Forum di Riflessioni.it
ATTENZIONE Forum in modalità solo lettura
Nuovo forum di Riflessioni.it >>> LOGOS

Torna indietro   Forum di Riflessioni.it > Forum > Filosofia

Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
>>> Sezione attiva sul forum LOGOS: Tematiche Filosofiche



Vecchio 06-10-2013, 07.51.20   #61
Soren
Ospite abituale
 
Data registrazione: 08-05-2009
Messaggi: 164
Riferimento: Scienza e filosofia (fisica e metafisica)

volevo dare un piccolo contributo a certi elementi della conversazione..

primo, la diatriba nel metodo che accomuna oggi scienze naturali e umane. Una scienza che studi l'uomo al di fuori della sua soggettività è possibile e anzi è l'unica possibile per studiarlo non come "individuo" ma "aggregato di individui" cioè in senso sociale: ciò non vuol dire fare finta che la riflettività del soggetto venga meno, ma limitarla ad un certo quantitativo di indeterminazione nello studio dei casi, in genere medio, quello che normalmente si chiama devianza nella statistica e che è comunque riconducibile ad una media dalla base di cui lavorare per estrapolare dati utili alla speculazione sociologica, dunque all'andamento generale di un certo gruppo. Per citare un esempio noto Durkheim nel suo saggio sul suicidio ( azione dettata eminentemente da cause soggettive, no ? ) notò come in ogni paese analizzato il tasso fosse verosimilmente simile da un anno all'altro per ogni paese, e che certe tendenze potessero essere annotate. Questo significa che anche la soggettività umana, all'interno di cui sta l'indeterminazione che tanto problematizza l'applicazione di una scienza esatta è una variabile in un gioco di cause ambientali ( fisiche e culturali ) per ogni fenomeno umano: da qui la strada è libera per la ricerca metodologica-statistica con cui evidenziare tendenze ( quale fosse il metodo al tempo era ancora piuttosto dibattuto, mentre oggi le linee-guida sono più o meno comunemente accettate ). Le scienze umane infatti non producono equazioni esatte, ma equazioni più o meno esatte ( cioè suscettibili ad un certo margine d'indeterminazione soggettiva, di cui ancora è esplicabile la media anche se non, ovviamente, la devianza per ogni singolo quando si tratta di speculazioni macro ). In un certo senso dire che le scienze umane non possono essere considerate scienze naturali mi sembra come dire che la fisica quantistica non possa essere considerata scienza naturale perché non può prevedere interamente l'andazzo delle microparticelle; mentre a stabilire ciò non è un limite del metodo ma della portata d'osservazione.

punto 2, ma su questo ora non posso soffermarmi siccome sono di fretta, non comprendo perché questa fissazione di molti sulla natura metafisica della morale che è cosa decisamente in qua con i tempi, vale a dire storica, e che emerge da certi contesti relazionali tipici dei mammiferi più sviluppati che hanno per intero cause bio-evolutive, cioè genetiche. A tal proposito se possibile vorrei chiedere a chi ha espresso tale posizione ( 0xdeadbeef mi pare! o anche altri ? ) di chiarificarmela se possibile, cioè perché attribuisci una causa metafisica alla morale ? avrei voluto scrivere di più sull'argomento ma ora davvero sono di fretta :S

un saluto
Soren is offline  
Vecchio 06-10-2013, 11.07.41   #62
sgiombo
Ospite abituale
 
L'avatar di sgiombo
 
Data registrazione: 26-11-2008
Messaggi: 1,234
Riferimento: Scienza e filosofia (fisica e metafisica)

@ Soren

Mi trovo perfettamente d’ accordo su gran parte di quanto da te affermato, soprattutto sull’ oggettività (ovviamente relativa) delle scienze umane.
Non lo sono sull’ ”identità” (specie se ritenuta "perfetta", assoluta) fra l’ indeterminazione quantistica e l’ indeterminazione delle applicazioni matematiche (anch’ esse di tipo statistico) possibili nelle scienze umane (identità che peraltro, mi sembra corretto precisare, non affermi essere integrale, assoluta, ma limitata dall’ espressione “in un certo senso”).
Secondo me nell’ oggetto delle scienze umane, anche rispetto alla meccanica quantistica, c’ è un “di più di non-matematizzabile”; non ci sono solo limiti oggettivamente insuperabili (in linea teorica di principio e non solo di fatto) alla precisione delle misure, ma ci sono anche importanti, determinanti fattori in gioco che non sono per niente, nemmeno con grossolana approssimazione, con insuperabile indeterminatezza, misurabili matematicamente (non sono “letteralmente pesabili” ma solo “vagamente ponderabili”).

Cerco di spiegarmi meglio (ma brevemente).

Secondo me le scienze umane sono oggettive (come le scienze naturali); ma non integralmente matematizzabili (contrariamente alle scienze naturali; ivi compresa la meccanica quantistica, in cui anche l’ indeterminazione è quantificata -nella costante di Plank- e gli enti ed eventi di cui si occupa, i "fattori in gioco" sono in linea di principio integralmente calcolabili e prevedibili, sia pure nei limiti della statistica); esse sono invece solo molto parzialmente e direi alquanto marginalmente (valutazione inevitabilmente soggettiva, lo ammetto) matematizzabili, non senza importanti, determinanti “residui non passibili di misurazione e di calcolo matematico (sia pure soltanto statistico)”.
E questo perché nelle scienze umane (per come di fatto sono conoscibili) gioca un ruolo determinante la “res cogitans”, il pensiero, che non è misurabile quantitativamente mediante rapporti esprimibili da numeri (si può vagamente “ponderare” se un’ aspirazione o desiderio sia maggiore di un altro, o magari di altri due o tre soddisfabili nel loro insieme in alternativa al primo, ma non si può certo stabilire di quante volte, alla maniera nella quale si pesa un oggetto e si stabilisce che è uguale, per esempio, a tre volte il peso di un altro oggetto preso come unità di misura, per esempio tre volte un chilogrammo).
Secondo la mia personale ontologia (dualistica parallelistica dei fenomeni) invero nella realtà oggetto di studio e conoscenza (oggettiva) delle scienze umane, per la chiusura causale del mondo fisico (res extensa), non è il pensiero (res cogitans) a svolgere un ruolo decisivo ma il suo correlato fisico neurologico (il funzionamento dei cervelli umani, che è res extensa).
Ma poiché quest’ ultimo non è di fatto analizzabile scientificamente nei suoi aspetti rilevanti in proposito (concernenti le scienze umane) per la loro “mostruosa” complessità, le scienze umane stesse sono inevitabilmente costrette a considerare e studiare (anche e soprattutto) la res cogitans non misurabile e non calcolabile matematicamente: non potendo descrivere per filo e per segno in termini biologici (neurofisiologici,-perfettamente riducibili in linea di principio alla fisica) per esempio il mio desiderio di stabilità professionale e sicurezza familiare (in soldoni la mia “propensione al posto fisso”), il quale (correlato neurologico) pure esiste e consiste in determinati stati funzionali del mio cervello e interagisce di fatto nel mondo fisico, né il deisderio alternativo di aumentare i miei guadagni, né quelli analoghi di tutti gli altri uomini con i quali interagisco in maniera più o meno stretta oppure blanda nella mia vita sociale (in innumerevoli diversi modi!), le scienze umane sono costrette a prendere in considerazione al loro posto i rispettivi correlati di pensiero (res cogitans), cioè l' intensità, la “forza” non affatto misurabile da numeri con la quale sono avvertite tali propensioni.

(Mi scuso per la contorsione e pedanteria dell’esposizione, ma la questione è complesse e il tempo e lo spazio a disposizione limitati).
sgiombo is offline  
Vecchio 07-10-2013, 20.49.41   #63
0xdeadbeef
Ospite abituale
 
Data registrazione: 14-12-2012
Messaggi: 381
Riferimento: Scienza e filosofia (fisica e metafisica)

@ Sgiombo
Il fatto che la pensiamo, spesso, allo stesso modo sulle questioni pratiche qualcosa vorrà pur dire, no?
Voglio dire: pensarla allo stesso modo sulle questioni pratiche pre-suppone necessariamente una certa comunione
di vedute anche sulle questioni teoretiche. Non vedo come potrebbe essere altrimenti.
E' dunque certissimo che quelle che appaiono (appunto: appaiono) divergenze di vedute sono dovute al fatto che
usiamo una terminologia diversa. Ma questo, lungi dall'essere un problema di poco conto, è invece un ostacolo
notevole alla comprensione reciproca.
E' per questo che, all'inizio di questa discussione, mi raccomandavo di, come dire, trovare un terreno comune
di discussione. Potremmo analizzare la questione (e l'ho accennato) anche dal punto di vista filosofico,
cioè dal punto di vista semiologico (se ti interessa possimo approfondire: per il momento salto).
E dunque: come poter ricondurre la nostra discussione a termini "comuni"? Proviamoci nel seguente modo...
Quando ho detto: "Credo inutile il tuo cercare una "dimostrazione" scientifico-empirica dove non può esservi"
intendevo ribadire che il principio morale può solo essere "giustificato" da un argomento metafisico, cioè da un
argomento non "dimostrativo" nel senso scientifico-empirico del termine.
Il problema "per me" (per il mio punto di vista) è che tu non sembri accettare un qualcosa che non sia dimostrabile
in modo scientifico-empirico, ed in effetti squalifichi la "giustificazione" (che poggia sempre sull'argomento
metafisico) a mera in-dimostrabilità.
Parli infatti di in-fondabilità (del principio etico), ma non ti accorgi che così facendo mescoli due piani
diversi (il piano della giustificabilità - dell'etica - e il piano della dimostrabilità scientifico-empirica).
In realtà, la fondabilità del principio etico poggia sul piano della giustificabilità, e solo su quello. Mentre,
ad esempio, la fondabilità di un precetto scientifico poggia sul piano della dimostrabilità scientifico-empirica,
e solo su quello.
Hume, che so esserti molto caro, dice chiaramente che nell'economia del discorso vanno separate le proposizioni
descrittive da quelle prescrittive. E' quello che ti sto dicendo anch'io, visto che per "proposizioni descrittive"
vanno intese le proposizioni della scienza, mentre per "proposizioni prescrittive" vanno intese quelle dell'etica
(qui è chiarissima l'analogia dell'aggettivo "prescrittive", così come lo intende Hume, con il carattere appunto
"prescrittivo" di una norma giuridica).
E allora torno a chiederti: possiamo permetterci il "lusso" di dichiarare in-fondabile una norma giuridica
solo perchè essa non è dimostrabile (come è ovvio che sia) con argomenti scientifico-empirici?
Qui chiudo il discorso, sospendendo sugli altri punti (ai quali risponderò in seguito). Aspetto tue considerazioni
su quanto esposto.
un salutone (dopo l'ultima "freddata" mi sono fatto la spin bike: noiosa, ma utilissima)
0xdeadbeef is offline  
Vecchio 08-10-2013, 13.25.10   #64
sgiombo
Ospite abituale
 
L'avatar di sgiombo
 
Data registrazione: 26-11-2008
Messaggi: 1,234
Riferimento: Scienza e filosofia (fisica e metafisica)

0xdeadbeef:
Il fatto che la pensiamo, spesso, allo stesso modo sulle questioni pratiche qualcosa vorrà pur dire, no?
Voglio dire: pensarla allo stesso modo sulle questioni pratiche pre-suppone necessariamente una certa comunione
di vedute anche sulle questioni teoretiche. Non vedo come potrebbe essere altrimenti.
E' dunque certissimo che quelle che appaiono (appunto: appaiono) divergenze di vedute sono dovute al fatto che
usiamo una terminologia diversa. Ma questo, lungi dall'essere un problema di poco conto, è invece un ostacolo
notevole alla comprensione reciproca.
E' per questo che, all'inizio di questa discussione, mi raccomandavo di, come dire, trovare un terreno comune
di discussione. Potremmo analizzare la questione (e l'ho accennato) anche dal punto di vista filosofico,
cioè dal punto di vista semiologico (se ti interessa possimo approfondire: per il momento salto).
E dunque: come poter ricondurre la nostra discussione a termini "comuni"? Proviamoci nel seguente modo...

Sgiombo:
Giusto.
Cerchiamo di intenderci con calma.



Oxdeabbeef
:
Quando ho detto: "Credo inutile il tuo cercare una "dimostrazione" scientifico-empirica dove non può esservi"
intendevo ribadire che il principio morale può solo essere "giustificato" da un argomento metafisico, cioè da un
argomento non "dimostrativo" nel senso scientifico-empirico del termine.
Il problema "per me" (per il mio punto di vista) è che tu non sembri accettare un qualcosa che non sia dimostrabile
in modo scientifico-empirico, ed in effetti squalifichi la "giustificazione" (che poggia sempre sull'argomento
metafisico) a mera in-dimostrabilità.

Sgiombo:
Io accetto il principio morale, pur constatandone l' indimostrabilità (lo avverto come insieme di tendenze comportamentali e sentimenti provocati dai comportamenti miei e di altri. E constato che queste percezioni interiori sono in parte universali di fatto nell' umanità -salvo rarissimi casi letteralmente patologici-, in parte legati ai determinati ambienti sociali presenti nell umanità).



Oxdeadbeef:
Parli infatti di in-fondabilità (del principio etico), ma non ti accorgi che così facendo mescoli due piani
diversi (il piano della giustificabilità - dell'etica - e il piano della dimostrabilità scientifico-empirica).

Sgiombo:
Ma allora che significa "giustificare (metafisicamente)"?



Oxdeadbeef:
In realtà, la fondabilità del principio etico poggia sul piano della giustificabilità, e solo su quello. Mentre,
ad esempio, la fondabilità di un precetto scientifico poggia sul piano della dimostrabilità scientifico-empirica,
e solo su quello.
Hume, che so esserti molto caro, dice chiaramente che nell'economia del discorso vanno separate le proposizioni
descrittive da quelle prescrittive. E' quello che ti sto dicendo anch'io, visto che per "proposizioni descrittive"
vanno intese le proposizioni della scienza, mentre per "proposizioni prescrittive" vanno intese quelle dell'etica
(qui è chiarissima l'analogia dell'aggettivo "prescrittive", così come lo intende Hume, con il carattere appunto
"prescrittivo" di una norma giuridica).
E allora torno a chiederti: possiamo permetterci il "lusso" di dichiarare in-fondabile una norma giuridica
solo perchè essa non è dimostrabile (come è ovvio che sia) con argomenti scientifico-empirici?

Sgiombo:
Io ritengo sia fondabile sul comune umano sentire (comune di fatto; non "di diritto": non perché si possa dimostrare che sia valida per tutti, e tuttavia presente in tutti) .
E insisto sul fatto che sia comprensibile, spiegabile scientificamente, fatto che non é rilevante in proposito ma mi sembra comunque interessante da considerare; e inoltre mi sembra che, pur senza pretedere di "fondarla", in qualche modo la "corrobori": personalmente mi rende ulteriormente sicuro (anche se non ce ne sarebbe bisogno), ancor più fermamente convinto della sua validità (considerazione del tutto soggettiva, ovviamente).

A presto!
sgiombo is offline  
Vecchio 09-10-2013, 21.16.43   #65
0xdeadbeef
Ospite abituale
 
Data registrazione: 14-12-2012
Messaggi: 381
Riferimento: Scienza e filosofia (fisica e metafisica)

@ Soren
Nel mio post sulla filosofia politica, a un certo punto affermo che se per la maggioranza delle persone è
efficiente; è razionale; andare a Milano in aereo questo non vuol dire che lo è per me (che, magari, non ho
soldi e trovo razionale andarci in autostop).
Con ciò intendevo sottolineare è che, nella democrazia, uno dei problemi principali che si pongono è quello
circa la tutela delle minoranze; una tutela che non può essere "risolta" sulla base di quel che è razionale
per la maggioranza, ovvero sulla base del dato statistico. Alla fine di quella risposta, sottolineavo come
la storia dei polli di Trilussa (non so se la conosci) descriva alla perfezione ciò che la statistica è, ma
lasciamo perdere.
Io non intendo dire che una scienza che studi l'uomo al di fuori della sua soggettività non è possibile. Intendo
dire che è il caso di prendere questa scienza con le pinze, per così dire, senza attribuirgli quei caratteri
di universalità e di necessità che sono propri di proposizioni scientifiche "esatte". Intendo dire che sarebbe il caso di
continuare a chiamare con l'aggettivo "umana" questa scienza; mentre quel che vedo è, appunto, la scomparsa
di una tale aggettivazione (quanti, ad esempio, individuano più nell'economia una scienza umana? Una scienza
quindi priva dei caratteri di universalità e necessità? Andiamo a vedere le "ricette" del FMI, della BCE o
di altri "padroni del vapore"- che cito nel post sopraddetto- a proposito di come i vari paesi dovrebbero
impostare la loro economia, e vediamo se l'economia non è intesa come universale e necessaria).
Per me (per la mia pratica discorsiva, si direbbe in semiotica) questo è null'altro che un aspetto dello
"scientismo", vera e propria piaga della conteporaneità, vera e propria maschera con cui le volontà di potenza
dominanti celano quelle che sono vere e proprie politiche (va bene che, adesso, anche la politica è diventata
scienza...).
Sul secondo punto ne sto discutendo con Sgiombo, e non mi sembra il caso di ripetermi (a quella discussione ti
rimando). Mi sentirei di sottolineare soltanto che affermare, della morale, che essa ha cause bio-evolutive
non significa nulla (nel senso della "significanza" filosofica). O forse significa molto...
Posso comprendere come la percezione (neuronale? Scusatemi ma non me la cavo bene con queste cose) di due
persone con diverso senso della moralità sia differente. Cioè che sia diversa la disposizione di certe cellule
cerebrali (o vattelapesca cosa), ma da qui a sostenere che quelle due persone hanno un diverso senso della
moralità PERCHE' hanno una diversa disposizione delle cellule cerebrali ne passa (e questo che viene, in sostanza, affermato).
Simili concetti, oltre ad essere politicamente pericolosissimi, in quanto prodromi di "medicalizzazioni" di
massa (nel migliore dei casi, mentre nel peggiore ci portano direttamente a Mengele), sono anche totalmente
fuorvianti, in quanto non dimostrano affatto nessuna causalità necessaria.
Io trovo che la scienza possa dirci tutt'al più che vi è una "relazione" fra fattori bio-evolutivi e senso morale,
ma dire "relazione" non è certamente come dire "causa".
Scusami tanto, ma mi sembra proprio che accettando questi concetti si sia ridato fiato alle trombe degli
"ancient regimes", per così dire. E si sia "sepolto" Rousseau con il suo "Emilio".
ciao
0xdeadbeef is offline  
Vecchio 10-10-2013, 00.09.25   #66
0xdeadbeef
Ospite abituale
 
Data registrazione: 14-12-2012
Messaggi: 381
Riferimento: Scienza e filosofia (fisica e metafisica)

@ Sgiombo
Giustificare vuol dire "dichiarare giusto", e il giusto (da cui: "giustizia") non è una categoria della scienza.
E' per questo che se vogliamo "giustificare" non è alla fisica che bisogna guardare, ma alla meta-fisica.
Esistono tuttavia due concezioni (più di due, in verità, ma nel contesto di questo discorso può bastare questa
specificazione) del "giusto", esemplarmente descritte nel dialogo fra Socrate e il sofista Trasimaco.
Trasimaco dice che giusto è che il forte persegua il suo utile, mentre Socrate dice che giusto è perseguire
l'interesse del più debole. Mi pare chiaro che nulla aggiunga il pensiero successivo (vedi Hume) del "giusto"
come di un generico perseguimento dell'utile, visto che se "giusto" è perseguire l'utile allora sarà il forte
che lo perseguirà a scapito del debole.
In parole povere, la posizione meta-fisica è solo quella di Socrate, visto che l'utile di una pecora non sarà mai
a scapito di quello del lupo (facciamoci a capire...).
Questo vuol dire, ad esempio, che la recente sentenza che re-integra i sindacalisti FIOM all'interno della FIAT
è una sentenza squisitamente metafisica (questo, a meno di non vedere in Marchionne il debole...).
Il significato del termine metafisica è, lo ripeto, questo (e solo questo): ciò che ha come proprio principio
quel principio che condiziona la validità di tutti gli altri principi. Ovvero: quella sentenza ha fatto valere
un principio che ha condizionato la validità di tutti gli altri principi (e Marchionne ne ha elencati a iosa,
a cominciare da quello, "sacro", di un mercato che non comprende tutti questi lacci e lacciuoli alla libertà
d'impresa).
Dunque, ciò che resta da stabilire è solo e soltanto se quella sentenza sia stata "giusta" (in senso metafisico,
come credo di aver dimostrato), oppure "ingiusta" nel senso "fisico" della non-accettazione di un principio
che condiziona la validità di tutti gli altri principi (come nel caso dell'ILVA, dove non si riesce a sbrogliare
la matassa giuridica - e non certo a caso, visto che in questo frangente non viene accettato un principio che
condiziona la validità di tutti gli altri principi).
Sarei piuttosto molto meno ottimista di te sul "comune umano sentire".
Io, tutta questa "umanità", la vedo sempre di meno. Vedo, viceversa, un economicismo, un "mercatismo" (termine
che preferisco al più classico - e fuorviante - "liberismo") che sta sempre più occupando ogni spazio.
Questo avviene anche grazie allo scientismo, ovvero alla pseudo-scienza di cui tutti, ormai, sembrano imbevuti.
Forse ha proprio ragione T.Negri (che, per altri versi, non sopporto) quando parla di "biopolitica", ovvero
di una politica che esce dalle sue pertinenze per invadere lo stesso "bios" umano.
Sì, stavolta, e a differenza di altre, penso abbia visto davvero lungo. La politica, ovvero il campo nel quale
le volontà si scontrano per il "dominium", ha così profondamente permeato ogni cosa da diventare pressochè invisibile.
(dimmi tu se conosci persone che ancora sanno individuare chi è il "dominus"...). Ma è un discorso che qui chiuso,
perchè lungo e perchè poco c'entra con la discussione.
ciao
0xdeadbeef is offline  
Vecchio 10-10-2013, 18.43.28   #67
sgiombo
Ospite abituale
 
L'avatar di sgiombo
 
Data registrazione: 26-11-2008
Messaggi: 1,234
Riferimento: Scienza e filosofia (fisica e metafisica)

Oxdeadbeef:
Giustificare vuol dire "dichiarare giusto", e il giusto (da cui: "giustizia") non è una categoria della scienza.
E' per questo che se vogliamo "giustificare" non è alla fisica che bisogna guardare, ma alla meta-fisica.
Esistono tuttavia due concezioni (più di due, in verità, ma nel contesto di questo discorso può bastare questa
specificazione) del "giusto", esemplarmente descritte nel dialogo fra Socrate e il sofista Trasimaco.
Trasimaco dice che giusto è che il forte persegua il suo utile, mentre Socrate dice che giusto è perseguire
l'interesse del più debole. Mi pare chiaro che nulla aggiunga il pensiero successivo (vedi Hume) del "giusto"
come di un generico perseguimento dell'utile, visto che se "giusto" è perseguire l'utile allora sarà il forte
che lo perseguirà a scapito del debole.

Sgiombo:
Secondo me giusto è il perseguimento dell’ utile (ma preferei dire “il soddisfacente” maggiore possibile per la maggior parte possibile dei senzienti (e dunque può benissimo darsi che imponga la negazione dell’ utile -o soddisfacente- del forte se questo implica la negazione del’ utile -soddisfacente- dei più).
Ma per me (contro il Socrate platonico) non è giusto nemmeno perseguire l’ utile -soddisfacente- del debole, se se questo avviene a scapito della soddisfazione della maggioranza dei senzienti.

Ma che l' utile di Hume coincidesse con l' interesse del più forte mi sembra per lo meno un' ingiusta forzatura (era una persona estremamente affabile, bonaria, generosa; certo con i suoi inevitabili limiti culturali di borghese del XVIII° sec.; nel quale peraltro la borghesia svolgeva ancora un ruolo progressivo).




Oxdeadbeef
:
In parole povere, la posizione meta-fisica è solo quella di Socrate, visto che l'utile di una pecora non sarà mai
a scapito di quello del lupo (facciamoci a capire...).

Sgiombo:
Beh, l’ utile della pecora può benissimo essere a scapito di quello del lupo se ne determina la denutrizione e la fame, e magari quella dei suoi piccoli; ma capisco che di un lupo metaforico si tratta.
E però non è peregrino rammentare che in natura -e nella storia umana- tutto è relativo, che esistono anche conflitti fra interessi aventi tutti in qualche misura le loro ragioni reciprocamente inconciliabili, e che ci possono essere situazioni nelle quali è necessario ripiegare sul male minore (è la differenza fondamentale, secondo me, fra gli anarchici, propugnatori di un’ utopistica e sterile, improduttiva “purezza rivoluzionaria”, per esempio nella guerra civile spagnola, e i comunisti -i terzinternazionalisti, gli “stalinisti”- che, “sporcandosi le mani” e addivenendo anche a compromessi col nemico, se necessario, hanno effettivamente fatto avanzare la storia, la civiltà umana; altro esempio classico: il Patto Ribbentrop-Molotov, che da parte mia approvo incondizionatamente). Ma faccio questi esempi non pretendendo certo che tu condivida le mie valutazioni in proposito (e ci sarebbe da discuterne per “parecchie vite”…), ma solo per illustrarti il problema.

Ma allora la tua affermazione che la giustificazione della morale non possa che essere meta-fisica mi sembra significare semplicemente che essa “non può essere fisica, scientifica” (e fin qui, come già ripetutamente affermato, non posso che essere d’ accordo); ma oltre questa precisazione in negativo cos’ altro (di positivo, di affermativo) significa?
A me pare niente (non dice nient’ altro oltre a ciò che nega; a completamento del quale mi sembra sia da aggiungere “Né di alcuna altro genere o natura. Semplicemente questa giustificazione è impossibile e basta”).

La giustificazione della morale secondo me non può essere scientifica (come da te espressamente affermato), ma non solo: non può essere, non è possibile in assoluto, sotto qualsiasi punto di vista.
La morale non può essere dimostrata né scientificamente, né in alcun altro modo: semplicemente la si avverte come insieme di tendenze comportamentali (e a giudicare comportamenti; propri e altrui) spontaneamente, irrazionalmente, “sentimentalmente”.




Oxdeadbeef:
Questo vuol dire, ad esempio, che la recente sentenza che re-integra i sindacalisti FIOM all'interno della FIAT
è una sentenza squisitamente metafisica (questo, a meno di non vedere in Marchionne il debole...).

Sgiombo:
Per me è relativamente giusta semplicemente perché nell’ interesse maggiore possibile dei più possibile dei senzienti interessati al caso è compreso il rispetto dei diritti innanzitutto delle maggioranze (sia pure relative, come credo sia la FIOM in FIAT), ma anche delle minoranze (la giustizia si affermerebbe pienamente se vi fossero ammessi anche i sindacati di base, per restare al tuo esempio).




Oxdeadbeef:
Il significato del termine metafisica è, lo ripeto, questo (e solo questo): ciò che ha come proprio principio
quel principio che condiziona la validità di tutti gli altri principi. Ovvero: quella sentenza ha fatto valere
un principio che ha condizionato la validità di tutti gli altri principi (e Marchionne ne ha elencati a iosa,
a cominciare da quello, "sacro", di un mercato che non comprende tutti questi lacci e lacciuoli alla libertà
d'impresa).

Sgiombo:
Ma che significa “quel principio che condiziona la validità di tutti gli altri principi”?
Qual’ è questo Super- o meta- -principio? In cosa consiste effettivamente? Come si enuncia?
E soprattutto: come si dimostra?




Oxdeadbeef:
Dunque, ciò che resta da stabilire è solo e soltanto se quella sentenza sia stata "giusta" (in senso metafisico,
come credo di aver dimostrato), oppure "ingiusta" nel senso "fisico" della non-accettazione di un principio
che condiziona la validità di tutti gli altri principi (come nel caso dell'ILVA, dove non si riesce a sbrogliare
la matassa giuridica - e non certo a caso, visto che in questo frangente non viene accettato un principio che
condiziona la validità di tutti gli altri principi).

Sgiombo:
Per me è giusta e morale (limitatamente: vedi i diritti violati, in FIAT e altrove, dei sindacati di base) semplicemente perché soddisfa maggiormente le esigenze dei più dei senzienti (che abbiano esigenze in proposito) della contraria (esclusione della FIOM).

La questione ILVA mi sembra un classico caso di quella possibilità di conflitti fra interessi tutti in qualche misura (difficile da stabilire; impossibile matematicamente, con un numero o un' equazione) giustificabili ma reciprocamente escludentisi cui accennavo sopra.




Oxdeadbeef:
Sarei piuttosto molto meno ottimista di te sul "comune umano sentire".
Io, tutta questa "umanità", la vedo sempre di meno. Vedo, viceversa, un economicismo, un "mercatismo" (termine
che preferisco al più classico - e fuorviante - "liberismo") che sta sempre più occupando ogni spazio.
Questo avviene anche grazie allo scientismo, ovvero alla pseudo-scienza di cui tutti, ormai, sembrano imbevuti.
Forse ha proprio ragione T.Negri (che, per altri versi, non sopporto) quando parla di "biopolitica", ovvero
di una politica che esce dalle sue pertinenze per invadere lo stesso "bios" umano.
Sì, stavolta, e a differenza di altre, penso abbia visto davvero lungo. La politica, ovvero il campo nel quale
le volontà si scontrano per il "dominium", ha così profondamente permeato ogni cosa da diventare pressochè invisibile.
(dimmi tu se conosci persone che ancora sanno individuare chi è il "dominus"...). Ma è un discorso che qui chiudo,
perchè lungo e perchè poco c'entra con la discussione.
ciao

Sgiombo:
Non trovo problematico (da comprendere; casomai difficile da sopportare) il fatto che in questa (come già in diverse altre) epoca di decadenza della civiltà la morale sia ampiamente e gravemente ignorata e violata, che tenda potentemente a imporsi l’ immoralità.
Per me è dura ma “normale” dialettica della storia umana.

Peraltro conosco diverse persone (per frequentazione diretta o tramite letture) che sanno bene che il potere è nelle mani delle oligarchie capitalistiche monopolistiche finanziarie transnazionali (scusa la ridondanza degli aggettivi) e cercano per quanto possibile di contribuire in qualche modo alla (impari, quasi disperata) lotta contro di esse. Se non altro per “vendere cara la pelle” come umanità, qualora, come è probabile, questo potere non potesse essere abbattuto e conseguentemente la nostra specie fosse destinata all’ “estinzione prematura e di sua propria mano” (Sebastiano Timpanaro, un carissimo maestro di conoscenza e di vita).

Ma noto (intendimi bene: non sto affatto rivalutando o giustificando lo scientismo!) che non solo lo scientismo, bensì anche svariate altre forme di irrazionalismo ancor più “sgangherato” (superstizioni, religioni…) sono diffusissimi e svolgono un ruolo non meno importante e nefasto nella soppressione deliberata e programmata della coscienza critica fra gli oppressi e sfruttati a vantaggio degli oppressori e sfruttatori.

A presto!
sgiombo is offline  
Vecchio 13-10-2013, 00.11.44   #68
0xdeadbeef
Ospite abituale
 
Data registrazione: 14-12-2012
Messaggi: 381
Riferimento: Scienza e filosofia (fisica e metafisica)

@ Sgiombo
Mi sorprende non poco sentirti fare un simile elogio della democrazia "giacobina"...
Era Beccaria, se ben ricordo, a definire la democrazia come: "la maggior felicità per il maggior numero di
persone". Senonchè, questo di Beccaria (se era lui), era un concetto che non aveva ancora fatto i conti con
quella che venne definita (da Tocqueville) "dittatura della maggioranza", e che in ambito anglosassone portò
a definire la democrazia "costituzionale". E comunque, direi di non farne un problema di filosofia politica,
e di ricondurre la nostra discussione al tema in questione.
No, l'utile così come inteso da Hume non era l'utile dei Sofisti (l'utile come l'utile del più forte), ma era
l'utile dell'individuo, che nella prospettiva "provvidenzialistica" della cultura anglosassone coincideva con
l'utile della collettività (vedi le mie ultime risposte sul post della filosofia politica).
Nessuno mette in dubbio la buonafede di Hume, ma a mio avviso non c'è dubbio che, nella "latitanza" della
Provvidenza Divina (...), l'utile dell'individuo non coincida affatto con quello della collettività, ma con
quello del più forte.
Naturalmente, l'esempio del lupo e della pecora era una metafora (come hai ben capito). Una metafora, forse,
fuorviante. Per cui direi di fare un esempio molto più concreto, attuale e pregnante.
Nella contemporaneità, vediamo l'emergere sempre più imperioso di una forma giuridica particolare: quella del
"contratto" fra parti private (vedi, ad esempio, il sempre maggior spazio che, nella contrattazione sindacale,
occupa il cosiddetto "secondo livello" rispetto al Contratto Nazionale - immagino che tu conosca abbastanza la questione).
Ora, se a guidarci è il concetto di "utile individuale", come in Hume, avremo che la parte contraente "forte"
sarà sempre in posizione privilegiata su quella "debole" (immagina un colloquio di lavoro fra un giovane
disoccupato e una multinazionale). Ovvero: l'utile concepito come l'utile individuale coincide necessariamente
(necessariamente...) con l'utile del più forte. E questo a prescindere dalla buonafede.
Per ovviare a ciò, bisogna ri-stabilire la parità nella forza contrattuale delle due parti, e questo lo si fa
solo con una norma (da "nomos") giuridica (ad esempio l'obbligo del rispetto di un Contratto nazionale di lavoro).
Ma una norma giuridica è, lo abbiamo detto, una prescrizione metafisica (come metafisica è l'affermazione di
Socrate, così metafisico è il porre il giovane disoccupato allo stesso livello di "forza" della multinazionale).
Ora, "giustificare" un tale porre allo stesso livello non vuol dire "dimostrare" (chi può mai "dimostrare",
cioè dimostrare con argomenti scientifico-empirici, che è giusto fare così?). Dimostrare è quindi impossibile,
mentre non lo è il giustificare, perchè il giustificare significa l'affermare il "giusto"; e noi, "giustificando",
affermiamo appunto che è giusto che il giovane disoccupato sia al medesimo livello di forza contrattuale della
multinazionale presso cui egli cerca lavoro.
Chiama tutto questo, se vuoi, "emozionalità", "sentimentalità", ma non dimanticarne mai lo strettissimo e
necessario rapporto con la concretezza della norma giuridica (come ti dicevo: prova a considerare la metafisica
in relazione alla "legge"). Ed è proprio sulla base di una tale necessità che la metafisica si "enuncia".
Come, infatti, non enunciarla? E' forse possibile non esprimere un giudizio di valore? E' forse possibile,
davanti al giovane che cerca lavoro, non "dire" (non "nominare", cioè non esprimere un "nomos"; un dire
qualcosa che pre-tende di avere valore normativo) cosa è giusto e cosa non è giusto?
E' in tale impossibilità, in tale necessità, che la metafisica trova la propria giustificazione. Anzi, direi
la propria "dimostrazione" (certo di carattere ben diverso da quello scientifico-empirica), visto che per
l'uomo è impossibile non "dire" (Chomsky dice infatti che il linguaggio è innato, cioè costitutivo dell'uomo
in quanto tale). Eccola quindi la "dimostrazione" che cerchi: l'impossibilità del non-dire (il discorso
sarebbe comunque lungo), cioè l'impossibilità, per l'uomo, di non distinguere nel proprio "essere" una physis
e un nomos (come da post di apertura).
ciao
0xdeadbeef is offline  
Vecchio 13-10-2013, 19.55.23   #69
sgiombo
Ospite abituale
 
L'avatar di sgiombo
 
Data registrazione: 26-11-2008
Messaggi: 1,234
Riferimento: Scienza e filosofia (fisica e metafisica)

@Oxdeadbeef

Devi tener conto che i brevi spazi concessi dagli interventi nel forum a volte impongono una stringatezza “spartana” e non consentono di esporre tutto ciò che si pensa con la necessaria precisione e accuratezza.
Quando parlavo sommariamente della “maggior soddisfazione possibile per la maggior parte dei senzienti” (non solo umani, contrariamente -credo- al Beccaria) facevo appunto solo un accenno fugace.
Penso fra l’ altro che di fatto la maggior soddisfazione possibile per la maggior parte dei senzienti implichi il rispetto delle minoranze, sia perchè non credo che i più aspirino a opprimere qualche minoranza (in generale), sia perché credo che sia nell’ interesse dei più ascoltare anche opinioni minoritarie (sono comunque d’ accordo che, almeno per ora e in questa discussione non sia il caso di affrontare oltre queste questioni).

Accolgo volentieri la precisazione su Hume, ma non sono d’ accordo che la soddisfazione individuale (degli individui, maggiore e in maggior numero possibile) in assenza di Dio coincida con la soddisfazione del più forte: i più deboli hanno vari modi di coalizzarsi, lottare e imporre il loro interesse ai più forti (che fra l’ altro non è affatto detto necessariamente debbano essere sempre e comunque prepotenti e profittatori della propia forza).

Non sono un’ esperto di questioni sindacali.
Ma poiché l’ utile individuale dei precari e dei disoccupati coincide (grossolanamente, approssimativamente e per lo meno in larghissima misura) con l’ utile collettivo degli stessi, essi possono cercare di organizzarsi per imporlo ai padroni (mi piace molto questa vecchio ma non eufemistico termine).
Che oggi i rapporti di forza siano nella lotta di classe (politica, culturale e in particolare economica e sindacale) sfavorevolissimi al proletariato e favorevolissimi al “grandissimo padronato” non credo proprio dipenda dal diffondersi del nichilismo in campo etico, ma casomai il contrario: secondo me questo è l’ effetto, quella la causa (per quanto nelle scienze umane si stabiliscano sempre retroazioni dialettiche fra cause-sostanziali-in-ultima-istanza ed effetti-ssotanziali-in-ultima-istanza).
Quando i rapporti di forza nella lotta di classe erano meno sfavorevoli al proletariato nessuno si osava proporre l’ abolizione della contrattazione collettiva; eppure i padroni, grandi, medi e piccoli non erano meno individualisti (né credo meno nichilisti) di ora: non si osavano proporre ma certo sognavano anche allora in cuor loro l’ abolizione della contrattazione collettiva e di tante altre conquiste di civiltà. Forse erano erano un po’ meno individualisti e nichilisti che ora i proletari ...statisticamente e senza dimenticare il pollo di Trilussa).
Dunque non sono affatto d’ accordo che “l'utile individuale coincide necessariamente [sottolineatura mia] con l'utile del più forte”.
Comunque credo di avere ben chiari in mente i limiti di borghese settecentesco (per quanto intelligentissimo e illuminatissimo) di Hume: sono un marxista, mica un illuminista!

Una norma giuridica come la contrattazione collettiva per me è soprattutto il risultato di lotte di classe molto materiali (scioperi con picchetti e magari qualche violenza veniale contro i crumiri…). Credo che se dicessi a qualsiasi sindacalista o a un qualsiasi lavoratore più o meno cosciente che si tratta di una prescrizione metafisica lo lasceresti alquanto allibito.
Tuttavia continuo a non vedere fra di noi sostanziali divergenze che non siano puramente linguistiche, terminologiche. Sbaglierò, ma mi sembra che anche tu, pur con un certo “attaccamento sentimentale” (termine che non intende affatto essere spregiativo e che mi sembra esprimere bene la mia impressione) alla metafisica, alla fine affermi che l’ etica non è dimostrabile senza virgolette, in senso proprio e non metaforico (né scientificamente né in alcun altro modo) ma solo la si “enuncia” (arbitrariamente, mi sembra inevitabilmente di dover precisare, anche se -anzi: ovviamente- come una necessità interiormente avvertita di fatto inevitabilmente ed universalmente, per lo meno nei suoi imperativi più generali, e con l’ inevitabile intento di dare all’ enunciato stesso valore giuridico, normativo).

Ciao!

Ultima modifica di sgiombo : 13-10-2013 alle ore 21.22.28.
sgiombo is offline  
Vecchio 14-10-2013, 00.36.23   #70
paul11
Ospite abituale
 
Data registrazione: 17-12-2011
Messaggi: 899
Riferimento: Scienza e filosofia (fisica e metafisica)

Scusate se intervengo nel dialogo.
La filosofia politica arriva fino alla norma al massimo, la scienza politica gestisce la norma e l'economia ( per sommi capi è così).Come dire che la filosofia ispira i valori e le morali che diventano codici nelle norme giuridiche, ma è il "regnante" che applica la norma in funzione del popolo e delle economie.
Una precisazione, la contrattazione nazionale non è una vera e propria norma giuridica è semplicemente un contratto appunto fra le parti sociali che si rifà ovviamente al quadro giuridico di riferimento che è nella costituzione italiana il titolo 3 -rapporti economici.
I sindacati dei lavoratori italiani sono comunque succubi della legge della domanda e dell'offerta del lavoro e questo incide sul salario e/o stipendio, inteso poi in toto come costo del lavoro (stipendio diretto, stipendio indiretto, stipendio differito, cioè salario netto + contributi+ imposte+ trattamento di fine rapporto = costo totale)
In realtà il contratto nazionale e a discendere quelli di secondo livello dà un costo del lavoro economico pianificabile fino alla durata del contratto esistente. Quindi il datore di lavoro/imprenditore deve gestire il valore aggiunto dato dal rapporto e differenze fra prezzo del bene e o del servizio prodotto e costi.

Ma è semmai importante capire il ruolo nella filosofia politica e nella scienza politica dei sindacati dei lavoratori. Da una parte sono libere associazioni, dall'altra parte sono giuridicamente accettati ( vedasi art.39 della cost. italiana).
I cittadini indistintamente sono uguali davanti alla legge, ma ... però... quando diventano agenti economici: imprenditore, libero professionista, prestatore di lavoro subordinato nel settore privato o lavoratore nel settore pubblico..... entrano in gioco strani fenomeni...perturbativi. In quanto le differenze come giustamente avete scritto di rapporto di forza fanno saltare le norme costituzionali egualitarie, ma non solo i trattamenti pensionistici e i quadri di riferimento "corporativi" costruiscono differenze ancora più nette.
Ma purtroppo esco dal seminato della discussione ...e mi fermo quì.

Si tenga comunque presente che una enorme problematica della filosofia politica, fin dal giusnaturalismo è la costruzione armonica di un equilibrio fra i due valori fondamentali: libertà ed uguaglianza.

Per non uscire dalla discussione ribadisco che la filosofia arriva fino all'attimo dell' applicazione e del governo che spesso ormai è competenza delle scienze: l'una ispira una cultura e un indirizzo, l'altra gestisce più o meno in accordo con l'ispirazione .
paul11 is offline  

 



Note Legali - Diritti d'autore - Privacy e Cookies
Forum attivo dal 1 aprile 2002 al 29 febbraio 2016 - Per i contenuti Copyright © Riflessioni.it