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Vecchio 17-09-2013, 17.08.20   #1
maral
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Un convivio per ragionar d'amore

L'amore è un tema forse non molto frequentato dalla filosofia che ne ha lasciato sempre più la competenza alla psicologia e all'arte (che rischiano di ridurlo a malattia funzionale o a banalità emozionale), però proprio sull'amore, su eros Platone ha scritto il dialogo più noto e tra i più commentati. Forse Platone ha detto già tutto quello che filosoficamente poteva essere detto sull'amore?
Non so, a me pare che l'amore abbia una valenza enorme anche a livello ontologico istituendo un senso all'essere a mezzo dell'essere altro, è infatti una forma di quel triplice rapporto fatto di amore, odio o indifferenza che lega l'io alla sua antitesi, quell'altro che essendo ciò che io non sono è il limite che mi racchiude proteggendomi mentre mi sfida all'oltrepassamento, in una rischiosa reciproca presa di possesso che talvolta si rivela terribilmente distruttiva. Ma l'amore è anche necessità di una differenza di cui avere costante e rispettosa cura affinché in questo altro che non sono io possa riconoscermi per quello che veramente sono e nel reciproco accettare la diversità sentirsi profondamente insieme.
L'io e l'altro sono come due immagini speculari che si riflettono costantemente rimanendo però distinte e separate, ognuno nella propria invalicabile e comune solitudine che a me impedisce di sentire veramente quello che tu senti come solo tu puoi sentire e a te di sentire quello che io sento come solo io posso sentire, anche se entrambi vorremmo tanto davvero sentirci per essere davvero sentiti. Forse è allora proprio questa solitudine che ci tiene insieme e che vorremmo superare trovando qualcuno che empaticamente ci comprenda e senta anche per un solo istante davvero quello che sentiamo, qualcuno che vesta la nostra pelle, la nostra emozione e sentimento, tanto che è così facile illudersi di averlo trovato, è così facile inventarsi un altro dentro che non è che un se stesso proiettato fuori, un fantasma che addolcisce la separazione in cui ci si trova gettati esistendo.
Un altro dunque che ci comprenda senza prenderci, senza assorbirci divorandoci, per continuare a sussistere in una complementarietà che è costante rispetto del valore della differenza, altrimenti lo specchio non funziona e va in frantumi.
E allora viene da chiedersi se l'amore non sia proprio il sentirsi in questa continua contraddizione, un volersi compresi senza essere presi, qualcosa di logicamente impossibile e per questo poco adatto al ragionamento filosofico logicamente rigoroso. Oppure se amare non significa proprio volerla vivere fino in fondo questa contraddizione che può trovare soluzione solo nel suo continuo riproporsi perché continuamente si realizza fallendo: un stare insieme con l'altro che pur tuttavia resta quell'insopportabile altro che è affinché amarlo abbia sempre un senso.

Come Fedro al simposio vi invito allora a parlare liberamente di Amore se qualcosa di esso può essere detto.
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Vecchio 18-09-2013, 03.45.51   #2
gyta
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Riferimento: Un convivio per ragionar d'amore

E’ parecchio difficile spiegarsi, esprimere a parole e persino talvolta mortale reprimere in un analisi razionale un sentimento tanto.. particolare.

Non penso che sia esattamente un sentirsi compresi ed un comprendere l’altro. Certo questo punto è al fondamento dell’origine del sentimento, ma non è quello che lo anima e lo “definisce” a mio avviso. Ciò che secondo me accade è che le individualità in realtà non rimangono affatto se non come apparenza delle differenti personalità. Penso che l’amore sia una sorta di luogo dove l’individualità nel profondo si rivela inconsistente. L’amore una sorta di luogo che va ad abitare l’individualità dove per l’appunto le personalità non restano che inconsistente apparenza, come semplice gioco di cornice. E’ come se al di dentro di noi ci fosse una particolare e splendida luce priva di qualità (terrene) -come a possederne troppe per poterla definire- stavolta, sì, lo uso io il termine “trascendere”, una particolarissima splendida luce che trascende l’usuale nostra conoscenza. E’ come svelasse la sostanza di cui siamo fatti, un luogo, una luce che da sempre ci appartiene nel profondo e non ha confine di spazio. L’incontro avviene tra personalità e storie umane ma ciò che si unisce e si riconosce l’uno nell’altro sino a scomparire il “nell’uno e nell’altro” non è null’altro che quella particolare luce come di altra dimensione, forse la dimensione più radicale, libera, autentica dell’essere. Le lotte, i giochi di contrasto, sono fuori ad un altro livello dell’incontro, ciò che accade è in uno spazio senza tempo, è un luogo, una dimensione che sconvolge completamente ogni finitezza spaziale e concettuale della usuale percezione. Come se di colpo tutte le parole, i più grandi concetti, le più grandi conoscenze e scoperte non fossero che un lontano gioco, un lontano involucro della coscienza che si spacca come della propria individualità emergendo come il cuore stesso, la sostanza di tutte le cose. Ciò che eravamo, distinti e separati, non resta che un tenero buffo gioco di specchi, come nebbia che sembra prendere forma ma resta solo inganno dei giochi di ombre. L’amore? La coscienza priva delle finitezze percettive attraverso le quali solitamente viviamo e sentiamo. Come se i sensi si sciogliessero lasciando posto solo alla coscienza che emerge come illimitato profondissimo chiarore ed ogni cosa non si rivelasse che essere quella medesima sostanza. L’incontro, la comprensione razionale avviene ad un altro livello dell’essere, quello dei sensi. Questo particolare sentimento pur servendosi della porta razionale e sensoriale apre i battenti e lo scenario ad un altro livello percettivo e di coscienza dove sembra dire “eccomi, io sono la coscienza, non c’ero altro che io”.
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Vecchio 18-09-2013, 08.32.31   #3
jador
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Riferimento: Un convivio per ragionar d'amore

Tutto ciò che dici già contiene contiene quella che tu definisci " una rischiosa reciproca presa di possesso che talvolta si rivela terribilmente distruttiva."

L'amore che vorremmo trovare per superare quella solitudine e' l'amore bisogno.
E' quell'amore che, una volta trovato, o che ci si illude di aver trovato, reclama a tutti i costi esclusività, possesso e divoramento reciproci.

Possiamo nella vita sperimentare relazioni amichevoli di forte empatia, comprensione, specchiarsi l'uno nell'altro senza maschere, ma non lo definiamo amore.
Pur rispettandosi nella diversità ci si sente profondamente insieme, senza possesso, ma non lo definiamo amore.

L'amore nasce per l'altro dall'altro, dal profumo della sua essenza che noi percepiamo, quando non e' quell'autoinganno della proiezione, quando non deve riempire un vuoto.
Chiunque sia l'altro.
E' poter dire: Ti amo per quello che sei, che tu ci sia o no.
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Vecchio 18-09-2013, 11.04.10   #4
maral
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Riferimento: Un convivio per ragionar d'amore

Gyta, mi pare che la tua riflessione sull'amore richiami un po' quella che nel dialogo di Platone è espressa da Aristofane e che porta alla comunione-fusione mistica degli amanti. Ma allora ti chiedo questa dimensione luminosa alla luce trascendente della quale l'individualità si rivela inconsistente come un semplice gioco di cornice, la senti come una sorta di dimensione parallela o come un punto originario andato perduto che amandosi si può in qualche modo rievocare o come un punto di arrivo da raggiungere? E soprattutto perché una volta raggiunta questa comunione tanto rapidamente essa si dilegua, mentre il gioco di cornice delle individualità separate riprende con ben più costante evidenza? Forse che questa labilità della luminosa fusione non è chiaro sintomo della sua inconsistenza e dunque del suo inganno? Una sorta di miraggio nell'attraversamento dell'arido deserto di solitudine dell'esistenza?

Jador, in realtà la rischiosa reciproca presa di possesso con tutte le sue valenze distruttive (che a mio avviso competono al desiderio di amore negato), l'avevo contrapposta alla cura per la differenza che è anche consapevolezza della nostra comune radicale solitudine (in virtù della nostra differenza separante io non sento ciò che tu senti e tu non senti ciò che io sento, pur amandoti proprio per questa differenza che ci distingue).
Nel Dialogo, Diotima, per bocca di Socrate dice che amore (Eros) è figlio della Povertà (Penia, quindi del bisogno) che approfittò di Poros ubriaco (l'espediente) alla festa di Afrodite e non è né un dio né un uomo, né bello, né brutto, né buono né cattivo, ma un demone che sta in mezzo a queste polarità e forse per questo continuamente alla mercé di forze contrastanti e per questo non può mai trovare definitiva soddisfazione.
Tu dici invece che l'amore nasce dall'altro per l'altro, quindi è nell'altro che sta tutto in origine e attraverso di noi all'altro ritorna, ma non penso nel "chiunque altro", ma in uno solo specificatissimo altro. Non credo sia possibile un amore universale.
Io dunque divento con l'amore un mezzo per quel concreto altro che amo, ma un mezzo per cosa se non per ciò di cui quell'altro ha davvero bisogno, anche se non posso saperlo veramente cosa è ciò di cui l'altro ha davvero bisogno?
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Vecchio 20-09-2013, 17.37.13   #5
gyta
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Riferimento: Un convivio per ragionar d'amore

Citazione:
Ma allora ti chiedo questa dimensione luminosa alla luce trascendente della quale l'individualità si rivela inconsistente come un semplice gioco di cornice, la senti come una sorta di dimensione parallela o come un punto originario andato perduto che amandosi si può in qualche modo rievocare o come un punto di arrivo da raggiungere?


Tutte e tre le cose in un certo senso. Il punto originario -che in qualche modo è se non andato perduto perlomeno celato al fondo della nostra coscienza- attraverso l’incontro di amore autentico viene a riemergere come una realtà della quale fino a quel momento sembravamo esserci dimenticati o non riuscivamo a crederla possibile; in questo senso quindi è al contempo anche un punto da raggiungere, o meglio un punto di inizio di un altro modo di sperimentare la vita; d’altro canto si apre all’esperienza una differente percezione della realtà -non so se parallela sia il termine adatto- profonda, radicale, un differente livello che si presenta nell’esperienza come il cuore autentico del reale, quindi non di una determinata dimensione.

Citazione:
E soprattutto perché una volta raggiunta questa comunione tanto rapidamente essa si dilegua, mentre il gioco di cornice delle individualità separate riprende con ben più costante evidenza?

Secondo me perché è necessario che quell’apertura reciproca resti costante essendo come una particolare porta senza la quale non si accede ad un differente livello percettivo; soprattutto penso sia molto importante che le persone che lo sperimentano siano preparate interiormente e non ancora troppo condizionate da un’immagine del rapporto di amore come di un rapporto di scambio piacevole ma fondamentalmente mortale. Insomma credo sia fondamentale si sia percorso un poco di strada entro quello che è il percorso di una conoscenza interiore, di un’autocoscienza e perlomeno un assaggio a quella particolare esperienza interiore che oltrepassando i caratteri psicologici dell’individualità sfiora l’esperienza mistica. I problemi di rapporto fra le maschere della personalità e dei caratteri individuali possono prendere il sopravvento laddove quella fiducia in ciò che si è sperimentato nel profondo individualmente non abbia avuto il tempo di radicarsi interiormente svelandosi come certezza di un esperienza rivelante per davvero una differente dimensione dell’essere differente dall’usuale rapporto di condivisione e comprensione. Senza questa sorta di fiducia interiore, senza che perlomeno una parte sostanziale di noi abbia avuto l’intuizione esperienziale di quella realtà particolare e spenda e spinga davvero come spogliandosi (dai preconcetti della finitezza dell’individualità) al fine di entrare entro quel livello sospettato nell’intimo, senza questo fondamento non può che vincere la superficie dell’esperienza di condivisione affettiva proprio per mancanza di quella chiarezza attraverso cui ci si rivela quella realtà autentica e raggiungibile e non frutto fortuito degli eventi.

Citazione:
Forse che questa labilità della luminosa fusione non è chiaro sintomo della sua inconsistenza e dunque del suo inganno? Una sorta di miraggio nell'attraversamento dell'arido deserto di solitudine dell'esistenza?

Quando la sperimenti nessuno potrebbe mai toglierti di mente che sia qualcosa di ben più che di straordinario, lo senti, nessuno riuscirebbe a farti credere altrimenti, e quando per le cause di cui sopra quell’esperienza si è allontanata il ricordo resta ancora forte e non sparisce mai del tutto seppure le lotte fra i differenti livelli esperienziali tentino a causa della sfiducia del fallimento interpersonale di spingere quell’esperienza nell’oblio.

Se dovessi rispondere alla tua domanda mi chiederei se per davvero i miraggi esistono. Sono tali? I miraggi sono qualcosa che non esiste o desideri di qualcosa che esiste e di cui quindi si è fatta esperienza? Si può desiderare qualcosa di cui non si sia fatta interiormente in un qualche modo esperienza? Perché è questa la domanda chiave. Come potremmo allora chiamare il miraggio dell’oasi un totale inganno? L’inganno è parziale, perché l’oasi di cui evidentemente si è fatta in un modo o nell’altro esperienza attraverso un qualche tragitto esiste. Non posso immaginare di poter immaginare qualcosa che non esiste, è fondamentalmente un controsenso.

Se sono in grado di pensarla significa che possiedo in me da qualche parte quella potenzialità quella conoscenza atta a realizzarla, visto che sono stati i miei sensi a renderla virtuale.

Tanto più se come in questo caso per miraggio intendiamo una metafora di un qualcosa, di una realtà che in un certo senso per davvero appartiene al nostro profondo e per cui se non altro possiamo ora trovare il modo farla emergere in noi.

Citazione:
questa dimensione [luminosa..] la senti come una sorta di dimensione parallela [..]?

Ognuno di noi sperimenta conoscenze differenti intorno a sé ed alle cose secondo il tipo di coscienza interiore che è disposto a sperimentare. Questo lo penso riferito a qualunque campo di indagine. Se direzioniamo il discorso sul rapporto di amore l’esperienza di questa dimensione è possibile laddove entrambe le persone che hanno desiderato accedere a questo particolare incontro ne abbiano reale consapevolezza, diversamente sarà stato solo un assaggio a ciò che consente quella dimensione, assaggio in tal caso fortuito poiché privo di un reale investimento personale. Più in generale sperimentiamo ciò che siamo disposti a sperimentare attraverso un reale investimento individuale. Questo significa che non esiste inganno che non sia deliberatamente voluto tramite personale investimento. Se investo in una coscienza interiore della caducità delle cose questa ottengo. Al pari investendo in una coscienza interiore della luce delle cose questa sperimento. In realtà la sostanza primordiale dalla quale siamo formati non muta, ciò che muta è la nostra esperienza nella dimensione umana. Attraverso i nostri sensi ed il cervello possiamo accedere a quella che chiamiamo l’esperienza umana. Il tipo di esperienza interiore non è che il tipo di coscienza alla quale direzioniamo i nostri sensi tramite investimento mentale interiore. Non c’è una esperienza vissuta nell’esperienza umana che sia di per se stessa eterna, limitata nel tempo, reale o irreale. Ogni esperienza interiore non è che la sperimentazione di quella sostanza per come noi decidiamo di volerla sperimentare.

E decidiamo di volerla sperimentare in un determinato modo anziché un altro solo tramite l’investimento personale direzionato a sensibilizzare una od un’altra tipologia di coscienza.

Per cui quella “luce eterna” non è miraggio né inganno e neppure “l’assenza di luce eterna” è miraggio ed inganno. Quella sostanza è esattamente ciò che vuoi sia ed intendi sperimentare. Ecco perché le esperienze che appaiono come “trascendere” il tempo restano quasi prive di parole capaci di descriverle, perché andiamo a fare esperienza di una sostanza che possiede esattamente i sensi che a lei consentiamo avere. Se consentiamo sia l’amore: questa esperienza sarà nella mente tale. Se consentiamo sia miraggio: questa esperienza sarà tale nella mente.

E’ nella mente che è eterna, caduca, amore, indifferenza.

Sciolti i sensi ed il cervello nel decesso del corpo umano ciò che veniva rivelato della sostanza da una determinata tipologia di coscienza non più si rivela tale, non essendoci più quei sensi e quel cervello a determinarne l’esperienza.
Resta la sostanza che è l’esperienza stessa: quella eterna di amore o quella triste di assenza di senso, nel nostro cervello però tali.

Di sicuro ciò che per noi è vetta dell’aspirazione interiore umana, l’eternità dell’amore (inteso come realtà immortale), non è che una pallida esperienza di quella sostanza che per l’appunto intendo come un potere attivo.

Quindi non è un inganno o miraggio la percezione che quella luce sperimentata nell’amore sia una dimensione eterna che trascende il tempo e lo spazio, perché quella luce che permette tale esperienza è per davvero Sostanza e solo la dimensione ad essere strettamente legata ai parametri in gioco. Il potere (o sostanza) intesa come qualità non ha parametri che ne limitino il campo essendo come qualità aperta agli attributi.

Ma anche questa ultima immagine è tale attraverso la mente.

Chi da questo discorso deducesse una reale inconsistenza delle esperienze interiori eleggerebbe ad assoluto l’inconsistenza stessa, senza peraltro averne coscienza, senza peraltro avere coscienza che di un pensiero della mente si tratta. Se l’esperienza dell’eros avvia ad una possibile mutazione di coscienza capace di sperimentare uno stato che trascende lo spazio tempo è semplicemente a causa di un particolare livello di interazione tra le coscienze interessate ed a monte degli stessi cinque sensi.
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Vecchio 21-09-2013, 02.35.12   #6
leibnicht
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Riferimento: Un convivio per ragionar d'amore

i può desiderare qualcosa di cui non si sia fatta interiormente in un qualche modo esperienza? Perché è questa la domanda chiave.

"Cerchiamo solo ciò che abbiamo già trovato" (Agostino).
Eppure l'amore è anche "creazione" forse lo è nel suo senso più intimo. Vi sono declinazioni di un verbo che non immaginavo.
"Amare" ha forme e modi, ma, soprattutto, declinazioni.
Amare un fratello.
Amare un amico.
Amare una donna.
Amare tuo padre e/o tua madre. Amare tuo figlio/figlia.
Amare te stesso.
Amare la gente intorno che ti può amare, non amare oppure odiare.
E' sempre Amore e nessun sentimento ha dogane: ogni "caso" in cui l'Amore si dà e cade... Ogni "caso" si colma di ogni altro, sebbene di una specie minore.

Amo immensamente la mia donna e lei mi ama: sono il suo bimbo, il suo papà, suo fratello... E lei per me è la mia donna, la mia bimba, l'amica e sorella, la mamma.
L'amore odia i limiti.
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Vecchio 21-09-2013, 12.37.59   #7
maral
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@gyta:
Citazione:
E decidiamo di volerla sperimentare in un determinato modo anziché un altro solo tramite l’investimento personale direzionato a sensibilizzare una od un’altra tipologia di coscienza.
Penso che non si possa voler amare (mentre si può, a volte disperatamente, voler essere amati, anche uccidendo l'amore o accontentandosi di una sua finzione) né decidere di amare, forse però è possibile, come mi pare tu voglia dire, entrare in quel contesto ove l'amore più facilmente si manifesta aprendo la porta a una diversa realtà. Allora potremmo dunque pensare che per facilitare l'accesso all'amore una tecnica possa essere opportuna? Si può redigere un manuale di istruzioni su come favorire l'accesso a noi del demone (per usare la definizione che dell'amore dà Diotima) e mantenerlo più stabilmente in noi, almeno come potenzialità sempre aperta, affinché il miraggio assuma un maggior carattere di reale permanenza? Oppure qualsiasi tecnica per imparare a meglio amare va esclusa a priori?

@leibnicht:
I diversi oggetti dell'amare che tu giustamente citi come diverse forme di amore separano effettivamente i vari tipi di amore oppure è possibile sentire e comprendere un collegamento profondo che li unisce? Ossia vi è un comune denominatore che lega l'amare un fratello, una donna, un amico, un genitore o un figlio, uno sconosciuto o se stessi? Quale?
E se l'amore odia i limiti non sarà proprio per questo solo follia?
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Vecchio 21-09-2013, 14.03.29   #8
gyta
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Citazione:
Eppure l'amore è anche "creazione" forse lo è nel suo senso più intimo.
Sì! Direi che è essere in senso pieno, per riallacciarmi tanto per cambiare a Fromm..

Essere è creazione, creatività, passione non passiva ma creativa per l’appunto.

Penso che se l’amore è ciò che fondamentalmente ogni umano desidera più di ogni altra cosa nel profondo qualche motivo ben solido c’è.. E penso che lo si brami proprio perché dona in frutto una modalità ben differente di essere, quella che ci si augurerebbe fosse naturale processo di sviluppo umano.

Sì, l’amore non ama i limiti perché è l’argine del potere atto a romperli..

Ma affinché sia essere, affinché sia amore, l'apparenza della personalità deve lasciare il posto all’essere. Allora non avremo il fagocitare di un ruolo a favore di un altro, non una somma-distruzione di individualità ma la materia prima dell’essere emersa ad anima del rapporto.

Sembra realtà ambita e rara. Eppure di raro non c’è che l’investimento per giungere individualmente ad essere per davvero.

Sulla bocca di tutti è ora la citazione del “con o senza di te”.. Ho scoperto che si possono affermare alti concetti ed essere privi della coscienza di ciò che significano. Non condivido l’anima incontrata negli scritti di Osho, seppure possa essere un possibile inizio per chi di autoanalisi nessun passo ha percorso.. ma il cuore dei suoi scritti porta un senso dell’amare che tradisce ben altri parametri dei rapporti. Il tanto citato “con o senza di te” è venuto ad animare la paura del mettersi in gioco autentico e declinare al caso –che astutamente viene inteso come “accettazione”- l’individuale responsabilità, il reale autentico investimento, la negazione stessa di essere e dell’essere, la negazione stessa dell’amare come di una realtà di incontro profondo e non meramente incidentale e sentimentale (nel senso usuale del termine).

Come sempre sotto il termine libertà/amore/essere si declinano i migliori ed i peggiori pensieri umani.
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Vecchio 22-09-2013, 03.04.58   #9
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Citazione:
Allora potremmo dunque pensare che per facilitare l'accesso all'amore una tecnica possa essere opportuna? Si può redigere un manuale di istruzioni su come favorire l'accesso a noi del demone (per usare la definizione che dell'amore dà Diotima) e mantenerlo più stabilmente in noi, almeno come potenzialità sempre aperta, affinché il miraggio assuma un maggior carattere di reale permanenza? Oppure qualsiasi tecnica per imparare a meglio amare va esclusa a priori?

Solo a sentir parlare di tecnica mi vengono i conati..


Il mio discorso era ed è indirizzato ad una crescita interiore senza la quale un rapporto ad un determinato livello non è possibile. Ma non parliamo di tecnica, per carita ma di coltivare quella libertà autentica che rende l’umano più propenso ad essere che a consumare (o a farsi consumare -il ché è lo stesso, ergo passività)
Citazione:
Penso che non si possa voler amare (mentre si può, a volte disperatamente, voler essere amati, anche uccidendo l'amore o accontentandosi di una sua finzione) né decidere di amare

Io sarò una gran rompipalle a tirare in ballo di continuo la psicoanalisi ma altre strade non ne vedo per porre chiarezza fra l’amare ed il morire per assenza di se stessi..
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Vecchio 23-09-2013, 13.13.26   #10
maral
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Citazione:
Originalmente inviato da gyta
Solo a sentir parlare di tecnica mi vengono i conati..


Il mio discorso era ed è indirizzato ad una crescita interiore senza la quale un rapporto ad un determinato livello non è possibile. Ma non parliamo di tecnica, per carita ma di coltivare quella libertà autentica che rende l’umano più propenso ad essere che a consumare (o a farsi consumare -il ché è lo stesso, ergo passività)

Io sarò una gran rompipalle a tirare in ballo di continuo la psicoanalisi ma altre strade non ne vedo per porre chiarezza fra l’amare ed il morire per assenza di se stessi..
Intendo per tecnica l'esplorazione atta a risolvere la domanda del come coltivare quella libertà autentica che rende l'umano più propenso ad essere piuttosto che a consumare o farsi consumare. Come riuscire a farlo? Si può raccomandare una tecnica?
O è la domanda del come che spaventa?
Dopotutto anche la psicanalisi è una tecnica. E' essa la tecnica che facilita l'amare?
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