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 Riflessioni sulle Scienze - Commenti sugli articoli della omonima rubrica presente su WWW.RIFLESSIONI.IT - Indice articoli rubrica


Vecchio 10-08-2008, 11.04.28   #31
Il_Dubbio
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Originalmente inviato da Marius
Tenendo presente che, ombrellone o no, il caldo (almeno qui da me) gioca un fondamentale ruolo nel permanere di uno stato di lucidità mentale accettabile per sostenere discussioni di questo tipo , mi preme sottolineare un punto che per me è molto importante anche se, forse, non è strettamente in tema con il 3d e, cioè, il fatto che, indipendentemente dalla complessità del pensiero che una IA fosse in grado di articolare autonomamente (ossia senza input esterni), essa non si "accorgerebbe" cmq, di pensare.....Insomma sarebbe come identificare il pensiero di Aristotele e la sua filosofia con la persona Aristotele...
In assenza di questa fattispecie si potrebbe parlare ancora di I.A. ?

Mentre voi state sotto l'ombrellone io sto al fresco di casa a fare altro che giocherellare con palette e secchiello
e comunque la lucidità mentale non mi è stata compagna quando ho scritto "indicibile" anzichè "indecibile".

Comunque a parte quell'errore (ed altri che solo dopo la pubblicazione mi accorgo di aver commesso) il punto focale che tu Marius sottolinei è importante, ma in sostanza bisogna poterlo "dimostrare". Purtroppo proprio per la proprietà di queste verità non dimostrabili, è impossibile anche una dimostrazione.
Ciò che però una macchina può dimostrare di possedere a "testimonianza" (non dimostrabile oggettivamente) di un pensiero non distinguibile da quello umano, è di avere capacità "intuitive". Quindi anche se rimarrebbe indimostrato che la macchina "pensi" come un uomo (ed era proprio la mia tesi iniziale), se la macchina riuscisse a dimostrare di possedere queste capacità umane, la sua indistinguibilità sarebbe praticamente assoluta (almeno se ci soffermiamo al colloquio con una telescrivente). E qui avrebbe ragione Alberto, non potremmo dimostrare (sempre che non vi siano altre idee) che la macchina non pensa come un uomo.

Ma deve dimostrare di possedere queste capacità. Il test quindi va indirizzato. L'esempio della stanza cinese mi dice che il test ad oggi non è "indirizzato" alla conoscenza delle "capacità" della macchina, ma verso una più generica attitudine della macchina a fregare, con le sue conoscenze sopraffini, l'esaminatore. E questo non va bene, in questo modo il test non direbbe nulla di più di ciò fa un computer quando gioca a scacchi.





Buone ferie e non scottatevi
Il_Dubbio is offline  
Vecchio 11-08-2008, 17.28.19   #32
Il_Dubbio
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Originalmente inviato da Il_Dubbio
"indecibile"


Correggo l'ultima volta (spero ) il termine esatto sarebbe

indecidibile

Mi aggancio all'idea di Marius per fare qualche altra riflessione, sperando che sia utile alla discussione. So di essere prolisso, e spesso, come si vede, impreciso, ma con questi argomenti non si può essere matematici e sintetici, una formula e via

Ho letto ultimamente (da fonti vicine alla I.A.) che per produrre una buona intelligenza artificialmente (prossima se no uguale a quella umana), l'automa debba avere la possibilità di “crescere” come un bambino e imparare via via col tempo. Che in altri termini sia dato all'automa la possibilità di conoscere il mondo, di camminare, di assaporare di odorare ecc. in modo poi da creare un “individuo” con una sua personalità forse anche un suo carattere ecc.
Mi sembra che qualcuno anche qui abbia fatto cenno a questo tipo di possibilità.

A me sembra però che vi siano, anche qui, delle forti lacune concettuali..
Primo: se è vero che noi uomini impariamo col tempo, è vero anche che pure le colombe (e tutti gli altri esseri viventi) imparano col tempo, quindi come si fa a credere che l'apprendimento sia alla base per la crescita di una “razionalità umana”? Ancora una volta si crede che sia per via della complessità con cui l'uomo impara, ma questo non autorizza nessuno a credere che l'apprendimento sia causa della razionalità umana.
Secondo: l'apprendimento dell'automa che non preveda l'autocoscienza non può essere dello stesso tipo di quello umano, ciò significa che non porterà alcun beneficio all'automa e la speranza che questa sia la strada giusta per emulare il pensiero dell'uomo si dissolverebbe nel mare ( e spiegherò perchè).

Per questo va capito cosa vuol dire “imparare” per la I.A. (qui magari Alberto quando uscirà da sotto l'ombrellone , potrà indicarci quali sentieri la I.A. sta prendendo)

Cerco, quindi, di analizzare questi concetti fin qui espressi:
Ammettiamo che sia possibile che questi automi imparino ad odorare i profumi dei fiori.
Noi sappiamo cosa avvertiamo quando sentiamo un odore, esso può essere gradevole o meno. Se questi automi riuscissero a distinguere l'odore di un fiore senza però averne coscienza non potrebbero assolutamente emettere un “giudizio” sulla loro gradevolezza o meno ma si fermerebbero al (ipotetico) riconoscimento di un odore che oggettivamente sarebbe diverso da un altro (per esempio attraverso il riconoscimento molecolare dell'aria, o non so con quale altra diavoleria). Lo stesso dicasi per esempio per il riconoscimento di un suono; sicuramente un automa riuscirebbe a distinguere oggettivamente, per esempio, un suono acuto da un suono grave poiché fisicamente conosciamo la distinzione tra questi due suoni, ma ugualmente non avrebbe la possibilità di “ascoltarlo” e quindi di emettere un giudizio soggettivo.

Imparare quindi a distinguere gli odori o i suoni (e altro) non vuol dire poterne parlare con un linguaggio simile a quello umano poiché quando noi si parla di suoni, o più precisamente di musica, o quando odoriamo un fiore, non facciamo l'analisi fisica e chimica di questi componenti ma li avvertiamo e li distinguiamo senza conoscerli in modo “fisico”. Quindi già con queste discussioni (ipotetiche) tra uomo e automa si dovrebbe avvertire una netta separazione tra i due mondi.. Una distinzione netta tra ciò che è “oggettivo” anche per noi (un fiore particolare emetterà sicuramente molecole particolari, come un suono particolare sarà distinguibile dalla maniera differente di provocare le vibrazioni) e soggettivo solo per chi percepisce in prima persona. Questo per noi è ciò che si chiama esperienza.

Cosa vuol dire per un automa invece “imparare”?
Non credo che significherà fare esperienza come la fa l'uomo. E questo bisogna tenerlo in conto.

Il concetto di “bello” o “gradevole”, oppure “odioso” ecc. sono concetti che un automa non potrebbe comprendere. E' vero che certi concetti nascono dalla comparazione con modelli precedenti ma essi non sono mai modelli assoluti . Se il modo di fare classico prevede un certo tipo di “forma”, quello successivo potrebbe risultare “sgradevole” al gusto di chi ormai è “abituato” al “tradizionale”. Il nuovo genere così nato dovrà ritagliarsi una fetta di fans per diventare simbolo della nuova tradizione. Ma per farlo avrà bisogno di un rinnovato “gusto” in chi recepisce la nuova opera. Ma come non esiste un gusto perfetto o assoluto, non esiste nemmeno una forma perfetta e assoluta. Il “cambiamento” è quindi figlio di una operazione “irrazionale”. Per questo l'arte non è difinibile in canoni estetici assoluti ma relativi all'epoca, ai gusti e alle sensazioni emotive sia insiti negli stili operanti nelle varie epoche che in quelli personali e spesso geniali dei propositori dell'arte stessa. Un automa, anche in grado di imparare uno stile, un genere, in modo oggettivo, non potrà mai apprezzarne il gusto e nemmeno proporne uno nuovo. Su quest'ultima affermazione bisogna intendersi meglio: un automa che “desiderasse” proporre un genere nuovo dovrà operare sulle conoscenze passate ma non potrà attingere dal un gusto personale visto che non lo ha mai avuto. Sarà quindi forse in grado di imparare “oggettivamente” lo stile, ma non sarà spinto dal sentimento interno per rinnovarlo al suo gusto personale. Se imparare ha un significato oggettivo, quindi, per proporre qualcosa di nuovo (in tutti campi) bisogna interagire oltre che con il mondo esterno anche con il mondo interno. Un automa all'interno è invece sempre collegato con la fotocopia del mondo esterno, quindi si muoverà su strade precostituite e “meccaniche”.
I robot non darebbero mai alcun apporto al progresso.

Smolin, fisico, dice (piu o meno): i fisici si possono dividere in due categorie: i normali e i visionari. Quelli normali fanno bene i conti e rimangono dentro le cose conosciute, mentre i visionari cercano nuove strade e se non ci fossero non ci sarebbe alcun progresso.

E da qui parte anche tutto il discorso precedente sulla scienza, sulle scoperte, sulla matematica e sulla logica umana. Se essere visionari significa “calcolare” bene tutto ciò che va calcolato perchè le soluzioni sono li a portata di mano, probabilmente basterebbero i fisici normali e gli automi probabilmente sarebbero in grado di emularli. Se invece per “visionario” si intende “intuizione”, capacità di oltrepassare gli schemi precostituiti con la creazione di nuovi schemi, allora è necessario comprendere che tipo di logica un fisico visionario deve avere per raggiungere certi risultati.
Ed questo tipo di ragionamento che mi spinge a supporre che per essere dei buoni fisicii (e non solo) bisogna essere anche uomini irrazionali, non spinti solo dalle consuetudini e dalle convenzioni ma da un atteggiamento e da una logica che preveda la coincidente presenza di autocoscienza, la stessa, ma con forme diverse, che spinge un artista a rinnovare se stesso e il modo di concepire il mondo.

Ammettiamo per ipotesi che l'intuizione sia effettivamente un calcolo. Se esistesse un modo logico (un algoritmo) per produrre un'intuizione con uno schema matematico fisso, un automa riuscirebbe a essere molto piu produttivo in un solo mese, di tutti i fisici visionari che si sono succeduti in 3000 anni. Se l'intuizione fosse un calcolo molto complesso, aumentando la capacità di calcolo degli automi con la contemporanea capacità intuitiva, le soluzioni alternative si moltiplicherebbero e i fisici dovrebbero solo avere il tempo di sperimentare la veridicità delle nuove assunzioni.
Questo sarebbe si un ambizioso progetto della I.A., un modo per procedere a passo spedito mettendo in pensione i fisici ( e non solo loro). La velocità di progresso sarebbe molto piu rapido, e a quel punto l'automa sarebbe intelligente come l'uomo ma elevato alla massima potenza di calcolo.
E a quel punto il robot potrebbe “intuire” che l'uomo è un possibile nemico da sopprimere.

Tutti i problemi epistemologici sarebbero risolti, l'automa chiarirebbe una volta per tutte quale è la verità assoluta o le verità, e non ci sarebbe piu bisogno di lunghi discorsi sul forum di psicologia o di filosofia ecc. Basterà aumentare la potenza di calcolo dell'automa per raggiungere la perfezione che l'uomo ha sempre sognato per se.
Questo però se l'invenzione, la creatività, la verità, fosse per davvero un puro calcolo logico e finito.

Ma non sembra essere così...ma se lo fosse, a testimoniarlo vi sarebbero i risultati prodotti. A quel punto rimarrebbe una chimera sostenere che si, ma loro non “pensano” come noi. Potremmo soltanto constare che pensano meglio di noi

Ad oggi non vi è però alcuna possibilità che gli automi raggiungano certi risultati, proprio perché sembra che la logica umana, alla sua base come è stato tutto il mio ragionamento fin qui fatto anche nei post precedenti, non sia per nulla equiparabile in toto ad un algoritmo.
Quindi dai filosofi a gli artisti e per finire ai "fisici visionari", possono stare tranquilli, non perderanno (almeno per il momento) il loro posto di lavoro.

ciao
Il_Dubbio is offline  
Vecchio 13-08-2008, 14.34.06   #33
Marius
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Citazione:
Originalmente inviato da Il_Dubbio
........
Primo: se è vero che noi uomini impariamo col tempo, è vero anche che pure le colombe (e tutti gli altri esseri viventi) imparano col tempo, quindi come si fa a credere che l'apprendimento sia alla base per la crescita di una “razionalità umana”?.............

Su questo punto provo a dire la mia....
Secondo me anche la colomba, a suo modo, è "autocosciente", nel senso che si accorge di esistere individualmente e, quindi, è più intelligente di una qualsiasi IA.
Questo perchè, per quanto detto anche in precedenza, non credo che l'autocoscienza sia un prodotto biologico del solo cervello, bensì dell'intero sistema nervoso simpatico, parasimpatico, ecc....
Esistono, d'altronde, casi in cui noi stessi siamo "spettatori" del nostro pensare, come nel caso dei sogni o delle reazioni istintive che altro non sono che rapidissime procedure "logiche" elaborate dal cervello quando si comporta (in questo caso) da vero software.....Questo tipo di comportamento puo' essere facilmente emulato da una IA e, non a caso, mi pare si stiano studiando "nanotecnologie" in grado di suppartare la trasmissione di impulsi nervosi in sistemi biologici danneggiati, ad es, dopo un incidente....
Marius is offline  
Vecchio 15-08-2008, 14.12.34   #34
Il_Dubbio
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Originalmente inviato da Marius
Secondo me anche la colomba, a suo modo, è "autocosciente", nel senso che si accorge di esistere individualmente e, quindi, è più intelligente di una qualsiasi IA.
Questo perchè, per quanto detto anche in precedenza, non credo che l'autocoscienza sia un prodotto biologico del solo cervello, bensì dell'intero sistema nervoso simpatico, parasimpatico, ecc....

ciao Marius, questo è un punto ancora meno chiaro. Che noi si è autocoscienti lo sappiamo perchè lo deduciamo dalle nostre esperienze attraverso un linguaggio comune. Con gli altri esseri non possiamo comunicare con lo stesso linguaggio e non sapendo da cosa è provocata l'autocoscienza non possiamo stabilire "oggettivamente" che anche gli altri esseri ne siano provvisti pur in maniera sottile.
Schopenhauer (a cui ho dato uno sguardo in questi giorni per altri motivi di studio) riteneva che la vita è fine a se stessa e si esprime nella "volontà" di vivere, volontà che ci crea invece molti grattacapi visto che noi siamo anche coscienti di questo.
Non solo fisicamente, ma anche filosoficamente quindi la causa della vita è ignota. E' la vita stessa che determina l'intelligenza e la coscienza, oppure è la coscienza che determina la vita e la stessa intelligenza?
Anche nell'esprimere il concetto che <<con la vita si esprime la "volontà" di vivere>> si produce una di quelle verità non dimostrabili, che sono vere perchè sono intuitive. I teoremi di Gödel (che non ho menzionato per via della difficoltà che avrei di maneggiarlo) ne sono la dimostrazione.


A parte questi discorsi noti e meno noti, pongo all'attenzione un altro problema. Ieri ho ascoltato una parte della trasmissione di Michele Mirabella su rai tre dal tema "istinto e ragione" e un intervento di un antropologo (purtroppo non ho sentito come si chiamava) faceva piu o meno così: secondo studi recenti (su persone che avrebbero avuto problemi celebrali) si è stabilito che l'uomo "sceglie" per istinto (o per intuito) e non per ragione. Sceglie in altre parole per quello che sente soggettivamente, altrimenti se non ci fosse la possibilità di scegliere per istinto il cervello continuerebbe a calcolare all'infinito, o per lo meno quello adibito alla razionalità. In sostanza il succo credo fosse: è vero che il cervello calcola ma poi a decidere è la parte del cervello adibito alle emozioni.

Aggiungerei a questo che non sempre è possibile calcolare precisamente ogni soluzione, quindi l'uomo <<deve>> decidere secondo l'intuito.
Questo però è l'altra faccia della medaglia, ovvero quella che presume che una decisione avvenga dopo un calcolo così astronomico che sarebbe impossibile per qualsiasi macchina finire di calcolare prima della fine dei tempi (vedi previsioni del tempo). Quindi anche se in linea di principio è possibile, sarebbe così astronomicamente appunto complesso che pur di scegliere un comportamento anziché un altro l'uomo sceglie d'istinto (o d'intuito) e non perchè calcola. Calcola si, ma è solo uno degli aspetti importanti del processo cognitivo dell'uomo.
Questo però è appunto una faccia, c'è l'altra, quella microscopica delle singole verità non dimostrabili, che non prevede alcun algoritmo per decretare una verità in modo definitivo, ed anche in questo caso l'intuito e l'autocoscienza, aiutano a sbrogliare situazioni che non sarebbe possibile sbrogliare altrimenti. Quindi dire che l'uomo si comporta come un computer è erroneo; se è vero che alcune decisioni sono prese secondo un calcolo "finito" è impossibile che lo siano le restanti decisioni ( i cui calcoli sarebbero astronomici anche per l'uomo stesso) che rappresentano la quasi totalità delle decisioni umane.
Chiaramente più un uomo riesce a sbrogliare una situazione intelligentemente secondo un preciso algoritmo, anche complesso, più la sua soluzione sarà intesa "classicamente" giusta. Esempi sono credo i test per l'intelligenza nei quali il candidato deve trovare l'unica (qualche volta piu di una) soluzione giusta, che io odio . Ma non tutte le soluzioni sono algoritmiche e anche se lo fossero (la particolarità che sto mettendo in risalto in questo post) sarebbero così complesse da non dare mai alcuna soluzione in tempi "brevi", ed è anche per questo che l'uomo non può essere simile all'automa.In altre situazioni l'uomo deve scegliere fra due o piu soluzioni e non c'è alcun algoritmo che possa aiutarlo a scegliere la "migliore".

Ma del resto se non si avesse la possibilità di poter scegliere "diversamente" anche quando l'intelligenza porta ad un unico risultato la conseguenza indicherebbe la chiusura in schemi prefissati di ogni comportamento e alcun cambiamento sarebbe possibile in linea di principio. Così che l'automa per essere un uomo dovrebbe qualche volta (o spesso) uscire dagli schemi e seguire l'intuito.
E' possibile anche immaginare che una nuova informazione crea una situazione caotica che va a scombussolare gli schemi precedenti. Per questo soluzioni ottimali, probabilistiche ecc., sono determinate non tanto dall'intelligenza nel trovare << la soluzione>> ma quella di adottarne <<una buona>> nel breve tempo possibile. Quindi l'intelligenza assieme alle emozioni autocoscienti ci permettono di trovare soluzioni anche quando non ce ne sono di ben definite. Risulta poi essere, questa scelta, una specie di sintesi, che potrebbe essere il famoso equilibrio psicologico che l'uomo cerca di giungere nella sua vita cercando quel legame, spesso contrastato, tra ragione e sentimento.

In tutto questo calderone non vedo come possa un algoritmo, semplice o complesso, essere la soluzione per ricreare un pensiero umano.
E' praticamente impossibile. Un automa deve "pensare" come un uomo, per cui deve essere autocosciente e sviluppare nel corso del tempo gli indizi di questa sua consapevolezza che non può essere espresso attraverso la sola intelligenza finita e limita da un algoritmo.
Per questo, l'obiettivo che si prefigge la I.A., rimane fantascientifico, viste le premesse

buon ferragosto
Il_Dubbio is offline  
Vecchio 03-09-2010, 15.41.04   #35
Aggressor
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Salve a tutti, sono nuovo del forum, studio filosofia alla Sapienza (Roma), lascio qui il mio primo commento.


L’approccio neuroscientifico allo studio della coscienza è trovare il correlato cellulare della coscienza, uno specifico pattern di attività neuronale che dia vita all'esperienza di coscienza.

Hume nelle sue bundle theories espresse il concetto che il sé non è un'entità, ma un insieme di esperienze, una serie di impressioni che sembrano (solo “sembrano”) appartenere a una persona ma sono in realtà solo legate assieme dalla memoria o da altre funzioni neurocognitive.

La coscienza, come le altre caratteristiche biologiche - organiche, comportamentali o soggettive - si è evoluta secondo la selezione naturale darwiniana, consentendo all’organismo di avere a disposizione, rapidamente e per un certo intervallo temporale, la miglior interpretazione possibile della scena in cui è immerso.

G. Tononi è autore insieme a G. Edelman, della migliore teoria che abbiamo oggi sulla coscienza.

Secondo loro la coscienza è misurabile, e in un qualsiasi oggetto può essercene tanta o poca. Per la precisione, la coscienza presente in un sistema equivale alla sua complessità, dove complessità, che è un termine matematico ben definito, sta ad indicare in quanti modi diversi, all’interno di un sistema composto da n elementi, la metà di quegli n elementi può rispondere a tutte le informazioni provenienti dall’altra metà.
Il complesso è definito come quell’insieme di elementi, interagenti causalmente fra loro, che non può essere suddiviso in sottoinsiemi più piccoli aventi più o altrettanta complessità e che non fa parte di un insieme più grande di complessità più elevata. Così identificare la coscienza con un costrutto matematico significa poterla misurare in un qualsiasi sistema composto da un insieme di elementi. La coscienza è complessità e la complessità è integrazione di informazione; In linea di principio la coscienza è presente in qualsiasi oggetto che abbia una certa complessità, potrebbe anche essere costruita artificialmente.


Grazie alle reti neurali, in Italia, siamo riusciti a dimostrare scentificamente la veriticità della teoria dell'evoluzione darwiniana, facendo letteralemente evolvere dei robot (i quali hanno iniziato anche a creare un linguaggio per comunicare).

Siamo lontani dall'aver compreso i meccanismi con i quali gli enti biologici (in primis l'uomo) riescono a pensare, perchè tramite il pensiero, i concetti, è difficile descrivere le operazioni della mente (anche se la filosofia dovrebbe ricercare questi schemi); più facile è farlo meccanicamente tramite le reti neurali ad esempio, lasciando al computer la capacità di apprendere da se ed evolversi autonomamente emulando solo quelle strutture di base con le quali si svilupperà il sistema che ci interessa.

Il salto condizionato (se una data condizione è soddisfatta allora vengono effettuate operazioni specifiche da una certa parte del programma, altrimenti altre), per esempio, conferisce al programma una capacità discriminativa. Ma non siamo riusciti neanche a far utilizzare il nostro linguaggio a una macchina tramite soluzioni del genere.


Quello che credo io è che la filosofia dovrebbe lavorare per riuscire a descrivere come si passi da un concetto all'altro, come funzioni la mente dal punto di vista dell'idea, in altre parole, sviluppare soluzioni come quelle del salto condizionato, prima che la tecnica riesca a creare robot così complessi da avere una coscienza paragonabile alla nostra o che l'eugenetica ci porti alla creazione di un super-uomo.
Poichè solo con la prima soluzione esposta si potrà calcolare l'effetto di certe innovazioni (potremmo dire di aver compreso davvero il funzionamento della mente) ed evitare spiacevoli sorprese.


Fortunatamente la complessità degli enti biologici (come ad esempio il complesso dei neuroni nella nostra mente) non è minimamente paragonabile alla complessità a cui può arrivare, a parità di estenzione spaziale, un ente meccanico. In altre parole, se la teoria dei neuroscienziati è esatta e ammettedo che un essere vivente non potrà mai essere intelligente quanto noi se non possiede una coscienza potente come la nostra, a meno che non creiamo un cervello robotico delle dimenzioni di un palazzo per ora non sarà possibile creare un computer tanto potente quanto la nostra mente; ma rimane il problema dell'eugenetica.
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Vecchio 04-09-2010, 07.45.17   #36
albert
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Originalmente inviato da Aggressor
Salve a tutti, sono nuovo del forum, studio filosofia alla Sapienza (Roma), lascio qui il mio primo commento.

Benvenuto!

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Originalmente inviato da Aggressor
La coscienza è complessità e la complessità è integrazione di informazione; In linea di principio la coscienza è presente in qualsiasi oggetto che abbia una certa complessità, potrebbe anche essere costruita artificialmente.

Abbastanza d'accordo. Resta che, a mio parere, non abbiamo una definizione soddisfacente di "coscienza". Tu ne avresti una?

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Originalmente inviato da Aggressor
Quello che credo io è che la filosofia dovrebbe lavorare per riuscire a descrivere come si passi da un concetto all'altro, come funzioni la mente dal punto di vista dell'idea


Sì: definire che cosa sia un concetto e come la mente li elabori, immagazzini, e connetta tra loro. Non so però se occuparsene possa essere definito "filosofia" o piuttosto appartenga, appunto, alle neuroscienze

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Originalmente inviato da Aggressor
a meno che non creiamo un cervello robotico delle dimenzioni di un palazzo per ora non sarà possibile creare un computer tanto potente quanto la nostra mente; ma rimane il problema dell'eugenetica.

I computer delle dimensioni di un palazzo c'erano tanti e tanti anni fa, oggi si va molto più sul piccolo. La complessità di un computer moderno è paragonabile ad un cervello umano. Un chip Xeon ultima generazione (roba comunissima, e ne puoi mettere molti insieme) contiene circa 2 miliardi di transistor. Un cervello umano cento miliardi di neuroni. Non siamo così lontani.
Forse il problema, come diceva John McCarty, è che non sappiamo come programmarli.

albert is offline  
Vecchio 04-09-2010, 13.14.43   #37
Il_Dubbio
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Originalmente inviato da albert

Abbastanza d'accordo. Resta che, a mio parere, non abbiamo una definizione soddisfacente di "coscienza". Tu ne avresti una?


Benvenuto al nuovo amico.

Io alla coscienza l'ho data una definizione... ed è qui: https://www.riflessioni.it/forum/la-r...erenziale.html

Non credo sia una definizione da cui si possa ricavare un "programmino". Però non è detto...

Se ci mettiamo d'accordo sulla definizione di "conoscenza" forse avremo un'idea più precisa di cosa significhi che la conoscenza è una conoscenza autoreferenziale. In realtà, infatti, non esisterebbe una conoscenza autoreferenziale, ovvero di una conoscenza che non bisogno di alcuna descrizione (o programmino) per funzionare.
Il_Dubbio is offline  
Vecchio 04-09-2010, 16.16.33   #38
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Grazie per il benvenuto


Il sè lo vediamo intimamente legato alla coscienza perchè pensiamo che se c'è un’esperienza cosciente questa deve accadere a qualcuno. Però, appunto, la scienza non necessità di attribuire per forza le esperienze coscienti ad un io (avevo scritto di Hume a riguardo nel post precedente).
Un sistema autoreferenziale si riferisce a se stesso: nel nostro caso con la coscienza riuscirei a riferirmi al mio io che però non esiste come oggetto determinato ed è invece solo un fascio di percezioni.
Così credo sia apportuno abbandonare quella definizione di coscienza come conoscenza autoreferenziale.

La coscienza percettiva (che è quella di cui ho parlato prima e a cui si riferiscono le neuroscienze) corrisponde alle sensazioni soggettive che si esperiscono percependo una particolare scena, trovandosi in una particolare situazione, eseguendo una particolare azione.
Quello che un soggetto prova e vive nel momento in cui vede per esempio il colore rosso, oppure una rosa rossa; un esperienza unica e privata dovuta ai diversi punti di osservazione, e al diverso insieme di memorie che vengono associate alla scena da ogni particolare individuo.

Uno dei vantaggi della coscienza è probabilmente quello di consentire all’organismo di avere a disposizione, rapidamente e per un certo intervallo temporale, la miglior interpretazione possibile della scena in cui è immerso; per questo più c'è complessità più c'è coscienza.


Signori, non sono così sicuro riguardo ciò che dico come, invece, potrebbe apparire; mi stò solo rifacendo agli appunti delle lezioni di "psicobiologia e neuroscenze" il cui esame dovrei dare a breve.


Il discorso si fa complesso ma l'argomento è interessantissimo, un saluto amici
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Vecchio 04-09-2010, 22.07.33   #39
albert
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Citazione:
Originalmente inviato da Aggressor
... Quello che un soggetto prova e vive nel momento in cui vede per esempio il colore rosso, oppure una rosa rossa

Ahimè, mi sembra più poesia che una vera definizione

Secondo Steven Pinker il termine "coscienza" comprende tre aspetti:
- conoscenza di sè (ed in questa categoria direi che rientra la definizione di "Il Dubbio")
- accesso all'informazione
- e, infine, "il più interessante di tutti, facoltà senziente, esperienza soggettiva, consapevolezza fenomenica, tempo presente in prima persona ..."

E, riguardo a quest'ultimo, commenta: Tutte cose che, se avete bisogno di chiederle, non le saprete mai

E' di questo terzo aspetto che vorrei una definizione, ma mi sembra che nessuno sappia bene come affrontarlo
albert is offline  
Vecchio 05-09-2010, 00.39.22   #40
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Citazione:
Originalmente inviato da Aggressor
Signori, non sono così sicuro riguardo ciò che dico come, invece, potrebbe apparire; mi stò solo rifacendo agli appunti delle lezioni di "psicobiologia e neuroscenze" il cui esame dovrei dare a breve.

Santa sincerità
Comunque, quando farai l'esame, esponi soltanto ciò che sta scritto sugli appunti... queste cose che diciamo qui sono top secret sssschhh

Citazione:
Originalmente inviato da Albert
Secondo Steven Pinker il termine "coscienza" comprende tre aspetti:
- conoscenza di sè (ed in questa categoria direi che rientra la definizione di "Il Dubbio")
- accesso all'informazione
- e, infine, "il più interessante di tutti, facoltà senziente, esperienza soggettiva, consapevolezza fenomenica, tempo presente in prima persona ..."

E, riguardo a quest'ultimo, commenta: Tutte cose che, se avete bisogno di chiederle, non le saprete mai

E' di questo terzo aspetto che vorrei una definizione, ma mi sembra che nessuno sappia bene come affrontarlo

Non comprendo, Albert, perchè dovrebbe esserci una differenza tra la coscienza di sè e la consapevolezza fenomenica o soggettiva che dir si voglia.
Se fosse coscienza di sè in senso assoluto (seguimi in questo discorso contorto) un neurone dovrebbe avere coscienza di essere un neurone. Se la coscienza fosse un campo elettrico, dovrebbe avere coscienza di essere un campo elettrico. Ciò è simile al concetto che esprime la proposizione "cosa provano i pipistrelli"?
Invece io non ho coscienza di essere un neurone. A questo punto mi vien naturale pensare che NEI neuroni (o come la si può chiamare anche quella "massa gelatinosa") scorre "informazione". Il problema difficile è: che tipo di programma dovrebbe essere impostato in questa massa gelatinosa, in grado di essere riconosciuto come informazione? La risposta ovvia, che io posso dare, è che deve esistere informazione "autoreferenziale". Autoreferenziale quindi non dovrebbe essere rappresentato solo dalla coscienza di sè, ma da tutto ciò che passa attraverso la coscienza.
Non è detto che sia l'informazione a essere autoreferenziale, anzi io escludo che la si possa chiamare "informazione" prima che essa sia riconosciuta come tale. Ecco perchè è importante che sia auto-riconosciuta.

Il segreto dell'informazione (vecchia ruggine che ho sulla "teoria dell'informazione") secondo me è che non esiste. Invece noi presumiamo di poter programmare una macchina, in seguito in grado di essere cosciente, partendo dall'informazione. Io invece credo proprio che sia il contrario... è la coscienza a riconoscere l'informazione, che un attimo prima non c'era.
Ricordi quella definizione sull'informazione?
il contenuto informativo di un messaggio è legato alla sua probabilità di mostrarsi entro un insieme di messaggi possibili: maggiore è la probabilità di realizzarsi, minore è il contenuto informativo. Quindi il messaggio meno probabile ha in sè la massima quantità di informazione.

Ricordi che dicesti (qui per chi vuole ripassare: https://www.riflessioni.it/forum/filo...ormazione.html) : Si può definire l'informazione come "sorpresa".

Cosa può voler dire "sorpresa"? Sicuramente non può essere qualcosa riconosciuta a priori, altrimenti non sarebbe una sorpresa. Potrebbe essere invece qualcosa di nuovo che magari prima non c'era e che viene in seguito riconosciuto come informazione. Chiaramente bit casuali non creano informazioni (parlavi di entropia non a caso credo). Bisogna impostare quindi una macchina perchè riconosca l'informazione in una serie di bit non casuali.
Ma se i bit fossero per davvero tutti casuali? Di quale informazione staremmo parlando? Chi, oltre noi umani, ordina bit dando un senso non casuale creando così informazione?
Non so se riesco a spiegarmi. Il dna (per esempio) si dice che è informazione, ma chi l'ha ordinato? Non è quella una distribuzione casuale di bit? Per chi, quella, è informazione? Se no per noi che la riconosciamo attraverso la coscienza?
Ecco così che anche l'informazione si lega alla coscienza come tutta la realtà fenomenica...

p.s.
Quasi in senso poetico mi verrebbe da dire che prima del vero big bang (che forse non c'è mai stato) ci siamo noi, gli unici (a parte Dio, ammesso che esista) in grado di riconoscere, forse un giorno, attraverso la coscienza, la massima espressione di entropia ovvero la massima informazione possibile. In questo momento staremmo comprimendo l'informazione... e chissà un giorno saremmo capaci di far esplodere nuovi universi .
Il_Dubbio is offline  

 



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