Caro Flavio, non ho direttamente sotto mano il verso del corano dove si fa riferimento... se ti interessa famelo sapere!
Per quanto riguarda la mentalità romana, si osservi a questo proposito cosa scrisse l'imperatore Adriano, in risposta al governatore d'Asia Minicio Fundano:
"Esigo che degli innocenti non siano incolpati, e bisogna impedire che i calunniatori possano esercitare impunemente la loro odiosa azione brigantesca. Se i sudditi della provincia vogliono accusare del tutto apertamente i cristiani di una qualche azione criminosa davanti ad un tribunale ordinario, io non voglio impedir loro di farlo; ma non posso ammettere in nessun caso che vengano presentate petizioni e vengano organizzate sollevazioni rumorose. Corrisponde piuttosto al diritto che colui che avanza un'accusa, indichi esattamente le incolpazioni. Se si dimostra che l'accusato ha agito contro la legge, dev'essere punito in proporzione alla gravità della colpa..." (da Giustino Martire, Apol. 1, 68).
Da ciò possiamo dedurre che l'eventuale motivo giuridico per la messa sotto accusa del cristiano non poteva essere il fatto stesso che costui fosse considerato tale, ma il fatto che avesse commesso dei precisi reati contro la legge romana.
Se i romani si sono impeganti tanto, specialmente in alcuni periodi particolari, a perseguitare i cristiani, sarà certamente utile analizzare come li consideravano essi stessi e che cosa hanno scritto di loro, per mano di alcuni storici famosi. In pratica, purtroppo, ciò che è uscito dalla penna degli scrittori romani, relativamente a Gesù e ai suoi seguaci, può essere riassunto in poche stringatissime righe.
Così scrisse Svetonio (65-135), riferendosi ad un fatto che risale al 49:
"...egli [l'imperatore Claudio] scacciò da Roma i Giudei che, istigati da Cristo, erano continuamente in lotta..." (Claudius XXV, 4);
e ancora, con riferimento a fatti che risalgono al 64, cioè al periodo della repressione neroniana:
"...gente che presta fede ad una nuova e malefica superstizione..." (Nero, XVI).
Così scrisse Tacito (55-120), riferendosi anch'egli all'epoca neroniana:
"...furono puniti i cristiani, un gruppo di persone dedite ad una superstizione nuova e malefica. Quel nome essi derivarono da Cristo, che sotto il regno di Tiberio fu mandato a morte dal procuratore Ponzio Pilato. Quella funesta superstizione, soffocata per breve tempo, riprendeva ora vigore diffondendosi non solo in Giudea, luogo d'origine di quel male, ma anche a Roma, dove da ogni parte confluiscono tutte le atrocità e le vergogne, trovandovi grande seguito..." (Annales XV, 44).
Così scrisse Plinio il Giovane nel 111:
"...erano soliti riunirsi alle prime luci dell'alba, ed innalzare un canto a Cristo, come se fosse un dio..." (Epistolae, 96).
Cristo, nella prospettiva dei romani, più che un pacifico predicatore sembra un agitatore politico, "istigatore" di azioni di "lotta" che provocarono l'allontanamento da Roma (si faccia ben attenzione) dei "Giudei". Possiamo notare che Svetonio, alla fine del primo secolo, non sembra capace di distinguere i cristiani dagli ebrei; egli afferma, infatti, che "i Giudei" avevano provocato dei disordini, ispirati dal loro Messia, e per questo erano stati scacciati da Roma. Ancora, egli è descritto come il propagatore di una ideologia "funesta", "malefica", di un "male", persino di "atrocità". Non c'è alcuna corrispondenza con l'immagine comunemente trasmessa dai Vangeli, di un predicatore spirituale del tutto estraneo a questioni politiche e fondatore di una religione extragiudaica.
Già questo ci permette di comprendere efficacemente che per Svetonio, come per Tacito, come per Plinio il giovane, parlare di Cristo significava automaticamente parlare del sedicente "re dei Giudei", non di un profeta o di un semplice predicatore religioso. Del resto, dal loro punto di vista, tutti gli atti della vita dei giudei apparivano ossessivamente associati a significanze religiose, e questo era diventato così abituale nel panorama delle consuetudini ebraiche che ai romani non importava proprio niente di questa attitudine, interpretata e bollata come maniacale. Dunque, quello che contava di Cristo era soltanto il fatto politico, la sua vera o presunta ambizione regale, e noi non possiamo dimenticare che il capo d'accusa che condusse Gesù ad essere processato da Pilato e successivamente giustiziato come un ribelle è stato chiaramente scritto, come un monito destinato a travalicare i secoli, sulla croce: "Rex Iudaeorum" (re dei Giudei).
I romani usavano porre, come monito dissuasivo, una iscrizione sulla croce dei condannati a morte, col capo d'accusa. Nel caso di Cristo non ci sono dubbi, l'iscrizione, redatta in tre lingue (ebraico, greco, latino), affermava chiaramente che il condannato era stato giustiziato per avere tentato di farsi re dei Giudei.
"Gesu' il Nazoreo, Re dei Giudei"
Se dunque il Cristo era, per i romani, colui che aveva osato ambire alla corona in Gerusalemme, non certo senza un'azione che spodestasse la dinastia erodiana in carica, i "cristiani" non erano altro che i "messianisti", ovverosia quegli ebrei che avevano seguito il Cristo in questa sua ambizione e che, pertanto, non nutrivano una grande simpatia per il potere romano che aveva declassato Israele da "regno di Dio" (Malkut Yahweh) a semplice provincia di un grande impero pagano.
Eusebio di Cesarea, il grande storico dell'epoca costantiniana, ci ha lasciato seri indizi a favore della via interpretativa che abbiamo intrapreso, nel momento in cui ha scritto queste parole nella sua Historia Ecclesiastica (III 20,1-2):
"Della famiglia del Signore rimanevano ancora i nipoti di Giuda, detto fratello suo secondo la carne (di Gesù, n.d.a.), i quali furono denunciati come appartenenti alla stirpe di Davide. L'evocatus li condusse davanti a Domiziano Cesare, poiché anch'egli, come Erode, temeva la venuta del Messia..."
Il brano ha una importanza fondamentale e decisiva, esso chiarisce così la natura reale dell'intento persecutorio: la ricerca degli ebrei attivisti della fede messianica, che credevano nel ritorno di un re appartenente alla dinastia di Davide.
Con ciò inizia a trovare una spiegazione plausibile anche la frase di Svetonio, il quale ha dichiarato che le vittime della epurazione voluta da Claudio furono gli "ebrei" colpevoli di aver dato luogo a disordini in nome di Cristo, cioè di quell'aspirante Messia di Israele la cui ambizione era stata presto stroncata da Pilato. In realtà, a proposito di questi ebrei scacciati da Roma, possiamo senz'altro chiamarli "cristiani", rendendoci conto del fatto che il significato con cui questa parola era utilizzata a quel tempo era diverso da quello moderno: essa non indicava affatto l'appartenenza ad una nuova religione che si era scissa dalla fede degli ebrei, perché tale religione ancora non esisteva, bensì rappresentava gli ebrei "messianisti".
Questa è, in senso storico, la chiave interpretativa della persecuzione claudiana: un'azione repressiva nei confronti dei rappresentanti di una ideologia, certamente di natura religiosa, ma che politicamente implicava la liberazione dal giogo imperiale e, oltre a provocare disordini per sé stessa, poteva anche costituire un precedente da imitare per gli altri popoli sottomessi che, fino ad allora, non avevano ancora nutrito gli stessi ardori rivoluzionari degli ebrei. C'è una sola cosa che importava realmente ai romani: salvaguardare la condizione indiscussa di sovranità del potere politico imperiale sulle province e lo stato di sottomissione dei diversi popoli a tale potere. Delle resurrezioni, delle nascite verginali delle varie incarnazioni divine, delle cerimonie di comunione sacrificale e delle preghiere collettive in onore a questo o quel dio straniero, essi se ne sono sempre tranquillamente disinteressati. A meno che questo dio, come quello delle scritture degli ebrei, non fosse un dio come Yahweh che, per bocca dei profeti, incitava il suo popolo ad una lotta santa contro la sottomissione ai non circoncisi, per la restaurazione di una dinastia regale di Messia unti dal Signore. Allora in questo caso sì, lo stato di allarme scattava, e con esso la repressione politica.
Dopo la sintesi biblica e quella cristiana occorreranno ancora cinquecento anni perché maturino in medio oriente le condizioni per la terza sintesi: quella coranica.
vedi anche:
- S.G.F.Brandon, Il Processo a Gesù, Ed. di Comunità, Milano, 1974.
- J.Carmichael, La Morte di Gesù, Ubaldini, Roma, 1971.
- D.Donnini, Nuove Ipotesi su Gesù, Macro Edizioni, Cesena (Fo), 1998.
- Flavio Giuseppe, La Guerra Giudaica, a cura di G.Vitucci, Mondadori, Milano, 1982.
- Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, Rusconi, Milano, 1979.
Fabio