like nonsoche in rain...
Data registrazione: 22-09-2005
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Mutazioni..
Non sono molto "ispirato", ma scrivo lo stesso. Mi scuso dei termini "forti" che ho utilizzato nei miei scritti precedenti nei confronti dei vostri. "Conosco" alcuni di voi e so che non siete "libri" ambulanti, che non vi fate utilizzare dai concetti, ma cercate di renderli vita.
Tali termini erano rivolti a "me" e non ho letto che superficialmente le vostre parole per la mia necessità, in quel momento, di respingere qualsiasi pensiero, proprio qualsiasi pensiero andasse a scuotere il mio bisogno di silenzio; con violenza ho posto l'etichetta di "filosofia", per paura ch'io stesso placassi il mio bisogno di "risposte" fermandomi ad un vostro pensiero, per stanchezza, paura, paura di rimanere "scoperto", esposto, nudo e dunque indossare una coperta piuttosto che un'altra per ridurre la tensione, a volte per la mente insostenibile.
Penso le parole possano solo "indicare", qualsiasi parola per quanto possa provenire da persone "illuminate", che vivono dunque ciò che "descrivono", in me potrebbe ristagnare come materia morta per secoli oppure in un istante aprirmi una porta. Nessuna risposta è vera, se non si diventa noi stessi la risposta ed a quel punto domanda e risposta si uniscono, si fondono nella vita. Ho sempre pensato la "verità" non fosse che concetto umano e traesse respiro proprio dal sistema nel quale vive, la mente umana; e che ogni "risposta", in fondo, non servisse che a placare la paura di rimanere scoperti, esposti, nudi.
Questa, dunque, la necessità che hanno in noi? Non possiamo reggere senza? Dobbiamo interprentare, modellizzare, creare mappe in cui muoverci, abbisognamo di "certezze"... perchè? Di un'identità-maschera... perchè? Ho ripreso, poi, a leggere ed è accaduto che stessi "meglio", fossi "sereno"... ma mi chiedo cosa accade quando avviene ciò? Una parola, un discorso, un concetto che aderisce alla mia identità e la rafforza, incatenandomi ancor più?
Perchè, vi chiedo, la "libertà" starebbe nella "partecipazione consapevole"?
"Chi "si spoglia" viene considerato "folle" da chi non lo fa. Ma "non riconoscersi nel gioco" in questo caso è il non riconoscersi nelle maschere dell'identità, ovvero, non riconoscersi come sola identità sociale, come solo "io" (fatto di costumi e di pensieri-mente!)... Conoscere la propria mente, come funziona, di cosa si ciba è poter essere liberi... siamo liberi di cambiare abito (maschera) ogni istante.. (!)" (Gyta), ma "togli la tela, i pennelli e i colori a un pittore, e gli toglierai la sua libertà di creare..." (Brucus)
Ma perchè abbiamo bisogno di interpretazione? La mente funziona così e ce la teniamo? Perchè, siccome il gioco è questo e dobbiamo pur parteciparvi, dobbiamo pur essere pittori, almeno facciamolo "consapevolmente"? Non c'è il rischio di fermarsi, di "mancare" ciò-che-potremmo-essere? Almeno una ed infinite cose, identità, giocarci, mutare ogni mattina oltre l'abito che copre il corpo, anche quello che copre la mente. Ah... ma io già sono, basta solo lo scopra ed avvertirò di essere sempre stato... non c'è dunque niente da rivoluzionare, né da sconvolgere, poichè per quanto possa sconvolgere, ciò-che-sono nell'essenza rimarrà tale e le mutazioni avverranno solo "esteriormente" a livello dell'identità, ma io non sono quello e dunque tanto vale che l'accetto, come parte del gioco...
... ma tale pensiero, finchè rimane tale, non va a contrastare la libertà di mutare abito-maschera in ogni istante? Infatti perchè dovrei farlo, se uno vale l'altro, a livello dell'essere? Ed intanto, con quest'accettazione, ci si priva di una libertà, non quella di gettar via quadro e pennelli, ma magari di cambiare i colori ed il modo di pennellare...
Seppur senta di non essere ciò che sono, ancora non digerisco molto il fatto che sono già ciò che sono...
A pranzo mi sono a poco a poco schifato di mangiare un'arancia, non mi era mai successo e per poco non rimettevo tutto; era succosa, dolce, carnosa, l'addentavo con fame e pareva mordessi un pezzo di carne tremolante, pieno di vita, mi sembravo quasi un carnefice con la sua vittima inerme tra le mani. Era vivo, voglio dire, l'albero che l'ha prodotta, vivo anche se a noi non pare, e ci sembrano vivi solo gli animali che si muovono in un tempo simile al nostro. Per l'albero un nostro giorno è un secondo ed un anno un giorno, ma anch'essi vivono, si muovono, "lottano" per la vita, ma d'altronde (eccola qua l'identità e la mente) anch'io sono vivo e per vivere bisogna mangiare e per mangiare bisogna uccidere. Cosa faccio, mi son detto, guardandomi allo specchio? Ehm... con sincerità il primo pensiero è stato di ringraziare la prossima volta l'albero e l'arancia prima di mangiarla... magari gli dico che vivranno in me... e così la mia mente pare si sia un po' placata... gli dico che la loro "energia", i loro atomi diventeranno i "miei" e mi permetteranno di respirare producendo l'anidride carbonica che gli necessita... e che forse non c'è né "loro" né "mio", ma solo un unico abbraccio, unica realtà dove "tutto" si compenetra, si "mangia", è tessuto insieme e si fonde con "tutto" e che il cibarsi è atto essenziale di trasformazione che perpetua il gioco della nascita, della crescita, della morte, atto d'abbraccio, di creatività.
Questo mi son ripetuto, placando il mio bisogno, continuando a tessere la mia trama di risposte con la quale filtrerò gli eventi futuri; ma, riflettendo, tale risposta, così come le altre non potrebbe rendere pericolante proprio la visione del presente, che verrebbe già pre-interpretato, pre-ordinato, subordinato alla trama finora ordita dal mio essere?
Rispondiamo ogni mattina da nuovi al perchè ci alziamo? (Credo, anche inconsciamente, una risposta la diamo ad ogni più piccolo gesto che facciamo) O applichiamo la risposta di ieri, di un anno fa, di millenni fa a questa mattina? Chi, inoltre, ha risposto ieri, un anno fa, millenni fa? Non siamo forse liberi di rispondere completamente "da nuovi"?
Perchè vi siete alzati stamattina? Chi è che risponde? Da dove sorge la risposta?
Forse ho bisogno del bastone zen...
Un abbraccio a tutti...
A.
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