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01-07-2014, 17.09.36 | #93 |
Utente bannato
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Riferimento: Gnoseologia
Il salto costruttivo avviene nel momento in cui tu non guardi più il sistema biologico in relazione al suo ambiente ma in relazione al PROCESSO che lo realizza. Ti proprongo due esperimenti:
Un punto guardato fisso e spostato lentamente, ad un certo punto scompare. Questo accade perché hai un punto della retina, dove arriva il nervo ottico, che è cieco. Il problema è che tu non vedi di non vedere. Ci siamo? Come mai tu non vedi di non vedere? E se vedi, come vedi, da dove arriva quella visione? Altra questione, l'esperimento del 1672 di Otto von Guericke che prevede la generazione di un gioco di luci che, se osservato, produce una colorazione azzurro-verdastra. Peccato che analizzando la lunghezza d'onda di quella luce, non risulti affatto quella della luce azzurro-verde. ma risulti BIANCA, ovvero l'insieme di tutto lo spettro del visibile. Ma come? Vediamo azzurro-verde una luce BIANCA? ... altro che informazioni prelevate dall'esterno... non credi? In realtà, noi COSTRUIAMO da soli le nostre percezioni. ATTIVAMENTE. Quindi, gli stati di attività neuronale sono innescati dalle perturbazioni del sistema biologico e quindi dipendono dalla STRUTTURA del sistema biologico e non dalle caratteristiche dell'agente perturbatore. Quindi, noi non VEDIAMO lo spazio del mondo ma VEDIAMO il NOSTRO campo visivo. Non VEDIAMO i colori del mondo, ma vediamo il NOSTRO spazio cromatico. Ogni esperienza di certezza, quindi, E' UN FENOMENO INDIVIDUALE. Quindi, l'esperienza conoscitiva non è il conoscere il mondo che sta là fuori ma è il PRODURRE un mondo attraverso il processo stesso che è il VIVERE. E' l'organismo stesso che genera il processo del conoscere in una circolarità che è tipica dei sistemi autopoietici. Gli esperimenti che ho riportato sopra lo dimostrano e demoliscono le nostre "certezze percettive". Esiste quindi una coincidenza tra il nostro essere, il nostro fare e in nostro conoscere. Ogni volta che ti riferisci a qualcosa mettendolo in evidenza, tu operi una distinzione. Quella cosa, emerge da uno sfondo evidenziandone le caratteristiche e le proprietà come ente, unità, oggetto. Lo sfondo, è il DOMINIO dal quale un'entità è differenziata. L'atto di distinzione è l'attività cognitiva di base dell'osservatore. L'osservatore è un sistema autopoietico. Quindi l'osservatore non è estraneo a ciò che osserva in un movimento circolare che è il fenomeno della conoscenza. Ciò che distingue il vivente dal resto è la sua natura organizzativa autopoietica. L'essere, il fare, il processo stesso del vivere è il processo della conoscenza. Morfologicamente, il sistema autopoietico ha un confine che è costituito dalla membrana. La membrana è condizione dell'autopoiesi e l'autopoiesi è condizione per la membrana. Quindi gli esseri viventi sono: 1) Prodotti e produttori inseparabilmente; 2) La coincidenza tra essere e agire. Il vivente è organizzativamente CHIUSO e reagisce ad eventuali perturbazioni esterne generando i SUOI stati sulla base della SUA struttura e della SUA organizzazione: ed è la conoscenza. Questo spiega gli esperimenti che ho riportato più sopra. Se così non fosse, perché non vedo che ho un punto cieco sulla retina? Perché vedo azzurra la luce bianca? Ora, come spieghiamo l'efficacia comportamentale del vivente e la sua capacità di manipolazione del mondo? Dobbiamo guardare in modo diverso ai due poli della questione, ovvero: Il sistema nervoso agisce nel vuoto e si nega l'ambiente/il sistema nervoso "rappresenta" passivamente ciò che sta là fuori. Questa contrapposizione è priva di senso. Come osservatori possiamo guardare all'unità autopoietica in domini diversi. Possiamo costruire il vivente sul piano dei suoi stati interni (e l'ambiente scompare), oppure lo possiamo costruire in funzione delle sue interazioni ambientali rendendo irrilevanti i suoi stati interni. "Funzionano" entrambe le descrizioni. Ma è l'osservatore esterno che le mette in relazione. Senti questo esempio: "Immaginiamo un soggetto che è vissuto per tutta la vita in un sottomarino e che, non essendone maiuscito, è perfettamente addestrato a guidarlo. Ora noi siamo sulla spiaggia e vediamo che il sottomarinosi avvicina ed emerge dolcemente alla superficie; prendiamo la radio e diciamo al pilota che sta all'interno: «Congratulazioni, hai evitato gli scogli e sei emerso con grande eleganza; le manovre del sottomarino sono state perfette». Il nostro pilota all'interno, però, è sconcertato: «Cosa è questa storia di scogli e di emersione? Tutto quello che ho fatto è stato muovere leve e girare manopole e stabilire certe relazioni fra indicatori in una sequenza preordinata in accordo con le mie abitudini. Io non ho effettuato alcuna manovra e tu mi parli di un sottomarino, per di più: mi sembra quasi una burla». Per l'uomo all'interno del sottomarino esistono solo le letture degli indicatori, le loro transizioni e i modi di ottenere certe relazioni specifiche tra esse. Solo per noi, che stiamo fuori e vediamo come cambiano le relazioni fra il sottomarino e il suo ambiente, esiste il comportamento del sottomarino […]". La metafora del cervello che che prende informazioni dall'ambiente e le manipola a suo vantaggio come un elaboratore è una cazzata micidiale, dato che il cervello lavora in CHIUSURA operativa e governa la situazione determinando quali configurazioni dell'ambiente sono perturbazioni e quali cambiamenti esse provocano nell'organismo. Si può parlare di CONOSCENZA ogni volta che appare un comportamento EFFICACE in un PRECISO CONTESTO, ovvero in uno specifico DOMINIO. Quindi NON ESISTE CONOSCENZA DECONTESTUALIZZATA, DELOCALIZZATA. Quindi, non viene negata la realtà (perturbazione) né l'osservatore, così come costruiti nel loro specifico DOMINIO. La pluralità è pluralità di perturbazioni e stati del sistema nervoso. Ciò che distingue una costruzione dall'altra è la sua "funzionalità", la sua "efficacia" non il suo contenuto di VERITA'. L'eschimese, con le sue distinzioni, si muove efficacemente nel suo contesto io, con le mie, mi muovo efficacemente nel mio contesto. "Efficacia" è la capacità di anticipare gli eventi. Io mi anticipo che le gomme della mia auto scivoleranno sull'unica neve che conosco, l'Eschimese si anticiperà tante altre cose in base alle decine di "nevi" che conosce. Esattamente come dici tu, MOLTE COSTRUZIONI sono possibili per la neve, molte distinzioni, ma alcune non sono possibili: costruire la neve come se fosse sabbia del deserto. Non puoi farlo perché qualcosa di ontologico (ciò che perturba il tuo sistema) ti ferma. Come se tu volessi attraversare un muro: non puoi. La fisica subatomica è una "costruzione". Funziona. Non è la verità, ma funziona. Attraverso certe distinzioni, frutto della perturbazione del nostro sistema, abbiamo elaborato una "costruzione" che in alcuni domini funziona mentyre in altri è del tutto irrilevante, non funziona. Una "costruzione" è una "costruzione". Non riflette nulla delle caratteristiche della realtà (perturbatore) ma riflette I TUOI COSTRUTTI. Non c'è nulla di colorato senza lo spazio cromatico della tua biologia, non c'è spazio senza lo spazio generato dal TUO campo visivo. Non c'è nulla di grande o di piccolo, di caldo o di freddo, di duro o di molle, di lento o di veloce, di bello o di brutto, di sopra o di sotto: sono TUTTI TUOI COSTRUTTI, TUE DISTINZIONI, TUE COSTRUZIONI, sono STATI DEL TUO SISTEMA che viene perturbato. L'eschimese "vede" dieci tipi di neve perché ha i COSTRUTTI per fare quelle distinzioni. Costrutti che tu non possiedi e quindi non "vedi". Lui li ha e tu no, perché il tuo sistema di "perturbazioni" è stato diverso del suo e diversi i suoi stati interni. Il suo VIVERE è stato diverso e quindi i suoi costrutti sono diversi e quindi le sue costruzioni sono diverse, i suoi significati diversi, il suo mondo diverso. Nel costruttivismo radicale si ammette e ci si interessa ancora a ciò che "perturba", nel costruttivismo ermeneutico ci si disinteressa a ciò, dato che in fin dei conti, nulla posso sapere del "perturbatore" e quindi "su ciò di cui non si è in grado di parlare, meglio tacere". FMJ |
01-07-2014, 19.34.59 | #94 |
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Giulioaretino, a meno che non abbia io stesso le idee confuse (il che non è impossibile) mi pare che la differenza tra me e te riguardi il modo di intendere questa unità principalmente in tal senso: tu associ l'unità con l'uniformità formale (cioè con l'indistinguibilità: stesso oggetto= stessa forma); io invece penso l'oggetto (o anche il non-oggetto, cioè pure l'essere o l'ente quantunque lo si voglia nominare -per quanto non lo ritenga effettivamente lecito-) di per sé diversificato, e ritengo le distinzioni che si possono fare in esso come un depauperamento del suo contenuto (e non mi pare di poter essere smentito se affermo che una descrizione qualsiasi di un oggetto non esprimerà mai la compiutezza di ciò che "è", soprattutto se non si vuole negare che io sia anche colui che intrattiene certe relazioni con il resto dell'universo).
Di fatto, per me, ci sarebbe "una sola forma d'un solo ente", ma questa forma non si darebbe senza ciò che tu chiami "differenza" (prova ad astrarre questa parola da quella credenza sedimentata che ti pone, per rimetterla al semplice uso che ne fai effettivamente) e che per me è semplicemente il suo "porsi". Infatti ogni volta che vedi qualcosa, fosse pure ciò che potresti descirvere come "una cosa" (in quanto questa espressione risulta spesso socialmente efficace) hai già questa "differenza/molteplicità", poiché la "differenza/molteplicità" accompagna sempre la/le cosa/e come il tavolo accompagna la tastiera. Ma allora quando dico "vedo la tastiera = vedo una cosa" non è che stò dicendo "vedo la tastiera e il tavolo/contesto-random = molte cose"?. Insomma non c'è, secondo me, un reale confine tra l'uso che dovremmo fare della parola "unità" (riferita agli enti o esseri o realtà ontologiche) e quello che dovremmo fare della parola "molteplicità": tutte le volte (analizzando i fenomeni che è l'unica cosa che conosciamo) sembrerebbe di star guardando una molteplicità di oggetti (secondo il tuo indirizzo), o un unico ente (secondo il mio per come l'ho accentuato). Però entrambi gli schemi si riferiscono alla-stessa/alle-stesse cose, così da risultare indistinguibili e inconsistenti nella loro contrapposizione. Ripeto: la tastiera è un singolo ente o con questa visione (della tastiera) dovendo visualizzare anche un contesto ci si stà riferndo pure ad esso? Al contrario posso dire che ci sono 2 cose (la tastiera e il tavolo/contestoX) se nessuna delle 2 si dà senza l'altra? Questo mi muove a credere che la pluralità ontologica non abbia fondamento, come pure l'unità. Sebbene ciò che ho cercato di esprimere possa sembrare intuitivamente più complesso rispetto alla tesi della molteplicità ontologica da te avanzata (e secondo me lo è perché cerco di contrastare una credenza linguisticamente radicata, quindi appresa sin dall'infanzia e tramite cui ci esprimiamo e pensiamo; a scuola ci insegnano che ci sono dei soggetti e dei predicati, degli esseri e le loro proprietà), io ritengo una simile lettura più conforme a quello che è sotto i nostri occhi effettivamente. Di fatto non c'è nessuna etichetta nelle mie impressioni con scritto "tavolo", "sedia", ecc., né queste cose sono mai poste di per sé, ma sempre con un contesto di contorno senza il quale non potremmo assolutamente visualizzarle (sono poste insieme e non, come universi/ontologie separabili, distintamente). Fammi vedere una tastiera senza che possa visualizzare altro da lei e probabilmente ti crederò, crederò che i pezzi dell'universo hanno di per sé un senso e sono separabili/separati. |
01-07-2014, 20.03.27 | #95 |
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giulioarretino:
L'ipotesi contraria è difficilmente giustificabile. Bisognerebbe spiegare 1) come mai il Soggetto la percepisce in modo diverso pur essendo la stessa identica cosa (una specie di super Io creatore di realtà assolutamente fasulle e illusorie, o una realtà che "manda" impulsi fenomenici diversi e complessissimi a partire da una perfetta identità), 2)come mai tale percezione è coerente con sé stessa (se me ne vado a fare un giro e ritorno tra due ore, troverò sempre la tastiera sul tavolo: perché non un cavallo su un trono, se tanto è la stessa identica cosa?), come mai anche gli altri Soggetti percepiscono la stessa cosa, o (come gran parte degli altri esseri senzienti) quantomeno percepiscono la differenza - es. uno stupidissimo tarlo si sgranocchia il tavolo, non la tastiera (ci sarebbe una specie di perfetta armonia in tutte queste diversi menti umane creatrici di realtà e una qual certa coerenza anche rispetto ai senzienti), 3) e infine spiegare come mai il Soggetto (o i Soggetti), che a rigor di logica dovrebbero far parte anch'essi di questo essere, abbiano queste particolari proprietà creative(perché la tastiera il tavolo potrebbero ben essere la stessa identica cosa, ma se anch'Io non mi differenzio in alcun modo della tastiera e del tavolo e da aggressor, diventa difficile proseguire il discorso. Sostanzialmente sarei l'intera realtà che si sta facendo un sacco di pippe mentali su sé stessa?). Quello che dico non impone che la realtà sia una sorta di essere parmenideo (infatti anche l'immagine d'una sfera indistinta sarebbe impossibile da visualizzare senza un contesto, ciò dimostra che l'essere non può venire pensato con un esempio del genere in quaunto, tecnicamente, dovrebbe risultare onnicomprensivo -non lasciarsi quel contesto alle spalle-). Lo so, ti sto chiedendo di andare oltre la concezione della parola "diversità" o "pluralità" che hai in mente, ho provato ad evocare ciò che essa rappresenta per me ora dopo innumerevoli studi. |
02-07-2014, 13.56.37 | #96 | |||
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Citazione:
ma io sono d'accordo con questo. Non credo affatto che i pezzi dell'universo siano "di per sè" separati (vaghezza, problema del limite, paradosso del sorite ecc.), nè che sia "dati" in un modo predefinito e immutabile, né che possano concepirsi come avulsi dal sistema di relazioni reciproche, e in generale dal Tutto che li comprende. Credo che ogni distinzione e parcellizzazione dell'Universo sia necessariamente soggettiva e incompleta, manchevole sotto il profilo della complessità del contesto e delle alternative, e dunque "depauperante". Tuttavia ritengo che le differenziazioni dell'essere non siano qualcosa di assolutamente e completamente inaccessibile e inconoscibile: sono in larga parte inaccessibili e inconoscibili, date le loro caratteristiche di cui si è detto sopra, ma non credo che la nostra percezione fenomenica delle differenziazioni sia totalmente arbitraria o illusoria, né le conseguenti parcellizzazioni. Esse riflettono, quantomeno "in negativo", per sottrazione diciamo, le differenziazioni dell'essere. Se il tavolo mi appare tavolo e la tastiera mi appare tastiera, non arriverò certo ad affermare che esistono davvero un tavolo e una tastiera e di poterli conoscere in quanto tali, nel senso connotati da etichette precise, indipendentemente dal resto della realtà e dal rapporto che essi instaurano con me (e dunque i miei filtri/categorie/costrutti). Ma la configurazione che risulta dal rapporto instaurato tra l'Io e un certo coagulo di realtà, mi dice comunque qualcosa sull'Io e sulla realtà stessa. Mi dice che una porzione di realtà (vaga, mutevole, immersa in un mondo di relazioni: per comodità chiamiamola Io), qui e ora, percepisce una porzione di realtà in un certo modo (vaga, mutevole, immersa in un mondo di relazioni: chiamiamola tavolo e tastiera), proprio in quel modo tra tutti gli altri potenzialmente possibili. Non come ananas o come gatto o come mare: tavolo e tastiera. Perché proprio in quel modo? Perché la realtà assume proprio quella configurazione e non un altra? Se vigesse l'indifferenza assoluta e parmenidea, non vi sarebbero spiegazioni accettabili (se non quella del super Io). Non così se invece ammettiamo la pluralità ontologica, o come la chiami tu, la differenziazione dell'essere. Dai rapporti/intersezioni che si instaurano tra le innumerevoli differenziazioni dell'essere non derivano indifferentemente innumerevoli configurazioni ma determinate configurazioni piuttosto che altre (tavolo e tastiera, non gatto e banana). Configurazioni che noi conosciamo solo dalla nostra prospettiva, necessariamente limitata e relativa, in quanto parte di tali intersezioni/rapporti (siamo "immersi" nella realtà, non fuori da essa), ma nondimeno riflettenti un ontologica - vaga, mutevole, soggettiva, incompleta ecc. - pluralità. Citazione:
Però non mi sembra che tu stia negando - l'esistenza della realtà - l'esistenza di un Soggetto (o vivente, o sistema biologico autopoietico) in qualche misura diverso e indipendente dalla realtà "esterna" (anzi, lo definisci addirittura come sistema chiuso - la pluralità ontologica della realtà esterna eventualmente perturbante, in quanto parli appunto di "pluralità delle perturbazioni e degli stati del sistema nervoso", confermando poi come alcune perturbazioni abbiano connotati ontologicamente diversi rispetto ad altri. Immagino che i "muri" siano insuperabili non esclusivamente a causa dell'incapacità o della mancanza di volontà del Soggetto di superarli, costruendo la neve come sabbia, o per l'inutilità di tali costruzioni (se sto morendo di sete nel sahara, sarebbe molto utile "costruire" la sabbia come se fosse neve) ma anche perché la perturbazione esterna in questione (neve o dieci nevi) è ontologicamente diversa da un altra (sabbia), pur essendo le costruzioni di sabbia e neve relative, soggettive, non rappresentanti in sé "la verità". Poi però dici che " Una costruzione (...) non riflette nulla delle caratteristiche della realtà (perturbatore) ma riflette I TUOI COSTRUTTI" Sul "nulla" non credo di essere d'accordo; una costruzione rifletterà sicuramente i miei costrutti, diversi da quelli di un eschimese, ma rifletterà anche quei muri ontologici di cui sopra. La mia costruzione di neve non sarà vera nel senso di oggettività, assolutezza, completezza, ma sarà vera nella misura in cui non è sabbia o qualunque altra cosa, e dunque "rivelatrice" della pluralità ontologica della realtà esterna. Citazione:
concordo, semplicemente sottolineo come nonostante le cose siano conosciute in diversi modi, relativi e mutevoli, a seconda dei diversi costrutti, anch'essi relativi e mutevoli, l'eventuale passaggio successivo (e dunque ogni modo di conoscerle è indifferente) non è necessariamente corretto. Lo è solo se si ammette un super-Io che può plasmare univocamente una realtà indifferenziata. Se invece si ammette la pluralità delle perturbazioni esterne, e la reciprocità del rapporto che si instaura tra Soggetto e realtà esterna, le cose potranno essere conosciute solo in certi modi e non in altri, modi pertanto idonei a riflettere - sempre alla luce di costrutti non assoluti - aspetti ontologici della realtà. Se non altro, come dicevo, la sua pluralità. |
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02-07-2014, 15.57.06 | #97 |
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Ecco, giulioarretino, lo so che dopotutto non abbiamo opiniosi così distanti e mi spiace di aver ripetuto concetti dai quali poteva sembrare che tu creda agli enti in sé separati.
Ma quel fatto della varietà dell'essere, se così possiamo chiamarla, non credo possa spingerci a postulare quel precetto della molteplicità ontologica, intanto poiché questo comporterebbe l'ammettere ciò che tu stesso sembri negare a più riprese, e poi perché, come ho già scritto, le due cose (secondo me) non si implicano necessariamente. Mi sembri, appunto, più portato ad affermare la pluralità come concetto utile all'indagine conoscitiva, quindi come verità gnoseologica. Il fatto poi è che non è detto che sia sempre conveniete descrivere la realtà in questo modo analitico, e dunque essa non è da assolutizzare neanche in questo dominio. Io ho capito perfettamente che a te non piace l'idea dell'essere Parmenideo, eppure essa non convince affatto neanche me. Ho cercato di spiegare come per me la varietà dell'essere non corrisponda alla sua pluralità, ma è prima di tutto un sintagma (quello di pluralità/varietà/diversità) o un suono col quale semplicemente cerchiamo di mostrare qualcosa di così generale che cade sotto ogni rappresentazione. Ogni volta che guardo la realtà, fosse anche un unica realtà, essa sarà già percepibile o visibile grazie a ciò che chiami pluralità (o che potremmo chiamare contesto a questo punto). Ma questa argomentazione non mira affatto a dire che stiamo vedendo un tutt'uno indistinto! Per carità, una cosa del genere non l'ho mai concepita neanche lontanamente e sfido chiunque a poterla immaginare davvero (come si fa ad immaginare, ma non relativamente, l'indistinguibilità? infatti essa sarebbe riconosciuta e distinta una volta visualizzata, come la sfera compatta di Parmenide autocontraddirebbe il propio scopo). Io non spezzetto l'essere ontologicamente, ma non per questo lo immobilizzo. [ciò che, soprattutto, vorrei trasmetterti è che -da quello che ho compreso- le idee solo se pensate platonicamente preesistono, in qualche modo, o hanno obbiettivamente un senso; voglio cercare di portarti al senso che quella parola così utilizzabile=> diversità/pluralità ha per me adesso che nonostate la usi non spezzetto il mondo. Per questo ho cercato di far leva sull'strazione da ciò che quella parola ci evoca comunemente. E credo che senza questo processo non si chiarirà perché le cose non sarebbero per sé separate (come dici) ma devono esserlo (sempre da ciò che mi sembra tu scriva); cioè perché ti sembra di vedere lo spezzettamento che teoricamente non c'è e che però deve equivale a qualcosa nell'essere] Un saluto grande Ultima modifica di Aggressor : 03-07-2014 alle ore 02.57.10. |
02-07-2014, 21.40.45 | #98 |
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Però non mi sembra che tu stia negando
- l'esistenza della realtà - l'esistenza di un Soggetto (o vivente, o sistema biologico autopoietico) in qualche misura diverso e indipendente dalla realtà "esterna" (anzi, lo definisci addirittura come sistema chiuso - la pluralità ontologica della realtà esterna eventualmente perturbante, in quanto parli appunto di "pluralità delle perturbazioni e degli stati del sistema nervoso", confermando poi come alcune perturbazioni abbiano connotati ontologicamente diversi rispetto ad altri. Immagino che i "muri" siano insuperabili non esclusivamente a causa dell'incapacità o della mancanza di volontà del Soggetto di superarli, costruendo la neve come sabbia, o per l'inutilità di tali costruzioni (se sto morendo di sete nel sahara, sarebbe molto utile "costruire" la sabbia come se fosse neve) ma anche perché la perturbazione esterna in questione (neve o dieci nevi) è ontologicamente diversa da un altra (sabbia), pur essendo le costruzioni di sabbia e neve relative, soggettive, non rappresentanti in sé "la verità". Poi però dici che " Una costruzione (...) non riflette nulla delle caratteristiche della realtà (perturbatore) ma riflette I TUOI COSTRUTTI" Sul "nulla" non credo di essere d'accordo; una costruzione rifletterà sicuramente i miei costrutti, diversi da quelli di un eschimese, ma rifletterà anche quei muri ontologici di cui sopra. La mia costruzione di neve non sarà vera nel senso di oggettività, assolutezza, completezza, ma sarà vera nella misura in cui non è sabbia o qualunque altra cosa, e dunque "rivelatrice" della pluralità ontologica della realtà esterna. concordo, semplicemente sottolineo come nonostante le cose siano conosciute in diversi modi, relativi e mutevoli, a seconda dei diversi costrutti, anch'essi relativi e mutevoli, l'eventuale passaggio successivo (e dunque ogni modo di conoscerle è indifferente) non è necessariamente corretto. Lo è solo se si ammette un super-Io che può plasmare univocamente una realtà indifferenziata. Se invece si ammette la pluralità delle perturbazioni esterne, e la reciprocità del rapporto che si instaura tra Soggetto e realtà esterna, le cose potranno essere conosciute solo in certi modi e non in altri, modi pertanto idonei a riflettere - sempre alla luce di costrutti non assoluti - aspetti ontologici della realtà. Se non altro, come dicevo, la sua pluralità.[/quote] Io non nego nulla. Non è questione di negare, è questione di costruire. Se tu ASSUMI che l'universo sia reale, esso sarà reale come da TE definito. Se ASSUMI che l'universo non abbia realtà, non l'avrà. Si tratta di due posizioni che, come sai, con sono novità né in filosofia, né in campo scientifico. Sul piano fenomenico biologico, emerge il sistema vivente autopoietico. Sul piano fenomenico della chimica, il vivente "biologico" cos'è? Carbonio, azoto, idrogeno, un po' di zolfo, di forforo ecc. Tutto lì. Chimicamente. Secondo costruzione chimica. Quindi io sto solo dicendo che il vivente può essere costruito sul piano biologico come un sistema chiuso autopoietico con una membrana che lo delimita. Sono descrizioni, costruzioni. Più o meno utili. Bisogna sempre ricordarsi, quando si parla, a quale dominio descrittivo ci si sta riferendo. Quando parlo di "perturbazioni" mi riferisco non ad una pluralità che è là fuori ma ad una pluralità d'inneschi che descrivo e assumo nella mia descrizione sul piano fenomenico biologico. Una volta innescato, il sistema nervoso così come descritto sul piano fenomenico biologico, assume configurazioni specifiche dipendenti dalla sua biologia e sono lo spazio, i colori, il caldo, il freddo e tutte le distinzioni (costrutti) delle quali è capace il sistema. Non sono là fuori. Sono nel sistema. Non tutte le costruzioni "funzionano", dato che alcune, come ho detto, s'infrangono contro qualcosa di ontologico. Ma si tratta di quella cosa della quale "non è nemmeno possibile parlare" dato che parlarne è già costruirla, è già ASSUMERE dei POSTULATI... "facciamo finta che"... Kelly diceva: ASSUMIAMO che l'universo sia reale. Ok, assumiamo questo, "facciamo finta che...". Poi, da questo, discendono tutte le costruzioni. Secondo me, tu sei un costruttivista, solo che vuoi SALVARE delle tue ASSUNZIONI cercando di stabilire se siano VERE ovvero se corrispondano a qualcosa che sta là fuori. Vuoi salvare la pluralità e il qualcosa che sta là fuori. Per tutto il resto, sei un costruttivista. Puoi farlo, ma devi avere l'onestà intellettuale di dire: 1) ASSUMIAMO che là fuori ci sia qualcosa; 2) ASSUMIAMO che quel qualcosa sia plurale; ... ovvero, esplicita i TUOI presupposti e poi procedi. Funziona? Bene. Non funziona? Dovrai cambiare. Quando dico "funziona" intendo dire: che ampiezza di eventi ti permette di anticipare l'assumere che l'universo sia reale e che sia molteplice? ... ma chiamale ASSUNZIONI, non VERITA'. FMJ |
03-07-2014, 04.11.03 | #99 |
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PS: per giulioaretino
Rileggendo il tuo ultimo commento (del 02/07/14) mi rendo conto che probabilmente l'unica domanda che mi stai (giustamente) ponendo è: perché l'essere si mostra variegato/parcellizzato (ho capito che intendiamo la stessa cosa alla fine)? Quello che posso rispondere con precisione (sebbene la cosa sia più indirettamente esposta già nelle righe che ho precedentemente scritto) è che questa stessa domanda non vuol dire nulla. Ciò che chiamiamo diversificazione/parcellizzazione è solo il senso più primitivo che può assumere l'essere, quel "carattere" che accompagnerebbe sempre il sintagma "essere" (=diversificato) quando lo nominiamo. Quest'ultimo, infatti, dovrebbe rappresentare almeno ciò che non dovremmo mai escludere in un idea (in quanto esistente) ed ogni idea mentale (o sensazione) si dà contestualizzata e così anche differenz-iata/abile dal contesto; mentre il contesto, rientrando sempre nell'idea delle cose nominate, non potrà mai dirsi altro da esse, qualunque siano: idea di tavolo= (tavolo+stanza), triangolo=(triangolo+sfondo), ecc. . Non puoi chiederti se l'aspetto più generale dell'essere possa non esistere (soprattutto all'interno di un ente che esista. Se poi vuoi chiederti perché gli-enti/l'ente esistono/esiste la risposta sarà pressoché analoga, soprattutto perché il contrario porterebbe il non-essere ad esistere e così ad acquisire la parcellizzazione/diversificazione). Invece il motivo per cui la diversificazione/parcellizzazione dell'essere è fatta in un certo modo (con dei coaguli d'una certa forma) di solito si assume dipenda da come era prima; in ogni caso si tratta d'una contingenza che personalmente attribuisco alla libertà dei parcellizzati (o dell'essere, che ritengo coscienti/e infatti), la quale non deve venire pensata in forma assoluta (altrimenti non avrebbe oggetto; non posso scegliere se non so tra cosa, per cui la scelta è intrinsecamente limitata dai suoi "oggetti" o co-presente/contestualizzata con/da essi per porsi). Ultima modifica di Aggressor : 03-07-2014 alle ore 10.41.39. |
03-07-2014, 11.44.59 | #100 | |
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Avendo alluso, con le parole, a qualcosa che le parole no acchiappano. Tu guardi il dito e ti perdi la luna. FMJ |
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