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26-07-2014, 10.09.32 | #32 |
Garbino Vento di Tempesta
Data registrazione: 13-05-2014
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?
X CVC
Ho qualche dubbio che le cose stiano come tu le dici e cioè che il desiderio sia sempre un subire e la volontà un atto liberatorio. Il problema più grande è intendersi su cosa l' individuo sia e quali siano le sue prerogative e finalità vitali, dove appunto si infrangono sempre tutte le discussioni e le teorie sull' esistente e sull' esistenza. Concordo con FMJ che il bisogno è prettamente di carattere istintuale, ed è sempre rivolto al soddisfacimento di necessità corporali di carattere vitale. Quelli che io chiamo bisogni primari. Quasi tutti sono determinati dal mantenimento dello stato fisico: l' alimentarsi e il liberarsi delle scorie in eccesso. Tra i bisogni primari, a mano a mano che si sale nella scala vitale c' è da inserire la riproduzione e la territorialità, che però possono anche essere assenti. I bisogni primari sono la base su cui si manifesta il principio di piacere che seleziona i modi, i tempi e gli oggetti su cui rivolgere il bisogno e che fanno scaturire il desiderio. Altra cosa è il soddisfacimento dei bisogni secondari, che sono falsi e di origine sociale. Il desiderio, ad esempio, di acquistare una Ferrari è un falso desiderio ed è condizionato dalla struttura e dal conseguente condizionamento sociale prettamente umano. Su questo argomento consiglio vivamente la lettura di Avere o Essere di Fromm. Il principio di piacere però spesso altera il soddisfacimento dei bisogni primari, portando l' individuo a soddisfare il desiderio anche in assenza di una pulsione proveniente dal bisogno stesso. E questo si ha sia nell' alimentazione che nella sessualità. Nel contesto umano però è presente anche la razionalità che valuta a sua volta a livello conscio e da cui scaturiscono propositi di volontà che non sempre vengono recepiti dall' individuo in modo attivo. Questo è un passaggio fondamentale, a mio avviso, che sembra inficiare il fatto che la volontà sia un atto attivo e non passivo. E a questo riguardo porto quasi sempre l' esempio di decisioni prese in un contesto razionale che poi incontrano serie difficoltà di applicazione quando devono diventare azione. L' io che agisce, prendendo con le molle il termine 'io', a mio avviso, è una risultante di tutte le spinte emotive e razionali. Un individuo sano è quello in cui tutto funziona nel modo più armonico possibile, con tutte le varianti che questa affermazione può significare. Sia il desiderio che la volontà, perciò, a me sembrano essere fattori che vengono vissuti passivamente dall' io che agisce e con cui deve costantemente fare i conti. La psiche umana è qualcosa di ancora profondamente sconosciuto. Dove lo stabilire a priori situazioni e classificazioni della sua fenomenologia è molto arduo. Non dimenticando che siamo noi stessi, e cioè la parte in causa, a valutare la stessa funzionalità. Sorvolo sul desiderio riguardante i vizi che merita una argomentazione a parte e ringrazio sia l' amico Mymind che FMJ per le citazioni fatte sul mio intervento. Garbino Vento di Tempesta. |
26-07-2014, 11.08.10 | #33 | ||||||
Ospite abituale
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?
** scritto da CVC:
Citazione:
E' questo il punto, se uno si sente schiavo è perché non è in sintonia con la verità, serve la menzogna, ma a scindere e discernere il vero ed il falso è la volontà non il desiderio. E' questo il nucleo del nostro dubbio (tutto il resto è consequenziale), credere o non credere a questo messaggio: “Se rimanete nella mia parola, siete realmente miei discepoli, e conoscerete la verità, e la verità vi renderà liberi” (Giovanni 8:31, 32). Esempio, pochi giorni fa, su internet, c'erano delle foto di un ragazzo iraniano con il cappio al collo, pronto per essere impiccato perché reo di un crimine efferato: essere cristiano e non abiurare. Non penso che quel giovane uomo (28/35 anni calcolo io dalle foto) desiderasse morire impiccato nel 2014, ma lo ha voluto, perché ha preferito non perdere la libertà che la sua fede gli dona, in cambio di servire una menzogna e divenirne schiavo (forse per sempre), illudendosi di essere libero. E lo testimoniano la gioia e la sicurezza dell'espressione del suo volto. --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- ** scritto da Mymind: Citazione:
Grazie alla coscienza che gli indica l'insoddisfazione ancora presente nel suo intimo, l'indomani della realizzazione di tutti i suoi desideri ("soltanto la felicità di questo mondo non ripaga nessuno" - Zenti) : fisici e mentali. Citazione:
Esatto, il desiderio nasce dal cuore, non dalla sua natura fisiologica, ma nella sua naturale trascendenza. Esso puo' condurre a soddisfare i piaceri della carne o il vuoto esistenziale:- "Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. (Ga 5, 16-17) Quindi il desiderio ha una doppia identità di natura, ed è il nostro libero arbitrio a scegliere, e solo Dio puo' estinguerli, non l'individuo, infatti non esiste essere umano senza desideri. Inoltre la naturale evoluzione ha una fine (oltre che un fine, ma questo è un altro discorso), e non tutti incontrano la spiritualità entro quel termine, zittendo il bisogno vitale di quella ricerca. Citazione:
Giusto, il bisogno vitale che affermo sopra. Noi desideriamo, realizziamo, continuiamo a desiderare, costruiamo ancora, ma mai quel vuoto di libertà coerente viene completamente soddisfatto, poiché manca di colmare il desiderio supremo: saper amare (la verità), amare per davvero e con tutto noi stessi (la Verità Assoluta per qualcuno), e la mancanza di questa realizzazione totale nell'amore ci sprona a desiderare con volontà il suo mistero. Citazione:
Certamente, ma perché essere pienamente sicuri e coscienti di sé di amare quell'uomo o quella donna, e, avendone l'occasione e una consapevolezza di essere corrisposto, non rivelarglielo? Citazione:
Ma niente si fa per dovere, tutto è grazie al volere, anche il genitore, il sacerdote, il politico, la femminista, il tuo lavoro, non dipendono da un dovere interiore, quello è solo succube alla Fede; siamo e saremo sempre messi innanzi ad una scelta, Dio propone e non impone, e tu hai la grazia di poter decidere di non essere definito, e non puoi far niente per cambiare questo enigma. Infatti diceva Teresa di Calcutta:- " l'unico dovere umano è giungere alla santità"!! La grazia la ricevono tutti col solo dono della vita, poi tocca a noi sentirsi o meno potenziali colpevoli d'essere giustiziati. -------------------------------------------------------------------------------------------------- Fà che la morte mi trovi vivo. - (G. Faletti) Pace&Bene |
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26-07-2014, 11.10.30 | #34 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 17-12-2011
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?
Citazione:
Il desiderio come pulsione in analogia allo stimolo fisico ,è del tutto naturale e non ha nulla a che fare con la volontà, semmai poi quest'ultima guida, finalizza, educa il desiderio. Avete fra tutti scritto cose che ritengo giuste, ma visto che CVC mi sembra sia simpatizzate per gli stoici allora ci aggiungerei l'aspetto fondamentale che in qualche modo relaziona il desiderio e la volontà:la morale. Se la pulsione inconscia è una psicoenergia, la morale è il filtro che sta fra conscio e inconscio è il super-io che costruisce le condizioni per cui quella pulsione viene raccolta dalla sfera della volontà e veicolata verso una teleologia, uno scopo, una finalità, anche se il desiderio come pulsione essendo naturale non può estinguersi in una finalità razionale, si ripropone a livello conscio manifestandosi in maniera anche diversa per essere elaborato più o meno dalla volontà. Se non c'è filtro fra desiderio e volontà allora il soggetto è maniacale. Si direbbe che in questo caso la volontà asseconda totalmente il desiderio annientando il filtro della morale. Questa si potrebbe definire come una serie di condizioni di "se" (non il SE ), in cui vi sono la nostra educazione, le convenzioni sociali e a sua volta una nostra personale morale che ha più o meno alterato e cambiato quella morale acquisita. Una persona altamente morale utilizza la volontà per sublimare il desiderio, in altre parole utilizza molto la sfera razionale per educare il desiderio o addirittura inibirlo. Il problema allora si pone sulla qualità di quella morale che utilizza con la volontà per deviare, canalizzare una psicoenergia che è dettata dalla libido, dal desidero Il desiderio in molte spiritualità è visto come peccato, come colpa in sè. Allora nasce la contrapposizione fra natura con i suoi istinti e la ragione come ordine superiore, di dominio di quei desideri che appunto o li educa moralmente oppure li blocca, li inibisce sottraendo l'oggetto se proprio non si può fare a meno del desiderio. In questo momento devo chiudere un breve studio sul peccato originale attraverso l'interpretazione di Agostino d'Ippona, forse il filosofo che più di tutti ha colpevolizzato il desiderio (concupiscenza) ed esaltato la sfera della volontà proprio mezzo salvifico da quel peccato che originò la caduta umana. La donna come figura umana e storica , ne uscì come colpevole come oggetto e soggetto del desiderio, della colpa. Il modo in cui l'uomo decide di risolvere filosoficamente una problematica costituisce una cultura e questa a sua volta ruolifica in questo caso per secoli, se non per millenni, il modo in cui la donna è stata vista. Capire questo significa capire il ruolo della filosofia e della cultura, tanto che Nietzsche torna a quelli origini per annichilire quella tradizione che per lui aveva costruito la morale dell'uomo imprigionato e mediocre. La problematica è quindi complessa negli ordini dell'irrazionale e razionale, del sentimento e della ragione, del desiderio e della volontà, delle morali ed etiche e dell'utilitarismo egoistico. |
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26-07-2014, 13.54.54 | #35 | ||||||
Utente bannato
Data registrazione: 23-06-2014
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?
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Viva le donne e il desiderio che mi spinge verso le donne. Esseri divini... Citazione:
FMJ |
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27-07-2014, 07.44.01 | #36 |
Ospite abituale
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?
@maral
Non capisco perchè la realizzazione della volontà dovrebbe rappresentare un'alienazione dal mondo reale. Non credo proprio che un uomo che riesca a portare a compimento gli scopi che ritiene più importanti veda il mondo meno realisticamente di chi non ci riesce. Altrimenti, se il nostro scopo qui è comunicare un messaggio, dovremmo sostenere che ha una visione più realistica della realtà chi parte col voler dire una cosa e alla fine ne dice un'altra. Mi pare un non senso @Garbino Appunto, intendersi su cosa sia l'individuo, in altri termini capire quale sia l'essenza dell'uomo. Ma se l'essenza dell'uomo è quella di rendersi migliore, e se il desiderio è un atto per lo più istintivo, allora non si può sapere se ciò cui conduce il desiderio è in linea con ciò che desideriamo intimamente se prima non ci riflettiamo. Il desiderio nasce inconsciamente, perciò è passivo, non si può evitarlo. Se vedi una donna avvenente è inevitabile provare un impulso, un istintivo voler far proprio l'oggetto che stimola appetenza, ma sarà la ragione a dire se ci sono le condizioni per agire in un modo o nell'altro. Agendo dopo aver ragionato ed aver preso piena coscienza della situazione, allora diventi attivo. D'altronde la legge punisce maggiormente chi è in grado di intendere e volere, chi è presente a se stessso al momento di delinquere. L'intenzionalità è aggravante di un reato perchè implica maggiore partecipazione. E' evidente che il desiderio è passivo e la volontà attiva @Duc in altum E' più facile cercare di correggere la realtà che correggere se stessi @paul11 Infatti un pezzo forte dello stoicismo è la dottrina dell'assenso. A livello inconscio può presentarsi in noi qualsiasi tipo di rappresentazione, ma sta a noi decidere se assentire o meno. Come mi pare dicesse Freud, indagando l'inconscio, può capitare, magari a seguito di una situazione d'ira o frustrante, di desiderare la morte di qualcuno. Poi ad un esame più approfondito della coscienza uno si chiede come è possibile aver pensato una cosa del genere. In altre parole, l'importante non è tanto quello che pensiamo, ma il valore che diamo a quello che pensiamo. Non è importante fare quella o quell'altra cosa, pensare quella o quell'altra cosa, ma il modo in cui facciamo e pensiamo. Siamo noi che diamo valore alla nostra esistenza mediante il nostro giudizio morale. Non sono le cose che determinano la nostra felicità, ma il giudizio che ne diamo. E in questo siamo totalmente liberi. Come sostenevano Antistene, Diogene, Epitteto, nessuno può forzarci ad esprimere un giudizio morale contro la nostra volontà, nemmeno se veniamo fatti schiavi, nemmeno se veniamo torturati. Di Agostno so poco, mi pare che fosse tormentato dal rimorso per un furto di pere commesso in gioventù, e che il tormento fosse reso ancor più struggente l'atto dell'aver commesso il fatto per il puro piacere di compierlo. Così mi pare un pò troppo. Ma non conoscendo molto di Agostino non si può limitare a questo il giudizio su di lui, ho solo detto, fra le cose che ho sentito su Agostino, quella che mi ha impressionato di più |
27-07-2014, 12.39.03 | #37 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?
Citazione:
Sono sostanzialmente d’ accordo con quanto affermi. Ci sono desideri rispondenti a bisogni primari la cui soddisfazione è necessaria per la sopravvivenza: sono tendenze comportamentali geneticamente determinate che hanno passato il vaglio della selezione naturale (vaglio “alquanto a maglie larghe”, contrariamente a quanto pretenderebbero gli “iperselezionisti” del presunto “egoismo dei geni” a la Dawkins: viene eliminato solo il “troppo inadatto” -o inadatto oltre un certo limite- all’ ambiente presente, il quale muta nel tempo, oltre che nello spazio; e non invece tutto tranne il “superadatto”, che ben presto, al primo serio mutamento ambientale, non sarebbe più adatto per niente e verrebbe eliminato anch' esso a sua volta). E ci sono, sia negli uomini sia in varia misura in quasi tutti gli altri animali, bisogni secondari, non “pseudofinalizzati alla sopravvivenza”, contrariamente ai primi, ma “fini a se stessi”, per così dire. E questo proprio per il fatto che la selezione naturale non è una lotta forsennata ed egoistica di tutti (tutti i geni, tutti gli individui, tutte le specie, tutte le altre classi tassonomiche) contro tutti: come già ben sapeva il grande Darwin, esiste anche la selezione sessuale (oltre ad altre caratteristiche dell' evoluzione biologica scoperte dopo di lui) che fa sì che il mondo vivente sia caratterizzato da una meravigliosa varietà di forme e comportamenti, non affatto limitati a quelli soli che assicurano la massima sopravvivenza e riproduzione possibile di genomi, individui, specie, ecc. in determinate condizioni ambientali. Ovviamente il soddisfacimento dei bisogni primari, legati alla sopravvivenza (e riproduzione ) dell’ individuo (oltre che di genomi, specie, ecc.; ma ciò che più conta ai fini dei nostri ragionamenti è l’ individuo animale dotato di coscienza che li avverte e in base ad essi agisce), é anche condizione (mezzo) del soddisfacimento anche degli altri secondari “fini a se stessi”. Il nocciolo della questione è secondo me il fatto che (in generale, ma tanto più quanto più è complesso, plastico, creativo il comportamento; e nell’ umanità attraverso quello che può ben essere considerato un autentico “salto di qualità” rispetto agli altri animali) esiste una pluralità di bisogni primari e secondari che solo in parte (piuttosto piccola, almeno nell’ uomo) sono compatibili reciprocamente e con le circostanze ambientali “obiettive” in cui si vive. Di conseguenza si devono compiere delle scelte (e qui sta il problema). La soddisfazione di taluni desideri non è oggettivamente possibile e perseguirla porta inevitabilmente a fallimenti e frustrazioni (all’ infelicità, ovvero a ciò che per definizione non è voluto; e magari alla morte che impedisce la realizzazione di qualsiasi altro desiderio, e dunque della felicità; peraltro anche alla fine di qualsiasi desiderio insoddisfatto, e dunque anche dell’ infelicità). Nell’ uomo (oltre che probabilmente per lo meno in qualche infima misura anche in altri animali) agli istinti o desideri (non razionali: non dedotti, calcolati ma semplicemente sentiti, avvertiti) si aggiunge la facoltà della ragione (e –sono propenso a credere dopo l’ invenzione del linguaggio- l’ autocoscienza, cioè la coscienza di poter -e prima o poi dover- morire come individuo, col che va a farsi benedire qualsiasi desiderio potenzialmente soddisfacibile, ovvero qualsiasi potenziale felicità; oltre che infelicità. Ed anche come specie. Ed anche come vita nel suo complesso). La ragione non ci dice cosa (cercare di) fare ma cosa si può (realisticamente, di fatto) fare, e come, con quali mezzi (cercare di) farlo, non ci fa avvertire desideri, volontà, pulsioni a fare qualcosa ma ci dice come stanno le cose (ovviamente in misura limitata; e salvo sempre possibili errori) circa la realtà di noi stessi, dell’ ambiente in cui viviamo, e in particolare circa la conciliabilità o meno dei nostri desideri primari e secondari con l’ ambiente in cui viviamo -e in caso positivo attraverso quali mezzi- e reciproca fra di essi. Già è difficile valutare razionalmente la compatibilità dei desideri con l’ ambiente (che essendo costituito da “res extensa”, per dirlo con Cartesio”, è misurabile, conoscibile scientificamente, calcolabile) e dunque cercare di calcolare quali insiemi di desideri siano coerenti intrinsecamente e con l’ ambiente e dunque realisticamente conseguibili nel loro insieme (per esempio il piacere secondario e più o meno artificioso ovvero meno o più “autentico” di fumare o quello certamente più “autentico” di mangiare cibi dal gusto ottimo ma poco salutari non sono oggettivamente conciliabili -se non alquanto limitatamente- con quello primario, e dal quale dipende la possibilità di soddisfare tutti gli altri attuali o potenziali desideri, di avere una buona probabilità di vivere a lungo e in salute). Ma ancor più difficile è valutare e comparare fra loro le intensità dei diversi desideri onde stabilire quale insieme di essi intrinsecamente coerente e presumibilmente realistico (=soddisfacibile complessivamente) sia più forte o intenso (e dunque se soddisfatto foriero di maggiore felicità, se insoddisfatto di maggiore infelicità) rispetto agli altri insiemi ad esso alternativi. Qui infatti si tratta di “res cogitans” non passibile di misurazione: come ho illustrato con esempi banali negli interventi precedenti, se a mala pena possiamo (ma neanche sempre; e di fatto raramente in modo nettissimo e indubitabile) stabilire se un desiderio sia più intenso o meno di un’ altro, del tutto impossibile è stabilire di quanto lo sia. E dunque a maggior ragione è estremamente difficile e insuperabilmente dubbio, incerto stabilire se un insieme coerente e realistico di desideri sia maggiore o minore degli altri ad esso alternativi. [CONTINUA] Ultima modifica di sgiombo : 28-07-2014 alle ore 08.20.23. |
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27-07-2014, 12.50.33 | #38 |
Ospite abituale
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?
[CONTINUAZIONE]
Questo è il difficile della vita (e in modo decisamente superiore a quello della vita di qualsiasi altro animale, il difficile della vita umana); o per lo meno, a mio parere, la difficoltà di gran lunga maggiore (non unica). Ma per quanto la ragione sia fallibile e limitata nell’ esame della res extensa e incomparabilmente di più nell’ esame della res cogitans, tuttavia, come già sapevano a mio parere più o meno conseguentemente tutte le principali correnti filosofiche ellenistiche (stoica, epicurea, scettica), resta uno strumento fondamentale per cercare la felicità: quanto più e meglio si riesce a ponderare bene le scelte alternative che ci si trova ad operare, tanto maggiore è la reale possibilità concreta, effettiva di agire bene ed efficacemente (=di conseguire la felicità); quanto più si agisce “di impulso”, acriticamente, seguendo “senza farsi problemi” istinti e desideri immediatamente avvertiti, senza pensare (calcolare, nei limiti del possibile) alle prevedibili conseguenze anche lontane nel tempo e nello spazio delle nostre azioni, tanto più ci si espone al rischio dell’ infelicità (di doversi pentire delle proprie azioni). E gli attuali assetti sociali “capitalistici in avanzato stato di putrefazione” sono purtroppo quanto di più irrazionalistico possa darsi. Infatti tendono oggettivamente ad imporre la concorrenza fra unità produttive (imprese) reciprocamente indipendenti (senza correlazione alcuna) nella ricerca del massimo profitto "individuale" di ciascuna di esse a breve termine temporale e a qualsiasi costo sociale e ambientale attraverso la crescita illimitata di produzioni e consumi (= la trasformazione non complessivamente calcolata dell’ ambiente e lo sfruttamento illimitato delle sue risorse, le quali sono limitate) la quale oggettivamente tende sempre più pericolosamente a mettere a repentaglio la sopravvivenza umana (=a rendere insoddisfatti i bisogni primari, dai quali dipende la soddisfazione anche tutti gli altri secondari, di tutta l’ umanità). E il “vietato vietare” di quelli che con Fusaro e il suo compianto maestro Preve considero i “miserabili sessantottini” (ma devo precisare che malgrado le virgolette non credo l’ espressione sia letteralmente di questi filosofi torinesi; nella sostanza non ho dubbi che la considererebbero propria; per la cronaca faccio parte anagraficamente di quella generazione), nonché le pretese di origine sostanzialmente psicoanalitica, freudiana di “liberazione degli istinti” e soppressione delle inibizioni -“è l’ istinto che mi fa volare … l’ illusione della realtà della ragione” (Bennato)- credo ne costituiscano le più conseguenti (e per me ripugnanti) espressioni ideologiche (sempre per la cronaca, non posso negare che la musica delle canzoni di Bennato mi piace). |
27-07-2014, 21.58.09 | #39 | |
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?
Citazione:
Ovviamente so benissimo che se voglio mandarti un messaggio una volta che te l'ho mandato realizzando questo specifico desiderio possa sentirmi soddisfatto e considerare ogni cosa conclusa, ma questa non è la volontà espressa in senso ontologico a cui mi riferisco. |
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28-07-2014, 02.48.00 | #40 |
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?
Il desiderio è strettamente correlato ad una volontà profonda che lo determina.
Quella stessa volontà profonda che presiede ai bisogni primari (che se ne voglia dire differentemente). I bisogni primari non sono esclusivamente quelli della sete e della fame ma ancor più ed forse ancor prima o parimenti quelli identitari. Ovvero quelli relativi al senso, alla finalità profonda attraverso cui sperimentiamo di essere. Ciò che determina l’identità profonda senza la quale persino la sete e la fame possono venire differentemente convogliati. C’è quindi una corrispondenza strettissima tra il desiderio e l’identità (o come direbbe qualcuno, processo d’individuazione). La volontà non è quella forza esterna che solitamente crediamo di poter dirigere ma quella spinta interna e profondissima strettamente congiunta al senso identitario più profondo. Laddove si snoda il senso più profondo il desiderio ne diventa il relativo specchio; nelle piccole cose come nelle più importanti. Anche il desiderio apparente non è che segno di una volontà ben determinata da un senso identitario che governa e muove l’essere dal profondo. In quest’ottica non esistono desideri superficiali e desideri fondati: ma desideri maschera e desideri radice. Ma tutti proprio tutti null’altro che spinta interiore di bisogni autentici che secondo “realtà” prendono differenti aspetti. La stessa fame e sete nel neonato è tutt’uno al corrispettivo simbolico di essere (tramite l’identità materna creativa e sostentatrice). Poco conta, a mio avviso, se tale coscienza di simbolismo divenga coscienza mentale solo molto “tempo” dopo. La volontà profonda già si esprime cogliendone il senso identitario. Ciò che muta fondamentalmente non è che il segno esterno e non il senso o simbolismo. Come detto precedentemente quindi anche i desideri indotti non sono fittizi, fittizia è la forma, il segno, attraverso cui compaiono, attraverso cui la nostra coscienza mentale è in grado di accoglierli. Ci sono desideri riconosciuti e desideri celati, eppure tutti ma proprio tutti rispondo a quella volontà profonda che muove al di sotto e dona le rispettive forme secondo (compromessi di) "realtà". Infine, il gioco di libertà non resta che nella trasparenza attraverso cui cogliamo ciò che ci anima al di là di ciò che sembra apparire.. Ancora una volta il mezzo pur apparendo tale null'altro è se non il fine medesimo.. |