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13-06-2014, 20.58.26 | #42 |
Ospite abituale
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Riferimento: Gnoseologia
Aggressor:
Delle due alternative che riporti la prima presuppone che una coscienza, ancorché rinchiusa in sé stessa, possa, in un modo o nell'altro, vedersela col noumeno; la seconda lasciamola stare perché creerebbe vari problemi aggiuntivi (so bene che propendi per la prima comunque). Cioè, sebbene possa risultare contro-intuitivo un rapporto tra coscienze (almeno inizialmente), che dire del rapporto tra coscienza e "materia in sé" che tu stesso proponi (userò il termine materia ad indicare la corrispettiva controparte in sé -rispetto al contenuto mentale che avremmo di lei- o noumeno)? Sgiombo: Propendo per la prima spiegazione, ma anche la seconda mi sembra del tutto accettabile. Entrambe non sono troppo “intuitive”, ma non ne vedo altre: non mi sembra un buon motivo per scartarle, tanto più in mancanza di altre. Il termine “materia” lo userei per gli oggetti fenomenici materiali (“res extensa”), altrettanto fenomenici del pensiero (“res cogitans”), né più, né meno. La cosa in sé non essendo fenomenica (non costituita da sensazioni) non può essere identificata né con la materia né con il pensiero (entrambe fenomeniche: esse est percipi!). Aggressor: In qualche modo pur postulando una corrispondenza tra eventi noumenici/materiali e consci si deve postulare: o una armonia prestabilita tra coscienza e materia (e qui la valanga di problemi) o, a questo punto, qualcosa di alternativo: magari un legame causale, simile a quello che supponiamo esserci tra eventi materiali, intercorrente, appunto, tra le due realtà ontologiche in discussione. Cioè si deve considerare la coscienza capace di patire/reagire gli effetti della materia, similmente rispetto a quanto si suppone valido per la materia stessa cioè tra oggetti materiali, o non se ne esce. Ma se la coscienza può reagire causalmente alla forma del noumeno, allora nulla toglie che questa proprietà possa essere riportata tra coscienze e non tra coscienze e noumeno (le difficoltà esplicative sarebbero identiche). In altre parole il supposto mediatore noumenico per la corrispondenza tra eventi mentali -postulato anche e soprattutto, a questo punto, in quanto saremmo incapaci di comprendere una relazione diretta tra le coscienze- comporterebbe il difficile e analogo compito di spiegare quella relazione scatenante la corrispondenza tra coscienza e materia. Sgiombo: Non è possibile postulare interazioni causa/effetto fra mente e materia per la chiusura causale del mondo fisico (la materia) necessaria perché possa darsi conoscenza scientifica di questo. Ciò che può sensatamente postularsi (e che secondo me non pone proprio alcun problema!) è un divenite “parallelo”, in reciproca corrispondenza biunivoca (e non interazione), fra noumeno e fenomeni (materiali e mentali o di pensiero) oppure, effettivamente fra le diverse esperienze fenomeniche in assenza di noumeno (per una sorta di armonia prestabilita fra di esse). Aggressor: Secondo la mia idea, la relazione tra coscienze sarebbe mediata dalla materia in quanto contenuto mentale rappresentate esse stesse. Ma una analisi linguistica più accurata farebbe notare l'impossibilità di astrarre "la coscienza" dai suoi contenuti, cosicché dire che esiste solo la materia o solo la coscienza sarebbe lo stesso (qui non ho avuto modo di ragionare molto però). Sgiombo: Queste parole devo dire che non le comprendo proprio per nulla. Aggresor: Ma il linguaggio è solo la punta dell'iceberg delle facoltà umane; esso deriva dalle pulsioni e da una miriade di altri lavori che il cervello opera per far sì che possiamo muoverci nella realtà efficacemente. Se cammino senza cadere, se posso riprodurmi ecc. non è grazie al linguaggio; quindi è normale che senza di esso le altre funzioni possano più o meno ritenersi operative (come di fatto accade). Sgiombo: E allora perché obietti alla mia affermazione che possino darsi sensazioni (per esempio visione) senza pensiero delle sensazioni, malgrado i molteplici complessi intrecci fra le diverse funzione cerebrali e corrispondentemente di coscienza? Aggressor: La vista e tutte le altre capacità sono certamente, in parte, localizzate ed autosufficenti, ciò non toglie che si possano portare moltissimi esempi per delinearne l'interazione reciproca senza di cui, come credo sia piuttosto palese considerando l'esempio della telecamera, neanche emergerebbero coscientemente nel modo in cui le intendiamo. Sgiombo: Non ho mai negato queste interazioni reciproche; ma esse non tolgono che possa darsi e di fatto si dia sensazione senza pensiero della sensazione (che è a sua volta un’ ulteriore sensazione fenomenica (mentale o “cogitans”). |
13-06-2014, 21.29.02 | #43 |
Ospite abituale
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Riferimento: Gnoseologia
Epicurus:
In filosofia, ma anche in ogni altra pratica umana, dalla fisica delle particelle a questioni più mondane della vita d’ogni giorno, il concetto di razionalità è centrale. In Gnoseologia, questo concetto di razionalità coincide con quello di giustificazione epistemica (da qui in poi solo di giustificazione). L'importanza di questo concetto è tale che tradizionalmente si reputa che la conoscenza sia (almeno) una credenza vera e giustificata. Questo perché non si vuole che la conoscenza sia infondata, infatti, per parlar di conoscenza si richiede che il soggetto abbia anche delle buone ragioni per credere ciò che crede. La domanda alla quale cercherò di rispondere è la seguente: quand'è che una credenza è giustificata (o razionale)? Storicamente ha sempre predominato l'idea che la giustificazione di una credenza sia fornita da un'altra credenza già giustificata da un'altra credenza giustificata, quest'ultima giustificata a sua volta da un'altra credenza giustificata, così via, innescando un regresso. Questo processo finisce o non finisce? Se non dovesse finire pare chiaro che allora nessuna nostra credenza sarebbe giustificata. Il fondazionalismo fa finire questo regresso con degli assiomi che sono assunti come tali perché autoevidenti per il soggetto. Tale tesi ha sempre rappresentato la corrente dominante in filosofia, ma questa non è l'unica concezione della giustificazione. In contrapposizione al fondazionalismo, si trova il coerentismo: perché una credenza sia giustificata è sufficiente che sia coerente con tutte le altre nostre credenze. Tuttavia, entrambe queste posizioni paiono molto problematiche. Qui di seguito presenterò una terza via (molto simile a quella proposta da Laurence BonJour in “The Structure of Empirical Knowledge”) che tenta di prendere il meglio da entrambe le posizioni per fornire una proposta di giustificazione più adeguata. Ho chiamato tale posizione “coerentismo gerarchico” perché prendere elementi sia dal coerentismo sia dal fondazionalismo. Dato S che crede p, p è giustificata per S se e solo se: (a) p ha un alto grado di coerenza nel sistema doxastico D di S; (b) D è un sistema olistico e gerarchico; (c) S è in grado di esibire la coerenza di p. Il sistema doxastico D viene qui modellato come proposto dall’olismo epistemico di Quine, cioè come un campo di forza. Un’immagine più intuitiva è data dalla struttura della ragnatela: questa è fortemente intrecciata ed e su di essa è definito un ordine di centralità. Quindi, D è olistico perché il sistema è una rete fortemente interconnessa in cui ogni nodo è collegato a moltissimi altri, cioè ogni credenza ne sostiene delle altre. D è gerarchico perché in D vi sono elementi più centrali di altri: al centro risiedono le credenze più generali e che posseggono quindi un numero spaventoso di connessioni, mentre in periferia si trovano le credenze più specifiche e che posseggono quindi un limitato numero di connessioni. Da ciò si deduce che più una credenze è centrale, maggiori saranno i cambiamenti del sistema doxastico nel caso di un mutamento di tale credenza. Sgiombo: Invero non vedo differenze fra questa concezione e quella fondazionalista (per la quale la coerenza fra le conoscenze mi sembra un’ ovvia necessità per così dire sottintesa): infatti necessariamente si basa su determinati assunti indimostrati e indimostrabili. Epicurus: Mi pare utile, a questo punto, far notare che il grado di centralità di cui sto parlando coincide con il grado di indubitabilità di Peirce. Un indubitabile è una credenza che, malgrado gli innumerevoli sforzi per scovare qualche ragione per dubitane, tali ragioni non si riescono a trovare. Gli indubitabili, quindi, non sono credenze immuni alla revisione; queste credenze, infatti, rimangono indubitabili fintantoché non si sarà mostrato un motivo genuino per dubitarne. Per la stessa natura del sistema doxastico che ho presentato e dei meccanismi che illustrerò a breve, tale equivalenza dovrebbe essere palese. Risulta così che il coerentismo gerarchico è un modello intrinsecamente fallibilista. Sgiombo: Ma quali sono (se non i giudizi analitici apriori che non dicono sulla realtà nulla –nessuna conoscenza- che non sia già implicitamente inclusa nelle premesse) gli indubitabili? Epicurus: Prima di affrontare la natura del legame tra credenze vorrei chiarire brevemente il punto (c). Affinché si ritenga che un individuo sia giustificato a credere p, da una parte si richiede che tale individuo creda p sulla base di buone ragioni, dall’altra si è consapevoli che un qualsiasi individuo ha un numero infinito di credenze e che quindi non può aver già pronta un’argomentazione a favore di ogni sua credenza. E’ proprio per evitare questo problema che viene richiesto, non che si dispongano già di ragioni per ogni credenza, ma che si abbia la capacità di esibire tali ragioni se viene sollevata la questione su una determinata credenza. Si è detto che il tipo di connessione tra le credenze in D consiste nella coerenza, ma che cosa si intende quando si dice che un insieme di credenze è coerente? Si parla di coerenza tra credenze, a livello intuitivo, per indicare quanto bene tali credenze legano tra loro, in opposto al loro livello di attrito. Naturalmente non intendo una semplice consistenza logica. Il rapporto di connessione tra le credenze è di tipo inferenziale: se un gruppo di credenze è giustificato, allora può essere usato come premessa di un argomento in grado di giustificare nuove credenze. La coerenza, quindi, ha a che fare con i seguenti desiderata epistemici: consistenza logica, coerenza probabilistica, semplicità, conservatorismo, potenza esplicativa, eleganza e progressività (a là Lakatos). Tra questi principi vi sono diverse tensioni, perciò il massimo grado di coerenza del sistema si trova nei punti di equilibrio. Sintetizzando: la giustificazione è una questione di compromessi tra diversi principi epistemici in un sistema doxastico gerarchico e olistico. Sgiombo: Che significa “coerenza probabilistica”? Perché è necessaria la semplicità (penso che nulla vieti alla verità di essere eventualmente anche complicata, almeno in certi casi)? Che significano “eleganza” e “progressività (a la Lakatos)? (Spero si possibile spiegarlo in poche parole nel forum e non sia necessario leggere Lakatos; o per lo meno avrei bisogno di qualche considerazione nel forum che mi convinca che vale la pena leggere Lakatos piuttosto che altri autori). Epicurus: Se ci si dove fermare qui, il coerentismo gerarchico non supererebbe la critica mosse al coerentismo classico secondo la quale un tale sistema doxastico sarebbe condannato ad essere isolato dal mondo. Tale critica, tuttavia, viene disinnescata se si abbandona il livello astratto e si osserva più da vicino come effettivamente nasce ed evolve il sistema doxastico di un essere umano. Un uomo, inizialmente, non avrà un vero e proprio sistema doxastico, non essendo in grado di articolare alcunché e non essendo in grado, quindi, di riflettere, di esprimere dubbi o di chiedere ragioni. La dimensione semantica non è stata ancora raggiunta. Semplicemente, il vedere ed il ricordare non saranno tanto dissimili dal mangiare: questi eventi accadranno e basta ed il bimbo reagirà ad essi in modo istintivo. Non vi è spazio, perciò, per discussioni sull’affidabilità delle percezioni o della memoria. Con il tempo, tuttavia, si svilupperà sempre più un sistema proto-doxastico, fino a giungere un sistema doxastico maturo. Proprio per questo sviluppo, il sistema (proto-) doxastico inizialmente conterrà credenze indubitabili come “la percezione è la fonte di molte credenze vere” e “la memoria è fonte di molte credenze vere” Sgiombo: Perché dovrebbero essere indubitabili (ovviamente in teoria, per chi voglia dedicarsi alla filosofia; non in pratica)? Epicurus: ; successivamente, però, il sistema doxastico evolverà grazie all’apporto di nuove credenze e alla continua riorganizzazione interna secondo i principi epistemici. Tali indubitabili saranno così rimpiazzati da un corpus di credenze molto complesso che verterà sulla qualità delle condizioni epistemiche per garantire o meno un alto grado di affidabilità della percezione e della memoria (e di altre fonti epistemiche). Sgiombo: Come? |
14-06-2014, 16.17.17 | #44 | |||||
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Riferimento: Gnoseologia
Citazione:
E' un inglesismo internettiano, significa in my humble opinion Citazione:
Ma io sono perfettamente d'accordo sul fatto che la realtà potrebbe essere limitata all'unico livello dell'esperienza cosciente. Come dicevo nel mio primo post, è un ipotesi perfettamente valida. Anzi, reputo il riconoscere l'esistenza quantomeno dell'Io penso "l'assioma" fondamentale. Tuttavia, il nostro "intuito" fondamentale, profondo (lo stesso che ci dice che esiste qualcosa anziché il nulla, e che io esisto), e che io credo sia superiore sia all'esperienza e sia alla razionalità (nel senso di imprescindibile: o accettiamo queste sue "risultanze" basilari o non possiamo più dire alcunché su nessuna cosa) ci dice con forza che esiste una realtà fuori da noi, ontologicamente e causalmente non riducibile e riconducibile alla sola attività dell'Io Penso. Quindi... "atto di fede"... in un certo senso sì, ma è un atto di fede ben ponderato, in quanto: a) quella che io chiamo l'intuizione realista è così profonda e fondamentale che è forte il dubbio che sia erronea b) una volta messa in dubbio, non vi sono evidenze che ci inducano a pensare che non esista una realtà fuori da noi... anzi. Per esempio la presenza di altri Io con conoscenze che io non posso avere a priori (a meno di non ipotizzare un delirante super Io che si auto-inganna creando una serie di scatole cinesi gnoseologiche), il successo e il funzionamento pratico della scienza... sono tutti indizi (non evidenze, indizi) che mi portano ad essere ancora meno dubbioso sul fatto che esista una realtà esterna indipendente dal Soggetto c) ammesso e non concesso che sia un atto di fede, è un atto di fede necessario se si vuole avere una teoria della conoscenza soddisfacente, che distingua il sogno dalla veglia, le allucinazioni mistiche dalle risultanze scientifiche e via discorrendo. Citazione:
il passaggio che non condivido è che la montagna esiste unicamente fintanto che è percepita. Esiste una porzione di realtà si configura (assume la forma, le proprietà, le caratteristiche) come montagna quando entra in rapporto con un Soggetto, ma quando non viene percepita non vedo perché debba essere qualcosa di completamente diverso. Essa sarà sempre molte cose, diverse tra loro, ma sempre (in potenza o in atto) anche montagna. Pensa a una "sovrapposizione" di stadi, tutti egualmente possibili.. tipo il gatto di schroedinger (lo uso impropriamente, ma è abbastanza chiaro). Il gatto (o meglio, la porzione di realtà c.d. gatto) si configurerà, per esempio come "gatto morto" quando entrerà "a sistema" con un ipotetico l'osservatore, ma nel frattempo non è che "non esista" o "esista in un modo totalmente diverso e dunque inintelliggibili". Esiste in molti diversi modi possibili, tra cui quello di gatto vivo ma anche quello di gatto morto. E quando l'osservatore aprirà la scatola, si configurerà in uno di questi modi. Non c'è nessuna contraddizione a mio avviso. Solo se si nega il multiforme, il complesso, l'interconnesso e mutevole, in una parola la pluralità, come ontologica. Citazione:
continuo a non vedere nessuna contraddizione. Se esiste un oggetto (porzione di realtà) che quando entra in rapporto con soggetto x determina l'accadere della configurazione c.d. montagna, e tale oggetto (porzione di realtà) è parimenti esistente quando, pur non entrando in rapporto con il soggetto x bensì con altri soggetti y,z o altri oggetti a,b,c,d, (perché se esiste un solo livello della realtà, nessun oggetto è mai completamente slegato dal Tutto, ma "è" in un mondo di relazioni e rapporti, e dunque configurazioni) e si configura in altre innumerevoli possibili modalità, allora questo "qualcosa" - oggetto (porzione di realtà) - sarà costitituito dall'insieme delle configurazioni in potenza o in atto, tutte parimenti esistenti e ontologiche. Se vuoi chiamare questo "insieme di possibilità", questo "essere in molti modi" degli oggetti, e indicarne l'inconoscibilità oggettiva e completa, come "noumeno", sottoscrivo tranquillamente. Ma tale concezione non porta necessariamente ad affermare che noumeno sia completamente inintelleggibile dal soggetto. Perché? Perché quanto non è qualcosa di completamente diverso dalla configurazione assunta in rapporto con il soggetto che pretende di conoscerlo. Esso è anche la configurazione assunta con il soggetto, in atto o in potenza. Citazione:
Tu per me sei "sgiombo, utente compente". Per tu madre sarai "francesco, amato figliolo". Per la scienza sarai un "organismo senziente dotato di organi, cervello, mente". Quando ti rapporti con me attraverso il web assumi diverse caratteristiche rispetto da quando ti rapporti direttamente con tua madre o con un neuroscienziato, nessun dubbio. Eppure, quando non ti rapporti con me, e dunque non ti configuri in quanto "sgiombo, utente competente", ti distingui comunque da chiunque altro, tra le altre cose, anche per il fatto che, in potenza, potrai configurarti con me come "sgiombo, utente compente", laddove essi non potranno. Tu esisti allo stesso tempo come sgiombo e francesco e organismo altre infinite possibili configurazioni, anche quando tali possibilità non sono oggetto di percezioni/sensazioni altrui o altro tipo di rapporto. E non c'è nessun "noumeno", un "te in sè", che trascenda l'insieme di tutte queste configurazioni multiformi e variabili, attuali o potenziali. "Tu" è un modo per definire convenzionalmente quella porzione di realtà che, in relazione ad altri oggetti o soggetti assume, perde, riacquista, determina tutta una serie di possibili configurazioni tra cui quella di "sgiombo, utente compente", e non necessariamente qualcosa di più di questo (a meno di non ipotizzare un anima immortale? Un Io Penso metafisico?). E dunque, perché una montangna dovrebbe funzionare diversamente da te, in quanto porzione della medesima realtà? |
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15-06-2014, 21.25.48 | #45 |
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Riferimento: Gnoseologia
PRIMA PATRTE
Giulioarretino: Ma io sono perfettamente d'accordo sul fatto che la realtà potrebbe essere limitata all'unico livello dell'esperienza cosciente. Come dicevo nel mio primo post, è un ipotesi perfettamente valida. Anzi, reputo il riconoscere l'esistenza quantomeno dell'Io penso "l'assioma" fondamentale. Tuttavia, il nostro "intuito" fondamentale, profondo (lo stesso che ci dice che esiste qualcosa anziché il nulla, e che io esisto), e che io credo sia superiore sia all'esperienza e sia alla razionalità (nel senso di imprescindibile: o accettiamo queste sue "risultanze" basilari o non possiamo più dire alcunché su nessuna cosa) ci dice con forza che esiste una realtà fuori da noi, ontologicamente e causalmente non riducibile e riconducibile alla sola attività dell'Io Penso. Quindi... "atto di fede"... in un certo senso sì, ma è un atto di fede ben ponderato, in quanto: a) quella che io chiamo l'intuizione realista è così profonda e fondamentale che è forte il dubbio che sia erronea b) una volta messa in dubbio, non vi sono evidenze che ci inducano a pensare che non esista una realtà fuori da noi... anzi. Per esempio la presenza di altri Io con conoscenze che io non posso avere a priori (a meno di non ipotizzare un delirante super Io che si auto-inganna creando una serie di scatole cinesi gnoseologiche), il successo e il funzionamento pratico della scienza... sono tutti indizi (non evidenze, indizi) che mi portano ad essere ancora meno dubbioso sul fatto che esista una realtà esterna indipendente dal Soggetto c) ammesso e non concesso che sia un atto di fede, è un atto di fede necessario se si vuole avere una teoria della conoscenza soddisfacente, che distingua il sogno dalla veglia, le allucinazioni mistiche dalle risultanze scientifiche e via discorrendo. Sgiombo: Talora ho l ‘ impressione che intendiamo affermare almeno in qualche misura le stesse cose con parole diverse (in conseguenza di una diversa importanza attribuita a questo o quell’ aspetto del discorso). E’ interessante chiarire se e fino a che punto sia così. Mi sembra di poter constatare che siamo d’ accordo sul fatto che la realtà potrebbe essere limitata all'unico livello dell'esperienza (fenomenica) cosciente immediatamente esperita (accadente). Però abbiamo (accade, nell’ ambito della “nostra esperienza fenomenica cosciente) un’ insopprimibile esigenza <<”intuito" fondamentale, profondo>> secondo le tue parole, a credere che esistiamo “noi” come soggetti di conoscenza (e di azione) e “qualcos altro là fuori”, oltre a noi, come oggetto. E’ un atto di fede. Tout court, secondo me: fortissimo, insopprimibile (tant’ è vero che chi non lo avvertisse non sarebbe considerato sano di mente), ma assolutamente gratuito, infondato, indimostrabile (probabilmente tu preferiresti dire: assolutamente gratuito, infondato, indimostrabile, ma fortissimo, insopprimibile). Abbiamo anche l’ intuito fondamentale, profondo che la terra sia piatta e che il sole le giri intorno, ma non è altrettanto insopprimibile, tant’ è vero che osservando e ragionando ci rendiamo conto che è falso. Di quello dell’ esistenza di “noi” e di “qualcos altro là fuori” non è possibile rendersi conto (dimostrare) che sia falso, né che sia vero; si può però rendersi conto che è indimostrabile, che lo si crede solo per fede (e potrebbe anche darsi che ci si inganni); questo ci accade e costituisce un importante progresso (di conoscenza; analogo a quello della comprensione di come sono effettivamente la terra e il sistema solare) se siamo filosofi, cioè interessati alla conoscenza (della realtà) e alla realtà fino in fondo, conseguentemente: se siamo interessati a stabilire criticamente in che senso, con che limiti, a quali condizioni conosciamo la realtà. (in pratica, cioé per chi non sia filosofo ma abbia altri interessi, tutto ciò non ha alcuna importanza o conseguenza degna di attenzione). Nell’ ambito di quella realtà là fuori per analogia possiamo ipotizzare (e tendiamo irresistibilmente a credere; per induzione, che non dà certezza assoluta indubitabile: Hume! Tantomeno per il fatto che si tratta di ricavare per induzione molteplici fatti da un unico fatto: induzione “alquanto anomala”, forse piuttosto per semplice analogia, che per un’ induzione vera e propria) che ai corpi, per lo meno quelli umani, simili al “nostro proprio” corrispondano (o in qualche modo coesistano) altre esperienze personali coscienti. Sono d’ accordo che il “funzionare praticamente” (nelle sue applicazioni tecniche) della conoscenza scientifica “corrobora” o rinforza efficacemente (pur senza dimostrarne la verità) l’ insopprimibile tendenza spontanea di cui sopra a credere che la realtà non sia limitata alla sola esperienza fenomenica cosciente immediatamente esperita ma comprenda anche soggetto ed oggetti di essa. Non sono invece d’ accordo che consenta di distinguere con certezza indubitabile il sogno dalla veglia, le allucinazioni mistiche dalle risultanze scientifiche e via discorrendo: nulla ci garantisce che così non sia (che da un momento all’ altro ci si possa svegliare e accorgere che tutto ciò che abbiamo finora esperito non è che un sogno): perché sia vero deve essere vero (è necessario che sia veritiero l’ indimostrabile atto di fede di cui sopra circa) l’ eccedere i dati immediati di esperienza diretta da parte della realtà. Giulioarretino: il passaggio che non condivido è che la montagna esiste unicamente fintanto che è percepita. Esiste una porzione di realtà si configura (assume la forma, le proprietà, le caratteristiche) come montagna quando entra in rapporto con un Soggetto, ma quando non viene percepita non vedo perché debba essere qualcosa di completamente diverso. Essa sarà sempre molte cose, diverse tra loro, ma sempre (in potenza o in atto) anche montagna. Pensa a una "sovrapposizione" di stadi, tutti egualmente possibili.. tipo il gatto di schroedinger (lo uso impropriamente, ma è abbastanza chiaro). Il gatto (o meglio, la porzione di realtà c.d. gatto) si configurerà, per esempio come "gatto morto" quando entrerà "a sistema" con un ipotetico l'osservatore, ma nel frattempo non è che "non esista" o "esista in un modo totalmente diverso e dunque inintelligibili". Esiste in molti diversi modi possibili, tra cui quello di gatto vivo ma anche quello di gatto morto. E quando l'osservatore aprirà la scatola, si configurerà in uno di questi modi. Non c'è nessuna contraddizione a mio avviso. Solo se si nega il multiforme, il complesso, l'interconnesso e mutevole, in una parola la pluralità, come ontologica. Sgiombo: Quando non accadono (accade) nell’ ambito della “nostra” esperienza cosciente (la percezione di) quelle forme e colori di rocce di neve, di alberi, ecc., (di) quello spirare di venti, (di) quegli odori di fieno e/o di resina, ecc., allora ciò che è detto “quella montagna” non esiste, non accade realmente. Se (come inevitabilmente credo per fede) esiste realmente qualcosa anche allora mi sembra ovvio che tale qualcosa non possa essere quelle forme, quei colori, ecc. ma qualcosa di diverso da tutto ciò. Trovo non calzante la metafora del Gatto di Schroedinger (fra l’ altro il grande viennese propose il celebre esperimento mentale per negare -per il fatto che il gatto o è vivo e non morto oppure è morto e non vivo mentre non ha senso dire che è sia vivo sia morto- l' interpretazione conformistica “di Copenhagen” dell’ indeterminazione quantistica, che fieramente osteggiava, così come il grande Einstein e il grande de Broglie); le sensazioni fenomeniche, per esempio quelle della nostra montagna, non possono configurarsi che nel modo in cui si configurano nelle nostre rispettive esperienze coscienti (e in tali configurazioni potremo ritagliare enti ed eventi con una certa arbitrarietà, per esempio considerare anziché l’ intera montagna il bosco che ne copre parte delle falde, o magari soltanto uno o qualche albero). Sarà casomai il noumeno a “configurarsi variamente come fenomeno nelle diverse esperienze coscienti” (se con queste parole intendiamo che al noumeno potranno corrispondere varie sensazioni fenomeniche nelle varie esperienze coscienti); ma i “contenuti” o le componenti di ciascuna di queste sono unicamente ciò che sono (determinati particolari insiemi di sensazioni -e solo quelli- variamente corrispondenti a, o "configuranti" determinati enti o eventi “in sé” nell’ ambito delle diverse esperienze coscienti). A mio avviso non c’ è nessuna contraddizione solo se si afferma che lo stesso ente o evento in sé o noumenico può “manifestarsi” o “configurarsi” in modi relativamente diversi come fenomeni (nel senso che gli possono corrispondere diversi enti o eventi fenomenici in diverse esperienze coscienti). |
15-06-2014, 21.35.19 | #46 |
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Riferimento: Gnoseologia
SECONDA PARTE
Sgiombo: E se c’è qualcosa che quando entra in rapporto con il soggetto (un “oggetto”) determina l’ accadere della “configurazione” (fenomenica) della montagna, e che dunque è reale allorché questa “configurazione” fenomenica non la è (anche allorché l’ oggetto non entra in rapporto con il soggetto), allora questo “qualcosa” -oggetto- non è (costituito da) tali sensazioni fenomeniche (altitudine, freddo, rocce aguzze) che non esistono mentre esso esiste: sarebbe contraddittorio pretenderlo. Giulioarretino: continuo a non vedere nessuna contraddizione. Se esiste un oggetto (porzione di realtà) che quando entra in rapporto con soggetto x determina l'accadere della configurazione c.d. montagna, e tale oggetto (porzione di realtà) è parimenti esistente quando, pur non entrando in rapporto con il soggetto x bensì con altri soggetti y,z o altri oggetti a,b,c,d, (perché se esiste un solo livello della realtà, nessun oggetto è mai completamente slegato dal Tutto, ma "è" in un mondo di relazioni e rapporti, e dunque configurazioni) e si configura in altre innumerevoli possibili modalità, allora questo "qualcosa" - oggetto (porzione di realtà) - sarà costitituito dall'insieme delle configurazioni in potenza o in atto, tutte parimenti esistenti e ontologiche. Se vuoi chiamare questo "insieme di possibilità", questo "essere in molti modi" degli oggetti, e indicarne l'inconoscibilità oggettiva e completa, come "noumeno", sottoscrivo tranquillamente. Ma tale concezione non porta necessariamente ad affermare che noumeno sia completamente inintelleggibile dal soggetto. Perché? Perché quanto non è qualcosa di completamente diverso dalla configurazione assunta in rapporto con il soggetto che pretende di conoscerlo. Esso è anche la configurazione assunta con il soggetto, in atto o in potenza. Sgiombo: Dire che “questo oggetto” di cui parliamo, esistendo anche allorché non è in relazione con alcun soggetto, e dunque non esiste alcuna sensazione fenomenica che gli possa corrispondere (in cui possa “configurarsi” nelle rispettive esperienze coscienti), cioè allorché non esistono i corrispondenti fenomeni (per esempio le percezioni della solita montagna), è la stessa cosa di (si identifica con) tali fenomeni = dire che qualcosa che esiste è la stessa cosa di (si identifica con) qualcosa che allo stesso tempo non esiste. Adesso la vedi? Giulioarretino: Tu per me sei "sgiombo, utente compente". Per tu madre sarai "francesco, amato figliolo". Per la scienza sarai un "organismo senziente dotato di organi, cervello, mente". Quando ti rapporti con me attraverso il web assumi diverse caratteristiche rispetto da quando ti rapporti direttamente con tua madre o con un neuroscienziato, nessun dubbio. Eppure, quando non ti rapporti con me, e dunque non ti configuri in quanto "sgiombo, utente competente", ti distingui comunque da chiunque altro, tra le altre cose, anche per il fatto che, in potenza, potrai configurarti con me come "sgiombo, utente compente", laddove essi non potranno. Tu esisti allo stesso tempo come sgiombo e francesco e organismo altre infinite possibili configurazioni, anche quando tali possibilità non sono oggetto di percezioni/sensazioni altrui o altro tipo di rapporto. E non c'è nessun "noumeno", un "te in sè", che trascenda l'insieme di tutte queste configurazioni multiformi e variabili, attuali o potenziali. "Tu" è un modo per definire convenzionalmente quella porzione di realtà che, in relazione ad altri oggetti o soggetti assume, perde, riacquista, determina tutta una serie di possibili configurazioni tra cui quella di "sgiombo, utente compente", e non necessariamente qualcosa di più di questo (a meno di non ipotizzare un anima immortale? Un Io Penso metafisico?). E dunque, perché una montangna dovrebbe funzionare diversamente da te, in quanto porzione della medesima realtà? Sgiombo: Io in quanto “sgiombo utente competente -invero assai poco!- del web”, in quanto Giulio amato figlio di mia madre, in quanto organismo esaminato da un biologo o da un mio collega (medico) sono (in ogni e ciascuno di questi casi) insiemi di sensazioni fenomeniche nell’ambito di varie esperienze coscienti; inisemi di sensazioni fenomeniche reali unicamente fintanto che accadono: esse est percipi! Queste “configurazioni fenomeniche” di me in quanto “oggetto”, cosa in sé o noumenica esistente anche allorché esse non esistono (in atto, ma soltanto potenzialmente) sono enti o eventi fenomenici nell’ ambito di varie esperienze fenomeniche relative a “soggetti” di sensazioni -anch’ essi entità in sé o noumeniche- realmente esistenti o accadenti unicamente allorché si stabiliscono determinati rapporti fra tale oggetto e tali soggetti; i quali invece esistono anche allorché tali rapporti non si stabiliscono e tali enti o eventi fenomenici non esistono o non accadono: dunque sono altre diverse -seppure corrrispondenti- cose! Solo potenzialmente esisto (== può succedere che esista a determinate condizioni =/= esito; molto =/=!) come Sgiombo, Giulio, o il mio corpo (nell’ ambito di determinate esperienze coscienti) fintanto che esisto come cosa in sé “oggetto” == ciò potrebbe eventualmente succedere che accada a certe condizioni, ma non dandosi tali condizioni non succede affatto! Dunque dire che sono reale come Sgiombo, come Giulio o come il mio corpo allorché tali insiemi di sensazioni (così denominati) non sono reali (nelle rispettive coscienze) è una contraddizione; non la è dire che sono reale anche allora ma solo come (intendendosi per “me”) qualcosa di ben diverso da tali insiemi di sensazioni (che in tali circostaze non sono reali), per quanto ad esse corrispondete “per filo e per segno”: un' entità in sé o noumenica oggetto di tali potenziali sensazioni. Se non c’ è nessun noumeno (oggetto di sensazione) che trascende queste “configurazioni fenomeniche”, al quale esse corrispondono in occasione di determinati rapporti fra esso e determinati altri noumeni (soggetti), allora esse (tali “configurazioni fenomeniche”) non esistono proprio in alcun modo (non esiste proprio alcun modo non contraddittorio e sensato di intendere che esse esistono) allorché tu non leggi i messaggi di Sgiombo nel forum, allorché mia madre non mi vede, allorché nessun biologo mi studia (== allorché esse non esistono). Lo stesso vale ovviamente anche per qualsiasi altro oggetto fenomenico, il cui “esse” è ugualmente soltanto un “percipi”, come per esempio la solita montagna. Ultima modifica di sgiombo : 16-06-2014 alle ore 08.57.26. |
15-06-2014, 23.20.36 | #47 |
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Riferimento: Gnoseologia
In questa interessante discussione introdotta da giulioarretino è a mio avviso importante sottolineare che ogni vera conoscenza è attribuzione di significati all'oggetto e l'attribuzione di significati è momento sempre soggettivo. Ogni conoscenza dell'oggetto implica il riconoscere un soggetto che lo significhi e ne venga a sua volta significato in relazione ad esso.
Immaginiamo di avere una stanza in cui si trova un osservatore con il compito di rappresentarla fedelmente. Potremmo certo chiederci se potesse esiste la stanza vuota, senza alcun osservatore (una sorta di stanza noumenica), ma non credo che tale domanda avrebbe alcuna possibilità di risposta effettiva, dunque torniamo alla nostra stanza con un osservatore. Per rappresentarla fedelmente come richiesto l'osservatore non potrà limitarsi a rappresentare gli elementi che si trovano davanti al suo sguardo, dovrà pure rappresentare se stesso che è in quella stanza determinandone la prospettiva che al suo punto di osservazione compete. Non potrà cioè rappresentare se stesso nell'atto di osservare, perché il se stesso così oggettivato non è in quella stanza, è un "come se", proprio come un pittore che dovendo dipingere un interno si raffigurasse nel quadro mentre dipinge, ma collocandosi necessariamente in un punto diverso per entrare in quella prospettiva di osservazione. Non mi pare che nemmeno la soluzione di una coerenza gerarchicamente determinata da posizioni nodali possa risolvere la questione poiché questa coerenza ha ancora ovviamente un valore semantico che non trova in se stessa la sua giustificazione. Poniamo infatti che nella stanza vi siano più osservatori ognuno dei quali la raffigura da un punto prospettico diverso in base a ciò che coerentemente appare. Ogni posizione avrà la sua coerenza intrinsecamente corretta anche se in contrasto con altre, ma chi potrà giudicare con ragione di verità quale coerenza è preminente? Quali punti nodali sono predominanti e quali periferici? Con quale criterio in sé "oggettivo"? Dovremmo forse introdurre un osservatore degli osservatori che sta su un presunto nodo di tutti i nodi? Ma chi osserverà tale osservatore per garantire la coerenza del suo criterio prospettico di coerenza? Il problema gnoseologico sembra inevitabilmente avvilupparsi su se stesso all'infinito, come in un gioco di specchi che si riflettono l'un l'altro senza fine, complicato ulteriormente dal fatto che non solo è l'osservatore a porre la prospettiva di significato senza il quale nulla si può conoscere, ma è la prospettiva stessa con cui la stanza si dispone a porre l'osservatore che le compete, che è il significato stesso a determinare il significante che lo determina come quel significato. Soggetto e oggetto restano dunque polarità diverse, ma coesistenti della medesima realtà ed è folle pensare a una realtà completamente soggettiva (un significante privo di ciò che viene a significare) quanto a una realtà completamente oggettiva (un significato privo di qualsiasi significante che lo significhi), anche se sarebbe molto più comodo e definitivo rispetto a quell'ambiguo gioco di specchi che si riflettono continuamente l'un l'altro all'infinito suscitando meraviglia e inquietudine. |
16-06-2014, 11.30.54 | #48 |
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Riferimento: Gnoseologia
Sgiombo:
Ciò che può sensatamente postularsi (e che secondo me non pone proprio alcun problema!) è un divenite “parallelo”, in reciproca corrispondenza biunivoca (e non interazione), fra noumeno e fenomeni (materiali e mentali o di pensiero) Ma quello che volevo farti notare è che questo "divenire parallelo" può essere spiegato "razionalmente", a sua volta, solo tramite un'armonia prestabilita (e a questo punto converrebbe rimanere con le coscienze e la loro armonia prestabilita). Come fanno 2 cose diverse ad evolversi tenendo conto una dell'altra senza che tra esse vi sia una qualche relazione diretta? Io credo che l'unico motivo per cui una cosa del genere possa sembrare plausibile sia tautologico rispetto alla domanda sulla sensatezza della cosa in sé; cioè: dato che siamo abituati a pensare che esistono degli oggetti noumenici con controparte fenomenica, siamo abituati a pensare che possa esistere un oggetto e qualcos'altro che si evolva parallelamente ad esso. La tautologia sta nel fatto che si tende a giustificare la sensatezza della cosa in sé in virtù delle conseguenze che una cosa del genere comporterebbe, cioè delle conseguenze che la nostra mente è abituata ad accettare pur non realmente giustificabili (mi pare). Quello che ho affermato dopo e che non hai capito posso provare a riesplicitarlo: ciò di cui abbiamo effettivamente cognizione più che "la coscienza" sono gli oggetti della coscienza (se hai cognizione della coscienza vorrei che me la descrivessi; ma credo che sia un po come tentare di descrivere lo spazio-tempo credendo che abbia senso al di là degli oggetti che "ricadrebbero" in esso). Gli oggetti della coscienza che per semplificazione assocerei, per ora, ai soli visivi, li chiamo "materia", in quanto di essa (della materia) noi abbiamo esperienza principalmente in questo modo (poi alcuni associano alla materia una controparte noumenica non esperita). Ora, il nostro modo di comportarci può essere giustificato, anche, come reazione alla materia esperita, nel senso che se passo da una stanza ad un altra tramite una porta, ad esempio, è perché vedo che quello è uno spazio agibile tramite cui soddisfare la mia esigenza. Quello che voglio fare, allora, è ridurre la materia al suo stato fenomenologico (di qui anche la valenza gnoseologica della mia proposta), in quanto esso può essere portato come esempio di reazioni causali, ed affermare che gli oggetti materiali si influenzano l'un l'altro tenendo conto della forma che possiedono solo in quanto "contenuti mentali". Questo, certo, presuppone che le coscienze (o meglio, i contenuti delle coscienze) non siano chiuse in sé stesse ma che siano come la materia, in relazione continua con altra materia, o che, appunto, le 2 cose non siano davvero diverse. Cioè: ciò che consideriamo un "contenuto mentale" sarebbe veramente la materia che si relaziona con gli altri "contenuti mentali", cioè con altra materia. Inoltre vorrei farti notare una cosa. Leggendo un altro tuo post ho visto che abbiamo una credenza in comune: "dire che -una cosa- esista é una pura e semplice tautologia che non dice nulla sulla realtà: ciò che é é"; dimmi se non ho un po astratto malamente da un contesto che rendeva questa frase applicabile solo accidentalmente o non nel modo in cui l'ho interptretata, ma ciò significherebbe pure che il noumeno non ha senso, perché di esso si dovrebbe solo affermare che esiste (non conoscendone il contenuto formale). Insomma, io sono in prima linea se si vuole affermare che delle cose si deve dire "come sono fatte" e non che "sono fatte" =cioè= "che esistono", perché con quest'ultima affermazione non si dice nulla. Sgiombo: Ma il linguaggio è solo la punta dell'iceberg delle facoltà umane; esso deriva dalle pulsioni e da una miriade di altri lavori che il cervello opera per far sì che possiamo muoverci nella realtà efficacemente. Se cammino senza cadere, se posso riprodurmi ecc. non è grazie al linguaggio; quindi è normale che senza di esso le altre funzioni possano più o meno ritenersi operative (come di fatto accade). Sgiombo: E allora perché obietti alla mia affermazione che possino darsi sensazioni (per esempio visione) senza pensiero delle sensazioni, malgrado i molteplici complessi intrecci fra le diverse funzione cerebrali e corrispondentemente di coscienza? Innanzitutto perché ho detto: "più o meno". Poi affermerei di più il contrario: se non ti rendi conto di vedere la strada che fai ma riesci a seguirla lo stesso, forse sarebbe più consono dire che hai pensato inconsciamente ad essa (cioè hai elaborato gli output adatti per relazionartici adeguatamente) senza vederla. A meno che, come mi è sembrato che tu abbia già fatto, non vuoi affermare che la vista sia già un elaborazione delle risposte migliori a certi input, cosa che invece io associo al pensare conscio o inconscio che sia (cioè, se non è conscio lo continuo a chiamare pensiero). Maral: Non mi pare che nemmeno la soluzione di una coerenza gerarchicamente determinata da posizioni nodali possa risolvere la questione poiché questa coerenza ha ancora ovviamente un valore semantico che non trova in se stessa la sua giustificazione. Poniamo infatti che nella stanza vi siano più osservatori ognuno dei quali la raffigura da un punto prospettico diverso in base a ciò che coerentemente appare. Ogni posizione avrà la sua coerenza intrinsecamente corretta anche se in contrasto con altre, ma chi potrà giudicare con ragione di verità quale coerenza è preminente? Ciao Maral! Volevo dirti che secondo me non c'è bisogno di stabilire, al di fuori del fatto che alcuni modi di osservare la stanza siano, effettivamente, più comuni, una gerarchia della preminenza d'un punto prospettico che si basi sul qualcosa che non sia, appunto, il verificarsi stesso di questa preminenza empiricamente. Io credo che l'ipotesi da me riportata sia la meno astratta o semantica perché: 1- non affermo l'esistenza di cose in sé (e mi pare che il problema di pensare le cose in sé sia sempre stato evidente, sin da Platone con le sue idee), soprattutto, cosa che non sento molto da altri, non applico il concetto di cosa in sé alla coscienza pensandola come qualcosa di chiuso/monadico (nonostante, appunto, un po tutti ammettano la difficoltà di cogliere cose in sé, e così anche la difficoltà di poter parlare di simili cose); 2- non postulo l'esistenza di qualcosa di qualitativamente diverso da ciò che cogliamo effettivamente. Il punto meno "evidente" è che ammetto l'esistenza di altre coscienze, ma poiché mi appello all'inseparabilità degli enti (concetto che può essere dimostrato più facilmente) credo di poter riuscire a giustificare il fatto che non si possa separare ed arginare la coscienza propria in quanto cosa che apparterrebbe a me e non ad altri enti diversi, staccati, ed indipendenti. L'appello a "diverse coscienze" sarebbe anche una approssimazione "scientifica" di una "unità" intrinseca (in realtà credo che non dovremmo parlare né di unità né di molteplicità), in quanto parlando così si facilita la comprensione delle cose, un po come quando si parla degli atomi separatamente ma poi si ammette che tutti quelli dell'universo sono in stato entanglement. Giulioarretino E non c'è nessun "noumeno", un "te in sè", che trascenda l'insieme di tutte queste configurazioni multiformi e variabili, attuali o potenziali. "Tu" è un modo per definire convenzionalmente quella porzione di realtà che, in relazione ad altri oggetti o soggetti assume, perde, riacquista, determina tutta una serie di possibili configurazioni tra cui quella di "sgiombo, utente compente", e non necessariamente qualcosa di più di questo In questo sono del tutto in accordo, non esisterebbe un Aggressor se non in relazione a qualcos'altro. Non solo. In base a questo principio non dovremmo nemmeno considerare la "relazione" come interazione tra 2 cose, poiché, altrimenti, queste 2 cose dovrebbero essere pensate come consistenti già prima della relazione stessa. La relazione è una parola, una descrizione scientifica, ma quello che di fatto ho davanti è semplice trasformazione e mutamento d'un "unico" fenomenologico stato materiale/mentale. Poi si può tentare di prevedere e comprendere l'armonia di tale mutamento. Un cordiale saluto a tutti |
16-06-2014, 13.44.45 | #49 | |
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Riferimento: Gnoseologia
Citazione:
Una stanza rappresentata da più osservatori anche da punti di vista prospettici diversi offre dei denominatori comuni di osservazione dati dalla descrizione della rappresentazione che nell'esempio è la stanza. Non si opera allo stesso modo anche nell'insiemistica? Se ogni osservatore è un insieme e questo contiene più elementi, saranno gli elementi comuni a determinare i punti di contatto dell'osservazione e giustificare e validare l'osservazione, almeno per quegli elementi condivisi. |
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16-06-2014, 23.26.51 | #50 | ||
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Riferimento: Gnoseologia
Citazione:
I punti nodali a cui si è fatto riferimento esprimono appunto una preminenza di opinione (doxa) che che è posizione di potenza e quindi la nostra conoscenza "doxastica" riflette solo una preminenza in volontà di potenza di cui la coerenza diventa elemento ad essa funzionale, funzionale cioè non a come stanno veramente le cose, ma a come vogliamo (è conveniente alla volontà di potenza) che esse debbano stare. In tutto questo avverto una lettura della conoscenza in termini pragmatici, che restano particolarmente apprezzati e condivisi nel nostro mondo dominato dalla visione tecnica, ma in questa preminenza data all'opinione c'è pure un richiamo assai più antico a quella sofistica che ha ormai decisamente e definitivamente soppiantato in una larga parte del campo filosofico la ricerca epistemica che si era illusa di poterla soppiantare. Citazione:
Forse è proprio questo gioco di specchi che consente quella unica coscienza a cui fai riferimento di cui le coscienze individuali non sono che fenomeno localmente delimitato. Se la realtà è fenomeno relazionale, la coscienza è necessariamente fenomeno della intera realtà e non semplicemente individuale. |
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