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12-06-2014, 19.46.48 | #33 | |
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Citazione:
E' difficile, ma non impossibile, infatti per quanto mi riguarda sei stato chiarissimo. E' il concetto di relazione che non mi torna, se l'altezza di Aggressor non è una proprietà di Aggressor, se un tavolo non può sussistere senza lo spazio interposto tra le sue gambe, se i corpi e tutti i concetti non sono mai pensati in astrazione totale da un contesto, chi determina questo contesto? E' la coscienza. E' la coscienza che associa una sua proprietà ad un ente, il quale di per sé non ne ha. Queste proprietà non sono altro che le categorie di Kant. Voglio dire, sei sicuro di voler lavorare per una tesi di laurea su queste basi? Solo per l'originalità intendo. |
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12-06-2014, 20.07.45 | #34 |
Ospite abituale
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Riferimento: Gnoseologia
Davide M:
E' difficile, ma non impossibile, infatti per quanto mi riguarda sei stato chiarissimo. E' il concetto di relazione che non mi torna, se l'altezza di Aggressor non è una proprietà di Aggressor, se un tavolo non può sussistere senza lo spazio interposto tra le sue gambe, se i corpi e tutti i concetti non sono mai pensati in astrazione totale da un contesto, chi determina questo contesto? E' la coscienza. E' la coscienza che associa una sua proprietà ad un ente, il quale di per sé non ne ha. Queste proprietà non sono altro che le categorie di Kant. Voglio dire, sei sicuro di voler lavorare per una tesi di laurea su queste basi? Solo per l'originalità intendo. Sono felice che tu abbia compreso i miei dubbi circa l'esistenza indipendente degli oggetti e anche sul resto. Il collegamento con Kant in questo senso non l'ho approfondito (ci ho pensato delle volte, ma le categorie di Kant sono molte, alcune lasciano pensare che si trasformeranno nel tempo o che si siano trasformate; ciò non toglie che l'uomo additi queste cose a ciò che vede), la tesi verterà fondamentalmente sulla questione della coscienza. Tuttavia, sebbene abbia già concordato l'argomento (il prof di neuroscienze sembra felice di poter trattare l'eliminazione del dualismo mente/materia, per questo, anche se la tesi è un po originale, ha detto che si può fare) e iniziato le letture consigliate, nulla vieta che cambi idea e faccia saltare tutto! o.O Parlare in questo forum a volte, a furia di leggere e rileggere tesi contrarie e mettermi in discussione, mi fa cambiare idea, in qualche modo spero che non accada stavolta però... Ultima modifica di Aggressor : 13-06-2014 alle ore 10.27.52. |
12-06-2014, 22.19.41 | #35 | |
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Citazione:
Ecco paul, non credo di aver capito bene: la gnoseologia idealistica risolve tutto nella soggettivazione della realtà; mentre la realtà si presenta simile e uguale alle consuetudini di una pluralità di soggetti, e quando queste consuetudini coincidono con quelle delle soggettività costituiscono delle consuetudini fisiche, morali, convenzionali, ecc. Mi sembra un circolo vizioso, ma forse qualcosa mi sfugge. |
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12-06-2014, 22.54.54 | #36 |
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Aggressor:
Giusto, c'è almeno anche questo secondo motivo per ritenere plausibile qualcosa di noumenico. Tuttavia il modo in cui vieni a concepire le varie coscienze è troppo Leibnizniano; cioè devi tener conto che neanche una esperienza cosciente può porsi in sé stessa, come una monade chiusa. La coscienza come gli oggetti materiali ha bisogno di essere delimitata dagli altri e da essi, anche, trarre il proprio contenuto. Tutti i contenuti di coscienza sono reali, e il fatto che vi siano leggi stabili dipende dalla bassa diversificazione dei piccoli costituenti della realtà la quale sottende una piccola diversificazione dei loro contenuti mentali. Cioè io posso anche vedere un drago davanti a me, e ciò sarà per me reale, ma le mie cellule e gli atomi continueranno a percepire più o meno la stessa cosa di prima, non sono così complessi da modificare i loro contenuti mentali così tanto. In altre parole per giustificare quello che fai notare devo semplicemente ammettere l'interdipendenza delle coscienze; ma questo assunto non è poi così stravagante se si ragiona sul fatto che nessun ente assolutamente isolato può rimanere tale qual'è, ma sempre si è in relazione ai contesti (che qui diventano le coscienze altrui). Sgiombo: Secondo me un’ esperienza cosciente è precisamente un ambito chiuso del reale, del tutto separato dalle altre eventuali esperienze coscienti con le quali può comunicare soltanto indirettamente tramite il linguaggio. Esse possono appunto essere considerate interdipendenti, ovvero fra i loro “contenuti” si può ammettere (non dimostrare né mostrare; ma nemmeno si può dimostrare o mostrare che esistono altre coscienze) una corrispondenza puntuale ed univoca ma non ha senso parlare di uguaglianza o meno proprio per la loro reciproca separazione, trascendenza, incomunicabilità che impedisce per esempio a me di “sbirciare” nella tua coscienza per verificare se la tua visione -che ne so?- di un bell’ arcobaleno sia uguale o meno alla mia (dello “stesso” arcobaleno, in quanto relativa alla stessa “entità noumenica”, oppure conseguentemente ad un’ armonia prestabilita fra le nostre esperienze coscienti); e viceversa. Dire che sempre si è in relazione ai contesti (che qui diventano le coscienze altrui) mi sembra una tautologia che non dice nulla: in cosa consiste questa relazione? Io riesco a concepire solo due alternative sensate: la corrispondenza fra le diverse coscienze per proprietà transitiva dalla corrispondenza di ciascuna di esse alla cosa in sé o noumeno oppure l’ armonia prestabilita fra le coscienze. Aggressor: Io non ho scritto questo, c'erano 2 affermazioni separate, non unite da un legame causale ma da un "e" congiunzione. Devo dire una cosa però, Sgiombo, che tu reputi oggetto di pensiero e coscienza solo ciò che cade direttamente in essa (e un po come se escludessi l'inconscio dall'Io); ma il cervello elabora ogni istante una quantità enorme di informazioni che concorrono per la supremazia nell'apparire cosciente "diretto". Ciò non toglie che il resto delle informazioni siano colte indirettamente e anche inglobate nell'esperienza cosciente diretta in qualche modo. L'esempio della vista può aiutarmi. Come ho detto l'altra volta non basta una telecamera per vedere; la coscienza, che comprende li dato visivo, può emergere solo allorché il cervello sia in grado di elaborare i segnali della corteccia visiva ed integrarli con molte altre informazioni. Per cui la stessa vista (in quanto direttamente esperita) non può essere un mero dato legato alla corteccia visiva stessa, me è già integrato con quelle cose che tu dici non rientrare direttamente nell'esperienza cosciente ma senza le quali essa nemmeno esisterebbe e che dunque, in qualche modo, la devono informare (altrimenti la visione apparirebbe senza di esse, come a dire che una telecamera vede). Secondo il tuo esempio dell'oggetto schivato vedere (inconsciamente tra l'altro) le cose vuol dire anche rispondere al loro stimolo nel modo giusto (magari schivando proiettili vaganti). Invece credo che lo schivare l'oggetto pericoloso, anche se è un operazione inconscia, sia un atto elaborativo (di pensiero) della mente, solo che è accaduto così in fretta da non poter essere inglobato nella percezione diretta del soggetto. Altrimenti puoi cercare di definire il pensiero e vedere se, oltre al fatto di ricadere direttamente in una coscienza, ci siano delle differenze tra esso e ciò che il cervello compie continuamente inconsciamente. Sgiombo: Per me l’ inconscio (freudiano) è una delle tante assurdità irrazionalistiche delle ideologie dominanti del XX° secolo: significa “sconosciuto”, e dunque non se ne può sapere né dire sensatamente alcunché per definizione (per non parlare delle molteplici fantasiose farneticazioni psicoanalitiche al riguardo). Non trovo invece alcuna difficoltà ad ammettere che gran parte delle attività del cervello sono inconsce nel senso che non corrispondono ad alcun evento cosciente. Ovviamente la corteccia visiva e la sua attività è correlata con ogni altra parte ed attività del cervello. Ma la visione è una funzione cosciente distinta da ciascuna altra funzione cosiente come dimostra per esempio il fatto che chi perde la facoltà del linguaggio per una lesioni dell’ area di Broca può benissimo continuare a vedere se la sua corteccia della scissura calcarina é integra: la vista non solo “esisterebbe”, bensì esiste certamente di fatto anche senza il linguaggio e senza tante altre facoltà mentali (purtroppo per chi ne è privo). Quando vado al lavoro in macchina sulla solita strada pensando a ciò che mi attenderà nelle ore successive e schivo un pedone che cammina lungo la strada o mi fermo a un semaforo rosso, evidentemente li vedo (pedone o semaforo), ma non ci penso (sto pensando al mio lavoro e non al semaforo rosso che, che pure vedo: tant' é vero che mi fermo). Il pensiero corrisponde, in una coscienza diversa da quella di chi osserva il cervello di chi sta pensando, solo a parte dell’ attività di tale cervello (gran parte non è accompagnata da coscineza, ovvero è inconscia). Ricambio di cuore ringraziamento e saluto. |
13-06-2014, 13.30.03 | #37 |
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PRIMA PARTE
Sgiombo: Premetto la richiesta di un chiarimento: che significa imho (pensavo fosse un errore di stampa -mio?-, ma vedo che la usi di nuovo)? Sgiombo: Quel che io percepisco e definisco come montagna - roccia, alberi, neve, vento sono determinate mie sensazioni; e fin qui il discorso è chiaro. Giulioarretino: ti fermo qui, perché gran parte del successivo dibattito parte da questo assunto. non necessariamente è come dici, ma solo se esiste un "qualcosa" di inintelliggibile fuori da me, che in qualche modo "proietta" nella mia mente una certa immagine/sensazione che andrò a definire montagna (lasciamo perdere l'ipotesi di una specie di "super Io" divino che crea con e nella sua mente l'illusione della realtà: ammissibile in teoria ma imho abbastanza delirante). Ovvero solo se, anziché un unico livello, ci sono due livelli separati della realtà, con diverse caratteristiche e gerarchicamente ordinati, quello della mente che conosce le proprie sensazioni e quello della realtà di cui non si può dire nulla se non che è qualcosa di diverso dalle sensazioni e dunque inconoscibile. Sgiombo: Non è così. La realtà potrebbe benissimo essere limitata a quell’ unico “livello" che è costituito dalle sensazioni fenomeniche senza che esista altro di reale, e le sensazioni fenomeniche sarebbero comunque sensazioni fenomeniche, reali unicamente nel loro apparire (cioè accadere nell’ ambito dell’ esperienza cosciente): la montagna non c’ è allorché non è vista anche se non esiste nessuna cosa in sé che le corrisponda. Anzi, nulla dimostra che esista qualcos altro oltre all’ esperienza cosciente immediatamente, direttamente esperita (fatta interamente e unicamente di sensazioni fenomeniche: il solipsismo può essere superato solo con un atto di fede gratuito, indimostrabile essere veritiero). L’ indimostrabile né tantomeno mostrabile cosa in sé può essere creduta proprio per superare il solipsismo e spiegare la (pure indimostrabile; e necessaria fra l’ altro perché possa darsi conoscenza scientifica) intersoggettività delle sensazioni materiali (e dei loro “oggetti” o “contenuti”); una spiegazione alternativa potrebbe essere una leibniziana armonia prestabilita fra le diverse (postulate esistere) esperienze fenomeniche coscienti. Giulioarretino: Ma nulla vieta di ipotizzare un unico livello della realtà, seppur plurale e complesso, e dunque considerare la c.d. "montagna" non una sensazione, bensì una porzione, un coagulo della realtà esistente, la stessa identica realtà di cui fa parte anche il soggetto che la percepisce, e ammettere che tali porzioni di realtà possano entrare in relazione tra loro in molteplici modi, configurarsi in un "sistema" di osservatore e osservato, percepito e percipiente. Sgiombo: Ma da dove salta fuori questo “soggetto che percepisce la montagna? Ciò che è immediatamente esperibile, constatabile essere reale sono solo le sensazioni (per esempio la montagna): la realtà potrebbe finire lì. Ma se tale soggetto (l’ io percipiente e pensante) esiste, allora non è la stessa cosa del- (-le sensazioni costituenti) -la montagna, in quanto dovrebbe esistere anche quando queste ultime non esistono (perché per esempio sta guardando verso la pianura), allora è qualcosa di non costituito da sensazioni fenomeniche, allora è cosa in sé o noumeno. La montagna esiste unicamente fintanto che è percepita (dire che le sensazioni che la costituiscono sono reali anche allorché non sono reali è una patente contraddizione): dunque come può essere la stessa cosa che esisterebbe per ere geologiche e che farebbe sì che quando chiunque “si colloca nella giusta posizione e guarda nella giusta direzione” veda la montagna? Giulioarretino: L'altitudine, il freddo, le rocce aguzze, tutto quello che andiamo a chiamare montagna... nulla ci fa dubitare che esse non siano proprietà intrinseche della porzione/coagulo di realtà c.d. montagna, che si configurano in quel dato modo quando entrano in rapporto con la porzione/coagulo di realtà c.d. soggetto. Non saranno probalimente le uniche proprietà possibile, e neppure proprietà oggettive; nondimento tali proprietà saranno ontologiche, reali, concrete, conoscibili fattualmente. Sgiombo: L'altitudine, il freddo, le rocce aguzze, tutto quello che andiamo a chiamare montagna sono “proprietà intrinseche” unicamente di se stesse: nulla impone che con esse coesista un “soggetto”, che se esiste è diversa cosa dalle sue sensazioni fenomeniche (sia materiali che mentali); dunque è cosa in sé. E se c’è qualcosa che quando entra in rapporto con il soggetto (un “oggetto”) determina l’ accadere della “configurazione” (fenomenica) della montagna, e che dunque è reale allorché questa “configurazione” fenomenica non la è (anche allorché l’ oggetto non entra in rapporto con il soggetto), allora questo “qualcosa” -oggetto- non è (costituito da) tali sensazioni fenomeniche (altitudine, freddo, rocce aguzze) che non esistono mentre esso esiste: sarebbe contraddittorio pretenderlo. Giulioarrtino: Questo è ciò che intuitivamente, oserei dire inevitabilmente, ci viene naturale pensare, ed è alla base di qualunque nostro approccio pratico con la realtà. E' legittimo e doveroso mettere in dubbio la validità di un tale approccio, ma in assenza di evidenze dimostrino fondato tale dubbio non c'è il minimo motivo per perseverare nello scetticismo. Sgiombo: Per qualunque approccio pratico alla realtà ciò che sostieni (e che sostiene il senso comune) va benissimo. Ma per chi è filosofo, e dunque avverte l’ esigenza di comprendere teoricamente la realtà, di conoscerla non superficialmente, ma approfonditamente, il più compiutamente possibile, di stabilire in che senso essa precisamente è reale , che significato preciso hanno le parole che impiega per descriverla e praticarla non è così. E’ dunque legittimo e doveroso mettere in dubbio (vagliare criticamente) un tale approccio “in sede filosofica” (non in sede pratica”). |
13-06-2014, 13.43.51 | #38 |
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SECONDA PARTE
Giulioarretino: in sintesi, quel che io percepisco e chiamo montagna NON è per forza di cose una mia sensazione e nulla più. Ben potrebbe essere una porzione di realtà che si configura come "montagna" (e dunque alta, aguzza, fredda)quando entra in rapporto con l'altra porzione di realtà, ovvero Io, il Soggetto. Sgiombo: Ciò di cui possiamo essere certi é che é una tua sensazione (iniseme di sensazioni) e nulla più. Se é anche qualcos' altro che si configura come "montagna" quando entra in determinati rapporti con qualcos' altro ancora (il “tu” soggetto di sensazioni), e che evidentemente esiste anche quando non si stabiliscono questi rapporti, allora tale “qualcos' altro” non può essere la stessa cosa, la “montagna” (alta, aguzza, fredda) giacché esiste (anche) allorché la “montagna” non esiste (perché tale “qualcos' altro” -oggetto- non é in rapporto con il “qualcos' altro ancora” (-tu, soggetto-): é contraddittirio affermare che esiste e allo stesso tempo non esiste. Tutte queste “altre cose” (oggetti e soggetti delle sensazioni) che esistono anche se e quando non esistono le “rispettive” sensazioni, indipendentemente dall' esistenza o meno delle “rispettive sensazioni” non possono essere fatte di sensazioni (che possono anche esistere mentre esse esistono; e ciò che esiste non può anche contemporaneamente non essitere): sono “cose in sé” o noumeno”. Sgiombo: Se si tratta di qualcos’altro di realmente esistente anche allorché queste mie sensazioni non lo sono (e che spiega come mai se qualcuno si colloca “nel posto giusto al momento giusto e guarda nella giusta direzione” vede tale montagna, allora non è tali mie sensazioni (sarebbe contraddittorio affermarlo). Dunque può essere soltanto qualcosa di diverso. In che senso “non totalmente”? Non certo nel senso che si tratti di diverse sensazioni (per esempio quelle di una pianura). Può solo essere qualcosa di non costituito da sensazioni (quelle di quella montagna per non cadere in contraddizione, ma nemmeno quelle di una pianura, che è tutt’ altra cosa). Allora non può che essere qualcosa di reale in sé, di non percepito (non costituito da percezioni o fenomeni), ma solo di vagamente congetturabile. Giulioarretino: la porzione di realtà in questione si configurerà come montagna quando altri esseri umani si rapporteranno con essa, e come altro e altro ancora quando qualcuno o qualcos'altro si rapporterà con essa. Esempio: ipotizziamo una realtà unica e eppure diversa. Per esempio, immaginiamo una realtà fatta di colori e null'altro, eppur diversi tra loro. Ipotizziamo una certa porzione di realtà come una macchia di colore blu, e a noi stessi come una macchia di colore rosso. se rapportati, ovvero se entrano in contatto, tali macchie daranno vita a una macchia che assumerà il colore viola (e definiamo il viola come altitudine, sensazione di freddo, alberi), ma potrebbe assumere infinite altre configurazioni e variazioni cromatiche, a seconda di quale altra macchia di colore venisse "messo a sistema" con esso. Il rosso non sa (o meglio, non può sapere con sicurezza) di essere rosso piuttosto che un qualunque altro colore, e non sa neppure se la porzione di realtà in questione sia blu o altro colore, sa solo che se messo reciprocamente a sistema con altre macchie o insiemi di macchie si configurerà con esse di volta in volta con colori diversi; nel caso di specie, come viola. questo lo porterà a negare, o dubitare fortemente, che esista un unico e definitivo modo di configurarsi cromatico della realtà, ma non per questo dovrà arrivare a negare l'ontologicità del colore viola o di qualunque altro colore, o congetturare addirittura che le porzione di realtà diverse da sé non siano un colore bensì qualcosa di completamente diverso e inintelliggibile, Sgiombo: Macchie di colore che si mescolano variamente sono parti (fenomeniche), cioé (insiemi di) sensazioni, nell' ambito di un' esperienza cosciente e nient' altro (questa, di fenomeni l' essere dei quali é unicamente un percipi, é la loro “ontologicità”); come soggetti e oggetti (in sé) di sensazioni rappresentano una metafora non calzante: infatti soggetti e oggetti di sensazioni sono reali anche allorché non accadono sensazioni, mentre le sensazioni fenomeniche dei colori sono reali solo se e quando (allorché) sono percepite. Giulioarretino: In definitiva: se esiste un Tutto unitario, e all'interno di questo Tutto la molteplicità è ontologica, ogni rapporto reciproco che intercorrerà tra le sue molteplici componenti darà luogo a infinite, possibili configurazioni, tutte egualmente reali, valide, ontologiche. Se ammettiamo che l'Io sia una, ma non l'unica, di tali componenti della realtà, il suo rapportarsi con il resto della realtà (altrimenti detto: il suo conoscere il resto della realtà) non sarà puramente fenomenico, illusorio, interno a sè stesso, ma darà luogo ad alcune delle infinite, possibili, configurazioni, tutte egualmente reali, valide e ontologiche. Sgiombo: Ma le “configurazioni” fenomeniche esistono unicamente nell' ambito delle esperienze coscienti e allorché (se e quando) sono in atto; sarebbe contraddittorio affermare che si tratta della stessa cosa di oggetti e soggetti delle sensazioni stesse, esistenti indipendentemente dall' instaurarsi fra di essi dei rapporti che determinano l' esistenza di tali “configurazioni”, e dunque anche se e quando queste ultime non esistono. Ammettiamo pure che l' io (soggetto) e gli oggetti (delle sensazioni; che non sono le sensazioni) faccianio parte (siano componenti) di un' unica realtà (su questo non ho nulla da obiettare): poiché questa realtà esiste indipendentemente dalle sensazioni fenomeniche, anche se e quando le sensazioni fenomeniche non esistono, allora non può identificarsi con qualcosa che non esiste quando esse esistono, cioé con le sensazioni fenomeniche: é qualcosa d' altro (cui si può presumere le sensazioni fenomeniche corrispondano “per filo e per segno” in qualità di “configurazioni” -fenomeniche- allorché esse -soggetti e oggetti- entrano in determinati rapporti). Chiamo per l' appunto tale unica realtà di cui fanno parte oggetti e soggetti delle sensazioni fenomeniche (dalla realtà di queste ultime diversa: altre cose!) “cose in sé” o “noumeno”. |
13-06-2014, 14.32.37 | #39 |
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Sgiombo:
Dire che sempre si è in relazione ai contesti (che qui diventano le coscienze altrui) mi sembra una tautologia che non dice nulla: in cosa consiste questa relazione? Io riesco a concepire solo due alternative sensate: la corrispondenza fra le diverse coscienze per proprietà transitiva dalla corrispondenza di ciascuna di esse alla cosa in sé o noumeno oppure l’armonia prestabilita fra le coscienze. Delle due alternative che riporti la prima presuppone che una coscienza, ancorché rinchiusa in sé stessa, possa, in un modo o nell'altro, vedersela col noumeno; la seconda lasciamola stare perché creerebbe vari problemi aggiuntivi (so bene che propendi per la prima comunque). Cioè, sebbene possa risultare contro-intuitivo un rapporto tra coscienze (almeno inizialmente), che dire del rapporto tra coscienza e "materia in sé" che tu stesso proponi (userò il termine materia ad indicare la corrispettiva controparte in sé -rispetto al contenuto mentale che avremmo di lei- o noumeno)? In qualche modo pur postulando una corrispondenza tra eventi noumenici/materiali e consci si deve postulare: o una armonia prestabilita tra coscienza e materia (e qui la valanga di problemi) o, a questo punto, qualcosa di alternativo: magari un legame causale, simile a quello che supponiamo esserci tra eventi materiali, intercorrente, appunto, tra le due realtà ontologiche in discussione. Cioè si deve considerare la coscienza capace di patire/reagire gli effetti della materia, similmente rispetto a quanto si suppone valido per la materia stessa cioè tra oggetti materiali, o non se ne esce. Ma se la coscienza può reagire causalmente alla forma del noumeno, allora nulla toglie che questa proprietà possa essere riportata tra coscienze e non tra coscienze e noumeno (le difficoltà esplicative sarebbero identiche). In altre parole il supposto mediatore noumenico per la corrispondenza tra eventi mentali -postulato anche e soprattutto, a questo punto, in quanto saremmo incapaci di comprendere una relazione diretta tra le coscienze- comporterebbe il difficile e analogo compito di spiegare quella relazione scatenante la corrispondenza tra coscienza e materia. Secondo la mia idea, la relazione tra coscienze sarebbe mediata dalla materia in quanto contenuto mentale rappresentate esse stesse. Ma una analisi linguistica più accurata farebbe notare l'impossibilità di astrarre "la coscienza" dai suoi contenuti, cosicché dire che esiste solo la materia o solo la coscienza sarebbe lo stesso (qui non ho avuto modo di ragionare molto però). Sgiombo: Ma la visione è una funzione cosciente distinta da ciascuna altra funzione cosiente come dimostra per esempio il fatto che chi perde la facoltà del linguaggio per una lesioni dell’ area di Broca può benissimo continuare a vedere se la sua corteccia della scissura calcarina é integra: la vista non solo “esisterebbe”, bensì esiste certamente di fatto anche senza il linguaggio e senza tante altre facoltà mentali (purtroppo per chi ne è privo). Ma il linguaggio è solo la punta dell'iceberg delle facoltà umane; esso deriva dalle pulsioni e da una miriade di altri lavori che il cervello opera per far sì che possiamo muoverci nella realtà efficacemente. Se cammino senza cadere, se posso riprodurmi ecc. non è grazie al linguaggio; quindi è normale che senza di esso le altre funzioni possano più o meno ritenersi operative (come di fatto accade). La vista e tutte le altre capacità sono certamente, in parte, localizzate ed autosufficenti, ciò non toglie che si possano portare moltissimi esempi per delinearne l'interazione reciproca senza di cui, come credo sia piuttosto palese considerando l'esempio della telecamera, neanche emergerebbero coscientemente nel modo in cui le intendiamo. |
13-06-2014, 14.56.11 | #40 |
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Per Agressor:
La tua è una argomentazione più ontologica che gnoseologica. Poi spiego meglio dopo le risposte Per giulioarretino: l’idealismo è una soggettivazione astratta della realtà che può avere nulla a che fare con la realtà con cui ci si i imbatte nel traffico giornaliero della mondanità o con l’epistemologia scientifica.. Quindi un conto è parlare della soggettività di colui che sceglie un modello ontologico idealistico e un conto sono le soggettività intese come credenze di coloro che uscendo dalla Santa Messa, dalle scuole ,dai luoghi di lavoro o da casa ,si incontrano “per lestrade del mondo” e agiscono per convenzione (si stringono le mani, si chiedono come stai, parlano del tempo, e del rigore regalato al Brasile, ecc.). Le convenzioni sono tradizioni, storia, comportamenti ,consuetudini a cui anche il più fervente astrattista o progressista deve misurarsi e fare compromessi fra l sua visione del mondo e quella molto più potente delle convenzioni sociali basate sulle credenze se vuole vivere socialmente. Ho la netta sensazione che si è andati in fretta nella discussione sulla gnoseologia , verso invece l'ontologia. Ma l'ontologia, cioè l'essere e gli enti della metafisica e diciamo l'ontologia materiale delle scienze, ha prima un processo gnoseologico o epistemico. Quindi: qual è il processo mentale e/o del cervello che crea una realtà e un sistema di relazione fra soggetto ed oggetto del conoscere? Se prima non si entra in merito ,ognuno postula un proprio modello di rappresentazione ontologica senza spiegare il motivo per cui ha scelto fra i tanti modelli un certo modello ,un proprio modello. Personalmente ritengo che la filosofia e le scienze quantunque abbiano compiuto progressi notevoli, mancano e di parecchio sul funzionamento della nostra mente. Che cosa ci convince anche emotivamente che una cosa sia più vera di un'altra? Non nego che ogni modello ha delle sue premesse anche logiche e quindi non totalmente "campate in aria": dai modelli dell'antica Grecia fino all'idealismo hegeliano, ma ribadisco che la scienza con le scoperte muta gli scenari culturali a cui la stessa filosofia deve fare i conti. Gli studi neurobiologici, la macromeccanica o meccanica classica fino al principio di indeterminazione di Heisenberg, aprono e modificano i modelli di pensatori del passato che non potevano avere a disposizione queste conoscenze. Dico subito che il modello proposto da Epicurus è quello che ritengo personalmente il più vicino al mio pensiero: spiega parecchio le dinamiche individuali e sociali del sistema di relazione fra le proprie convinzioni, o credenze, e gli ambienti culturali costruiti dalle dinamiche del conformismo e progressismo, cioè di quanto e come mutano nel tempo e con le generazioni "il modo di vedere il mondo e se stessi" Ma sempre a mio parere una discussione che rischia le contrapposizioni su modelli che sono più ontologici che gnoseologici o epistemici e non tratta del processo di costruzione nel cervello e poi se si vuole del mentale e quindi di come percepiamo la realtà sensorialmente esterna e di come il cervello rielabora un pensiero ,dall'empirico all'immaginario, ,dal materiale all'astrazione., è monca Lo ritengo fondamentale e molto più importante di quello che generalmente la cultura gli dà. Molti test vengono eseguiti nelle università statunitensi soprattutto e nei centri di ricerca e coloro che finanziano e commissionano sono per la maggior parte gli stessi che l' utilizzeranno per loro fini, le “armi del condizionamento mentale”. Capire le motivazioni, del come costruiamo le proprie convinzioni non appartiene solo al linguaggio logico e deduttivo ,vi sono componenti psichiche molto forti e quindi emotive. Perchè un fanatico arriva al punto di cingersi in vita una cintura di bombe e di autoesplodersi in mezzo alla folla? Quali sono i processi mentali che condizionano con la pubblicità? Perchè una persona arriva al martirio per un ideale? Il famoso "conosci te stesso" è molto più pragmaticamente “come abbiamo costruito le nostre credenze che ci motivano e filtrano le nostre scelte?” E in base a come e cosa abbiamo scelto volontariamente o involontariamente, ci comportimo di conseguenza. I modelli sociali sono fortemente conformistici sono molto più istintivi ed emotivi di quello che sembrano e quindi appaiono irrazionali. Alla fine è difficile separare logica, psiche e fede, sono un mix indistinguibile ma molto potente perché capirne i significati significherebbe plasmare le menti Vince la quantità, non la qualità. Nel modello gnoseologico vince la motivazione (alla Mourino nello spogliatoio calcistico, vince il plagio più che una deduzione logica), la convinzione di una cultura basata su modelli di credenze, dove il nocciolo duro e fondamentale è sempre un'astrazione emotiva, cioè un tabù. Chiedete se la pubblicità condiziona., le risposte saranno “ ma va…io no!” Vi assicuro che dopo le campagne pubblicitarie di una marca di prodotto di consumo questa ha fortissime probabilità di impennare di vendite, che cessa con la fine dell'investimento pubblicitario o promozionale. Nel marketing si studia persino il consumo " a impulso" per alcune merceologie di prodotti. Le caramelle che vedete nell'espositore al bar dopo la tazzina di caffè o vicino la cassa del supermercato è "studiato". Noi siamo neurobiologicamente molto più “automatici” di quanto possiamo pensare. Questi automatismi nascono dalla necessità di risparmiare energia del nostro corpo, cosa che il pensare e il riflettere fanno, cosa che l’emotività compie automaticamente con secrezione di ormoni che entrano nel circolo sanguigno e condizionano quindi i sistemi metabolici attivando reazioni biochimiche. Finisco dicendo: il prete non declama le massime dogmatiche della scolastica o di Tommaso d’Acquino, bensì punta sulla retorica emotiva verso quel nocciolo fondamentale emotivo e spesso irrazionale che sostiene il credente. Il politico quando arringa la folla non discute del codice civile o penale e delle norme procedurali, bensì punta alle emozioni che suscitano gli esercizi retorici, cioè persuasivi, di convincimento pratici (gli 80 euro) o aulicii (i padri della patria). La pubblicità fa veder poco il prodotto, ma è la scena e l’ambiente, i visi felici ridenti, la musica di sottofondo,ecc che veicolano il messaggio alla scelta.del prodotto nei supermercati La nostra mente è la cosa più difficile da descrivere.. Forse sono io che intendo la gnoseologia come teoria della conoscenza, un processo “tout court”. In quanto non è la sola logica che spiega la conoscenza, non è la sola psiche, non è la sola fede. E non è nemmeno studiando i linguaggi, l’effetto del cervello , cioè non conoscendo bene lo strumento che genera il linguaggio(il cervello) allora studio a partire da come costruisce e relaziona quel cervello. Heidegger non aveva più parole e Wittgenstein aveva capito che il gioco linguistico può far dire e non dire ciò che si vuole, un prestigiatore del linguaggio. Tutte cose importanti, spesso slegate fra loro in quanto si tende a studiare per compartimento stagni e invece a mio parere sono proprio le correlazioni dei linguaggi e delle discipline a determinare un sentiero , una traccia dove potrebbero trovarsi delle risposte , perché il cervello e la mente è un “unicum” e qui che sta il principio olistico . Ultima modifica di paul11 : 13-06-2014 alle ore 20.36.08. |