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08-08-2006, 18.09.43 | #63 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Dio e il problema dell'inferno
Citazione:
E' vero che nel testo della creazione il tentatore fa la sua entrata senza che sia annunciato o presentato da un atto creativo divino. Però il testo saco ci dice anche che il serpente era il più astuto di tutti gli animali.... e in questi versetti mise l'uomo al vertice del creato: Genesi 1:28 Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra». Quindi l'uomo era superiore al serpente e poteva soggiogarlo.... Dire che Dio aveva previsto che l'uomo cadesse in tentazione secondo me non è esatto.... E' esatto dire che Dio ha fatto la migliore creazione che poteva fare e ha messo l'uomo al suo vertice, dandogli però anche la responsabilità delle sue scelte... e avendolo per di più reso edotto delle conseguenze... e comunque sempre con la possibilità di tornare a lui.... mi sembra che nemmeno per gli Angeli Dio abbia fatto tanto.... |
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09-08-2006, 09.18.36 | #64 |
Ospite abituale
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Riferimento: Dio e il problema dell'inferno
vorrei solo aggiugere che il serpente " istigò" Eva ....fino a convincerla ad assaggiare il frutto dell'albero..
"Ma Dio sa che nel giorno in cui mangiaste di esso i vostri occhi si aprirebbero e diverreste come Dio" questo significa che "bramando" poteri divini e illudendosi di diventare come Dio...Eva mangio il frutto e lo fece mangiare anche al suo compagno..trasgredendo la legge divina e cadendo nel peccato. chiaro che la responsabilita è di Adamo e Eva in quanto scelsero (libero arbitrio) di mangiare il frutto....ma c'è anche "qualcuno" cioè il serpente che ha "istigato" il tutto e che fa parte anche ""lui " della creazione di Dio. il serpente, a mio avviso, rappresenta i nostri istinti nascosti , le bramosie di potere, le illusioni che fanno parte di noi ma che allo stesso tempo dobbiamo imparare a controllare o meglio vincere...anche se mi rendo conto è un compito alquanto gravoso e difficile.. ciao sunday |
09-08-2006, 10.01.08 | #65 |
Ospite abituale
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Riferimento: Dio e il problema dell'inferno
E’ vero, lo attesta il primo Libro della Bibbia: Dio pose l’uomo al vertice della Creazione, come se questa fosse cosa compiuta, nonché buona, solo in funzione dell’uomo. Solo dopo aver asservito il Creato all’uomo espresse il concetto di “cosa molto buona”. E’ ipotizzabile e verosimile pensare che Dio avesse generato la migliore Creazione che potesse fare. Un Creato che rispecchiasse la sua intima Natura, che prevedesse e contenesse in sé quegli elementi che del Suo essere erano e sono costitutivi. E’ altrettanto verosimile e conseguente immaginare che quell’elemento disgregante dovuto alla tentazione, ancorché non operante, ma silente, attivato per via della scelta dell’uomo, fosse anch’esso costitutivo del creatore e non alieno al suo essere.
L’uomo, fra quanti sono stati creati da Dio, è l’essere superiore - secondo solo alle figure angeliche, anch’esse parto della volontà creatrice divina - anche se soggiace alla propria indole e ai propri impulsi. Il desiderio e la brama non sono prodotto ed effetto della caduta, ma a lui connaturati. Instillare il sentimento di libertà, d’indipendenza e la tensione verso la conoscenza, soggiogare questa vocazione ad una prescrizione innaturale (che si oppone alla tensione naturale), ricalca e richiama il cammino che l’uomo come individuo compie nascendo. Naturalmente ed istintivamente il bambino propende ad affermare se stesso acquisendo pian piano quella libertà e indipendenza che si concretano anche attraverso una sempre maggiore conoscenza del mondo, propensione che confligge e disputa con la necessità di trovare conforto e protezione fra le braccia amorevoli della propria madre. E il cammino dell’individualità, del suo esaltarsi ed affrancarsi dal giogo protettivo dell’amore materno, genera conflitto. Ciò è la replica eterna e quotidiana del conflitto originario. In ogni uomo coesiste un Prometeo che lotta con se stesso, un esploratore, un Ulisse che tende ad abbandonare la propria patria per dar soddisfazione alla propria brama di conoscere e solcare nuovi mari. Confligge con la necessità di ottenere certezze, perché l’esplorazione che compie nel mondo è un varcare la soglia dell’ignoto, dell’occulto; è penetrare le tenebre, solcare le nebbie. Il passato che si crea attraverso il vissuto - la propria esperienza -, è il filo d’Arianna che dipana per non vagolare incerto all’interno di queste tenebre, è la lanterna che si porta dietro per rischiarare la strada avvolta dalle nebbie. Il primo uomo non aveva un passato che fungesse da esperienza, era privo del filo d’Arianna, del lume. La prescrizione divina di non cibarsi dei frutti dell’albero della conoscenza, era l’unico rogo acceso che scaldasse e illuminasse il suo orizzonte. Volle attingere da quel rogo per condurre con sé quella brace che avvampò la terra. Una brace che illumina, che scalda ma che spesso anche incenerisce. L’atto di disubbidienza innescò l’incendio che dalla notte dei tempi avvampa sulla terra. La scelta originaria fu indotta e libera, costrizione ed espressione assoluta di libertà, perché indotta dalla propria natura ma consapevole disattesa della prescrizione divina. Ogni scelta è così. E’ un soggiacere alla propria indole che però afferma e conferma la nostra libertà di dannazione, ed ogni scelta attizza il fuoco del nostro inferno interiore, ogni nostra decisione ci separa da noi stessi. Anche il linguaggio che utilizziamo come mezzo principe di relazione è un alienarsi da se stessi, perché perde quel filo che ci tiene in comunicazione con quel profondo che spesso tendiamo ad ignorare, che spesso non udiamo se non come una voce flebile. Dio o la Natura instillò nell’uomo questa vocazione o tensione verso il trascendente. Vocazione o tensione costretta entro le maglie strette e inospitali del linguaggio, dell’impossibilità di cogliere il senso e il significato di quanto ci percuote dall’interno, perché esprimiamo in segni ciò che parla attraverso i simboli. I primi soggiacciono alla ratio, si adeguano ad essa e sono decisori; la sacra voce che proviene dal nostro intimo, invece, non ammette senso, essendo ambivalente ed aperta a più di un significato. La ratio e la coscienza operano come setacci, cogliendo di questa voce solo ciò che rispetta il principio razionale di non contraddizione e d’identità. Ciò che ci vive dentro: brame, desideri, impulsi di vita, è il serpente che dalla notte dei tempi ci tenta, ci chiama alla vita, l’unica che Dio o la Natura ha posto ai nostri piedi (o noi ai suoi piedi). Non è corretto affermare che dobbiamo tacitare questa voce sconfiggendo queste brame, questa sete di vita, perché è la pretesa di sconfiggere noi stessi, di renderci amorfi e omologati, tutti uguali senza alterità, senza più nulla da scoprire. Non si può pretendere di sospendere la danza perché il danzatore disconosce i passi e la musica che lo accompagnano. Se la creazione rispecchiasse davvero il disegno divino, non è pensabile che l’inferno che viviamo quotidianamente sia solo germinato dalla nostra Natura o indole peccaminosa. L’inferno abita il cuore di Dio, ed Egli volle crearci a Sua immagine e somiglianza anche sotto questo punto di vista. Se l’inferno è lontananza dalla fonte primigenia, sia essa la Vita in una visione dionisiaca, o quella propugnata dal cristianesimo, anche Dio visse il suo intimo inferno, divenne altro da Sé, tale alterità, tale sua alienazione è germinata nella Creazione che reca appunto i frutti del seme che l’ha fatta germogliare. Ciao |
09-08-2006, 10.37.03 | #66 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Dio e il problema dell'inferno
Citazione:
Avrei voluto ridurre la tua citazione ma come al solito ti esprimi così bene che nulla è da cancellare........ tuttavia io penso che la creazione non finisce mai e sia ancora in corso che Dio crea continuamente e che nulla sia separato da Lui, che a noi fatti a Sua immagime ha datro grandissimi poteri che ancora non sfruttiamo del tutto, che errare, peccare, sbagliare sia l'inevitabile cammino di ogni essere per comprendere il valore del bene, della vera vita, della vera felicità.....pertanto a tutti, a tutti, vengono date infinite possibilità di crescita anche attraverso infinite possibilità di errare.... il giudizio, il concetto di giustizialismo, il separare è tipico di chi non trova l'Unità con Dio ed in questo senso perpetua il suo ritorno in un mondo pieno di "errori",è la teoria del dualismo necessario per comprendere l'unità è la teoria della vita.....non ci può essere vita senza che due esseri si amino e si uniscano per procreare una creatura in questo senso l'anima è sempre in cerca del suo Spirito e solo quando ad esso si congiunge nasce il Nuovo, l'Uomo Nuovo, il Vero Uomo......fino ad allora è sempre in pena (nell'Inferno o nel Purgatorio) chelei stessa crea......In fondo non c'è altra meta se non il cammino stesso, e come dice santa Teresa il Paradiso è il cammino stesso... trovare il Paradiso in terra, atraverso la scoperta del Bene, della Gioia e della Vita e scoprire che tutto è illuminato.....porta l'anima alla Unione con il Tutto in un'estasi mistica che la rigenera e la prepara a nuove missioni...... |
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10-08-2006, 00.02.26 | #67 |
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Riferimento: Dio e il problema dell'inferno
Il vero, intimo problema, a mio parere, è il problema del Male: ossia di come Dio possa averlo creato, permesso o reso possibile.
La questione fondamentale non sta affatto nel "perchè", quanto nel "come", ed è dunque una questione, paradossalmente più teoretica che etica o metafisica. Perchè se "Male" non è ciò che non si conviene, bensì ciò che l'Uomo ritiene che non convenga al naturale decorso della sua esistenza, diviene estremamente problematico attribuire immediatamente al Male un valore "positivo": ossia quello di un ente emergente con qualità specifiche e peculiari. In altre parole: il Male parrebbe piuttosto "limite" delle intenzioni umane, del suo Progetto, del suo agire nella Storia, e non potrebbe che coincidere con il "negativo" dell'esserci umano. Così, ad esempio, la morte circoscrive la vita, come la notte il giorno. In un senso tanto "debole" il Male sarebbe, allora, creato da Dio come naturale e intrinseca caratteristica dell'"esistenza", ossia del "darsi" dell'Uomo entro il percorso effimero della sua "esistenza": ossia di quell'occasione di consapevolezza che gli schiude la possibilità stessa di "interrogare" l'Essere del senso della sua presenza. Il"Male" non sarebbe che il limite, la negazione, la temporalità in quanto "trasformazione" e percorso, la corporeità con le sue grevi insufficienze e patologie, il "freno" della carne alla "trascendenza" dell'Autocoscienza alla creazione di spazio per le sue creazioni... Ma, se così fosse, accederemmo ad una teodicea assai debole, prossima alle filosofie orientali, all'aspirazione all'ascesi come pura e afinalistica frantumazione del limite biologico all'Essere dentro l'Esistere. Una teodicea sgravata di ogni sostanza morale: ossia disancorata da ogni principio di valore attinente alle azioni umane. Per questo, io credo, è legittima e razionale l'attribuzione "positiva" di qualità specifiche inerenti al Male, compresa la sua istanza ipostatica, che ne fa una sorta di persona, nel senso arcaico di "portatore di maschera". Come si rende necessaria, dunque, dentro la Creazione, la determinazione di Satana? Per chi avrà avuto la pazienza di seguire e comprendere i passi precedenti, la mia personale risposta apparirà intuitiva. Satana fu creato affinchè fosse possibile ascendere ed attingere ad una ascesi operativa, ossia mediata dalla prassi e fondata sulla possibilità di una Morale. Satana fu creato affinchè il tragitto frammentario dell'Uomo potesse comporsi e ordinarsi dentro una linearità storica. |
10-08-2006, 10.07.45 | #68 | |
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Riferimento: Dio e il problema dell'inferno
Citazione:
condivido con voi una bellissima poesia scritta da un mio amico Nessuno che sia nato può essere senza ombre, le ha costruite percorrendo il suo cammino. Non colpe, ma inconsapevoli esperienze di un'anima inesperta delle cose del mondo materiale. Lunga è la strada della consapevolezza di sè stessi, il continuo confronto con l'accattivante mondo dei sensi lastrica il percorso di inganni, ritardi, e ilciclo si perpetua nel tempo passato in un lungo ritorno. Occorre grande attenzione ai propri gesti e grande fermezza nei principi per poter abbandonare il pesante bahgaglio costruito dalla mente e dall'ego.. Avvinghiati tenacemente alle loro costruzioni sanno farne spesso una vera prigione per l'anima dalla quale difficilmente riusciranno ad uscire nella vita terrena. Non è il desiderio il problema, senza non si vivrebbe, ma il permettergli una supremazia che non gli compete. L'eccesso, qualunque forma assuma, porta sempre con sè la rovina e un lungo lavoro per ricostruire Mauro Assosamsara |
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10-08-2006, 10.56.23 | #69 | |
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Riferimento: Dio e il problema dell'inferno
Citazione:
Credo di comprendere il concetto da te espresso, ed in una certa misura lo condivido anche. L’accezione ‘debole’ del Male sfocia nella considerazione da te espressa. Se il Male è limite, lo sbocco teoretico che si riversa nell’agire, anzi nella non azione dell’umanità, è o sarebbe quella teorizzata dalla spiritualità orientale. Il limite è l’invalicabile catena montuosa che si erge al nostro orizzonte, che, con la sua presenza che colpisce i sensi, quindi l’esperienza diretta che l’uomo fa di questo limite, dischiude la possibilità di una sua (del limite) trascendenza (un po’ la siepe del Leopardi). La presenza dell’essere, del reale è manifestazione di sé nella sua incompletezza ed è anche annuncio, trans-parire (apparire oltre) del non-essere, è l’oltre, l’al di là del limite stesso. L’oggetto, la sua ‘datità’, il suo darsi ai sensi, è anche appalesamento di assenza ed annuncio di trascendenza. In questo senso il limite interroga l’essere nella sua completezza. Il Male, coincidente con il limite, assumerebbe così la connotazione di negazione – tutto ciò che non è -, e la tensione alla trascendenza coinciderebbe con la tensione alla completezza. Ma le Scritture, forse utilizzando un linguaggio allegorico che dischiude più sensi e significati, descrivono il Male come presenza ‘positiva’, come ipostasi non tanto del limite umano, ma come ‘essere’ che contende la pienezza dell’essere, velandogli la possibilità di un’ambivalenza ed ambiguità multiforme da cui la razionalità rifugge, perché l’intelletto, su cui poggiano i fondamenti del sapere occidentale, aborrisce la contraddizione che regge e sorregge l’ambivalenza. Se da un lato la teodicea fondata sulla corrispondenza e identificazione del Male=Limite rende l’esperienza umana a-storica, privando di significato l’agire umano, dall’altro, quella che ipostatizza il Male, lo inserisce in un percorso teleologico, creando la storia, e l’agire umano è inserito in un percorso finalistico la cui meta è una promessa escatologica, che promuove una tensione esistenziale cui l’azione umana annette senso e significato in funzione appunto della meta da conseguire. Non è Satana che inserisce l’uomo entro la storia, è piuttosto la contesa fra male e la possibilità della sua definitiva sconfitta, che è appunto la promessa dell’ultimo giorno, a dare storicità all’agire umano ed alla sua esistenza. La storia esalta l’uomo e la sua scelta, riproponendolo al centro del creato, facendo germinare in questa architettura la necessità morale cui l’agire deve conformarsi. In tal modo responsabilizza l’essere, ma non svela o non mostra le assenze di cui l’essere è pregno, anzi le nega del tutto. Freud, figlio del suo tempo e della cultura in cui era immerso, inventò l’inconscio, proprio perché colse nell’agire dell’uomo una lacunosità della coscienza. Egli tentò una razionalizzazione ed un impossessamento da parte dell’intelletto speculativo di quanto di noi sfugge allo schema, di quanto è evitamento, eccezione, eccedenza esistenziale, relegando tale eccedenza entro il campo della patologia. Così operando spezzò l’unitarietà dell’essere che è coscienza e inconscio, giorno e notte, presenza ed assenza, essere e non essere, segno e simbolo, linguaggio ed afasia. Esaltò la luce diurna disconoscendo le tenebre. Freud pretese con la sua pur meritoria opera di soggiogare l’insondabile, di proiettare un cono di luce che rischiarasse le ombre, dando risalto solo alla parte razionale dell’uomo che asserviva a sé, alla sua capacità d’analisi anche l’imponderabile e l’incommensurabile che ci permea. Freud attribuì valore solo all’azione della coscienza, ritenendo l’inconsulto come sintomo di patologia, e il disagio esistenziale fu ritenuto da lui come l’effetto della repressione pulsionale, quindi controllabile e redimibile attraverso un processo di analisi che consentisse l’emergere e la decodifica razionale del represso. Non tenne in alcun conto, e non poteva farlo, la possibilità che l’essere nella sua compiutezza sia crepuscolare, essendo sintesi e limine fra luce diurna e tenebre. Quel Male di cui si cerca l’origine, il perché e il per come, è appunto il campo entro cui la luce si confonde con le tenebre, quell’area entro cui la luce è luce pur non essendo più se stessa, ed il buio è oscurità che si rischiara, ed è altro da sé stesso. Condizione colta meglio da Jung, che annesse rilevanza alla coscienza simbolica, cioè una coscienza che disputa con quella razionale ed ammette un’apertura a più sensi e significati, che meglio si coniuga con quell’inferno che ribolle nel profondo di ciascuno di noi. Resta il problema del perché di questa nostra ambivalenza costitutiva. Ovvio che tutto nasce da opinioni, e tutto si traduce e riversa entro un ambito speculativo assolutamente teoretico, ma che ha comunque una qualche attinenza con la realtà della vita. La certezza attiene alla coscienza razionale che attinge apoditticamente dalla realtà, per quanto da essa attingibile in tal modo. Tutto il resto è velato dal dubbio e dal mistero, dall’ambivalenza e dal multiforme. La Vita è ambivalenza, è un coro a più voci che, nell’intonare il proprio canto corale, determina armonia e dissonanza. Negare questo è negare la Vita stessa. L’uomo, con le sue presenze ed assenze, le quali ultime informano circa la possibilità di un oltre rispetto a quanto percepito, rispecchia questa ambivalenza della Vita. Non soggiace ad un unico senso, così come la Vita aborrisce ed è la negazione dell’identità e dell’eguaglianza, essendo ambivalenza. La coscienza razionale, imperante in occidente, traduce questa ambivalenza in coincidenza; uniformando le diversità, smussando gli angoli e le asperità che incontra, lascia ricadere parti essenziali dell’esistere, rappresentandosi un orizzonte ad un unico significato e senso che non ammette la possibilità di più aperture ad sensi e significati non coglibili dall’intelletto, essendo campo d’azione del sentimento. Elide la contraddizione e l’ambiguità marchiandole con l’infamante bolla della patologia e della follia. Disconosce il ctonio e l’irrazionale, rifiutando l’ingresso entro l’antro degli inferi che, seppur negato, rifiutato o disconosciuto, impera invitto nel nostro profondo. La pretesa di tacitare e spegnere la dissonanza e il canto a più voci, è scaturigine di quel male d’esistere, di quel disagio esistenziale che informa il mondo e ciascuno di noi, è l’inferno che rivitalizziamo ed ossigeniamo attraverso la fantasia utopica irrelata e privata del contatto, conforto e confronto con la realtà della vita, fantasia di cui tante spiritualità si fanno portatrici. Ciao |
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11-08-2006, 18.34.20 | #70 |
Ospite abituale
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Riferimento: Dio e il problema dell'inferno
Visechi
Dai tuoi scritti si evince prima di tutto questa domanda: perchè Dio avrebbe dato all'uomo una natura tale da essere tentato alla trasgressione???? Come il bimbo che per crescere e diventare individuo deve staccarsi dalle braccia rassicuranti della madre e sperimentare... Prima della caduta dell'uomo non esisteva la storia... In effetti anche la storia biblica e delle vicende umane parte dalla caduta... Quindi il male sarebbe in qualche modo necessario ma potenzialmente l'uomo può dominarlo... Ma torniamo al fatto del bimbo che all'inizio si identifica con la madre, poi capisce di essere "altro" dalla madre... con una sua individualità... e attraverso la disobbedienza afferma se stesso e la sua personalità... Ma se Dio è il Padre di tutti i suoi figli, e ha dato loro la vita, e li ha fatti a propria immagine e somiglianza.... considerando che la creazione e Dio stesso è Bene e Male, anche i suoi figli avranno una natura spirituale e un istinto che porta a trasgredire.... In effetti il serpente disse loro che sarebbero diventati simili a Dio, ma ha mentito sul fatto che non sarebbero morti... Ora l'uomo conoscendo il bene e il male doveva sperimentare sia l'uno sia l'altro, il bene soprattutto legato alla Volontà di Dio, il male soprattuto legato alla carnalità e alla soddisfazione immediata dei propri istinti... Tornando all'esempio della madre, questa prima di mettere al mondo i figli sa che esiste anche il male e cerca come può di evitarglielo... ma se un figlio, consapevolmente, nonostante tutto l'amore della madre, decide di voltarle la faccia e di fare di testa sua, e perde la vita e muore... non è la madre che l'ha condannato... La creazione completa è intrisa di bene e di male, però la Bibbia ci dice che un giorno il male sarà sconfitto per sempre, e ci fa vedere questo mondo come l'arena dove si svolge questa lotta tra i due estremi... fino alla battaglia finale in cui il male e la morte vengono annientati e rimane solo la luce di Dio. Quindi, se l'ipotesi che Dio è fatto di bene e di male è esatta, Dio dovrebbe sconfiggere una parte di se stesso.... In un certo senso questo è il cammino dell'uomo... per arrivare a essere uno con Dio, deve soffocare o superare certi istinti che lo portano alla trasgressione, in pratica morire a se stesso e rinascere uomo nuovo. Ma nella storia il male non viene direttamente dall'uomo, ne è stato indotto da una figura esterna sia a Dio che all'uomo... anche se per forza di cose creata... ma in un certo senso sottomessa all'uomo, che doveva dominare sul creato e non essere dominato dal male. In quanto alla consapevolezza, se all'uomo è stato precluso l'albero della vita, significa che la sua trasgressione non è stata poca cosa, avendo ottenuto la conoscenza del male non può essere più lo stesso di prima, è una trasformazione interiore e di conseguenza gli è stato precluso l'albero della vita... Quell'albero della vita che si ritrova al Cap. 22 del libro dell'apocalisse... che è per tutti coloro che sono scritti nel libro della vita, e non hanno adorato Satana.... Quindi l'inferno è per Satana e per quanti lo hanno adorato. Un saluto |