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14-05-2006, 22.33.24 | #22 |
Ospite abituale
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Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: il mito della caverna: una critica
QUOTE]Messaggio originale inviato da epicurus
vorrei rispondere alla tua domanda, ma non posso perchè io metto già in discussione le sue premesse, ossia "i due mondi sono due realtà diverse e non una dipendente dall'altra". ma perchè parli di 'mondi' e 'realtà'? l'esperimento platonico lo puoi riportare al nostro tempo: domani esce sul giornale che hanno scoperto dei cavernicoli che erano sempre rimasti chiusi in una caverna e che si trovavano in una situazione simile a quella descritta da platone. ora che senso ha palare di realtà diverse ed indipendenti? nessuna, io credo. infatti viviamo tutti lo stesso mondo, semplicemente noi abbiamo un linguaggio (e quindi un sistema concettuale) e delle conoscenze diverse dai cavernicoli: tutto qua. quindi non riesco a rispondere alla tua domanda proprio per le non condivisibili premesse. [/quote] Hai ragione... probabilmente ho sbagliato a esprimermi. Volevo dirti che per me ciò che gli uomini dentro la caverna vedono è una trasfigurazione di ciò che sta fuori, hanno l'illusione che non possa esistere altro, perché non volgono lo sguardo oltre il muro. Mentre l'uomo che esce dalla caverna si rende conto che fino a quel momento si era illuso che tutto quello che vedeva fosse la realtà, ma una volta uscito capisce che la realtà va ben oltre a quello che prima credeva di vedere. Penso cmq di capire cosa vuoi dire e dal tuo punto di vista probabilmente hai ragione. Dobbiamo ricordarci però che si tratta di una metafora e che quindi non può essere riportata ad un caso reale, deve essere interpretata, perché si parla di coscienza, di conoscenza, di verità assoluta che va oltre le opinioni individuali. |
14-05-2006, 22.53.01 | #23 | |
Sii cio' che Sei....
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Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: il mito della caverna: una critica
Citazione:
Gia'.... |
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15-05-2006, 14.04.02 | #24 | |
Moderatore
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Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: il mito della caverna: una critica
Citazione:
come ho detto in qualche mio intervento più sopra, non mi interessa cimentarmi in un'opera di ricostruzione storico-ermeneutica per capire qual era la vera idea che platone voleva trasmettere con il suo mito della caverna. il fatto è che è molto frequente interpretare tale storiella, in un modo che io non approvo, per alimentare la credenza che la vita ordinaria che viviamo in realtà è solamente un'illusione, un'irrealtà (o che, se ci va bene, è solo un pallido riflesso della 'vera realtà'). questa posizione vorrebbe far dire a Salvo, appena uscito dalla caverna, queste parole: "Allora ogni cosa che vedevo dentro la caverna era irreale!!! Solamente ora vedo veri gatti, vere abitazioni, veri alberi, etc.". invece, la mia proposta, è quella di far dire a Salvo: "Finalmente conosco anche il mondo fuori della caverna, e qui fuori posso vedere molte nuove cose, come anche gatti, abitazioni, alberi, etc.". qui ciò che succede effettivamente non è la consapevolezza che le passate credenze (quella formate nella caverna) erano false ed illusorie, bensì che il mondo è più vario di quel che si pensava, e vi sono un'enormità di oggetti che non ci si immaginava nemmeno lontanamente. nei tuoi primi interventi mi sembravi critica verso la mia tesi ("Salvo conosce nuove cose", e appoggiavi "Salvo, finalmente, conosce cose vere"), ma ora mi sembra che tu ti sia ricreduta, appoggiando la mia proposta. sbaglio? infatti io sono con te sul fatto che i cavernicoli credono il falso, però solamente nella misura in cui credono che gli oggetti nella caverna esauriscono gli oggetti totali della realtà. ma per il resto le credenze dei cavernicoli erano vere e genuine quanto le nostre. che ne pensi? epicurus |
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16-05-2006, 11.05.05 | #26 |
Ospite abituale
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Caro Epicurus, cari tutti,
io mi trovo d’accordo con Epicurus. Infatti si può dire in certo modo che le persone vedano oggetti falsi solo se si sono visti gli stessi oggetti in quanto veri, come per altro affermava Rolando. Socrate, che ritiene di averli visti, o si dovrebbe dire in realtà, di essersi avvicinato (è noto che in Platone non si arrivano mai a definire le idee somme), sostiene infatti che gli uomini normali vedano oggetti falsi. In questo senso, i due mondi sono in realtà l’uno dipendente dall’altro (concetto di ombra). Dunque il problema si risolverebbe così: se si dà un’altra realtà, come origine della realtà più facilmente visibile e in contiguità con essa, allora ciò che vediamo è falso; altrimenti la realtà in generale non può essere che la nostra (idealismo), e non si dà nulla la di fuori di questa. Ma la questione che appare più interessante secondo me è un’altra. E la pone Epicurus stesso. La possibile esistenza di un mondo dietro un altro mondo, come nell’esempio del mondo delle divinità gatto, origina un processo ad infinitum, che ci costringe ad interrogarci sulla reale pertinenza a parlare di mondo più vero. E’ come se ogni volta che si scopre un nuovo mondo, si parlasse di un approssimarsi alla verità più vera. Ma che questa verità più vera sia a priori irraggiungibile è chiaro dal ragionamento del mondo delle divinità gatto. Ecco che nasce allora la prospettiva idealista: il gesto filosofico dell’idealista è quello di togliere la cosa in sé (il vero più vero), e di consegnare l’essere alla conoscenza come essa si dà. Essere=conoscenza, mente, coscienza. Di negazioni di cosa in sé, ce n’è di ogni tipo da Fiche in poi. Allora il gesto di scoprire gli oggetti che originano le ombre, non è un gesto di scoperta della verità più vera, ma di più ampia interpretazione del reale, dove il termine interpretazione sta ad indicare proprio il suo congedo dal concetto di verità immutabile da raggiungere. E qui arriva il “mondo più vario di quello che si pensava” di cui parla Epicurus, per cui non è più possibile parlare di veritas in senso platonico, ma di Aletheia heideggeriana per intenderci. In questo contesto, il falso diventa ciò che non rende conto di ragioni, di eventi. Il falso è ignoranza semplicemente, non-conoscenza di altri fenomeni. Lo schiavo dovrebbe pensare: adesso so che esistono anche queste cose, il mio mondo non può più essere solo quello di prima. Devo rendere conto di queste cose. Ma esse sono un’interpretazione più ampia del reale, e nessuna verità raggiunta, perché questa verità non si potrà mai dare per sua natura stessa, proprio in quanto è ciò che sta dietro a qualcos’altro. Finchè non si dà un mondo nel quale queste nuove ragioni vengono fatte valere, gli schiavi non potranno che parlare di quelle cose che vedono sul muro (che non possono neanche chiamare ombre!). Dunque se quegli oggetti si danno già a persone come Socrate, gli schiavi non sono in catene, ma semplicemente distratti. La mia domanda infatti è: perché mai Socrate invece non è incatenato? Un saluto |
16-05-2006, 19.15.36 | #27 | |
Ospite abituale
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Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: il mito della caverna: una critica
Citazione:
Penso che alla fine ci troviamo d'accordo ... solamente stavamo analizzando la storia da due punti di vista differenti. Infatti io con il termine illusione non mi riferisco a ciò che loro oggetivamente vedono, ma a quello che pensano di vedere. Odos con il suo intervento mi ha fatto venire in mente una cosa... si può dire che le cose che stanno fuori rappresentano per Platone Aletheia, mentre quelle che stanno dentro la caverna sono Veritas. La traduzione è la stessa.. 'Verità', ma il significato è differente definendo quindi con Veritas ciò che si pensa sia vero, mentre con Aletheia ciò che è. Ma questa è solo una mia opinione. E' naturale che le ombre non sono un'illusione (anche se gli uomini della caverna non sanno che si tratta di ombre), anch'esse fanno parte della realtà, ma, come dici tu, la realtà non si esaurisce con queste. Probabilmente la frase che dice Salvo quando esce dalla caverna non è corretta perché dà spazio a interpretazioni che possono allontanare dal senso vero e proprio della metafora, anzi, dal senso che noi diamo alla metafora, ma nessuno può dire qual è la giusta interpretazione e forse Platone lo ha fatto di proposito. Ho talmente tanta stima nei confronti di questo filosofo che non riesco a pensare che possa essere 'inciampato' in un simile 'erroruccio', forse dietro c'è un significato più ampio che noi non riusciamo a cogliere e lo interpretiamo come un'inesattezza nell'esposizione. Non è detto che fino ad ora sia stata data un'interpretazione esaustiva del significato della metafora (senza niente togliere ai grandi uomini che, nei secoli, ne hanno data una), ma potremmo anche chiederci... è tutto qui quello che Platone voleva trasmettere con il mito della caverna o c'è altro? |
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16-05-2006, 20.03.14 | #28 | |
Ospite abituale
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Citazione:
Socrate è il filosofo che più si è avvicinato alla verità e, come dovrebbe fare il 'vero' filosofo, non resta in silenzio, in contemplazione della verità da lui conosciuta, ma desidera farla conoscere anche agli altri uomini in quanto la verità è un Bene comune che dovrebbe appartenere a tutti. Il problema però è rappresentato dal fatto che gli uomini spesso credono che la verità si esaurisca in ciò che loro vedono e non accettano i concetti che Socrate tenta di esporre. E' anche vero che in altri invece può far nascere dei dubbi e nuovi pensieri. La sua conoscenza della verità, unita al desiderio di trasmetterla ad altri, lo ha portato inevitabilmente alla morte, perché all'interno di una società non si ammette l'affermazione della personalità individuale che porta 'scompiglio' nell'ordine e deve essere eliminata. Viene così meno il vero concetto di giustizia. Il mito della caverna riflette la vita di Socrate, filosofo illuminato e incompreso che aveva visto oltre il muro e trova la morte per mano di quegli uomini che voleva salvare tornando nella caverna. |
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16-05-2006, 21.35.42 | #29 |
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No, no, no...aspetta Iris.
Ho capito quello che dici. Questo è chiaro. Ma è proprio su questo che si discute. Il significato della metafora della caverna è un modello ontologico ben preciso. Questo è quello che Epicurus voleva porre in questione. E allora, innanzitutto, non è un "tutto qua" quello che Platone voleva dire (sperando di rincuorarti), in quanto è un modello, quello che propone, che ha solo un altro modello concorrente: quello aristotelico. Solo la filosofia dell'ultimo secolo ha costruito la sua essenza sulla decostruizione di questi due modelli, per il resto duemila anni di filosofia non hanno fatto altro che riproporre questi due modelli ontologici e di verità (in maniera di volta in volta originale). Anzi quello Platonico è un modello ontologico tutt'ora presente nel mondo della scienza. In secondo luogo quello che chiedevo è: ma gli schiavi sono tutti gli uomini o solo le persone comuni? Se sono solo le personi comuni, ha buon gioco Epicurus a chiedersi, e come fai Socrate a sapere che non esiste un mondo ancora più vero (mondo delle divinità gatto), esattamente come prima credevi che la totalità del mondo fossero quelle cose che vedevi sul muro? Dove ci fermiamo, per dire che qui abbiamo la verità? E io aggiungevo: ha senso parlare di una verità che prima o poi raggiungeremo, se è vero che siamo sempre in questa condizione? (qui introducevo l'aletheia, domandando, non sarebbe più produttivo considerare queste verità, come aperture storiche che si danno di volta in volta storicamente?) Se gli schiavi sono tutti gli uomini, allora che ci fa Socrate fuori dalla caverna? L'uomo non conoscerebbe che "ombre", cioè cose proiettate sul muro, e non si darebbe nessuna cosa più vera, perchè nessuno potrebbe vederla, neanche Socrate, in quanto uomo. Le cose proiettate sul muro, non sarebbero neppure ombre, sarebbero le cose stesse, e questo è idealismo. Ho scritto un po' di fretta, spero di essere stato chiaro |
16-05-2006, 22.56.22 | #30 | ||
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Ciao Odos, eccoti qua finalmente
hai azzeccato in pieno quello che volevo dire, ma non sono sicuro che tu condivida quando io voglio sostenere. vediamo. Citazione:
tu dici che il mio esempio dei gatti-divinità è una reductio ad absurdum dell’idea che il mito della caverna mostra come il nostro mondo quotidiano è illusorio, (se ci va bene) pallido riflesso del mondo vero: se accettiamo il mito della caverna, allora ci è per linea di principio impossibile distinguere tra caverna e fuori, per una serie (potenzialmente) infinita di meta-caverne. e questo è sicuramente quanto volevo mostrare, ma non tutto! inoltre da tale argomentazione tu affermi che la morale di tutto ciò è che la verità non è immutabile, cioè non si danno verità a priori incontestabili. la prima cosa che ho da contestarti (se ti ho compreso bene) è che la reductio ad absurdum della serie infinita di meta-caverne non è l’unico argomento che racchiudeva la storiella dei gatti-divinità; la seconda, è che la morale che tu trai (“la verità è sempre una verità revocabile”) non era la morale che dovrebbe essere tratta da questa storia (sebbene sia un’affermazione che in generale condivido). ma andiamo con ordine. che altre ragioni ho mostrato con l’esempio dei gatti-divinità per contrastare l’interpretazione scettica del mito della caverna? riflettiamo su tale esempio. perché è così controintuitivo (io direi assurdo) che Guido dica "Cavolo! Allora tutti i gatti che ho visto sulla terra erano irreali!!!"? Non è la serie infinita di meta-gatti che rende tale proposizione così infelice, è qualcosa d’altro. io mi chiederei “ma che legame c’è tra i gatti terresti e questi gatti-divinità?”, d’altro canto il legame è stato identificato (si suppone) solamente tramite la somiglianza fisiologica (anche se è azzardata una relazione di somiglianza fisiologica tra due oggetti con diverse dimensioni). la cosa più normale da domandare è “ma i terresti quando parlavano di ‘gatti’ si stavano riferendo a questi gatti-divinità in questo sperduto pianeta?”, e la risposta più banale è “certo che no. che strana teoria del riferimento stiamo appoggiando per sostenere che magicamente i terresti, quando parlavano di ‘gatti’, in verità si stavano riferendo ai gatti-divinità di questo pianeta? si vuole affermare che ogni nostra affermazione sui gatti è falsa?!?!”. così è anche, parallelamente, per il caso del mito della caverna. per quale malato motivo crediamo che i cavernicoli si stiano riferendo a ciò che noi chiameremo ‘gatti’, ‘alberi’, ‘spade’, etc.? il significato delle parole è immerso nelle pratiche di vita dei parlanti, quindi i cavernicoli parlando esattamente di ciò che fa parte del loro vissuto (e non di ciò che c’è fuori della caverna, infatti loro non hanno proprio i nostri concetti di ‘gatti’, ‘tavolo’, etc.). ecco ciò che l’esempio dei gatti-divinità voleva mostrare, oltre al notato caso di reductio ad absurdum delle serie di meta-illusioni. ho anche detto che la morale che trai non la considero pertinente a questa faccenda (o almeno per quando finora abbiamo scritto). la morale di tutto ciò, infatti, non è “la verità è sempre rivedibile”, bensì la più banale “la conoscenza è sempre ampliabile”. ciò che la metafora platoniana ci dice è semplicemente che i cavernicoli hanno una conoscenza limitata (come tutti dal resto!), ma non che ci sono diversi livelli di verità/realtà. Citazione:
per ciò che ho detto sopra, non credo che io mi trovi in questo di-lemma. infatti, il problema non è più ontologico, bensì linguistico. ma forse non ti ho compreso bene… mah epicurus |
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