostrare l'innaturalità della separazione tra i sessi e l'incapacità delle donne di pervenire a una gestione equilibrata e stabile della società. |
27-02-2008, 11.46.42 | #64 |
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Riferimento: L'emancipazione femminile.
L'idea di una natura sottratta al mutamento ha prodotto la suggestione di vedervi inscritti inviolabili codici metafisici, sino ad arrivare a una sorta di naturalizzazione ideologica della morale, del diritto e dell'economia.
Ogni epoca ha elaborato un suo peculiare ordine della natura, così è accaduto che istituzioni e pregiudizi oggi considerati aberranti, apparissero pienamente secondo natura (ad esempio la schiavitù e il predominio sula donna). Occorre sempre tenere ben presente che qualunque ordine naturale è sempre, rispetto ai suoi contenuti, provvisorio. Quello che fa più paura, oggi più di ieri, è che l'emancipazione femminile porti inesorabilmente a un nuovo predominio, poiché si fatica a considerare la donna in grado di reggere le responsabilità che derivano dall'autodeterminazione. Ma forse questa mia ipotesi è la più ottimistica. C'è chi potrebbe considerare necessario per la donna il prolungamento indefinito di uno stato di inferiorità, e che essa si adagi nella minorità e se ne appaghi.... |
27-02-2008, 21.59.17 | #65 | |
Ospite abituale
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Riferimento: L'emancipazione femminile.
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Grazie del contributo alla conoscenza che hai riportato. Mentre leggevo non ho potuto fare a meno di pensare: abbiamo sperimentato la supremazia femminile, poi quella maschile e non sarebbe ora di sperimentare quella paritaria? Non sarebbe un mondo veramente nuovo e pronto a ripartire alla grande quello composto da uomini e donne che rimettono in piedi la colonna portante della vita? Della nostra vita! Come può esserci supremazia dell'uno o dell'altra se abbiamo bisogno gli uni delle altre? |
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28-02-2008, 18.37.25 | #66 | |
Utente bannato
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Riferimento: L'emancipazione femminile.
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Sarei, comunque, curioso di sapere quali dati di natura (non convinzioni più o meno diffuse ma certificate dalla scienza) riferiti all'essere umano siano stati modificati dalla cultura nella storia umana. Visto che affermi con tanta convinzione la teoria della modificazione della biologia e della fisiologia umana ad opera della cultura, saprai sicuramente portare degli esempi appropriati. Tale non è lo schiavismo, ad esempio, che non è un dato biologico o naturale ma una forma di organizzazione sociale basata, a suo tempo, sulla violenza e sullo sfruttamento. Resta inteso che quando parliamo di scienza intendiamo quella attuale, non quella del passato. |
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01-03-2008, 16.41.52 | #67 | |
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Riferimento: L'emancipazione femminile.
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Per ilubrinenr rispondo a te quotando chlobbygarl, che corrisponde a quel che penso io e che risponde anche a quel che hai scritto tu in a proprosito dell'esempio del potere sessuale. Cos'é questo se non un dato di differenziazione biologica tra i generi che ne ha condizionato storicamente i ruoli? E come si concilia questo assetto di pensiero con l'ostinata pretesa - appresso quotata - di voler ricondurre le diversità sessuali a meri "comportamenti culturali"? Il problema secondo me, iulbrinner, tra il mio punto di vista e il tuo è mettersi d'accordo su quali siano le diversità sessuali. Credo che siamo d'accordo sull'inizio del mio discorso, forse lì siamo d'accordo tutti, lo spero. Sì, forse non tutti, le posizioni di alcune donne lasciano perplessa anche me così come mi lasciano perplessa le posizioni di alcuni uomini. Anzi su questo avrei da muovere delle critiche ad un certo tipo di femminismo non solo per onestà verso il lato maschile (semplicemnte non è vero che tutti gli uomini sono violenti, menefreghisti ecc ecc) ma anche per onestà verso il lato femminile (semplicemnte perché un pensiero del genere verso il maschile non porta le donne all'emancipazione, non porta le donne all'unico vero obiettivo, o meglio non porta l'essere umano a quello che dovrebbe essere l'unico vero obiettivo, cioè il raggiungimento della cooperazione tra i sessi, della convivenza tra i sessi, della collaborazione tra i sessi per cercare di dare un senso alla loro vita, siano essi uomini o donne). Fino alla differente costituzione fisica, cioè l'uomo è più forte della donna, nel senso di muscoli e altro di fisiologico, e nel senso di apparati riproduttivi differenti, genitali differenti, e roba simile, io ci sto. Queste sono diversità sessuali che non hanno nemmeno bisogno di essere sperimentate scientificamente, le vedono tutti. Io però mi fermo qui. Tutto il resto per me è prodotto culturalmente, nel bene e nel male. Inoltre, in una società organizzata economicamente come la nostra in cui la forza muscolare non ha più un valore, la differenziazione dei ruoli non ha più alcun senso. Intendo dire che per l'economia le donne hanno lo stesso valore degli uomini, in quanto, non dovendo utilizzare la forza fisica per la sopravvivenza, le donne al pari degli uomini possono decidere diciamo liberamente di dedicarsi a qualsiasi attività. |
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01-03-2008, 21.12.40 | #68 | |
Ospite abituale
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Riferimento: L'emancipazione femminile.
Citazione:
http://antifeminist.altervista.org/r...ripugnanti.htm Sai a quale sesso appartiene il 92-93% dei morti sul posto di lavoro? (*) A quello maschile. (*) In Occidente; il 73% nel mondo. |
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01-03-2008, 23.42.03 | #69 | |
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Riferimento: L'emancipazione femminile.
Citazione:
Le diversità sessuali sono molto più ampie e complesse di quelle che tu vedi e descrivi; non riguardano solo la fisiologia e la muscolatura ma molto altro, sino ad investire le stesse strutture psicologiche (come qualunque psicologo sensato e titolato potrebbe e dovrebbe confermarti). Le differenze più rilevanti si registrano sul piano endocrinologico, il quale influenza in misura tanto rilevante il comportamento che le malattie in questo campo hanno, spesso, esiti anche psichiatrici (si pensi agli scompensi comportamentali da eccesso di tiroidina o alle astenie croniche da carenza dello stesso ormone). Di ulteriore importanza sono le ricerche in campo neurobiologico, le quali ci dicono, a conferma di certe convinzioni generali radicate nella cultura di ogni tempo, che le donne hanno una sensibilità emotiva che gli uomini non hanno, proprio per mancanza di adeguati circuiti neuronali di pari ampiezza (non appena ritroverò le ricerche molto recenti che lo hanno certificato le posterò a conferma). Ne ho già parlato in termini di maggiore "irrazionalità" femminile. Ciò premesso, è altrettanto ovvio che i ruoli sessuali non possono essere gli stessi di uno o due secoli fa (per non parlare dei millenni) in ragione del fatto che i progressi tecnologici consentono, oggi, anche alle donne una partecipazione più attiva in sede sociale. Il problema è che i ruoli sessuali non sono, però, per questo, completamente intercambiabili in quanto i sessi non sono uguali fra loro e mantengono delle differenze di base, di orientamento alla vita, di sensibilità alle emozioni, di sensibilità sessuale, di interesse alle cose della vita etc..che li rendono, a mio avviso, non solo irriducibili; ma, ipotizzando una sorta di disegno evoluzionistico naturale, funzionali ad una reciproca complementarietà. Anche in termini di pensiero: non si tratta di desuetudine ad applicarsi a certi ambiti sulla base di una sostanziale uguaglianza di possibilità. Non è così. Si tratta, ad esempio, di vero e proprio disinteresse femminile (mediamente, è ovvio) rispetto a certi ambiti di interesse, quali la tecnica e la tecnologia. Ancora oggi tu troverai un successo femminile in materie come l'architettura, l'ingegneria, la ricerca informatica, le scienze economicistiche ed attuariali, la fisica avanzata e la matematica estremamente inferiore alla riuscita maschile; questo è specchio delle differenze di "fisiologia del pensiero" (sempre in termini di media, com'è ovvio). Le possibilità di accesso e di sviluppo personale in questi ambiti di ricerca sono identici per ragazzi e ragazze ormai da più di mezzo secolo; ma le seconde non riescono come i primi, ancora oggi come ieri. Tutto questo non rende gli uni migliori e le altre peggiori; li rende solo diversi. Ma non lo vedi intorno a te come siano diversi gli orientamenti di uomini e donne; e dovremmo conculcare questo elementare dato di realtà in nome di cosa? Di quale astratto valore egualitaristico? Forse che un ingegnere ha più valore di altre figure? Oppure un matematico ha un valore assoluto nella nostra società? Non direi proprio; alla fine ne ha molto di più, sotto molti aspetti, la diva del cinema o la velina, se ci pensi bene. Il vero problema, sempre stando alla mia visuale, è quello di trovare il giusto equilibrio tra i sessi nel contesto di una cultura contemporanea che si è resa, per motivi storico-ideologici anche comprensibili, fondamentalmente misandrica; ossia ostile al maschile inteso come insieme di caratteristiche umane che noi, ordinariamente, riconosciamo come proprie dell'uomo (comprese quelle specifiche possibilità di pensiero finalizzate alla trasformazione della materia). Concludo dicendo che per l'economia (quella su basi capitalistiche che noi conosciamo) è totalmente irrilevante se a far funzionare un processo produttivo sia una donna o un uomo, o se a far vendere più televisori sia un donna o un uomo. Gli interessano solo i risultati pratici, com'è giusto che sia anche per il nostro benessere (materiale, non spirituale, di quello l'economia non si occupa e non se ne deve occupare). Il giorno che noi affideremo la nostra vita spirituale all'economia, quello sì che sarà un giorno sfortunato per tutti; e le premesse già si sono profilate ai nostri orizzonti. Sono personalmente convinto che quel giorno malediremo di non avere coltivato le diversità umane come un valore da salvaguardare (ma questa è solo una mia idea...). |
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