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09-06-2014, 12.44.30 | #12 |
Ospite abituale
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Riferimento: Gnoseologia
@ Aggressor
Secondo me ti stai chiudendo in un circolo vizioso: si vuole supporre la materia come semplice contenuto mentale, ma per dimostrarlo si deve ricorrere alla dimostrazione dell'esistenza di una coscienza esterna al soggetto percipiente. |
10-06-2014, 13.55.37 | #13 |
Nuovo ospite
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Riferimento: Gnoseologia
grazie a tutti per le risposte e per il benvenuto
ritorno su un solo punto: non capisco perché ipotizzare una conoscenza di tipo ontologico degli Oggetti sia necessariamente contraddittoria. Certamente non è dimostrabile, certamente ogni tipo di conoscenza non potrà che essere soggettiva e filtrata attraverso le categorie proprie del soggetto (vedasi anche il principio di indeterminazione), e una tesi che affermi il contrario (ovvero che quello che percepiamo è mera apparenza fenomenica, contrapposta alla cosa in sé che invece ci è sempre preclusa) è comunque auto consistente e razionale. Tuttavia nessuna evidenza o indizio (almeno, imho) lascia pensare che le nostre conoscenze della "realtà esterna" non siano proprietà intrinseche di quella stessa realtà, ma al contrario una mera apparenza fenomenica. parafrasando il famoso mito di Platone: perché mai le ombre nella caverna dovrebbero essere un "fenomeno" contrapposto al "noumeno" che sta fuori? Perché le ombre non potrebbero invece essere parte di una realtà complessa, di un "sistema" che comprende l'oggetto fuori, il soggetto, e le ombre stesse? Anche il solo fatto di esservi un ombra percepita e interpretata da un Soggetto, ci dice qualcosa sulla realtà come è. Sicuramente non tutto, probabilmente non molto, ma perché non qualcosa? In altri termini: se per "inconoscibilità della cosa in sè" si intende l'impossibilità da parte del Soggetto di accedere a una conoscenza della realtà che sia oggettiva, definitiva, data, indipendente dal soggetto stesso, e chi ne ha più ne metta, sono d'accordo. Saremmo divinità in caso contrario. Ma se per "inconoscibilità della cosa in sè" si intende invece l'impossibilità del Soggetto di accedere a un qualunque livello ontologico della realtà, negando alla (limitata quanto si vuole, parziale quanto si vuole, filtrata quanto si vuole, soggettiva quanto si vuole) esperienza e intuizione delle cose da parte del soggetto un qualsivoglia valore ontologico... beh non sono d'accordo, per il semplice motivo non vedo perché sia necessario arrivare a una simile, radicale, negazione (tra le altre cose ipotizzando un "livello" della realtà inaccessibile, metafisico, oserei dire quasi mistico). Io percepisco che il tavolo è solido. Spiegatemi perché tale percezione necessariamente non riflette una proprietà intrinseca, ontologica della realtà che mi circonda. Mi si potrà dire (ed a ragione) che la solidità è una proprietà che dipende da categorie soggettive, che è variabile da essere senziente a essere senziente, che la mia percezione è dunque superficiale e parziale, causalmente riducibile a un livello più profondo (molecolare), e che lo stesso tavolo è una parcellizzazione convenzionale e con possibili alternative... ma in alcun modo si può dimostrare che la solidità da me percepita non sia una proprietà intrinseca della realtà ma solo una mera apparenza fenomenica. Né io potrò dimostrare che lo sia, intendiamoci. Ma non vedo perché non ipotizzarlo fin da subito (anche perché va notato che coloro che partono dall'assunto contrario lo trovano tendenzialmente abbastanza insoddisfacente, e metà della filosofia idealista può riassumersi come un immane tentativo di "dimostrare" una minima l'ontologicità della conoscenza per via logica o dialettica... ovvero dimostrare un qualcosa che si poteva tranquillamente assumere in partenza, data l'assenza di evidenze contrarie) |
10-06-2014, 20.22.30 | #14 | ||
Ospite abituale
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Riferimento: Gnoseologia
Citazione:
Perché di tale realtà non potrai conoscere mai alcunché, ma solo le idee che tale realtà produce nella tua mente. Citazione:
Non si poteva tranquillamente assumere in partenza, perché l'analisi pregiudiziale delle idee di Hume e l'esito del dualismo gnoseologico di Kant avevano radicalizzato il limite fenomenico della conoscenza. Ciò che l'idealismo eliminò in partenza fu proprio il noumeno. |
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10-06-2014, 22.18.46 | #15 |
Ospite abituale
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Riferimento: Gnoseologia
Giulioarretino:
Tuttavia nessuna evidenza o indizio (almeno, imho) lascia pensare che le nostre conoscenze della "realtà esterna" non siano proprietà intrinseche di quella stessa realtà, ma al contrario una mera apparenza fenomenica. parafrasando il famoso mito di Platone: perché mai le ombre nella caverna dovrebbero essere un "fenomeno" contrapposto al "noumeno" che sta fuori? Perché le ombre non potrebbero invece essere parte di una realtà complessa, di un "sistema" che comprende l'oggetto fuori, il soggetto, e le ombre stesse? Anche il solo fatto di esservi un ombra percepita e interpretata da un Soggetto, ci dice qualcosa sulla realtà come è. Sicuramente non tutto, probabilmente non molto, ma perché non qualcosa? Sgiombo: Il mito platonico della caverna è tutt’ altra cosa della critica di Berkeley e Hume (sostanzialmente accolta anche da Kant, sia pure tacitamente) alla pretesa realtà “in sé” degli oggetti di sensazione fenomenica: ”esse est percipi”. Secondo quest’ ultima la realtà degli oggetti percepiti (per esempio una montagna) consiste unicamente in determinati insiemi di sensazioni reali limitatamente al loro apparire alla coscienza. Si può ben ammettere (non dimostrare né tantomeno mostrare) che qualcosa esista anche allorché non percepisco la montagna, così da spiegare come mai chiunque “si ponga nel posto giusto al momento giusto e guardi nella giusta direzione” vede immancabilmente la montagna; ma allora questo “qualcosa” non può essere l’ insieme di sensazioni (visioni di roccia, alberi, neve, rumore del vento, profumo di fieno, ecc.) che costituisce la percezione (fenomenica) cosciente della montagna bensì qualcosa d’ altro, di diverso, pena la caduta in una patente contraddizione (esistono tali sensazioni e allo stesso tempo non esistono tali sensazioni). Giulioarretino: In altri termini: se per "inconoscibilità della cosa in sè" si intende l'impossibilità da parte del Soggetto di accedere a una conoscenza della realtà che sia oggettiva, definitiva, data, indipendente dal soggetto stesso, e chi ne ha più ne metta, sono d'accordo. Saremmo divinità in caso contrario. Ma se per "inconoscibilità della cosa in sè" si intende invece l'impossibilità del Soggetto di accedere a un qualunque livello ontologico della realtà, negando alla (limitata quanto si vuole, parziale quanto si vuole, filtrata quanto si vuole, soggettiva quanto si vuole) esperienza e intuizione delle cose da parte del soggetto un qualsivoglia valore ontologico... beh non sono d'accordo, per il semplice motivo non vedo perché sia necessario arrivare a una simile, radicale, negazione (tra le altre cose ipotizzando un "livello" della realtà inaccessibile, metafisico, oserei dire quasi mistico). Sgiombo: Poiché se “qualcosa” è reale “in sé”, cioè indipendentemente dall’ essere oggetto di sensazioni (anche allorché non esiste alcuna “cosa” costituita da sensazioni in atto ovvero percepita = allorché non esiste alcun insieme di sensazioni a costituire alcun oggetto fenomenico), allora non può essere un insieme di sensazioni fenomeniche (pena la caduta in contraddizione), dunque tale “cosa in sé” è qualcosa di inaccessibile all’ esperienza fenomenica cosciente (anche se si può postulare -ma non dimostrare né tantomeno mostrare- che all’ esperienza fenomenica cosciente corrisponda “per filo e per segno", conferendole un carattere intersoggettivo e dunque –fra l’ altro- la possibilità di essere conosciuta scientificamente). Si tratta di due ben diversi "valori o livelli ontologici" (per usare le tue parole): l' uno fenomenico, limitato unicamente all' accadere in atto delle sensazioni (e nient' altro), l' altro "in sé" o "noumenico", indipendente dall' accadere di sensazioni fenomeniche, dall' essere percepite delle "cose" fenomeniche. In questo non c’ è proprio nulla di mistico, ma tutto di razionale. Giulioarretino: Io percepisco che il tavolo è solido. Spiegatemi perché tale percezione necessariamente non riflette una proprietà intrinseca, ontologica della realtà che mi circonda. Sgiombo: Perché costituisce solo e unicamente un aspetto della tua esperienza cosciente (fenomenica): allorché non tocchi il tavolo la sua (sensazione di) durezza non esiste affatto; e se esiste qualcosa allorché non lo tocchi che fa sì che ogni qualvolta lo tocchi provi (= esista nell’ ambito della tua esperienza fenomenica cosciente) la sensazione di durezza, allora tale “qualcosa” non può allo stesso tempo essere qualcosa che non è (la sensazione di durezza del tavolo), bensì qualcosa d' altro, di diverso. Giulioarretino: Mi si potrà dire (ed a ragione) che la solidità è una proprietà che dipende da categorie soggettive, che è variabile da essere senziente a essere senziente, che la mia percezione è dunque superficiale e parziale, causalmente riducibile a un livello più profondo (molecolare), e che lo stesso tavolo è una parcellizzazione convenzionale e con possibili alternative... ma in alcun modo si può dimostrare che la solidità da me percepita non sia una proprietà intrinseca della realtà ma solo una mera apparenza fenomenica. Sgiombo: E’ vero precisamente il contrario: in nessun modo si può dimostrare che la solidità da te percepita sia una proprietà intrinseca di una realtà che ecceda, che non sia limitata alla mera apparenza fenomenica (della durezza o solidità) nell’ ambito unicamente della tua esperienza cosciente, e che esista anche allorché non accade come tua percezione. Anzi, si può dimostrare che non può esserlo (ma casomai può esserci qualcos’ altro, diverso di non fenomenico) per il principio di non contraddizione: allorché la sensazione di solidità o durezza non acccade, non esiste il tavolo che è da essa costituito (nella misura in cui lo è; e nella misura in cui è costituito da altre sensazioni, per esempio visive, non esiste allorché non esistono –avvengono- tali altre sensazioni). Giulioarretino: Né io potrò dimostrare che lo sia, intendiamoci. Ma non vedo perché non ipotizzarlo fin da subito (anche perché va notato che coloro che partono dall'assunto contrario lo trovano tendenzialmente abbastanza insoddisfacente, e metà della filosofia idealista può riassumersi come un immane tentativo di "dimostrare" una minima l'ontologicità della conoscenza per via logica o dialettica... ovvero dimostrare un qualcosa che si poteva tranquillamente assumere in partenza, data l'assenza di evidenze contrarie). Sgiombo: Ma il riconoscimento della insuperabile fenomenicità (e non realtà “in sé”) di ogni oggetto di percezione non si esaurisce certo unicamente, necessariamente nell’ idealismo deteriore e nei suoi vaneggiamenti metafisici (ad esempio Hume ne è certamente del tutto estraneo). Ultima modifica di sgiombo : 11-06-2014 alle ore 07.56.44. |
11-06-2014, 11.48.42 | #16 | ||||
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Riferimento: Gnoseologia
Citazione:
ma non ci sono evidenze a supporto di una simile affermazione. L'assunto per cui le idee - o le percezioni - che la realtà produce nella mia mente (o meglio che l'insieme di relazioni che si creano tra Soggetto e Oggetto, visto che il rapporto non è a senso unico), non siano idonee a conoscere mai alcunché, è autoconsistente, ma non autoevidente né tantomeno necessario razionalmente. Tali idee/percezioni/insieme di relazioni non sarà idoneo a conoscere mai alcunché di OGGETTIVO e COMPLETO, ma una conoscenza SOGGETTIVA e INCOMPLETA non per principio inidonea a conoscere qualcosa di ontologico della realtà. Entrambe gli assunti sono ugualmente accettabili, ma imho quello non-realista porta a conclusioni insoddisfacenti. Se della realtà non si conosce alcunché tranne le idee che questa produce nella mente, e posto che il Soggetto e la mente facciano parte della Realtà e non di "altro mondo", metafisico o comunque separato, allora neppure del Soggetto e della mente si potrà mai conoscere alcunché, se non una mera idea di questi, totalmente inidonea a cogliere cosa essi siano "ontologicamente". Ma allora ogni affermazione con pretese ontologiche sulle capacità o meno del Soggetto di conoscere o non conoscere questo o quello diventa una questione fideistica Citazione:
esiste una terza via che non cade in contraddizione. ovvero che quel qualcosa che io percepisco e definisco come montagna - roccia, alberi, neve, vento - sia sì qualcos'altro oltre al mio insieme di sensazioni, ma non necessariamente qualcosa di totalmente diverso. basta assumere che il livello di complessità, di interrelazioni e la molteplicità dei livelli della realtà sia tale che la nostra limitata, soggettiva prospettiva e capacità di relazionarci ad essa non sia in grado di cogliere la realtà nel suo complesso, ma solo parzialmente e attraverso un punto di vista obbligato, filtri e categorie ineliminabili. E' sufficiente, in altri termini, negare ogni forma di riduzionismo ontologico. Se si ammette la pluralità come intrinseca nella realtà, ovvero che le cose possano essere in molti modi, nessuno dei quali inutile o meramente apparente, e nessuno dei quali vero o definitivo, non vi sono difficoltà ad accettare il fatto che la percezione della realtà sia sì soggettiva, sì parziale, sì filtrata e nondimeno idonea a coglierne degli aspetti. Citazione:
i rapporti che costantemente vengono a instaurarsi tra Soggetto e Oggetto, quando quest'ultimo viene percepito e filtrato dal Soggetto, possono essere e sono tanto ontologici quanto l'infinita, ulteriore porzione di realtà e i rispetti rapporti tra oggetti che invece ci sfuggono o sono preclusi ad ogni relazione con il Soggetto. Non necessariamente i rapporti che concretamente si instaurano riflettono "per filo e per segno" la realtà delle cose, ma non vuol dire che non possano, per così dire "coagularne" uno degli infiniti (o innumerevoli) possibili aspetti. Citazione:
è un modo ragionevole di vedere le cose, ma solo se si accetta questa contrapposizione più o meno netta tra fenomeno e cosa in sé, e tra Soggetto e Oggetto. se invece si ammette la complessità e la pluralità come intrinseca nella realtà delle cose, non vi è contraddizione nell'accettare che quella porzione di realtà, convenzionalmente identificata come tavolo, che quando lo tocco si configura come solido, quando lo osservo da vicino come un insieme di atomi separati, quando lo tocchi tu o un altro essere senziente magari come cedevole, e quando non lo tocca nessuno come qualcosa di completamente diverso e forse impensabile, sia al tempo stesso tutto questo e non si risolva in tutto questo. E di conseguenza ognuna di queste possibili configurazioni mi dica qualcosa di ontologico sull'oggetto "tavolo"; e dunque che anche la mia sensazione di solidità del tavolo sia idonea a descrivere (da un solo punto di vista e senza pretese di essere definitiva o esaustiva) la realtà. l'errore (o meglio il fraitendimento) sta qui. quanto qualcuno dice che la solidità del tavolo è qualcosa di ontologico, molti restano giustamente perplessi. tuttavia se dico che la porzione di realtà convenzionalmente identificata come tavolo, rapportato a un soggetto, ha la proprietà di configurarsi, tra le altre innumerevoli possibili e potenziali configurazioni, come solido, dico qualcosa che può ben avere valenza ontologica con riguardo alla porzione di realtà considerata. |
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11-06-2014, 12.40.48 | #17 |
Ospite abituale
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Riferimento: Gnoseologia
Sgiombo:
Ma non vedo proprio come l' attribuzione (indimostrabile) di una coscienza a tutti gli enti non elementari possa superare il dualismo fenomeni/noumeno: si tratterebbe comunque di una coscienza fenomenica e non certo della "percezione di cose in sé diverse da oggetti o contenuti di percezioni" (concetto autocontraddittorio). lo può superare semplicemente perché esso (il dualismo) è introdotto al semplice scopo di garantire persistenza e stabilità ad oggetti che, non ricadendo nel pensiero o percezione umana, dovrebbero scomparire quando non osservati. Ma questa stabilità può essere garantita allo stesso modo dalla mia proposta senza creare il dualismo nel modo che ho spiegato, quindi senza tirare in ballo qualcosa di totalmente estraneo alla nostra cognizione della realtà (il noumeno, che forse non vuol dire niente -ma questo punto lo tralascerei-). Devo quindi farti notare che continui a far pesare questo assunto ai fini della discussione Si può ben ammettere (non dimostrare né tantomeno mostrare) che qualcosa esista anche allorché non percepisco la montagna, così da spiegare come mai chiunque “si ponga nel posto giusto al momento giusto e guardi nella giusta direzione” vede immancabilmente la montagna; ma allora questo “qualcosa” non può essere l’ insieme di sensazioni mentre, probabilmente, la mia proposta riesce ad aggirarlo completamente. Sgiombo: Ma osservato =/= pensato Dunque anche ammessa e non concessa la tua tesi, che la materia esista senza essere pensata é possibile (e a maggior ragione non é contraddittorio il pensarlo). Ma ciò che è pensato sarà percepito (dunque osservato), e ciò che è osservato è sottoposto al pensiero (almeno secondo ciò che io riconosco come pensiero). Per intenderci non credo che una telecamera possa percepire gli oggetti su cui punta (o lo fa in maniera infima e non nel modo in cui un immagine risulta a noi, cioè la telecamera non vede, per ciò che noi intendiamo essere il vedere); e questo perché non ha un sistema "pensante" complesso come il nostro in grado di integrare le informazioni ricevute con tutte le altre in suo possesso. Avere un immagine visiva della realtà deriva da tutte le attività del cervello (da ciò che si dice "pensare", in quanto elaborazione di dati) e non semplicemente da un sistema percettivo in sé. Lo dico per farti intuire in che modo sarei ben tentato di ammettere: osservato=pensato . Davide M. Secondo me ti stai chiudendo in un circolo vizioso: si vuole supporre la materia come semplice contenuto mentale, ma per dimostrarlo si deve ricorrere alla dimostrazione dell'esistenza di una coscienza esterna al soggetto percipiente Ma il fatto è che tra le 2 ipotesi (quella che suppone la materia esser reale al di fuori dei contenuti mentali e quella che suppone la materia esistere solo come contenuto mentale) quella di cui possiamo rintracciare un indizio empirico diretto è solo la seconda. Questo per dire che se entrambe possono spiegare lo stesso numero di cose la seconda può dirsi più elegante in quanto: 1)veramente dimostrabile/osservabile 2)scomodante meno tipi di realtà possibili (c'è un alleggerimento dell'ontologia). La questione di dimostrare che gli altri abbiano una coscienza o meno non si risolve "empiricamente" ma linguisticamente secondo me; dal momento in cui ti chiedi chi sei e capisci che non puoi dividerti dal resto delle cose, allora vedrai che non potrai negare agli altri ciò che additi a te. Questo, comunque, per dire che si tratta di un discorso molto complesso (ma che non sminuisce di molto l'efficacia di questa proposta "idealista" rispetto alla controparte dualista), la cui soluzione, secondo me, risiederà non tanto in esperimenti che possano quotare questa o quell'altra ipotesi, ma dalla ridefinizione delle tassonomie scientifiche e dei significati delle parole che usiamo, i quali spesso ci portano, teoreticamente, di fronte a vicoli ciechi. |
11-06-2014, 16.37.08 | #18 | |
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Ciao giulioarretino,
innanzitutto parto dicendo che in massima parte condivido le tue riflessioni. Peccato, sarebbe stato più divertente partendo da posizioni diverse.
[continua...] |
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11-06-2014, 16.38.09 | #19 | |
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[continua...]
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11-06-2014, 20.22.58 | #20 | |
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Citazione:
Sono d'accordo con te, non volevo mettere in dubbio "l'eleganza" della seconda ipotesi, ma solo il metodo per dimostrarla. Infatti, benché piaccia anche a me questa proposta idealista, ancora non mi è chiaro il concetto per il quale nel momento in cui mi chiedo chi sono, capisco che non posso dividermi dal resto delle cose. Perché non posso dividermi dal resto delle cose? Quale ragionamento dovrei seguire? |
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