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12-02-2009, 10.29.38 | #42 | |
Ospite abituale
Data registrazione: 05-04-2002
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Riferimento: Deliberazioni e conversioni.
Citazione:
E’ evidente che ove è posizionato il limine fra vita e morte sia questione assai dibattuta, che credo non troverà neppure in futuro una definitiva soluzione. Le due condizioni dell’essere (nel caso della morte sarebbe più corretto dire del non-essere) non attengono con esclusività alla branca delle scienze fisiologiche, interessando con sempre maggior vigore, per il crescere della tecnologia, anche la speculazione filosofica, etica e religiosa. Ma anche in questo caso, come in tanti altri, sono le assenze, i vuoti a fornire nutrimento alla disputa. L’individuo, il suo intimo, non può essere dato in pasto alla pubblica opinione, alla discussione accesa e alle conferenze, soprattutto quando la questione intorno alla quale si dibatte con fervore – spesso interessato e partigiano – riguarda aspetti tanto delicati da meritare il silenzio e il pietoso assenso all’espressione di volontà, la quale, come in un qualsiasi processo di accertamento, può essere appurata o desunta anche attraverso prove testimoniali, che però implicano un pubblico dibattimento che sarebbe da evitare in ogni caso. Ben vengano i dibattiti e le conferenze se si disputa intorno alle nozioni di vita e morte, gli stessi devono cessare quando l’oggetto del confronto è quella particolare vita o morte, perché la particolarità, o specificità, è intrisa di dolore e sofferenza, e il dolore e la sofferenza esigono un sacro rispetto che nessuna concettualizzazione può e deve violare. La politica e la Chiesa, che si ergono repentinamente a paladine di un fronte o di quello opposto non appena il caso drammatico si presenta nella sua dirompente necessità, dovrebbero meditare sulle troppe colpevoli omissioni o rifiuti che hanno caratterizzato gli anni di sofferenza di Welby, di Englaro e di chissà quanti altri sconosciuti sono stati scaraventati nel baratro lacerante della coscienza. Non hanno e non possono avere oggi il diritto di parola, sia essa consenziente o avversa alla soluzione prospettatasi per Englaro e Welby e i loro familiari. Hanno abdicato al loro diritto d’espressione nel momento stesso in cui, in assenza di urgenze contingenti, non si è curate di provvedere per i futuri casi di specie. |
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12-02-2009, 12.24.16 | #43 | ||||||
Moderatore
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Riferimento: Il diritto alla morte.
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12-02-2009, 14.53.05 | #44 |
Moderatore
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Riferimento: Il diritto alla morte.
Mi sembra incredibile di come alcuni religiosi e politici affrontino in un modo così irragionevole questo problema.
Freedom afferma incredibilmente che non può essere l’individuo a decidere su questioni come il testamento biologico o l’eutanasia. E Mons. Fisichella gli fa eco. Nell’intervista rilasciata a Repubblica ieri, dice: <<La libertà è un grande bene, ma deve essere libertà di decidere contro la morte e non per la morte.>> Prima di tutto chiederei le motivazioni di questa sua affermazione: perché dovremo accettare che la libertà non deve essere applicata in queste questioni? Non basta ribadire le proprie idee più volte, senza spiegarle, per mostrare di aver ragione. In secondo luogo, tale affermazione, se letta attentamente, sembra incoerente: come posso essere libero di scegliere se posso scegliere solo un’opzione? Fisichella continua: <<E l’autodeterminazione non può implicare che una persona possa scegliere di non essere nutrita.>> Ancora una volta: perché? Freedom e Fisichella chiedono di limitare l’autodeterminazione di una scelta personalissima, e questo mi pare palesemente antidemocratico e intollerante. Tornando all’affermazione di Freedom ci può venir spontanea una domanda: ma se la questione è molto delicata, perché mai dovrebbero essere proprio i politici a decidere su questa mia faccenda? Sempre ieri sulla Repubblica, viene intervistato anche Gustavo Zagrebelsky, giurista ex-presidente della Corte Costituzionale: <<Il mondo cattolico enfatizza spesso il valore della dimensione comunitaria della vita, soprattutto della famiglia. E’ la convinzione che induce la Chiesa a invocare a gran voce la cosiddetta sussidiarietà: lo Stato intervenga soltanto quando non esistono strutture sociali che possono svolgere beneficamente la loro funzione. Mi chiedo perché, quando la responsabilità, la presenza calda e diretta della famiglia, nelle tragiche circostanze vissute dalla famiglia Englaro, dovrebbero ricevere il più grande riconoscimento, la Chiesa – con una contraddizione patente – chiude alla famiglia e invoca l’intervento dello Stato; alla com-passione di chi è direttamente coinvolto in quella tragedia, preferisce i diktat della legge, dei tribunali, dei carabinieri. Sia chiaro: lo Stato deve vigilare contro gli abusi – proprio per evitare il rischio espresso dal presidente del consiglio con l’espressione, in concreto prima di compassione, “togliersi un fastidio” – ma osservo come la legge che la Chiesa chiede assorbe nella dimensione statale tutte le decisioni etiche coinvolte: questo è il contrario della sussidiarietà e assomiglia molto allo Stato etico, allo Stato totalitario.>> Zagrebelsky mostra una grande incoerenza della Chiesa: questa è sempre stata sostenitrice dell’importanza della famiglia, ma ora preferisce che sia il freddo Stato a decidere a suon di diktat piuttosto che i famigliari. Zagrebelsky prende anche le distanze da uno Stato etico/totalitario; concetto, questo, che invece sembra difeso più o meno implicitamente da Freedom: “Riduci lo Stato a mero fornitore di servizi. Lo equipari ad un amministratore di condominio. Non è così invece: lo Stato è ben altro. Non è possibile trascurare e nemmeno sottostimare la sua funzione di guida etica e morale”. Zagrebelsky riflette anche sulla differenza che c’è tra chi è mosso dalla carità e dalla compassione rispetto a chi è mosso dal dogma e dalla Verità: <<Le posizioni in tema di etica possono essere prese in due modi. In nome della verità e del dogma, con regole generali e astratte; oppure in nome della carità e della compassione, con atteggiamenti e comportamenti concreti. Nella Chiesa cattolica, ovviamente, ci sono entrambe queste posizioni. Nelle piccole cerchie, prevale la carità; nelle grandi, la verità. Quando le prime comunità cristiane erano costituite da esseri umani in rapporto gli uni con gli altri, la carità del Cristo informava i loro rapporti. La “verità” cristiana non è una dottrina, una filosofia, una ideologia. Lo è diventata dopo. Gesù di Nazareth dice: io sono la verità. La verità non è il dogma, è un atteggiamento vitale. Quando la Chiesa è diventata una grande organizzazione, un’organizzazione “cattolica” che governa esseri umani senza entrare in contatto con loro, con la loro particolare, individuale esperienza umana, ha avuto la necessità di parlare in generale e astratto. E’ diventata, – cosa in origine del tutto impensabile – una istituzione giuridica che, per far valere la sua “verità”, ha bisogno di autorità e l’autorità si esercita in leggi: leggi che possono entrare in conflitto con quelle che si dà la società. Chi pensa e crede diversamente, può solo piegarsi o opporsi. Un terreno d’incontro non esiste. […] Una legge comune è possibile solo se si abbandonano i dogmi, se si affrontano i problemi non brandendo quella verità che consente a qualcuno di parlare di “omicidio” e “boia”, ma in una prospettiva di carità. La carità è una virtù umana, che trascende di gran lunga le divisioni delle ideologie e dei credi religiosi o filosofici. La carità non ha bisogno né di potete, né di dogmi, né di condanne, ma si nutre di libertà e responsabilità. Dico la stessa cosa in altro modo: un approdo comune sarà possibile soltanto se prevarrà l’amore cristiano contro la verità cattolica.>> Speriamo che qualche politico o religioso venga illuminato dalle sagge parole di Zagrebelsky... Come dicevo sopra, limitare la propria libertà su questioni così personali, è una questione terribilmente antidemocratica. VanLan ha accennato giustamente alle profonde differenze tra democrazia e dittatura della maggioranza: la questione è importantissima e molti fanno confusione, quindi vorrei spendere qualche parola in più sulla questione. Premessa1: La democrazia (o, se volete, la nostra democrazia) permette, in alcuni casi e con particolari procedure, atteggiamenti antidemocratici e intolleranti. Più questi atteggiamenti aumentano, d'intensità e/o di frequenza, più la democrazia si allontanerà dal suo status. Eh sì, perché una democrazia può diventare una non-democrazia! Premessa2: Atteggiamenti e leggi democratiche sono quelle che (qui sto dando una sorta di condizione sufficiente; NON è una condizione sufficiente e necessaria, ovviamente) non limitano la libertà degli individui se tale libertà non invade quella di altri. Si rispetta, per così dire, l’autodeterminazione o la libertà di coscienza su questioni personali. Detto questo, è ovvio che uno potrebbe andare ad un (ipotetico) referendum e votare contro il divorzio, ma questo suo atteggiamento è sicuramente da considerare intollerante e antidemocratico. Questo per la premessa2. E per la premessa1 questo suo atteggiamento “è permesso”, ma, appunto, non è che l'esser permesso garantisca la democraticità dell'atto. Bisogna quindi distinguere tra i due concetti “norma approvata da uno stato democratico” e “norma democratica”, che non sempre coincidono. Per rimarcare la differenza tra democrazia e dittatura della maggioranza farò degli esempi concreti. Uno stato in cui decide la maggioranza non è una democrazia se, per esempio: - non c’è libertà d’informazione; - non c’è libertà di culto; - non c’è il diritto ad avere un giusto processo; - non c'è un minimo di tutela delle minoranze; - etc. Ritorniamo alla questione dell’eutanasia e del testamento biologico. Per quanto detto fino a qui, mi pare banale osservare che i politici e i religiosi che si impegnano a fare una crociata contro queste questioni non possono che essere riconosciuti come antidemocratici e intolleranti. D'altro canto mi chiedo spesso: ma perché solo i parlamentari possono avere "libertà di coscienza"? Questa facoltà importantissima non può essere elargita solo a chi è stato (più o meno) votato dal popolo. |
12-02-2009, 15.44.44 | #45 | |
like nonsoche in rain...
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Riferimento: Il diritto alla morte.
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I credenti o i preti hanno il diritto di affermare che la libertà non è libertà di decidere il non accanimento terapeutico e soprattutto cosa sia "accanimento terapeutico", anche se non credo abbiano il diritto di giudicare sulla mia di vita. Ma questa è mia, nostra credenza. Possiamo giudicare che sia più opportuna, più giustificata, più laica, più liberale, più “democratica”, ma in confronto alla credenza dei religiosi costituisce una violazione della propria fede e questa trascende naturalmente gli ordinamenti che si danno gli uomini. Se chiedi questo ad un prete, cincischierà sempre, poiché da un alto si rende conto della separazione tra stato e chiesa, dall'altro sente bene che il diritto positivo è inferiore a quello divino, soprattutto in queste materie. Le democrazie realizzate sono nei fatti inevitabilmente -dittature della maggioranza-, in cui la maggioranza opera sempre una forma più o meno lieve di violenza e di coercizione sulle minoranze. Non può che essere così e di questo se ne erano resi conto già i nostri padri greci, seppur il primo esempio di democrazia, tra l'altro diretta, avvenne proprio nella Grecia antica. Il concetto, poi, di democrazia rappresentativa è ancor più lontano dall'ideale democratico, poiché di ideale stiamo parlando, visto nei fatti il “governo del popolo” non esiste. Inoltre da tempo è stata mostrata una importante inconsistenza logica delle democrazie rappresentative, ma lasciamo stare, qui si discute di altro. Saluti. |
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12-02-2009, 16.32.15 | #46 | |||||||
Moderatore
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Riferimento: Il diritto alla morte.
Va bè, visto che repetita iuvant:
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Mi dispiace ma la mia coscienza non mi ha ancora dato una risposta definitiva. Citazione:
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Immagina se certi comportamenti non fossero normati...... Capisco che oggi va poco di moda l'intervento dello Stato nella vita individuale dei cittadini ma se ne vedono anche i risultati........ Citazione:
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E' chiaro che una classe politica illuminata cerca di attutire questo spiacevole effetto (affidando all'opposizione e dunque alle minoranze, purchè rappresentate in Parlamento, importanti incarichi) ma la sostanza è quella che ho detto e ribadito. Se poi la minoranza non è rappresentata in Parlamento allora..........bè la democrazia nemmeno si pone il problema. E' sufficiente ignorarlo................ |
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12-02-2009, 16.54.20 | #47 |
Ospite abituale
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Riferimento: Il diritto alla morte.
Gustavo Zagrebelsky ha detto cose giuste e Fisichella cose piuttosto insensate.
Mi troverei in disaccordo qualora si lasciasse la scelta ai familiari. Perchè i familiari immancabilmente amano? No Nella loro decisione si possono ipotizzare, eventualmente, interessi economici? Sì. Dopo la morte di un congiunto molto spesso la famiglia si sbrana per spartirsi i beni del defunto. Si può immaginare che i familiari possano, eventualmente, volersi sbarazzare di un fardello ingombrante? Sì. Decida ognuno per se, col testamento biologico appunto. |
12-02-2009, 17.35.29 | #48 |
Ospite abituale
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Buona fede e contorsioni.
Caro San Giorgio,
annoti: "Si dovrebbe per principio e per rispetto ammettere, dal momento che non si può appurare, la buona fede di tutti gli attori dell'evento Eluana.". Ma si può pur concedere che siano stati in buona fede tutti o quasi tutti e massimamente quelli che deliberarono circa il caso, non solo concedendo che alla natura fossero resi i suoi diritti, ma anche, di contro, ostinatamente tentando rapirle dalle mani una vita. D'altronde, come impera la legge, la buona fede si presume. Quello che stupefà sono certe contorsioni degne di funamboli, celebrate forse da questi per compiacere alle turbe, da quelli per dimostrare un magistero costante ed inflessibile, da quegli altri per mero diletto di contraddizione: così che, se andiamo ad esaminare i loro principii, pur apertamente predicati, non possiamo non domandarci come abbiano potuto blaterare in tanta ed evidente contraddizione con sé stessi. Anakreon. |
12-02-2009, 18.38.28 | #49 |
Ospite
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Riferimento: Il diritto alla morte.
Caro Anakreon
Tutto giusto quello che dici e condivido!,tu invece hai frainteso il mio intendere. Io sono friulano come lui ,credo di capire quanto le sia costato,prendere la decisione che ha preso. Giustissima e unica. Solo nel nostro intendere la vita,la decisione ,pur e mi ripeto giusta,tra l'altro l'esecutore di volontà non sua,non si dovrebbe mai prendere. Credo di capire,dopo il periodo di recupero allo stres sostenuto,purtroppo sentirà un gran dolore al petto,quasi soffocante. Ora.io d'accordo con te ,nella giustizia del suo gesto,grande gesto d'amore,quasi sovraumano,non ci posso fare "purtroppo"niente per lenire il suo dolore,fa parte della nostra razza l'essere così! Un grande abbraccio a lui e un saluto a te |
12-02-2009, 19.27.40 | #50 |
Ospite abituale
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Casi e specie-
Caro Visechi,
senza dubbio lo strepito delle fazioni, attente ad ingraziarsi le turbe con sentenziuole facili all'orecchio, non giova né in questo né in altri casi; anzi, non giova mai quando si tratti di deliberare circa le leggi o circa qual si voglia cosa. D'altronde, la legge dispone o dovrebbe disporre sempre circa la specie, non circa il caso singolo, affinché "privilegia ne inroganto", come scrissi innanzi. Ma poi, nei fatti, sappiamo bene che innumeri casi singoli sfuggono alle definizioni universali delle leggi, anche delle leggi più diligentemente studiate. Quindi, il caso singolo, espulso colla forca, ricorrerà sempre, crudele ed irridente, ad esigere dagli uomini, genitori, congiunti, amici, medici, giudici, magistrati, ch'essi deliberino circa sé stesso: e non gioverà allora invocare la legge e la lettera, essendo necessario il giudizio privato d'alcuno; giudizio privato che, inutile dirlo, alcun altro potrà sempre vituperare ed impugnare. Ma che al meno s'eviti non tanto lo strepito delle fazioni, perché in un secolo in cui s'usa divulgare anche i fatti più intimi, è difficile sperare ch'esse tacciano circa qualche cosa; quanto piuttosto la contraddizione più ridicola tra principii lungamente predicati e sentenze temerariamente proferite. Anakreon. |