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30-04-2006, 23.44.40 | #31 | |
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Re: Correlazione, sincronicità, Jung e Bohm... 2
Citazione:
Per ora rispondo brevemente, anche perché tutto quello che hai scritto me lo devo leggere e rileggere con calma Tanto per cominciare, sulla causa-effetto. A quella discussione partecipava una persona che, in quegli stessi giorni, in un'altra discussione aveva affermato che la legge di causa effetto governa ogni fenomeno possibile. Le due discussioni si erano, se ben ricordo, po' intersecate. Certamente la sincronicità non ha proprio nulla a che vedere con la telepatia. Mi hai chiesto di spiegare meglio che cos’è. Ti faccio un esempio. Jung descrive il caso di una donna che in un sogno aveva avuto in regalo uno scarabeo d’oro (lo scarabeo è il simbolo della rinascita). Mentre la donna raccontava il sogno a Jung in una seduta d’analisi, dai vetri della finestra si sentì un rumore. Era uno scarabeo che volava contro i vetri. Jung lo fece entrare e lo raccolse mostrandolo alla donna. Questa combinazione di eventi provocò nella paziente un insight. In un altro esempio, sempre riportato da Jung, alla morte di un uomo tutti gli orologi della sua casa si fermarono. Si possono considerare eventi sincronistici moltissime cose che avvengono nella vita di tutti. “Coincidenze” significative e non estremamente probabili. Questo è il fenomeno. Semplice. Si potrebbe tranquillamente archiviarlo con un “che caso!”. Oppure no Il testo di Jung "La sincronicità come principio dei nessi acausali", il più compiuto testo sulla sincronicità, è del 1952. Jung è morto nel 1961. Le tre definizioni che ho riportato sono citazioni letterali di Jung. Le riporto anche qui per chiarezza. 1) “La sincronicità è la coincidenza temporale di due o più eventi non legati da un rapporto causale che hanno uno stesso o un analogo contenuto significativo.” 2) “Il fenomeno sincronicità è la risultante di due fattori. Un’immagine inconscia si presenta direttamente, letteralmente, o indirettamente, simboleggiata o accennata, alla coscienza come sogno, come idea improvvisa o presentimento. Un dato di fatto obiettivo coincide con questo contenuto.” 3) “Tutti i fenomeni sincronistici possono essere classificati in tre categorie. Primo: coincidenza dello stato psichico dell’osservatore con un evento esterno contemporaneo e obbiettivo che corrisponda allo stato e al contenuto psichico dove tra stato psichico ed evento esteriore non è visibile alcun rapporto di causalità e tale rapporto non è neppure pensabile. Secondo: coincidenza di uno stato psichico con un evento esterno più o meno contemporaneo corrispondente il quale però si svolge al di fuori della sfera di percezione dell’osservatore e quindi distanziato nello spazio e può essere verificato soltanto successivamente. Terzo: coincidenza di uno stato psichico con un evento corrispondente, non ancora esistente, futuro, quindi distante nel tempo, il quale a sua volta può ovviamente essere verificato a posteriori.” Il concetto di “campo archetipico” non è semplice da spiegare. Devo tentare di riassumere tutta la teoria junghiana in un post. Dovrò quindi tentare di semplificare un po’. Premetto che si sta parlando di accadimenti psichici, non "fisici”, anche se è chiaro che un fenomeno sincronico implica una modificazione sia a livello psichico che a livello fisico. Jung dice (non ho a portata di mano la citazione letterale) di essere persuaso che l'energia psichica sia intimamente connessa con il processo fisico anche se al momento attuale non siamo a perfetta conoscenza come ciò avvenga. La relazione psicofisica è, a suo parere, un problema che un giorno sarà risolto. Intanto però, la psicologia non deve lasciarsi arrestare da questa difficoltà, ma può considerare la psiche come un sistema relativamente chiuso che merita essere trattato come un fenomeno in sé. Quindi Jung tratta l’argomento dal punto di vista della psiche e non della materia. Ma torniamo al campo archetipico. Dobbiamo partire dal concetto junghiano di archetipo dell’inconscio collettivo. Do per scontato il concetto freudiano di inconscio o ES, che Jung chiama “inconscio personale”. Jung scrive, nel 1936: ”L'inconscio collettivo è una parte della psiche che si può distinguere in negativo dall'inconscio personale per il fatto che non deve, come questo, la sua esistenza all'esperienza personale e perciò non è un'acquisizione personale. Mentre l'inconscio personale è formato essenzialmente da contenuti che sono stati un tempo consci, ma sono poi scomparsi dalla coscienza perché dimenticati o rimossi, i contenuti dell'inconscio collettivo non sono mai stati nella coscienza e perciò non sono mai stati acquisiti individualmente, ma devono la loro esistenza esclusivamente all'eredità. L'inconscio personale consiste soprattutto di complessi, il contenuto dell'inconscio collettivo, invece, è formato essenzialmente da archetipi. Il concetto di archetipo, che è un indispensabile correlato dell'idea di inconscio collettivo, indica l'esistenza nella psiche di forme determinate che sembrano essere presenti sempre e dovunque. La ricerca mitologica le chiama "motivi"; nella psicologia dei primitivi esse corrispondono al concetto di représentations collectives di Lévy-Bruhl; nel campo della religione comparata sono state definite da Hubert e Mauss "categorie dell'immaginazione". Adolf Bastian, molto tempo fa, le ha denominate "pensieri elementari" o "pensieri primordiali". Da questi riferimenti dovrebbe risultare abbastanza chiaro che la mia idea di archetipo - letteralmente "forma preesistente" - non è a sé stante, ma è riscontrabile anche in altri campi della conoscenza. La mia tesi, dunque, è la seguente: oltre alla nostra coscienza immediata, che è di natura del tutto personale e che riteniamo essere l'unica psiche solo empirica (anche se vi aggiungiamo l'inconscio personale come appendice), esiste un secondo sistema psichico di natura collettiva, universale e impersonale, che è identico in tutti gli individui. Quest'inconscio collettivo non si sviluppa individualmente, ma è ereditario. Esso consiste di forme preesistenti, gli archetipi, che possono diventare consci solo in un secondo momento e danno una forma determinata a certi contenuti psichici.” (Jung, Il concetto di inconscio collettivo, 1936) |
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02-05-2006, 00.53.09 | #34 |
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Jung, anche se nei suoi scritti coesistono linguaggi scientifici, poetici e mistici, non pretende mai che la scienza spieghi le sue ipotesi. Si augura che lo possa fare semmai in futuro.
Ha fatto, del resto, delle ipotesi di trasmissione ereditaria o di "strutture psichiche determinate geneticamente" che le attuali neuroscienze sembrerebbero confermare. Se fosse ancora vivo ne sarebbe felicissimo. Però certamente si è ispirato alla fisica. Era molto amico di Pauli ed ha avuto uno scambio epistolare anche con Ernst Pascual Jordan. Jung e Pauli si sono scritti per anni confrontandosi proprio sulla sincronicità. Io non ho ancora letto il loro epistolario, ma visto che abbiamo iniziato questa discussione, lo farò in questi giorni. Poi ti dico. sulla relazione Jung-Pauli Quello che ti posso dire è che econdo me le teorie junghiane sono psicoanaliticamente validissime. L'ambito di Jung è la psicoanalisi, non la psicologia. (spigare qui la differenza sarebbe troppo lungo!) E la psicoanalisi non applica il metodo scientifico. Non sarebbe veramente possibile nemmeno volendo. L'unica verifica possibile è "sul campo". Insomma, terapeutica. E secondo me l'approccio junghiano è l'unico che tiene veramente conto della complessità dell'essere umano. ...sto divagando, scusa Insomma, per dire che le teorie della fisica confermano o no, ad esempio, le teorie di Jung sulla sincronicità, bisognerebbe prima scoprire che tipo di energia è l'energia psichica. Bisognerebbe dimostrare scientificamente che il pensiero o le emozioni o la libido (energia psichica) sono anche loro fatti di particelle. Per le filosofie orientali, questo è un dato di fatto. Tutto è energia a vari livelli di densità. Ma credo che la fisica questo non lo dica. Però, ipotizzare che l'energia psichicha sia una energia "fisica", potrebbe portare ad orientare la ricerca neuroscientifica e magari far scoprire cose interessanti sulla mente umana. Potrebbe. Ma al momento, dal punto di vista scientifico, sulla mente e sulla psiche sappiamo davvero pochissimo. Temo ci siano più dati scientifici sui buchi neri che sulla mente umana... Buonanotte |
02-05-2006, 11.05.45 | #36 |
Sii cio' che Sei....
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Oltre a Bohm consiglierei anche Erwin Laszlo e il suo campo PSI, nonche' Gregory Bateson...ma se volete tagliar corto e' meglio il trattato sullo Spirito Santo di San Basilio Vescovo e anche quello di Didimo il Cieco
edit: complimenti a tutti per l'ottimo livello della conversazione! Ultima modifica di Yam : 02-05-2006 alle ore 11.09.18. |
02-05-2006, 15.58.06 | #37 | |
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Citazione:
Da una lettera a Oswald del 1928 L'astrologia non è semplicemente una superstizione ma contiene certi dati di fatto psicologici che non sono di poca importanza. L'astrologia in verità non ha niente a che fare con gli astri, ma è la psicologia millenaria (5000 anni) dell'antichità e del medioevo. Purtroppo in questa lettera non posso fornire prove o spiegazioni. ... Ma in tutti quei campi strani c'è qualcosa che vale la pena di conoscere e che oggigiorno il razionalismo velocemente ha messo da parte. Questo "qualcosa" è la psicologia proiettata. ... Ora non ricordo dove, ma da qualche parte ha anche scritto che pensare si trattase di un'influenza diretta degli astri fosse un'idea primitiva. |
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03-05-2006, 13.18.06 | #38 | |
like nonsoche in rain...
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La parte come il tutto.
Non è semplice spiegare più approfonditamente la diversa interpretazione che Bohm fornisce della meccanica quantistica; iniziare a parlare di funzioni d’onda e altro, non penso poi che sia determinante in questa discussione. D’altronde non è che sappia molto di più di quello che ho detto sul pensiero filosofico di Bohm... la mia conoscenza si concentra sugli aspetti prettamente scientifici della questione .
Ma proviamo lo stesso. Bohm non accetta la divisione tra mondo macroscopico e microscopico, dualismo che per esempio prevede Bohr (e dunque l’interpretazione ortodossa della MQ). Per Bohm pure se il mondo ci appare sostanzialmente indeterministico, in realtà è soggetto ad una evoluzione deterministica e siamo noi che evidentemente ignoriamo “qualche aspetto” della natura (indeterminismo detto epistemologico e non ontologico come quello di Bohr); qui c’è l’idea dell’incompletezza della MQ, messa bene in evidenza dal ragionamento EPR che però, come abbiamo detto, non mostra aderenza con la realtà e tale dimostrazione la dobbiamo a Bell ed ai successivi esperimenti, che ci dicono che le teorie che si propongono di spiegare la fisica microscopica non possono essere locali. La teoria di Bohm è perciò, in due parole, deterministica e non locale (questo l’ho già spiegato un po’ nei precedenti post); essa vieta, molto intelligentemente, che sia possibile violare le relazioni di indeterminazione di Heisenberg ovvero vieta che la sua interpretazione alternativa consenta di conoscere più di quanto permetta la teoria standard della MQ (questo è un punto fondamentale). Bohm risolve a suo modo tutti i vari paradossi, i vari gatti vivi o morti che saltano fuori dalla interpretazione ortodossa alla Bohr (quella maggiormente considerata attualmente). Per Bohm le particelle possiedono in realtà una ben precisa posizione, delle ben determinate proprietà, essendo proprio questo che Bohr nega risolutamente, anche se alla fine quello che misuriamo è esattamente quello che prevede l’apparato matematico standard; vorrei che fosse almeno chiara questa cosa: una cosa è la matematica, le previsioni e le conferme empiriche, altra cosa è l’interpretazione che si cerca di dare a queste ultime. Non è ovviamente semplice discriminare tra queste varie interpretazioni, poiché esse prevedono naturalmente la bontà dei risultati attualmente provati ed attestati; ne esistono delle altre, tipo quella di Everett, ma lasciamo stare. Per giungere più vicino alle questioni trattate in questo post, il tipo di non località e di azione a distanza considerata da Bohm ha, come ho già detto in uno dei post precedenti, un carattere ben più forte di quella dell’interpretazione standard, andando così ad intaccare alle fondamenta la Relatività einsteiniana. Tuttavia, pur se la teoria di Bohm è di tipo deterministico (le particelle possiedono ben precise posizioni), le sue previsioni sono necessariamente di carattere statistico e si uniformano a quelle della MQ convenzionale. Riassumendo: per Bohr l’indeterminismo si situa a livello ontologico e da ciò nascono tutti quegli strani gatti paradossali e compagnia bella; per Bohm, invece, l’indeterminismo è epistemologico ovvero è la nostra conoscenza ad essere invariabilmente incompleta. Esiste un livello fondamentale nel quale non c’è indeterminismo, non c’è paradosso e penso che questo tessuto, lui lo chiami “ordine implicato”, in cui c’è connessione totale tra tutte le entità che lo compongono, anche tra quelle due particelle stranamente correlate quantisticamente. Noi accediamo solo all’ordine “esplicato” ovvero la nostra conoscenza è limitata al mondo empirico che sembra non deterministico; per noi non è possibile scambiare informazione “fisica” ad una velocità istantanea ovvero, siccome siamo “confinati” in questa realtà, non è in alcun modo possibile rilevare questo scambio che però, se la teoria di Bohm è corretta, deve esservi stato, in qualche modo: per inciso, questa azione risiederebbe nel suo cosiddetto “potenziale quantistico” che dovrebbe permeare tutto lo spaziotempo (i condizionali sono d’obbligo). Tale entità, che ha una ben precisa forma matematica ricavabile dall'equazione di Schrodinger, ha costituito per Bohm il punto di partenza per le sue analisi e peregrinazioni “filosofiche”, ponendosi come punto di contatto tra i suoi due “ordini”, implicato ed esplicato. L’ologramma, nelle idee di Bohm, consentirebbe di raffigurarsi questa situazione: due particelle arbitrariamente lontane non possono scambiare informazione “fisica” (ovvero da noi empiricamente riconoscibile) istantanea ovvero non è possibile che i risultati di una misura su una influenzino quelli sull’altra, istantaneamente; questo è vietato dalla Relatività (che NON è la sacra bibbia, intendiamoci). Invece nel fenomeno della correlazione quantistica, perfettamente previsto dall’apparato matematico della MQ, si verifica a posteriori (e qui vi è un parallelismo con Jung), cioè confrontando i risultati dopo le misure, che tali risultati sono correlati statisticamente e significativamente (ripeto: la MQ fornisce questa previsione). Sono correlati che vuol dire? Vuol dire che se si misura per esempio la proprietà “colore” delle particelle e si sa che la somma dei due colori debba essere “grigio” (e dunque le due particelle sono state “ingarbugliate” prima del loro allontanamento), la misura su una (per esempio si ottiene “bianco”) sembra influenzare la misura sull’altra (che verrà trovata invariabilmente “nera” e viceversa). Ripetendo gli esperimenti e misurando simultaneamente la proprietà “colore” su entrambe le particelle, quando si ottiene bianco in una, si ottiene nero nell’altra e viceversa. Come spiegare tutto ciò, senza che vi sia scambio di informazione fisica istantanea? La spiegazione standard consiste nell’affermare, come ho già detto nei post precedenti, che quel sistema quantistico formato da due entità sia in realtà una unica entità; in tale ragionamento serpeggia naturalmente la prescrizione ontologica di Bohr: qualunque tentativo di applicare le categorie “classiche” ai fenomeni quantistici genera paradosso, proprio perché questi ultimi sono genuinamente differenti dalla realtà macroscopica (il dualismo di cui si parlava prima). Secondo Bohm, l’idea dell’ologramma potrebbe fornire un supporto alla sua teoria: la realtà sottostante, costituita dall’ordine implicato, sarebbe tipo quella di un ologramma; come ho già un po’ spiegato, tale tecnica consiste nel registrare su una lastra fotografica tutti i particolari di un certo oggetto (come la fotografia tradizionale), in modo tale che l’immagine olografica registrata sulla lastra contenga in ogni sua parte i dettagli di tutto il resto (questo in realtà per un ologramma reale non è strettamente vero: se si spezza la lastra, l’oggetto verrà ancora riprodotto per intero, al contrario di quello che succederebbe nella fotografia normale, ma con una definizione minore). Comunque l’idea è che, siccome anche una piccola parte dell’ologramma contiene le informazioni e gli elementi di tutto il resto, questa tecnica di registrazione delle immagini consenta di figurarsi come possa essere possibile immaginare che due particelle, anche arbitrariamente lontane (nella nostra realtà esplicata), possano comunque essere “connesse”, al livello della realtà sottostante, in cui la nozione di “distanza” perde dunque di significato. Quelle due particelle, in realtà, dovrebbero essere per Bohm l’immagine olografica di quell’ordine implicato sottostante ed a noi inaccessibile, se non indirettamente con questi “strani” effetti olografici, che finiscono di essere “strani” o paradossali, se si accetta questa visione... almeno secondo il paradigma olografico del buon Bohm. Consiglio di leggersi, se si vuole avere un’idea più ampia, i link che ho fornito nel corso della discussione; lo so, sono tanti, ma in queste mie spiegazioni è stato non facile prescindere da alcuni concetti di base e dunque non sono sicuro di essere stato sufficientemente chiaro (spero almeno in un sufficiente risicato, cioè in un 6 politico... ). Citazione:
Ho letto qualcosa su questo “campo psi” di Laszlo, ma sinceramente mai nulla di approfondito; spesso l’ho trovato associato a vari “para-”... ... comunque questo link mi sembra “buono”, anche se succinto: http://ulisse.sissa.it/Answer.jsp?qu...Cod=9063631 0 |
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03-05-2006, 16.05.45 | #39 |
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A me i gatti paradossali piacciono tantissimo. Mi sento molto onnipotente quando penso che prima che io arrivi a casa la mia gatta è sia viva che morta e il mio arrivo la rende viva! Va beh, è una scemenza e non è nemmeno vera, evidentemente lo sforzo di concentrazione mi ha fatto andare in pappa il cervello Però i paradossi mi divertono davvero fin dai tempi di Achille e la tartaruga.
Dunque, vediamo se ho capito bene: empiricamente risulta che una particella, se non viene effettuata nessuna misurazione sul suo colore, ha uguali probabilità di essere sia bianca che nera. Un’interpretazione paradossale quindi dice che essa è contemporaneamente sia bianca che nera. (prendo il colore come esempio, ma lo so che non è il colore che si misura in una particella!) E il gatto, se partecipasse delle stesse proprietà, sarebbe sia vivo che morto. (Bohr) Invece su può pensare che la particella è o bianca o nera solo che noi non lo sappiamo. La particella ha la potenzialità sia di essere bianca che di essere nera. Non possiamo prevedere se, guardandola, la troveremo bianca o nera, ma lei è o bianca o nera. Come il gatto. (Bohm). (la mia gatta è bianca e nera ma indubbiamente viva!) Questo per lo stato delle particelle. (e dei gatti) Per la connessione tra due particelle la comprensione si fa più difficile. Si sarebbe empiricamente dimostrato che, se A e B sono state unite e da unite erano grigie (passami le semplificazioni), se guardo la particella A e la trovo bianca, B è certamente nera e viceversa. Non possiamo presumere che la particella A abbia informato la particella B di essere diventata bianca. Ma la bianchezza di A implica la nerezza di B e viceversa. E fin qui ci siamo, spero! Ma poi mi potrei essere persa. Secondo Bohr, le due particelle sarebbero una sola benché distanti nello spazio? E il comportamento delle particelle sarebbe diverso se esse sono “sole” o aggregate in un corpo? (macro e micro scopico?) Per cui la particella è sia bianca che nera mentre il gatto è o vivo o morto? Mentre secondo Bohm la particella A e la particella B contengono in sé la stessa immagine olografica, per cui un cambiamento in A non è causa di un cambiamento in B, e B non cambia perché cambia A, ma un mutamento nel mondo sottostante non causa ma è il cambiamento contemporaneo di A e di B? Se è così, se ho capito bene, questa (la teoria di Bohm) è uguale alla teoria della sincronicità! E la relazione ologramma e ordine sottostante mi sembra proprio quella che Jung immagina esistere tra “campo archetipico”, psiche e realtà sensibile. Rimarrebbe solo la possibilità di collegare eventi psichici ad eventi fisici. Cioè, quanto detto varrebbe per le particelle, per la materia, ma potremmo dimostrare che anche l’energia psichica partecipa di queste “proprietà”? (condizionali, ovviamente) Gioco a inventare una teoria di BhomJungFragola ... ... l’inconscio collettivo potrebbe corrispondere all’immagine olografica. Io, particella Fragola, porto in me la stessa immagine olografica che hai tu, particella Nexus. Un’immagine che ci connette e ci rende parti di un tutto. L’archetipo sarebbe nella realtà “psichica” sottostante (anima mundi), per noi inconoscibile. (se non attraverso un’esperienza mistica). E tutti i nostri inconsci ne conterrebbero la stessa immagine olografica (inconscio collettivo). L’attivazione di un archetipo non causa una trasformazione ma è la trasformazione dell’immagine olografica. Meno quella zona di psiche è inconscia, più io posso essere consapevole della modificazione. Più, quindi, questa è per me trasformativa. (Perché ovviamente ciò che è inconscio può diventare conscio). Ma poiché se qualcosa fa parte della realtà sottostante, fa parte di tutti gli ologrammi, (anche quelli delle particelle e dei gatti!) l’attivazione di un archetipo nella realtà sottostante più essere anche una modificazione del mondo fisico sensibile (quello che percepiamo). Torna? Ho lasciato momentaneamente cadere il discorso del “a posteriori”. Intanto di propino questo delirio e mi affido alla clemenza della corte. I roghi sono passati di moda, vero?. |
03-05-2006, 17.37.12 | #40 |
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l’inconscio collettivo potrebbe corrispondere all’immagine olografica. Io, particella Fragola, porto in me la stessa immagine olografica che hai tu, particella Nexus. Un’immagine che ci connette e ci rende parti di un tutto. L’archetipo sarebbe nella realtà “psichica” sottostante (anima mundi), per noi inconoscibile. (se non attraverso un’esperienza mistica). E tutti i nostri inconsci ne conterrebbero la stessa immagine olografica (inconscio collettivo).
L’attivazione di un archetipo non causa una trasformazione ma è la trasformazione dell’immagine olografica. Meno quella zona di psiche è inconscia, più io posso essere consapevole della modificazione. Più, quindi, questa è per me trasformativa. (Perché ovviamente ciò che è inconscio può diventare conscio). Ma poiché se qualcosa fa parte della realtà sottostante, fa parte di tutti gli ologrammi, (anche quelli delle particelle e dei gatti!) l’attivazione di un archetipo nella realtà sottostante più essere anche una modificazione del mondo fisico sensibile (quello che percepiamo). Torna? Ho lasciato momentaneamente cadere il discorso del “a posteriori”. Intanto di propino questo delirio e mi affido alla clemenza della corte. I roghi sono passati di moda, vero?. poniamo l'equazione conscio=inconscio=anima mundi a quale punto sono? anima mundi=spirito anima-mente- corpo Unifichiamo le "visioni" cosa accade se "spirito=anima=mente=corpo " ossia c'è "connessione completa"? che forse l'anima mundi si "manifesti" totalmente nella nostra realtà? cosa succede invece se c'è distorsione/disarmonia? |